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10.9.19

Ferrara, Albrindisi l’antica osteria che si difende dagli spritz: «Qui niente intrugli»

Per un giorno basta  parlare di  femminicidi e stupri   parliamo di  cose più allegre    anzi beviamoci su  visto che  la storia d'oggi  riguarda proprio un osteria  antica    di Ferrara  . Ne trovate la storia   nell'articolo  sotto ( e nei  link   citati sotto    nell'asterisco * )  preso da https://corrieredibologna.corriere.it/bologna/ristoranti-locali/ del 31 agosto 2019


Ferrara, l’antica osteria che si difende dagli spritz: «Qui niente intrugli»
«Al brindisi» è il posto più antico del mondo nel suo genere. E si beve solo vino

                                     di Natascia Celeghin




FERRARA «Ci provano sempre a chiedere intrugli. Il segreto? Non cedere mai, mai a cole e cose varie». All’ombra del castello estense di Ferrara sorge l’osteria più antica del mondo, “anti-spritz” e altri intrugli moderni. Si chiama “Al brindisi” e può vantare e raccontare quanto ha visto accadere e bere in secoli e secoli di storia nella città della nobile famiglia Estense.


Federico Pellegrini (foto dal sito dell’osteria)


Il suo oste, Federico Pellegrini, ha fatto la scelta dichiarata di non servire nello storico locale l’aperitivo rosso mixato al prosecco (made in Veneto e celebrato nella medesima regione, cosi come in buona parte d’Italia) o altri cocktail con super alcolici di aggiustamento moderno. E proprio Pellegrini, sui social, non manca mai di rispondere puntualmente (e con ironia) a quanti intervengono sul tema Nemmeno il caffè. La proposta delle bevande è principalmente concentrata su un’offerta di vini, bianchi o rossi con un occhio di riguard al territorio. Non perché Federico Pellegrini, il titolare, abbia qualcosa contro lo spritz, la vodka, il mojito o il caffè. La piazza del castello cosi come quella della Cattedrale e dintorni offre già, con altri locali, proposte più contemporanee. La volontà dell’osteria “Al brindisi” è quella di celebrare la storia e il territorio dove da sempre questo suggestivo e folkloristico locale sorge.
Il miscelar vini è l’unico gesto contemplato da Federico Pellegrini, visto i prodotti vitivinicoli che il territorio ferrarese e non solo, propone. L’osteria più vecchia del mondo, fondata nel 1435, all’epoca l’insegna in legno portava il nome di “ Hostaria al Chiucciolino” la si può scorgere imboccando via Guglielmo degli Adelardi, un’altra viuzza intrisa di storia, collocata dietro al Duomo di Ferrara. Il locale a un tempo lo si poteva raggiunger con la barca, oggi tranquillamente a piedi con una passeggiata immersa nel fascino del Medioevo ferrarese. Attualmente è una meta ricercata dai turisti, ma anche un’abituale frequentazione di tanti ferraresi. Di proprietà della famiglia Pellegrini dalla fine degli anni Cinquanta, la tradizione è portata avanti da Federico, oste soprattutto per vocazione, visto che lo erano già i nonni. Un punto di forza dell’enoteca è proprio la mescita di vino al calice e la scelta di vini diversi abbinati alla gastronomia. I vini localissimi sono quelli delle sabbie, prodotti nella costa tra le province di Ferrara e Ravenna, nella zona del Bosco Eliceo. E ancora, solo per citarne alcuni dell’ampia carte dei vini, Vermentino nero e Massaretta dalla Toscana, Pignolo dal Friuli, Malbo gentile e Ancellotta dall’Emilia, Majere dal Trentino, Pallagrello dalla Campania
Molte le “star” del passato che hanno sostato nell’Hostaria della famiglia Pellegrini, che vanta anche il record da Guinness dei primati ed è inserita nella lista dei 215 locali storici d’Italia. Un red carpet di artisti e poeti al pari, e forse anche di più, di quello della Mostra del cinema di Venezia. Nel locale infatti si dissetarono la poliedrica mente di Benvenuto Cellini, il pittore della Scuola Veneta Tiziano Vecellio, il celebre poeta Torquato Tasso, l’astronomo Niccolò Copernico, che qui soggiornava. E poi Ludovico Ariosto che a Ferrara tutt’ora vi riposa. Per loro niente selfies, storie di istagram o video propagandistici e pubblicitari ma un bicchiere di vino e il chiacchiericcio dei viandanti.

Inizialmente  dopo    aver letto  tale  articolo  ,  visto che  a " pelle "  cioè  apriori mi sembrava una scelta  da  snob , da  sovranità  cioè nazionalista    dall'identità chiusa   avrei voluto intervistarlo  ma  lui    in maniera  lapidaria     ( anche se  comprensibile   ) mi ha  replicato  : << Salve Giuseppe..non sono abituato ,ne mi trovo a mio agio nella parte dell intervistato difatti i vari articoli si basano su copia /incolla di mie risposte a commenti di amici o frequentatori decennali del mio locale ..o di chiacchiere raccolte durante il servizio... .
Se si desidera approfondire ..; sono aperto tutti i giorni dalle 11 alle 24 escluso il lunedì. Da una, o più visite ,Potrai decidere autonomamente che tipo di forma mentis c' è dietro la mia gestione. Buon Tutto Fred  >>. Ora come  ho gli risposto   :   <<  ok se capito da quelle parti visto che sono del nord Sardegna  volentieri  .>> Visto che     condivido   (  come potete notare dal  mio twitter  e  dell'account  e  pagina  facebook )     e  piace chi pensa globale ed agisce locale *  che  non significa    nazionalismo " estremo  ovvero  fascismo  e  razzismo ma  identità    aperta   ( trovate  maggiori dettagli     nei link  sotto  * seguite l'asterisco   )    <<   cercherò >>    come  ho scritto al proprietario   <<  di raccontare il più obbiettivamente possibile la tua storia sul mio blog lo stesso anche senza intervistarti >>

Infatti   letto  i suoi canali internet ,  soprattutto la  voce   del suo sito " dicono di Noi "   e le  recensioni   di  https://www.tripadvisor.it/ ovviamente prendendole  con le pinze perchè  si  sa   che spesso su tali siti  possono infiltrarsi   rivali  ,    gente  a cui sta   antipatico  ,   o  gente  permalosa  e pignolissima   o   anche l'inverso      mi sono fatto l'idea  che   non sempre  le cose  stanno come sembra   Infatti   si  può essere tradizionalisti  senza perdere il contatto  con il mondo e  vendersi  alle mode  del momento   ovvero il classico  Pensare  Globale   Agire locale  e  puntando  sulla  qualità . Spero un giorno di capitare da quelle parti per  confermare o smentire   questo mi  giudizio  

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21.10.18

Vigne del futuro e antica balentia

colonna  sonora  

leggi  anche 

Credevo che l'uso dei buoi per arare fosse scomparso   e retaggio  di un passato   ormai  scomparso  o rimasto  solo nelle feste  folkristiche   che   non ritorna  più , invece , leggo con stupore , questi due articoli  di Luca Urgu   (  il  titolo del  post   d'oggi    è preso dal   secondo   articolo  )   da http://www.lanuovasardegna.it/speciale/la-mia-isola  inserto settimanale    della  nuova sardegna   che  a  Mamoiada    c'è ancora  chi produce  vino    all'antica  e   chi usa  l'aratro  con i buoi    anzichè il trattore  o  altri mezzi moderni    per  arare le  vigne      

Ecco il    primo 





Franco, l’ultimo dei massajos di Mamoiada

È l’ultimo di sos massajos di Mamoiada. E da quella maledetta giornata di giugno in cui è avvenuto il fattaccio – ovvero un incidente che da lì a dieci giorni si è rivelato fatale per uno dei suoi...



Può fare altro è vero (e Franco non è uno che riesce a star fermo), ma non è la stessa cosa. Chi è nato respirando la terra e conoscendo palmo a palmo le vigne di Mamoiada, che il suo affilato aratro ha solcato per trent’anni con poche interruzioni, capisce e sa bene che il suo posto è la. Tra quei filari scoscesi e realizzati in altitudine, testimonianza di un’agricoltura eroica che non ha ancora ceduto il passo completamente alla modernità. Qui per scalzare la terra a gennaio e per ricolmare i solchi a primavera non servono trattori e cingolati, utili ed efficaci nelle vigne di nuova generazione, dove ormai la tecnologia la fa da padrone. Occorre solo lui con i suoi buoi secondo un’andatura che segue i passi della storia della viticoltura in Sardegna. 








Le 20 cantine

Che pratiche e riti come l’aratura con i buoi siano il passato della viticoltura è un dato certo. Ed è altrettanto evidente il percorso che il paese sta costruendo con forza e modernità per affrontare le sfide future. Qui tutti fanno vino e – record assoluto in proporzione agli abitanti – esistono ben 20 cantine. Sono aziende (producono vere e proprie chicche, la maggior parte di loro non arrivano comunque alle cinquemila bottiglie) gestite per la maggior parte da giovani sotto i 40 anni che hanno deciso di abbandonare i lavori più disparati per dedicarsi interamente alla terra e alle migliaia di ceppi, nuovi impianti o centenari, ereditati o acquistati in omaggio al “Dio” Cannonau.
Ma in molti casi c’è ancora bisogno dell’incedere fermo e deciso dei buoi che va di pari passo con le braccia forti e temprate dalle stagioni e tanto equilibrio. Siccome il giogo funziona solo ed esclusivamente in coppia, dopo Amorosu, Franco ha dovuto salutare anche Grassiosu. E ora, da quattro lunghi mesi, attende di rimettere insieme i buoi e ripartire con una nuova formazione. Detto così sembra facile, ma non lo è per niente. Così come il costo per acquistarli rappresenta un investimento importante che non si può fare in leggerezza. «Ne ho visti diversi in queste settimane, soprattutto attraverso foto e video, ma ancora nessuno mi ha convinto. Trovo sempre alcuni elementi che non corrispondono alle caratteristiche che un giogo deve avere per lavorare con efficacia e con la giusta sicurezza», racconta Franco Mercuriu nel bar del Corso del figlio Riccardo.

Viaggio nel tempo

In attesa che si riformi il giogo, «ne ho avuto otto in circa sei lustri di attività», Franco fa un viaggio a ritroso nel tempo per raccontare quando è entrato in questo mondo con le suggestioni respirate in casa fin da bambino. Un universo da cui non ha nessuna intenzione di uscire. Ci vorrà del tempo, forse non subito ma il suo giogo lo rimetterà in piedi. E tanta è la passione che traspare dalle sue parole che ci si può scommettere tranquillamente.
«Ho imparato a condurre i buoi da bambino, forse avevo 13 anni quando mio padre, mi insegnò i primi movimenti. Scelse un orto inizialmente, perché meno impegnativo della vigna – ricorda Franco –. Di sicuro non potevo avere un maestro migliore, mio padre Franziscu era uno di quei massajos antichi, che dopo aver lavorato per una vita ebbe il destino di morire anche in vigna, mentre guidava il suo giogo. Aveva 65 anni e si stava godendo il suo primo anno di pensione quando un malore lo ha colto». Il suo per certi versi sembra un racconto mitologico che si perde nella notte dei tempi, dove irrompono anche tuoni e saette. Come quella volta che un fulmine folgorò uno dei buoi del suo giogo uccidendolo sul colpo.
«Allora – ricorda Franco Mercuriu – smisi per un periodo dedicandomi all’edilizia, ma come feci anche in precedenza il fine settimana non riuscivo a stare fermo e aiutavo mio padre. Poi quando non c’era più lui ho ereditato il suo giogo e mi davo ugualmente da fare». I sacrifici sono tanti, ma la campagna tante volte è capace di ripagare come poche altre cose. 
La vita bucolica è fatta di silenzi e di alcune certezze granitiche: dopo una brutta annata ne arriva sempre una buona. Occorre l’ottimismo della ragione ma anche la volontà di non farsi travolgere dalle avversità. «È un lavoro che mi piace e mi dà una grande soddisfazione personale. Con gli animali, che vanno trattati bene, si instaura un rapporto speciale. Anche se il guadagno non è più come quello di una volta. Mamoiada è una realtà importante dal punto di vista vitivinicolo, ma molte vigne vecchie sono state estirpate e i nuovi moderni impianti vengono percorsi dai cingolati e non dagli zoccoli dei buoi», sentenzia. 
Nel pacchetto dei nuovi viticoltori c’è un po’ di tutto, giusto per far capire quanto la passione sia trasversale. Dai laureati ai baristi, dai fabbri ai commercianti, artigiani, dagli impresari edili agli agricoltori, per i quali forse il passo è stato più breve, alle donne.

La fatica e la festa

In questi giorni attraversando Mamoiada e quella strada di una bellezza struggente che collega il paese con Orgosolo, proprio dove si trovano i vigneti più alti (siamo quasi a mille metri), si percepisce il fermento della vendemmia.
Un rito che conclude con la raccolta il percorso di un’annata (non di sicuro abbondante questa) che è poi anche soprattutto una festa di amici e di famiglie allargate. Ovviamente questo dinamismo ha effetti positivi sull’economia locale: grazie all’enogastronomia con la nascita di locande e wine bar, ma anche a settori contigui come l’azienda che produce imballaggi in legno per il packaging di qualità che qui ha trovato casa diventando una piacevole realtà a livello isolano. I buoi restano indispensabili nei vigneti più vecchi perché i sesti d’impianto (ossia la distanza tra un filare e l’altro e tra un ceppo e l’altro) erano ridotti.
In poche parole se adesso tra un filare e l’altro vengono lasciati 2 metri, mezzo secolo fa lo spazio si riduceva a un metro e mezzo con il chiaro obiettivo di ottimizzare il raccolto facendoci stare più piante. Ovviamente come il cavallo con il fantino devono essere un binomio per funzionare, anche Franco Mercurio con i suoi voes deve avere una sintonia perfetta. L’andatura è modulata e incoraggiata dalla sua voce che conoscono perfettamente, così come i leggeri cambi di direzione e altri comandi sono comunicati con decisione con il timbro vocale del padrone. «Torra a susu, torra a zosso, o frimma», detti da lui hanno un altro senso. Il suo pensiero torna spesso ad Amorosu, lo sfortunato animale caduto rovinosamente in vigna. «Era intelligente, sembrava telecomandato, conosceva le vigne. E non sbagliava mai nulla. Mi riconosceva a distanza e muggendo mi chiamava. Ogni volta che dovevamo andare in vigna a lavorare lui capiva e non aveva bisogno di essere pungolato. Sembrava davvero non vedesse l’ora di iniziare. 

I passi dell’issohadore

«Quel giogo era davvero formidabile, riuscivo a fare seimila viti in una mattina», dice l’ultimo dei massajos che come

ogni buon mamoiadino vive nel dna i riti ancestrali del carnevale del suo paese. «Da bambino ero un mamuthone, poi dai 18 anni in poi issohadore, ma non avrei problemi a rifare il mamuthone. Non mi sono scordato i passi – dice sorridendo – è una cosa che abbiamo nel sangue»

il  secondo

6.1.18

Fontanelle: «Prosecco troppo sfruttato» e il giovane enologo emigra in Abruzzo Nicola Dan lascia l’azienda di famiglia a Lutrano e va a lavorare sui vini abruzzesi

questa  storia  che  riporto oggi  conferma quanto detto nel post  precedente   rispetto  a prosecco  che ormai ha  , o quasi saturato il mercato  vinicolo in veneto  e   rischia  di fare  una  cosa  simile  in friuli  , vedere  le  puntate  di report  in merito .

da  http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2018/01/05/

Fontanelle: «Prosecco troppo sfruttato» e il giovane enologo emigra in Abruzzo

Fontanelle. Nicola Dan lascia l’azienda di famiglia a Lutrano e va a lavorare sui vini abruzzesi «Marca al top nella valorizzazione del prodotto ma esagerando si rischia il crollo» 

FONTANELLE. L’enologo trevigiano in fuga dal Prosecco: «Vino perfetto, ma occhio allo sfruttamento commerciale eccessivo. La bolla rischia di scoppiare».Un periodo di sei mesi in Abruzzo per imparare a gestire una cantina.                            Nicola Dan, 21enne di Lutrano, ha fatto il percorso inverso rispetto a quello che la diversissima tradizione enologica di Veneto e Abruzzo consiglierebbe di intraprendere. La passione per il vino, in Nicola, era un affare di famiglia: i Dan gestiscono una cantina a Lutrano in cui il 21enne ha iniziato a dare una mano fin da giovanissimo, dando il suo aiuto dalla potatura alla vendemmia.
La battaglia sul prosecco, cinque cose da sapereDai prezzi dei terreni al nome: intorno alle colline trevigiane del prosecco infuriano cinque diverse battaglie. LEGGI L'ARTICOLO

20.11.12

ma è possibile che noi sardi e noi italiani ci facciamo fregare tutto ? «I francesi valorizzano il Cannonau, per noi è come se non esistesse»


 fonte unione sarda del 18\11\2012 

«I francesi valorizzano il Cannonau, per noi è come se non esistesse»
L’enologo Enzo Biondo chiama in causa il mondo vinicolo sardoIl vitigno tipico della Sardegna,in Francia conosciuto come Grenache,«viene valorizzato più dai transalpini che dai sardi».La denuncia è dell’enologo Enzo Biondo:«Ce lo teniamo caro,ma non lo sfruttiamo per niente »

Pur essendo un vitigno nato nell’Isola, sono i produttori d’Oltralpe a puntare sulla produzione del Cannonau,che loro chiamano Grenache.
Oggi è il vitigno più coltivato al mondo con 360 mila ettari: 80 mila sono in Francia e appena 7.500 in Sardegna . IL  vino rubato .«I francesi valorizzano il Cannonau,per noi è come se non esistesse»
L’enologo Enzo Biondo chiama in causa il mondo vinicolo sardo Interessati una ventina di comuni
La Marmilla rilancia la coltura dei mandorleti In Marmilla sono 850 gli ettari impiantati a mandorleti. Ma la metà è abbandonata. Il raccolto è poco remunerativo e la manodopera troppo costosa.Oltre alla
forte concorrenza del prodotto estero. Eppure proprio dalla Marmilla parte un progetto di rilancio del-
la mandorli coltura, che potrebbe diventare un modello in Sardegna. Un’iniziativa “dal basso”e pensata da un comitato di imprenditori agricoli e cittadini del territorio che ha fatto il suo esordio ieri nel museo de Sa Corona Arrubia con la presentazione del progetto “PrimaVera Marmilla”. «È necessa-
rio portare avanti con coraggio metodi di lavoro ed amministrazione nuovi per la zona», ha detto il presidente dell’assemblea dei sindaci del Consorzio Paolo Melis. E la novità sta proprio in “PrimaVera Marmilla”col rilancio della coltivazione del mandorlo nei paesi di Baressa, Baradili, Barumini,Tuili,Setzu,Genuri,Turri,Ussaramanna,Gesturi, Las Plassas, Villanovafranca,Villamar,Sini,Siddi,Lunamatrona,Villanovaforru, Collinas, Pauli Arbarei,Sanluri, Furtei e Segariu.
Un rilancio che supera i confini provinciali e mira a estendere la superficie di mandorleti sino a 2000 ettari. Il comitato ha le idee chiare. «È necessario sostituire la cultura del possesso egoistico dei beni con quella della gestione»,per il presidente Michele Lilliu, imprenditore di Ussaramanna. Con lui nella segreteria tecnica ci sono quattro rappresentanti delle imprese del territorio e Paolo Lecca,responsabile zonale dell’Agenzia Laore, che sostiene il progetto, che riguarda sia la produzione che la commercializzazione.

Tra gli scopi da raggiungere c’è il superamento del frazionamento dei terreni e la localizzazione in ogni Comune di almeno 40 ettari di mandorleti.E un laboratorio territoriale per la trasformazione della materia prima con gli scarti della lavorazione da utilizzare poi nell’industria dei mangimi.«Ora serve un’associazione di produttori per poter ricevere finanziamenti regionali ed europei», ha aggiunto Gianni Ibba,direttore del servizio multifunzionalità di Laore. “PrimaVera Marmilla”potrà essere
esteso anche ad altre colture.
Antonio Pintori «Il Cannonau? Lo valorizzano i francesi, non i sardi». Enzo Biondo ( foto a  destra  ), enologo-scrittore con oltre mezzo secolodi esperienza è furibondo.E chiama in causa l’intero  mondo vinicolo sardo: produttori, enologi, Università: «Il 24 gennaio si terrà a Perpignan il “Premier concours mondial du Grenache” ma non vi parteciperà neppure un Cannonau. Mi sto dando da fare per indurre qualche
produttore sardo a essere presente ma, come sempre,non sarà facile».
Biondo parla al “Forum Hispano-sardo sulla cultura del vino”che si chiuderà oggi [19.11.2012 ] a Cagliari (Villa Muscas).
Al Cannonau,che considera autoctono, cioè nato in Sardegna (per i francesi Grenache, per gli spagnoli Garnacia tinta),ha dedicato la professione, oltre a un recente libro di 533 pagine. Un monumento.Anche per questo,non sa darsi pace: «Perché è il vitigno più coltivato al mondo, 360 mila ettari, di cui 80 mila in Francia e appena 7500 in Sardegna. In Francia hanno perfino creato 20 cloni, che consentono di adattarlo a un’ampia varietà di microclimi e situazioni ampelografiche. Ne hanno fatto un vino venduto in tutto il mondo».
La situazione sembra invece molto diversa in Sardegna: «La regione in cui è nato il Cannonau non lo sfrutta per niente. In Italia poi, è come se non esistesse. Ce lo teniamo caro fra noi, ma non ne parliamo con gli altri».Sul perché di questo atteggiamento, commercialmente suicida, Biondo ha idee chiare,nate da una lunga esperienza professionale: «È un fatto caratteriale di noi sardi: siamo gelosi delle cose che abbiamo, le custodiamo in maniera maniacale. Qui ci sono gli spagnoli che sembrano molto aperti,
hanno una gran voglia di fare,di incontrare persone,di conoscere novità. Vogliono fare un progetto con noi,forse un vino da lanciare insieme. I nostri produttori,quando vanno alle fiere,neppure parlano fra loro».
Forse i sardi non sono esperti di promozione, soprattutto le vecchie generazioni di produttori: «Non
sappiamo fare marketing,non lo conosciamo e non lo vogliamo conoscere. Non sappiamo vendere il nostro prodotto.Abbiamo un caratteraccio».Insomma, partiamo con l’handicap. E ci piace piangerci addosso: «Non sappiamo valorizzare ciò che di bello e di buono abbiamo in Sardegna. Mentre i  Francesi e gli altri utilizzano i nostri vitigni per fare vini apprezzati in tutto il mondo. Esempio tipico il Muristellu: per i francesi è diventato alla moda, ne hanno 30 mila ettari,da noi ce ne sono forse 200
e sta pure scomparendo. È rimasto solo nella zona del Mandrolisai e dintorni».Però siamo  convintissimi che il Cannonau sia il vino migliore del mondo e debba piacere a tutti. Quando non
accade (e capita) è per motivi imperscrutabili.Siamo sicuri che sia sempre fatto bene? «Io chiamo in causa anche gli enologi sardi e l’Università. Perché non si fanno abbastanza studi. Oggi, ad esempio, si parla molto del Cagnulari, ma non esistono documenti scientifici su come coltivarlo e vinificare le
uve. Se vuoi sapere qualcosa sul Nebbiolo ci sono 2000 ricerche internazionali. Sulle nostre uve non abbiamo nulla.Non esistono studi sulla vinificazione del Cannonau, ecco perché io me la prendo con i nostri istituti pubblici, dove si fanno solo le ricerche che fanno fare  carriera».
                                                       Lucio Salis

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...