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IL PRIMO SENSO DI BENIGNI L'attore toscano porta il Cantico dei Cantici sul palcoscenico dell'Ariston di © Daniela Tuscano

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Roberto Benigni lo seguivo all'epoca di Radio Onda Libera, ed era tutta un'altra storia. Come sempre, come ovvio. Poi tutto, inevitabilmente, cambia, solo il telegattopardo sanremese resta uguale, capace di farsi condurre (in anni oscuri) da quello stesso Benigni ancora anarchicamente anticlerica le e di accoglierlo con tutti gli onori, e altrettanta disinvoltura, nella nuova veste ecumenico-divulgativa. Benigni è un artista. Ha un bel cuore, s'innamora sinceramente delle sue letture, toscanamente le mastica, le divora, magari con qualche rudezza. Nel frattempo s'informa, domanda, apprende, però poi torna lui, il divoratore. Questa volta è toccato al Cantico dei Cantici. S'è gettato a capofitto fra quelle pagine. Che non sono carta, ma carne - cioè a dire, uno dei libri più cristici, quindi più ebraici, della Bibbia -. È stato bulimico, eccessivo? Senza dubbio, quando ha allentato la tensione. Quando non si è lasciato interpellare dal testo. Quando non ha conte