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21.10.18

Vigne del futuro e antica balentia

colonna  sonora  

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Credevo che l'uso dei buoi per arare fosse scomparso   e retaggio  di un passato   ormai  scomparso  o rimasto  solo nelle feste  folkristiche   che   non ritorna  più , invece , leggo con stupore , questi due articoli  di Luca Urgu   (  il  titolo del  post   d'oggi    è preso dal   secondo   articolo  )   da http://www.lanuovasardegna.it/speciale/la-mia-isola  inserto settimanale    della  nuova sardegna   che  a  Mamoiada    c'è ancora  chi produce  vino    all'antica  e   chi usa  l'aratro  con i buoi    anzichè il trattore  o  altri mezzi moderni    per  arare le  vigne      

Ecco il    primo 





Franco, l’ultimo dei massajos di Mamoiada

È l’ultimo di sos massajos di Mamoiada. E da quella maledetta giornata di giugno in cui è avvenuto il fattaccio – ovvero un incidente che da lì a dieci giorni si è rivelato fatale per uno dei suoi...



Può fare altro è vero (e Franco non è uno che riesce a star fermo), ma non è la stessa cosa. Chi è nato respirando la terra e conoscendo palmo a palmo le vigne di Mamoiada, che il suo affilato aratro ha solcato per trent’anni con poche interruzioni, capisce e sa bene che il suo posto è la. Tra quei filari scoscesi e realizzati in altitudine, testimonianza di un’agricoltura eroica che non ha ancora ceduto il passo completamente alla modernità. Qui per scalzare la terra a gennaio e per ricolmare i solchi a primavera non servono trattori e cingolati, utili ed efficaci nelle vigne di nuova generazione, dove ormai la tecnologia la fa da padrone. Occorre solo lui con i suoi buoi secondo un’andatura che segue i passi della storia della viticoltura in Sardegna. 








Le 20 cantine

Che pratiche e riti come l’aratura con i buoi siano il passato della viticoltura è un dato certo. Ed è altrettanto evidente il percorso che il paese sta costruendo con forza e modernità per affrontare le sfide future. Qui tutti fanno vino e – record assoluto in proporzione agli abitanti – esistono ben 20 cantine. Sono aziende (producono vere e proprie chicche, la maggior parte di loro non arrivano comunque alle cinquemila bottiglie) gestite per la maggior parte da giovani sotto i 40 anni che hanno deciso di abbandonare i lavori più disparati per dedicarsi interamente alla terra e alle migliaia di ceppi, nuovi impianti o centenari, ereditati o acquistati in omaggio al “Dio” Cannonau.
Ma in molti casi c’è ancora bisogno dell’incedere fermo e deciso dei buoi che va di pari passo con le braccia forti e temprate dalle stagioni e tanto equilibrio. Siccome il giogo funziona solo ed esclusivamente in coppia, dopo Amorosu, Franco ha dovuto salutare anche Grassiosu. E ora, da quattro lunghi mesi, attende di rimettere insieme i buoi e ripartire con una nuova formazione. Detto così sembra facile, ma non lo è per niente. Così come il costo per acquistarli rappresenta un investimento importante che non si può fare in leggerezza. «Ne ho visti diversi in queste settimane, soprattutto attraverso foto e video, ma ancora nessuno mi ha convinto. Trovo sempre alcuni elementi che non corrispondono alle caratteristiche che un giogo deve avere per lavorare con efficacia e con la giusta sicurezza», racconta Franco Mercuriu nel bar del Corso del figlio Riccardo.

Viaggio nel tempo

In attesa che si riformi il giogo, «ne ho avuto otto in circa sei lustri di attività», Franco fa un viaggio a ritroso nel tempo per raccontare quando è entrato in questo mondo con le suggestioni respirate in casa fin da bambino. Un universo da cui non ha nessuna intenzione di uscire. Ci vorrà del tempo, forse non subito ma il suo giogo lo rimetterà in piedi. E tanta è la passione che traspare dalle sue parole che ci si può scommettere tranquillamente.
«Ho imparato a condurre i buoi da bambino, forse avevo 13 anni quando mio padre, mi insegnò i primi movimenti. Scelse un orto inizialmente, perché meno impegnativo della vigna – ricorda Franco –. Di sicuro non potevo avere un maestro migliore, mio padre Franziscu era uno di quei massajos antichi, che dopo aver lavorato per una vita ebbe il destino di morire anche in vigna, mentre guidava il suo giogo. Aveva 65 anni e si stava godendo il suo primo anno di pensione quando un malore lo ha colto». Il suo per certi versi sembra un racconto mitologico che si perde nella notte dei tempi, dove irrompono anche tuoni e saette. Come quella volta che un fulmine folgorò uno dei buoi del suo giogo uccidendolo sul colpo.
«Allora – ricorda Franco Mercuriu – smisi per un periodo dedicandomi all’edilizia, ma come feci anche in precedenza il fine settimana non riuscivo a stare fermo e aiutavo mio padre. Poi quando non c’era più lui ho ereditato il suo giogo e mi davo ugualmente da fare». I sacrifici sono tanti, ma la campagna tante volte è capace di ripagare come poche altre cose. 
La vita bucolica è fatta di silenzi e di alcune certezze granitiche: dopo una brutta annata ne arriva sempre una buona. Occorre l’ottimismo della ragione ma anche la volontà di non farsi travolgere dalle avversità. «È un lavoro che mi piace e mi dà una grande soddisfazione personale. Con gli animali, che vanno trattati bene, si instaura un rapporto speciale. Anche se il guadagno non è più come quello di una volta. Mamoiada è una realtà importante dal punto di vista vitivinicolo, ma molte vigne vecchie sono state estirpate e i nuovi moderni impianti vengono percorsi dai cingolati e non dagli zoccoli dei buoi», sentenzia. 
Nel pacchetto dei nuovi viticoltori c’è un po’ di tutto, giusto per far capire quanto la passione sia trasversale. Dai laureati ai baristi, dai fabbri ai commercianti, artigiani, dagli impresari edili agli agricoltori, per i quali forse il passo è stato più breve, alle donne.

La fatica e la festa

In questi giorni attraversando Mamoiada e quella strada di una bellezza struggente che collega il paese con Orgosolo, proprio dove si trovano i vigneti più alti (siamo quasi a mille metri), si percepisce il fermento della vendemmia.
Un rito che conclude con la raccolta il percorso di un’annata (non di sicuro abbondante questa) che è poi anche soprattutto una festa di amici e di famiglie allargate. Ovviamente questo dinamismo ha effetti positivi sull’economia locale: grazie all’enogastronomia con la nascita di locande e wine bar, ma anche a settori contigui come l’azienda che produce imballaggi in legno per il packaging di qualità che qui ha trovato casa diventando una piacevole realtà a livello isolano. I buoi restano indispensabili nei vigneti più vecchi perché i sesti d’impianto (ossia la distanza tra un filare e l’altro e tra un ceppo e l’altro) erano ridotti.
In poche parole se adesso tra un filare e l’altro vengono lasciati 2 metri, mezzo secolo fa lo spazio si riduceva a un metro e mezzo con il chiaro obiettivo di ottimizzare il raccolto facendoci stare più piante. Ovviamente come il cavallo con il fantino devono essere un binomio per funzionare, anche Franco Mercurio con i suoi voes deve avere una sintonia perfetta. L’andatura è modulata e incoraggiata dalla sua voce che conoscono perfettamente, così come i leggeri cambi di direzione e altri comandi sono comunicati con decisione con il timbro vocale del padrone. «Torra a susu, torra a zosso, o frimma», detti da lui hanno un altro senso. Il suo pensiero torna spesso ad Amorosu, lo sfortunato animale caduto rovinosamente in vigna. «Era intelligente, sembrava telecomandato, conosceva le vigne. E non sbagliava mai nulla. Mi riconosceva a distanza e muggendo mi chiamava. Ogni volta che dovevamo andare in vigna a lavorare lui capiva e non aveva bisogno di essere pungolato. Sembrava davvero non vedesse l’ora di iniziare. 

I passi dell’issohadore

«Quel giogo era davvero formidabile, riuscivo a fare seimila viti in una mattina», dice l’ultimo dei massajos che come

ogni buon mamoiadino vive nel dna i riti ancestrali del carnevale del suo paese. «Da bambino ero un mamuthone, poi dai 18 anni in poi issohadore, ma non avrei problemi a rifare il mamuthone. Non mi sono scordato i passi – dice sorridendo – è una cosa che abbiamo nel sangue»

il  secondo

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