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29.3.12

Quaresimale

Fakra Younas, giovane pachistana, ex ballerina, alle spalle un'infanzia cancellata dalla madre prostituta e tossicodipendente e da un marito vecchio, aveva creduto di trovare un riscatto in un secondo matrimonio, ricco, felice, appassionato. Cancellato anche quello, ben presto, da una sequela di violenze, umiliazioni, stupri. Fakra si oppone, resiste: non ha che sé stessa, e si raccoglie ai quattro stracci della sua anima violata ma viva, solida, l'unica presenza reale, quasi fisica, in quel suo mondo cancellato. Il marito acculturato e facoltoso non tollera quella che considera lesa maestà: la "sua" donna ha osato ribellarsi, si è sciolta dalle sue catene. Le rovescia addosso un odio ancestrale, possente, che sembra provenire dai secoli, come direbbe Primo Levi. La cancella, ancora. Il volto con l'acido. Non la sopporta come persona, come entità slegata da quel guinzaglio muto al quale lui la pretende "naturalmente" confinata. La brucia col liquido. Abrasivo ossimoro. Fakra sopravvive, fugge, il suo volto azzerato diventa simbolo della bestialità del potere. Scrive anche un libro: Il volto cancellato è il logico titolo. Ma non basta. E' rimasto qualcosa d'incancellabile nella vita cancellata di Fakra, ed è quell'anima stuprata, che adesso è diventata fantasma, e grida, in un vorticoso salto all'indietro, reclama i suoi diritti di bambina mai sbocciata, e vuole tutto e tutti con sé per non finire inghiottita nel gorgo fatale dell'ossessione.

Poi, viene il giorno dell'abbandono. In un palazzone di Roma, dove si sente sola, insopportabilmente sola. Quel suo corpo cancellato è diventato catena. Peso. Lo getta letteralmente via, dalla finestra, come un rifiuto. E' un volo cencioso, un'anima singola non può che appartenere all'aria e lì ritorna.La marocchina Amina Filali è ancor più giovane di Fakra: solo sedicenne. E' stata abusata, picchiata e costretta a sposare il suo carnefice. Soffoca. Nel suo chiuso universo comprende che non può né deve tacere ma che, ancora, l'unica possibilità a lei concessa per urlare è tacere per sempre [l'articolo 475 del codice penale marocchino dà la possibilità allo stupratore di evitare il processo e il carcere sposando la sua vittima se questa è minorenne. Firma qui per chiederne l'abolizione, n.d.A.]. Lo fa. Tanto, quella non è vita. Non si tratta di suicidi, ma di omicidi per procura.Daniel Zamudio è un ragazzo cileno di 24 anni, ma dalle foto ne dimostra quattro di meno. Ha uno sguardo tenerissimo e notturno, d'una inerme consapevolezza. Di quel che gli riserverà il destino. Sguardo di croci, di desideri e sospiri. Sguardo indagatore di segrete e vellutate gioie. Sguardo adolescente. Non so se i suoi coetanei aggressori abbiano occhi. Fatico a immaginarli, nei neonazisti. Sono occhi, i loro, che non guardano, ma vedono: la curiosità chirurgica e gelida dei criminali torturatori di Salò. Torturatori di ragazzi anch'essi, sadici sezionatori di occhi. Senza gioia, peraltro, senza nemmeno godimento sensuale. Seviziano Daniel, colpevole di essere omosessuale, per sei ore. Come accadde sette anni fa a un altro ragazzo gay, Matthew Shepard. Gli staccano un orecchio, gli massacrano il cranio, gli incidono svastiche sul corpo agonizzante. Forse non si divertono abbastanza, forse sono annoiati. Alla fine lo massacrano di botte e lo lasciano lì esanime sul selciato. Come quel Nazareno in croce col quale si era deciso di farla finita, e allora tanto valeva una lancia nel costato. Daniel defunge dopo breve agonia e senza aver ripreso conoscenza. Del resto, era impossibile. E i crocifissi moderni non hanno resurrezione.

Altrove.
Nuova Delhi, India. Un giovane attivista tibetano, Ciampa Yeshj, 26 anni, muore dopo essersi dato fuoco per protesta contro la visita del leader cinese Hu Jintao, a capo di uno dei governi più tirannici del mondo, soprattutto verso la minoranza tibetana. Una dittatura con la quale il democratico Occidente, sensibile ai diritti umani, non ha scrupoli a intessere affari. A Bologna Giacomo, artigiano 58enne oberato dai debiti, compie lo stesso gesto davanti alla sede dell’Agenzia delle Entrate. Vittima d'un fascismo non meno spietato, quello del Mercato. Un ragazzo romeno cerca di soccorrerlo, ma senza successo. Lui glielo ripete, con ostinazione da martire perduto, prima di sprofondare nel buio: voglio morire. Nemmeno tanto per i soldi: per la vergogna. Chiede persino scusa del gesto di cui pure è convinto. Come annota acutamente Michele Serra ("Repubblica" di oggi), solo i galantuomini avvertono il peso del loro debito, solo gli onesti se ne lasciano travolgere, al contrario dell'evasore, che esibisce la propria filibusteria come un trofeo. E la lista non è conclusa. Contemporaneamente, a Verona, un operaio edile marocchino di 27 anni si brucia davanti al municipio di Verona. Non riceveva lo stipendio da quattro mesi.
Morti, tutte, che ardono. Quasi tutte accomunate dal fuoco: barbare, primitive, mattanze dell'ingiustizia, della discriminazione e del potere, politico ed economico. Solo all'apparenza maturate in contesti diversi, hanno in realtà un unico comun denominatore: la disumanizzazione. Ordalie, provocazioni, smembramenti, questi addii al calor bianco, quest'incenerimento grondante sangue, ci riporta al presente impassibile, ci rilascia alla pietra, all'urlo primordiale, spaventoso, immane. E colpevole. La lunga Quaresima sembra non aver fine.

3.2.12

repliche alle destre destre e alla sinistra destra ecco perchè per la cittadinanza italiana agli immigrati


da  diario di Repubblica  del 2\2\2012

Tre anni fa mi trovavo a Toronto, in Canada, per  un festival internazionale di letteratura. Ricordo, in particolare, un incontro interessante con un simpatico musicista. Mi disse che aveva da  poco ottenuto la cittadinanza italiana con estrema facilità, era bastato il certificato di nascita del bisnonno  immigrato dal Veneto all’inizio del secolo scorso. Niente esame di lingua, di storia, di cultura, di costituzione,per misurare la sua italianità. «Non parlo l’italiano – ripeteva ridendo – e non sono mai stato in Italia, Paese di cui conosco pochissime cose. Per essere sincero mi sento completamente canadese». Gli chiesi: «Allora perché hai deciso di diventare cittadino italiano?». Mi rispose: «Per far felice la nonna, l’unica in famiglia che  parla ancora qualche parola di italiano».


Gli raccontai la mia storia per ottenere la cittadinanza italiana, una cittadinanza “sudata”, non regalata. Un lungo percorso durato 12 anni di residenza, una maturazione profonda e una lenta italianizzazione fatta con la mente, la lingua, la conoscenza, il dialogo, la scrittura e soprattutto con il cuore.
Mi torna in mente spesso la storia del “canadese” quando incontro ragazze e ragazzi nati in Italia e con genitori immigrati. Mi colpisce la loro determinazione e  maturità: non hanno dubbi identitari, si sentono italiani a tutti gli effetti. Capiscono che il problema non sono loro, ma il contesto in cui si trovano, fatto di propaganda, ipocrisia, cattiveria e mancanza di buon senso. Ricordo che una volta una ragazza nata a Roma, di origine marocchina, mi spiegò con poche parole la grande frustrazione e ingiustizia in cui vivono giovani come lei: «Quando sono a Roma mi chiamano la marocchina, e quando vado in Marocco mi chiamano l’italiana». Non  parla arabo, però va fiera del suo romanesco, si considera una grande tifosa della nazionale di calcio e conosce a memoria le canzoni di Lucio Battisti. Poi, con un tono pieno di tristezza e di sofferenza: «Sono un’italiana con il permesso di soggiorno!». È umiliante e assurdo chiamarli “immigrati di seconda generazione”. Sono i genitori che sono immigrati, non loro. Aveva ragione il grande scrittore arabo Abu Hayyan Al-Tawhidi (morto nel 1023) quando sosteneva che «lo straniero più straniero in assoluto è quello che vive da straniero nella propria patria». In questi ultimi anni è stata concessa la cittadinanza italiana a tanti, soprattutto all’estero, in base solo allo ius sanguinis. Molti di loro votano anche se non pagano le tasse e possono condizionare la vita politica italiana. Invece i figli di immigrati nati in Italia sono esclusi perché non hanno un antenato italiano nel loro albero genealogico, cioè qualche goccia di sangue italiano nelle vene. Così si vedono costretti al diciottesimo anno a chiedere il permesso di soggiorno. L’Italia non dovrebbe essere il loro Paese? Perché continuare a rigettarli e a trattarli come figli illegittimi? Ne conoscono la cultura, la cucina, la storia, la geografia, lo sport e la politica. Ne parlano la lingua e i dialetti locali. Condividono con gli italiani “puri” felicità e dolori, pregi e difetti,  caratteri e umori. Insomma amano questo Paese e vogliono essere amati.Non dare la cittadinanza a chi è nato in Italia è semplicemente “vergognoso

qui il resto del numero dedicata appunto al tema  della   cittadinanza     e sul diritto dei figli di immigrati nati nel nostro paese a non essere discriminati per le loro origini   e la  loro provenienza  http://download.repubblica.it/pdf/diario/2012/02022012.pdf


dato che ci sono ne  approfitto per  rispondere  anche ai fanatici di forza  nuova  .
da quando  ho configurato la mia email  redbeppe@gmail.com  su  blogspost contattami (  a  disposizione   per   chi volesse  scrivermi )    ho ricevuto  diverse  email  di  gente  vicino  a tali elementi  o  di tali elementi stessi    vedere titolo  e  post   su Altan  e gli  insulti di Forza Nuova (  nuovo  mascherato da  vecchio )




 e  affini  .Lo so  che  direte , cancella  e cestina ,  vero  ma  non sempre  è possibile  con gente ipocrita  e bugiuarda  che nega l'evidenza  dei fatti   come dimostra  l'articolo  che

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...