mi sa , ma non riesco a trovare nè il coraggio nè un equilibrio per non passare per egoista , farò pure io una cosa del genere
da Maurizio de Giovanni dice addio a convegni e presentazioni: «Mi chiamano zecca, tuttologo, presenzialista. Basta così» | Corriere.it del 4\10\2023
Lo scrittore e l'annuncio su Facebook: «Ho continuato a dire di sì, nonostante chi mi chiedesse aiuto non mi abbia sostenuto quando mi sono lanciato in crociate sociali»
Per uno scrittore che sa usare la parola (ed è molto generoso) quelle definizioni così banali forse sono il colpo definitivo. E così Maurizio de Giovanni ha deciso di dare un taglio a convegni e presentazioni altrui: «A partire da oggi, con esclusione degli impegni già assunti che cercherò di mantenere e delle occasioni di carattere sociale e di beneficenza che non si sovrappongano al mio lavoro, vi prego di non invitarmi, convocarmi, chiedermi o pregarmi di fare cose a supporto del lavoro degli altri. Noi zecche, sapete, di fronte all'evidenza alla fine rinsaviamo. Un caro saluto a tutti, e in bocca al lupo». Lo annuncia con un post su facebook che in pochi minuti raccoglie migliaia di like e qualche centinaio di commenti.
Il racconto dello scrittore
«Avviso: questo è un post assolutamente autoriferito. Per cui chi non fosse giustamente interessato alla mia persona o alla mia attività è pregato di saltare a pie' pari la lettura, e dedicarsi al cazzeggio da social che stava legittimamente compiendo», scrive in premessa il padre del commissario Ricciardi, dei Bastardi e di mille altri personaggi. De Giovanni dice di essere affatto da una «patologia», ovvero «il timore che qualcuno, chiunque, possa pensare: ecco, adesso che è diventato (o si sente, o gli fanno credere di essere, o immagina di essere) noto, non si presta più a dare una mano agli altri». Questa patologia lo ha spinto negli anni «a un enorme aggravio di fatica. Presentare libri che devo necessariamente leggere, fare recensioni, quarte di copertina, fascette, articoli di giornale; ma anche intervenire a convegni, tavole rotonde, trasmissioni televisive, a scrivere racconti per antologie, a commentare film o fiction. Questo, lo spiego nonostante sia chiaro, non mi porta alcun vantaggio: i miei libri vengono acquistati da chi vuole leggere le storie che ci sono dentro, non certo da quelli che hanno visto in giro la mia faccia. Così le fiction, i film, i fumetti e gli spettacoli teatrali che scrivo. Nessun valore aggiunto, nessuna utilità. Zero».
«Ho continuato a dire sì»
Lo scrittore aggiunge poi, con una nota amara, che la sua generosità (e chi lo conosce lo sa), non è mai stata ripagata. Le sue parole: «Una patologia è una patologia, quindi ho continuato a dire di sì, nonostante chi mi chiedesse aiuto nella stragrande maggioranza dei casi poi si guardasse bene dall'essere presente ai miei eventi, per esempio, o dallo spendere parole di sostegno quando mi sono trovato a fronteggiare aspre polemiche personali, per il dannato vizio che ho di lanciarmi in crociate sociali o di non pensare che a esprimere con forza le mie idee ho solo da perdere, e mai da guadagnare».
La scoperta
La scoperta, infine, «su indicazione di qualche solerte "amico"», di essere definito «in molti odiosi modi: presenzialista, tuttologo, prezzemolo, perfino "zecca" (mi sfugge il riferimento all'animale, ma anche all'ente che batte moneta); e addirittura, il che è piuttosto comico, di non avere "amore e gratitudine per il territorio". Io». E conclude: «Andando a vedere le mie presenze, scopro che sono meno del dieci per cento per il mio lavoro, e per il novanta riferibili alla suddetta patologia. Devo dire che questo comportamento ottusamente altruista mi ha sempre comportato forti cazziatoni. Chi amo e mi vuole bene, gli editori, chi lavora per me soprattutto dopo il problema di salute che ho avuto poco più di un anno fa mi hanno sempre pregato di operare una selezione rigida, e di NON fare quello che non riguarda il mio mestiere (scrittore, sceneggiatore, drammaturgo). I graziosi epiteti che ho visto oggi, sulla gentile segnalazione di cui vi ho detto, mi hanno definitivamente convinto. Non posso continuare così, e tutto sommato nemmeno è giusto che lo faccia».
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Turista distrugge statue romane nel museo: «Sono contro la mia religione». Arrestato 40enne
© Social (Facebook etc)
Due statue romane risalenti al secondo secolo d.C. sono state danneggiate ieri in una sala di esposizione del Museo Israel di Gerusalemme da un turista americano di circa 40 anni che ha poi affermato alla polizia israeliana di averle reputate «in contrasto con la Torah». L'uomo, secondo una prima ricostruzione, si è avventato con un'asta di legno contro le due statue, che sono cadute dai pilastri che le reggevano e si sono sfracellate a terra.
Le opere
Si tratta secondo la stampa di una testa di Minerva recuperata nella zona di Beit Shean (la antica Scitopolis) - quanto restava di una imponente statua di due metri e mezzo - e di un Grifone trovato nel Negev settentrionale.Secondo Haaretz l'uomo che ha assalito quei reperti «era vestito con un abbigliamento religioso» ed è ancora agli arresti della polizia. Il Dipartimento israeliano per le antichità si è detto «sconvolto per la distruzione di quei beni culturali. Esprimiamo preoccupazione per i danni arrecati a valori culturali da estremisti per motivazioni religiose». Il Museo Israel ha pure espresso preoccupazione per l'episodio e ha aggiornato che i frammenti delle statue sono stati subito affidati ad una equipe di esperti in restauri.
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Sminuire un salto così eccezionale con un commento su tutte le donne che fanno i salti mortali mi sembra un po' fuori luogo. La Biles ha fatto tantissimo anche per sdoganare la salute mentale e denunciare gli abusi nello sport. E poi fa un salto maschile: solo chi conosce e ha praticato ginnastica sa cosa vuol dire aver fatto un salto del genere. Il Suo commento signora Littizzetto mi sembra un po' fuori luogo: tutte noi facciamo i salti mortali, è noto, ma non era il contesto giusto per rimarcarlo a mio avviso perché allora si dovrebbero fare ben altri paragoni, e non è questa né la sede né il luogo opportuno
da https://ginnasticando.it el 5\10\ 2023 tramite googlenews
Agli attuali Campionati del Mondo di Ginnastica Artistica di Anversa 2023, la statunitense Simone Biles ha presentato, per la quinta volta, un elemento inedito che ha preso il suo nome: Biles II.Si tratta, come gli esperti e gli insiders sanno, di uno Yurchenko doppio carpio al volteggio, ovvero in un salto di elevata difficoltà (6.4, il valore più alto nel Codice dei Punteggi) dalla matrice della rondata flic cui si collega una doppia rotazione dietro in posizione carpiata.Simone ha scritto già altre volte la storia della ginnastica, per esempio dieci anni fa quando ha presentato il Biles I al corpo libero (doppio teso dietro con mezzo), il Biles I al volteggio e via dicendo, fino ad oggi in cui è, di fatto, la prima atleta donna a presentare un triplo salto in gara.Questo evento, come si può ben constatare sul web, ha fatto scalpore ed è finito su innumerevoli testate giornalistiche e pagine social non solo inerenti allo sport, ma provenienti dai più variegati settori. Tra chi la acclama, la venera ed è concorde nel sottolineare che non casualmente Simone Biles è la G.O.A.T. della ginnastica artistica mondiale.
Nel momento in cui le notizie divengono di dominio pubblico ed escono dalla propria nicchia, è sempre un piacere per tutti gli amanti del settore. Specialmente se si parla di uno sport come la ginnastica, da considerarsi quasi uno sport minore, considerati i sacrifici che fanno ginnasti e ginnaste a livelli così alti e il peso che generalmente hanno a livello mediatico.Spesso e volentieri, però, nell’incontrollato diffondersi della notizia, si può andare incontro a una generalizzazione, che può anche sfociare nella banalizzazione della stessa.Fa discutere, in quest’ottica, il caso della presentatrice televisiva e attrice comica Luciana Littizzetto, la quale ha condiviso sul suo profilo Instagram l’impresa compiuta da Biles, aggiungendovi un commento che ha scatenato uno scontento generale da parte di numerosi amanti del settore:
L’idea di fondo della Littizzetto sembra essere quella di attuare una retorica e di mandare, quindi, un messaggio che ha certamente alla base le migliori intenzioni; allo stesso tempo può suonare denigratorio nei confronti dell’entità del gesto compiuto dalla Biles e proprio per questo necessita di una contestualizzazione più attenta e precisa.Citando le parole della Littizzetto, quali “Orgogliosa di te bambina”, molti si sono opposti a tale connotazione. In effetti, occorre precisare che Simone è una donna, sposata, che all’età di 26 anni è già la ginnasta più forte di tutti i tempi, nonché una vera e propria sopravvissuta alle numerose e spiacevoli vicende che la vita le ha posto lungo il cammino.Se ci si limitasse a guardare e a valutare i successi sportivi, Simone sembrerebbe una ginnasta con un enorme potenziale e talento, che senza troppa difficoltà vola ed esegue routine incredibili, vincendo medaglie in qualunque occasione competitiva.Simone Biles si può dire abbia un background insolito. È la terza di quattro fratelli, tristemente entrati e usciti dall’affido a partire dai primi anni di vita, poiché la madre, tossicodipendente, non era in grado di prendersi cura di loro. Simone viene poi ufficialmente adottata nel 2003 dai suoi nonni materni, insieme a sua sorella Adria, e vivrà in Texas fino ad ora.Nel corso della sua ormai serena vita, Biles ha avuto a che fare con un altro mostro, che ha abusato di lei e di alcune delle sue compagne di squadra. Nel 2018, infatti, Simone rilascia una dichiarazione su Twitter, affermando che l’ex-fisioterapista della nazionale statunitense Larry Nassar aveva abusato sessualmente di lei. A seguito di tale rivelazione, si è aperto un processo penale in cui vennero coinvolti anche gli storici allenatori della squadra nazionale, i coniugi Karolyi, al corrente dei gravi reati commessi da Nassar verso le atlete.Una battaglia, quella di Simone e delle sue compagne, contro l’intero sistema, la USA Gymnastics, che ha permesso lo svolgersi di tali attività e “che ha fallito nel proteggere le atlete”, come dichiara più volte la Biles.Ai Giochi di Tokyo del 2021, Simone Biles è vittima dei “twisties” (di cui abbiamo parlato qui) che le impediscono di performare al meglio durante la finale a squadre. Simone descrive quel momento come una profonda sofferenza a livello psicologico, motivo per cui decide di dare la priorità alla sua salute mentale e ritirarsi dalla competizione.
Anche in questo caso la notizia ha avuto una risonanza mondiale e Biles è stata al centro di diversi dibattiti: ammirata da un lato per aver dato un peso, finalmente, all’importanza di preservare la propria salute mentale, forse troppo spesso trascurata nello sport di alto livello; dall’altro lato, quasi criticata per essersi ritirata dalla gara in un momento di difficoltà, come se non fosse anche Simone Biles capace di sbagliare o di fare un passo indietro qualche volta.Che si sia d’accordo o meno, va sottolineato che chiunque ha una propria storia, più o meno difficile agli occhi degli altri. Che si sia presentato un nuovo “salto mortale” nella ginnastica, come definito dalla signora Littizzetto, o che questo salto faccia parte della quotidianità di ogni donna. Ogni donna, ogni giorno, affronta le proprie difficoltà e i propri “salti mortali”, ciò non determina la prevalenza di uno sugli altri.Ed è vero: con o “senza medaglia” (citando sempre Luciana Littizzetto), non è questo il punto vero e proprio di ciò che un’atleta del genere ha fatto, è riuscita, e ad oggi continua a fare: Simone Biles ha consacrato non solo il suo nome nella storia della Ginnastica, ma si è affermata come donna nella propria storia.
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Una bella risposta scolastica all'emergenza delle violenze giovanili e dei fmminicidi \ violenza di genere
da https://www.orizzontescuola.it/
spiega il Preside Giovanni Cogliandro, in un’intervista all’Adnkronos, i genitori possono semplicemente stampare il logo della scuola su una maglietta propria. Questo non solo riduce il costo per le famiglie, ma fornisce anche un senso di appartenenza alla comunità scolastica senza essere obbligatorio o costoso.