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30.6.24

alla faccia di chi dice che la famiglia sia solo uomo - donna . Carlo Galimberti adotta il badante Fernando e diventa papà a 99 anni: «Ci vogliamo bene, siamo una famiglia


Questo articolo racconta una storia toccante di amore e generosità che supera i confini culturali e generazionali. Attraverso il legame tra Carlo e Fernando, si mette in evidenza il concetto che la vera famiglia non è determinata dal sangue, ma dall’affetto e dalla condivisione. La vicenda di queste due persone dimostra che i legami più profondi si basano sull’empatia, sulla solidarietà e sull’amore sincero.





Carlo Galimberti adotta il badante Fernando e diventa papà a 99 anni: «Ci vogliamo bene, siamo una famiglia»

 (foto Cimma/Lapresse)

La famiglia è molto più che un legame di sangue, una connessione voluta dal fato. No, la famiglia è soprattutto una scelta, lucida e consapevole, un'attestazione di un affetto, di un desiderio di vicinanza e di un senso di comunione. Lo hanno dimostrato Carlo e Fernando, che non hanno avuto paura di cambiare i loro ruoli, prima datore di lavoro e dipendente, poi padre e figlio. Carlo Galimberti ha 99 anni, un passato da sindacalista, da consigliere comunale e una memoria di ferro, ma anche un profondo senso di giustizia ereditato da sua mamma. Fernando ha 56 anni e un passato difficile in Perù, ma è riuscito ad uscirne, è giunto in italia e ha accolto l'offerta di Carlo di prendersi cura della sorella inferma. Dopo tanti anni insieme, Carlo ha deciso di fare il passo successivo, preparare le carte per l'adozione e accogliere nuovamente Fernando (ora anche lui un Galimberti) nella famiglia, stavolta in maniera ufficiale. Ora il badante, e figlio, ha ottenuto la cittadinanza italiana. 
L'adozione
Carlo ha da poco spento 99 candeline, ma l'età non lo ferma e, come dice Fernando, «ricorda tutto». Una caratteristica che ammira nell'uomo che nel 2013 è diventato suo padre e che ora, dopo un lungo processo burocratico, gli ha permesso di ottenere la cittadinanza italiana. Sono passati 11 anni da quando Carlo ha fatto quella chiamata all'assistente sociale e ha confermato che è possibile «anche adottare un adulto», come riporta il Corriere della Sera.




«Ci vogliamo bene, siamo una famiglia»Fernando insegnava inglese, in Perù, ma è dovuto scappare da un vicino che spacciava droga e ha trovato lavoro come badante. Per un po' è costretto a saltare di casa in casa, finché non ha trovato Carlo. È rimasto prima al fianco della sorella e poi, quando lei non se n'è andata, al fianco di Carlo. Una storia che come vuole la vita ha avuto i suoi alti e bassi, ma anche il suo lieto fine.
Il passato di Carlo
Ha 99 anni e nessun problema a raccontare il suo passato, anche i dettagli. Decimo di 12 figli, a 15 anni trova lavoro all'Alfa Romeo, con turni fino a mezzanotte e la guerra che imperversa. Ricorda con affetto la mamma che non si fidava a farmi tornare a casa da solo, e si vestiva da uomo per accompagnarlo, o di quando dava qualcosa ai poveri, un panino o un bicchiere di vino.Il suo senso di giustizia gli è rimasto addosso e lo ha accompagnato nella sua carriera come sindacalista prima, a combattere contro dei ritmi di lavoro stressanti, e come consigliere e assessore al Bilancio nel Comune di Bollate poi: «Il primo atto? Non firmare una fattura da 38 milioni. Ritenevo che fosse una tangente».




25.2.15

la morte dei vecchi



accusatemi pure d'essere un cinico e d'essere pro eutanesia viste , chi legge il mio blog e la mia bacheca dagli esordi o con attenzione a lo sa , posizioni su testamento biologico e fine vita . Ma la penso , anche per esperienza personale ( il ricovero per  frattura  di un braccio  di una mia prozia  di  70\80 anni ) come il post di questo sito http://nottidiguardia.it/.
 
 
Scritta da Goldencharlie su giugno 08, 2009
                        .                  
Pur essendo assolutamente contrario filosoficamente, umanamente ed eticamente alla pena di morte, ci sono altre morti che mi colpiscono e mi addolorano maggiormente.
Penso alla morte delle persone anziane. Come muoiono oggi i vecchi? Muoiono in OSPEDALE. Perché quando la nonna di 92 anni è un po’ pallida ed affaticata deve essere ricoverata. Una volta dentro poi, l’ospedale mette in atto ciecamente tutte le sue armi di tortura umanitaria. Iniziano i prelievi di sangue, le inevitabili fleboclisi, le radiografie.
“Come va la nonna, dottore?”. “E’ molto debole, è anemica!”.
Il giorno dopo della nonna ai nipoti già non gliene frega più niente!
“Come va l’anemia, dottore?”. “Che vi devo dire? Se non scopriamo la causa è difficile dire come potrà evolvere la situazione”.
“Ma voi cosa pensate?”. “Beh, potrebbe essere un’ ulcera o un tumore… dovremmo fare un’ endoscopia”. Io faccio il chirurgo e lavoro da venti anni in ospedale. Mi sono trovato moltissime volte in situazioni di questo tipo. Che senso ha sottoporre una vecchia di 92 anni ad una gastroscopia? Che mi frega sapere se ha l’ulcera o il cancro? Perché deve morire con una diagnosi precisa? Ed inevitabilmente la gastroscopia viene fatta perché i nipoti vogliono poter dire a se stessi e a chiunque chieda notizie, di aver fatto di tutto per la nonna.
Dopo la gastroscopia finalmente sappiamo che la vecchia ha solamente una piccola ulcera duodenale ed i familiari confessano che la settimana prima aveva mangiato fagioli con le cotiche e broccoli fritti, “…sa, è tanto golosa”.
A questo punto ormai l’ ospedale sta facendo la sua opera di devastazione. La vecchia perde il ritmo del giorno e della notte perché non è abituata a dormire in una camera con altre tre persone, non è abituata a vedere attorno a sé facce sempre diverse visto che ogni sei ore cambia il turno degli infermieri, non è abituata ad essere svegliata alle sei del mattino con una puntura sul sedere. Le notti diventano un incubo. La vecchietta che era entrata in ospedale soltanto un po’ pallida ed affaticata, rinvigorita dalle trasfusioni e rincoglionita dall’ambiente, la notte è sveglia come un cocainomane. Parla alla vicina di letto chiamandola col nome della figlia, si rifà il letto dodici volte, chiede di parlare col direttore dell’albergo, chiede un avvocato perché detenuta senza motivo.
All’inizio le compagne di stanza ridono, ma alla terza notte minacciano il medico di guardia “…o le fate qualcosa per calmarla o noi la ammazziamo!”. Comincia quindi la somministrazione dei sedativi e la nonna viene finalmente messa a dormire.
“Come va la nonna, dottore? La vediamo molto giù, dorme sempre”.
Tutto questo continua fino a quando una notte (chissà perché in ospedale i vecchi muoiono quasi sempre di notte) la nonna dorme senza la puntura di Talofen.
“Dottore, la vecchina del 12 non respira più”.
Inizia la scena finale di una triste commedia che si recita tutte le notti in tanti nostri ospedali: un medico spettinato e sbadigliante scrive in cartella la consueta litania “assenza di attività cardiaca e respiratoria spontanea, si constata il decesso”. La cartella clinica viene chiusa, gli esami del sangue però sono ottimi. L’ospedale ha fatto fino in fondo il suo dovere, la paziente è morta con ottimi valori di emocromo, azotemia ed elettroliti.
Cerco spesso di far capire ai familiari di questi poveri vecchi che il ricovero in ospedale non serve e anzi è spesso causa di disagio e dolore per il paziente, che non ha senso voler curare una persona che è solamente arrivata alla fine della vita. Vengo preso per cinico, per un medico che non vuole “curare” una persona solo perché è anziana. “E poi sa dottore, a casa abbiamo due bambini che fanno ancora le elementari non abbiamo piacere che vedano morire la nonna!”.
Ma perché? Perché i bambini possono vedere in tv ammazzamenti, stupri, “carrambe” e non possono vedere morire la nonna? Io penso che la nonna vorrebbe tanto starsene nel lettone di casa sua, senza aghi nelle vene, senza sedativi che le bombardano il cervello, e chiudere gli occhi portando con sé per l’ultimo viaggio una lacrima dei figli, un sorriso dei nipoti e non il fragore di una scorreggia della vicina di letto.
Regaliamo ai nostri vecchi un atto di amore, non cacciamoli di casa quando devono morire.
 
                                 Glodencharlie
  Articolo che fa riflettere… . Dovremmo riappropriarci della morte, ma fa paura e nessuno vuol sentirsi responsabile del non aver concesso qualche giorno in più ai propri cari, anche quando stanno veramente male.
Qui si entra in tema di fine vita, di accanimento diagnostico e terapeutico. E’ necessario un grande coraggio per lasciare la gente morire quando il loro momento è arrivato. E forse anche un grande altruismo..dovremmo pensare un pò meno ai nostri sensi di colpa e un pò di più agli altri.Ed  affrontare la   vita  senza  stupidi tabù  o  sensi di cola inutili  . accettando   che  anche la  vita può  finire da   un momento all'altro  . Ma  soprattutto  come   dice   uno dei  commenti all'articolo  

Carlo scrive:
10 giugno 2009 alle 15:07
Una risata con la figlia, uno strano sospiro e poi qualcuno o qualcosa (o tutte e due, chi lo sa) scrive la parola “fine” su quasi un secolo di vita con un ictus cerebrale fatale. In pochi attimi dobbiamo decidere se chiamare una autoambulanza, fare qualcosa, tentare l’impossibile …. Purtroppo il medico ci consiglia di apettare quella manciata di tempo di una vita che vita non è più. Con tanta paura di sbagliare accettiamo di lasciarla in casa vicino a noi, tre figli che stringendole le mani l’accompagneranno su un letto di parole, ricordi e sentimenti. Nessuno di noi saprà mai cosa lei possa aver provato o sentito; di sicuro, nel silenzio della sua camera, nella intimità del contatto con i figli si è chiusa degnamente e con rispetto una vita. Nulla di questo sarebbe stato possibile in una corsia di un ospedale…
Carlo  
Lo     che  e’difficilissimo essere costretti a scegliere dove un anziano  starà meglio quando lui stesso afferma di “non stare più bene da nessuna parte” e che le cose che vorrebbe fare non potrà mai più farle.
I sensi di colpa sono devastanti perchè non è tanto importante dove  finirà i suoi giorni, me è essere vicino a lui quando accadrà. Questa è una scommessa terribile! Allora non ci resta che difendere a tutti i costi la dignità di queste persone care sono ridotte a esseri deboli, defedati, emaciati in cui la vita non è che un sottile respiro superficiale in condizioni di riposo…
Quindi  credo   che  bisognerebbe riflettere in tal senso non solo per quanto riguarda le persone anziane, ma per noi tutti.
Quando l’intubazione e  l'alimentazione  (  vedi il caso di eluana  englaro , solo per  citare il più noto  )  non serve più, quando le flebo, i cateteri, i farmaci per pisciare, per nutrirsi, per controllare la frequenza cardiaca, per mantenere calmo il cervello…non sortiscono alcun effetto terapeutico. Quando la cura diventa una sorta di prigione da cui non si può scegliere di uscire…
Ci vuole tanto buon senso per cercare di arrivare a delle leggi – sicuramente difficili da redigere   soprattutto     quando   sisottoposti a pressioni     dei  gruppi  di potere  esterni , la  chiesa  o meglio le gerarchie  ecclesiastiche      in questo caso  – in materia. Ci vuole buon senso e coscienza. Così come bisognerebbe che chi presenta i disegni di legge, o chi evita anche solo di mettersi in discussione in nome di credi diversi, avesse a che fare per mesi con un famigliare in camera di rianimazione, totalmente non autosufficiente, che ti chiede, come ultimo atto d’amore da parte di chi lo ha sempre amato e protetto, di potersene andare in pace, senza essere torturato ulteriormente. Mio marito, per fortuna, si è spento da solo dopo due mesi di calvario…ma non potrei nemmeno immaginare come sarebbe stato doverne affrontare lo sguardo dopo mesi ed anni in una simile condizione…  <<  Ora lo piango, e mi manca tantissimo, ed ho il cuore distrutto, e avrei fatto di tutto per salvarlo, se questo avesse significato poterlo riportare a casa…riportare a casa. Ma almeno adesso sto male io, mentre lui non sente più dolore.  >>  (  da  un altro commengto delll'articolo ) . Lo so  che  è difficile   come  dice   

giovanna scrive:

3 agosto 2009 alle 16:04

ho letto solo ora…e sto vivendo la stessa situazione da lei descritta..mio nonno è in terapia intensiva da una settimana,completamente sedato e intubato,dicono per una polmonite e un accumulo di liquidi nei polmoni.
quando lo abbiamo portato in ospedale era in coma e i medici ci hanno detto che l’unica ,piccola possibilità di salvargli la vita fosse l’intubazione! qual è la cosa più giusta da fare in una situazione simile?! rimani pietrificato,devi decidere in un attimo,altrimenti è trp tardi,il destino di una persona a te cara,dalla quale,nonostante l’età e la consapevolezza che qsta è la vita,nn sei mai pronto a distaccartene.
Nn si tratta di accanimento o di nn rassegnazione,si tratta solo di fare tt il possibile,fino all’ultimo,per una persona a te cara e poi in una situazione improvvisa nn sempre,e nn tutti,riescono ad essere lucidi e calcolatori. Chi può stabilire cn certezza,che dopo la rianimazione una persona,per quanto anziana,nn possa riprendersi e vivere un altro mese,un altro anno o solo una settimana?!
per un attimo ci siamo illusi che tt poteva essere passato,mio nonno si era ripreso,ma solo per qualke giorno.ora da una settimana,tt i giorni,alla stessa ora,andiamo in ospedale,attendiamo in silenzio il nostro turno,speriamo in un lieve miglioramento che è destinato a rimanere un’utopia nn appena vediamo l’immagine sul monitor,da 5 giorni sempre la stessa,come un rituale.
Ora, con il senno del poi mi chiedo se all’inizio abbiamo preso la decisione giusta ma qlla decisione ,subito dopo la sua ripresa, ci ha permesso di dirgli, per l’ ultima volta, “ti vogliamo bene” e lui ha annuito.E credetemi per noi è già molto.

giovanna
 
 
Ma   chiediamoci su lui avrebbe deciso  nella sua  situazione ?  avrebbe voluto  l'accanimento  o   avrebbe voluto morire  subito ?    Concludo    con quest'altro comento  che credo descriva  benissimo tale situazione 




sorriso scrive:

20 aprile 2010 alle 15:52

…complesso, troppo, il tema della dignità della morte per cercare di spiegarlo o comprenderlo in poche parole…
Lasciatemi solo dire, senza voler in nessun modo giudicare o entrare in merito a scelte e situazione troppo personali, che forse nel nostro tempo manca la capacità di accettare la morte e l’impotenza che l’uomo e di conseguenza la medicina hanno di fronte ad alcune situazioni… Non credo che si debba sempre “fare qualcosa”, a volte il “fare” più grande è proprio il non fare medicalmente nulla, ma ascoltare, guardare, stare vicino a chi amiamo accompagnandolo alla fine del suo tempo con rispetto, senza “macchinose torture” e inutili sofferenze… Già, per questo ci vuole un gran coraggio, un immenso altruismo e una grande forza..e forse qualcuno che con altrettante qualità, che ci aiuti a sostenerla…
a voi  ogni ulteriore  commento  in merito  







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