Visualizzazione post con etichetta forze dell'ordine. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta forze dell'ordine. Mostra tutti i post

15.1.25

Lo scudo penale per la polizia e le chat degli agenti: «Basta indietreggiare, vogliamo mano libera contro i comunisti di m…»








occhio qui c'è aria di #golpe da parte delle #ForzeDellOrdine come nel lontano 1963 con il #generaledelorenzo


«Non ci fanno lavorare», dicono le forze dell'ordine. Che chiedono il «pugno duro» nei confronti di chi va in piazza. Le aggressioni e le critiche ai vertici. Fino al ministro
C’è chi vuole mano libera contro «i comunisti di merda». E chi dice che «non ci fanno lavorare». Mentre il governo Meloni lavora allo scudo penale per la polizia, per evitare l’indagine automatica nei confronti degli agenti in caso di fatti di piazza (ma anche di omicidio), le chat delle forze dell’ordine diventano bollenti. Le immagini di Bologna e Roma, con gli assalti alla polizia dei manifestanti per Ramy Elgaml, fanno rabbia: «Basta pagare di tasca nostra e basta indietreggiare! Contro la violenza pugno duro, regole chiare e certezza della pena!».
Pugno duro
A parlare delle chat di poliziotti e carabinieri è oggi il Fatto Quotidiano. Lo scudo penale riscuote grande successo, mentre i dubbi del presidente della Repubblica Sergio Mattarella non vengono granché apprezzati. C’è chi se la prende con l’ex capo della polizia Franco Gabrielli, che ha criticato le modalità dell’inseguimento dei carabinieri nell’incidente che ha portato alla morte del 19enne egiziano. E c’è chi elogia il comandante dei carabinieri Salvatore Luongo e l’attuale capo della polizia Vittorio Pisani. I quali hanno sottolineato che «la libertà di manifestare è uno dei semi vitali della democrazia e abbiamo il dovere di garantirla». Prima di aggiungere che «i comportamenti illegali e violenti vanno perseguiti» e manifestare apprezzamento per «la compostezza e l’equilibrio» dei loro uomini.
Le aggressioni
Agenti e militari hanno ricevuto oggetti e petardi. Alcuni si sono fatti male. Non hanno indietreggiato ma non hanno nemmeno reagito. E questo adesso sembra essere l’errore contestato ai superiori. Ovvero quello di aver usato la mano leggera nei confronti dei manifestanti. Ovvero giovanissimi arrabbiati, in parte stranieri di seconda o terza generazione, organizzati in gruppi e collettivi studenteschi e non, senza punti di riferimento solidi nemmeno nei centri sociali, che rischiano le botte e i processi. Il rischio di incidenti gravi ora è dietro l’angolo. I poliziotti si lamentano perché ormai chiunque li riprende con il telefonino.
La dashcam
C’è anche chi contesta l’uso delle telecamere della gazzella che inseguiva Ramy. «Ho detto mille volte di non usarle quelle telecamere, non ce lo possiamo permettere», dice un esperto ufficiale dell’Arma. E c’è chi critica il ministro Matteo Piantedosi per la circolare ai prefetti che indica le zone rosse nelle grandi città. Ieri ha parlato uno dei poliziotti in servizio a Bologna: «Non ho mai visto una cosa del genere. Non ho mai visto tavoli di ferro, sedie, contro di me. Ho visto i miei colleghi feriti: uno con una spalla lussata, un altro con un dente rotto, un terzo che dall’alba di domenica sente un fischio nell’orecchio: un bombone gli è esploso sotto i piedi. A me hanno lanciato una bottiglia in faccia. Le immagini le avete viste tutti, ma credetemi: un conto è vederle, altro è starci in mezzo».
L’adrenalina
E ancora: «Avevo l’adrenalina a mille… Non sono neanche riuscito a dormire dopo aver “staccato”. Per inciso: ho staccato alle quattro del mattino. Avevo preso servizio alle 18 del giorno precedente, quando era iniziato il corteo da piazza Maggiore». Difficile dimenticare: «Sono ancora, come posso dire, disturbato. Ho ammaccature ovunque. E devo continuare a lavorare, scrivere decine di carte. Perché il nostro lavoro è questo. Ma c’è un limite a tutto. Nel senso: fate qualcosa, altrimenti ci ammazza

8.11.24

diario di bordo 86 anno II «Il bodybuilding mi ha salvata: avevo 47 anni, ero depressa e in sovrappeso» ., La campionessa di kickboxing derubata a Termini recupera la borsa da sola: «Mi sento Batman, dalle forze dell’ordine nessun aiuto» .,

 «Credi in te stesso e impegnati per diventare la tua versione migliore», scrive Claudia sui suoi profili social. La donna racconta di come aver iniziato a

praticare il 
bodybuilding le abbia salvato la vita, e usa le sue esperienze per spronare altre persone con le sue stesse difficoltà a seguire la medesima strada. Aveva 47 anni, era depressa e sovrappeso, e infine ha trovato la forza per cambiare la sua quotidianità e costruirsi una vita che la rendesse felice. 

La passione per il bodybuilding 
Le sono bastati cinque anni per capovolgere completamente la sua vita e ottenere ciò che desiderava. Naturalmente non tutti trovano la felicità percorrendo la sua stessa strada, ma Claudia Oliveira vuole che la sua esperienza e motivazione sia presa d'ispirazione per trovare la forza di cambiare e raggiungere i propri obiettivi. «Oggi, a 52 anni - scrive sui social - sto vivendo la fase migliore del mio corpo, della mia mente, della mia autostima e della mia forza, e con ciò posso ottenere tutto ciò che desidero!». È stato il bodybuilding a salvarle la vita, a farla uscire da una routine che l'aveva resa depressa, sovrappeso: «Ho deciso che meritavo qualcosa di meglio, così ho iniziato a cambiare le mie abitudini alimentari e a fare bodybuilding. Me ne sono innamorata, e ora non posso vivere senza». Poi dà un consiglio: «Dico sempre che se ci sono riuscita io, puoi farcela anche tu». Con la sua determinazione, Claudia ha partecipato a diverse gare e recentemente ha vinto il premio Fitness Newcomer in una competizione in Brasile.


-----

Ieri, 7 novembre, era stata all’anteprima di un film al cinema The Space di piazza della Repubblica, in zona Termini a Roma, quando si è accorta che lo zaino che 

                                Elena Pantaleo in una foto tratta dal suo account Instagram.

aveva appoggiato a un muro poco più indietro non c’era più. Da quel momento è iniziata la disavventura della campionessa di kickboxing Elena Pantaleo, palermitana del ’96, fatta di segnalazioni alle forze dell’ordine e inseguimenti in monopattino. Poi il lieto fine: il recupero dello zaino e di tutti i suoi averi, cioè portafogli, pc, abiti: «In tutto avrei dovuto ricomprare cose per almeno 1.000 euro».

La vicenda

«L’incredibile storia di come ho recuperato la mia borsa rubata». Così Pantaleo aveva iniziato sui social il racconto della sua serata. «In tutto questo ero vestita così», si mostrava nel suo abbigliamento costituito da tacchi e un blazer bianco. «Viaggio sola da 10 anni, sono stata in Laos, Cambogia, Egitto, è incredibile che le uniche due volte nella mia vita io sia stata derubata sempre qui, a Termini! Ho raccontato quello che mi è successo perché in molti si ritrovano nella mia stessa situazione, solo non sono campioni mondiali di kickboxing e purtroppo i loro averi non li recuperano», ha spiegato Pantaleo ai suoi follower. Poi inizia il racconto: «Ieri, ore 21, ero di fronte al cinema a chiacchierare con il regista e gli attori di un nuovo film di cui avevamo appena visto l’anteprima». Dopo aver parlato con gli amici decide di andarsene ma si accorge che la sua borsa non c’è più. Ma non si perde d’animo perché dopo il primo furto aveva inserito in ogni zaino un AirTag, il dispositivo che localizza gli oggetti a cui è attaccato o inserito: «Quindi guardo l’app e vedo la mia borsa allontanarsi dalla mia posizione».

La denuncia ai carabinieri

«Mi metto a correre verso tre macchine dei carabinieri che erano esattamente di fronte al cinema. Faccio vedere l’app e chiedo se qualcuno potesse venire con me a cercare di recuperare la borsa. “Eh, noi possiamo andare con la macchina alla posizione indicata, ma tu non puoi salire con noi e non ci possiamo prendere il tuo telefono per vedere la posizione”», racconta la campionessa fornendo la versione dei militari a cui ha chiesto aiuto. Il confronto prosegue: «”Ok, ma visto che si sta muovendo se non sono con voi e non avete il telefono non riuscirete a bloccarlo”. Insisto, capisco che è inutile. “Lasciate stare, vado da sola”. “No, a questo punto siamo obbligati a intervenire e tu ci devi dare i documenti così ti possiamo identificare”. “Mi scusi non mi può lasciare correre all’inseguimento? Dobbiamo per forza perdere 5 minuti preziosi?”». Ma deve procedere all’identificazione: «E fatta ‘sta utilissima trafila con i carabinieri (che partono con una macchina verso via Torino senza manco darmi un contatto per aggiornarli magari sulla posizione) salgo su un monopattino e mi fiondo a Termini dove intuisco che stava andando la mia borsa».

La richiesta d’aiuto all’esercito

Una volta lì: «Chiedo aiuto, di nuovo, all’Esercito che sta lì in presidio permanente. “Guardate è proprio lì sotto i portici, lo vedete sull’app? Qualcuno può venire con me ad aiutarmi?” “Eh no, non possiamo muoverci, tu vai da sola quando hai identificato il ladro torna qui e possiamo accompagnarti”. A quel punto vado sotto i portici». E per mostrare la situazione in cui si trovava, pubblica una foto dei portici di Termini circondati dalla spazzatura: «Tolgo orecchini e bracciali e cammino avanti e indietro nei 200 metri di via Giolitti guardando tutto, persone per terra, borse, chi cammina, dentro i negozi. Finalmente lo vedo, uno con la mia borsa sulle spalle. Penso di tornare dall’Esercito ma in quei tre minuti necessari potrei perderlo di vista e loro non si rimetterebbero a cercarlo. Quindi mi tengo a distanza, aspetto, lo guardo. Posa la borsa dietro a una colonna, vicino a della gente che dorme, e si allontana. Cammino piano, faccio l’indifferente, la afferro e mi metto a correre col cuore a mille e l’adrenalina sparata fino al cervello».

«Mi sento Batman»

«Il tutto è durato 20 minuti, io sono al settimo cielo, mi sento Batman, mi sembra che sia stato l’universo a voler permettermi di rifarmi quando mi hanno rubato la valigia 6 mesi fa. Fare kickboxing mi ha dato coraggio; gli AirTag sono la migliore spesa della mia vita; ogni volta che dico che le forze dell’ordine in Italia sono pessime e andrebbero riformate mi si dice “si poi quando ti rapinano chi chiami?” Eh, infatti, chi dovrei chiamare?», la conclusione amara della campionessa.


17.1.22

Enrico Galiano e il Siap di Palermo contro gli stereotipi e le questioni di genere ha preso una posizione chiarissima in merito all’assurda polemica sollevata dal Sap sulle mascherine rosa ai poliziotti.

Accade che il Ministero invii a varie questure una massiccia fornitura di mascherine Ffp2, scatenando lo sdegno e la protesta del Sap Sindacato di polizia. Il motivo? Surreale. << Perché le mascherine sono di colore rosa e, quindi, protestano i poliziotti, minacciano il “decoro” degli operatori con un
colore che risulta “eccentrico” e - testuale - “rischia di pregiudicare l’immagine dell’istituzione”. >>(Addirittura?) Le risposte più belle, tra le tante che potremmo dare, sono arrivate da Enrico Galiano ( foto a destra ) , un insegnante, uno scrittore. << Volevo umilmente dire alle forze di polizia che se a loro non vanno bene le mascherine rosa le possono dare tranquillamente a noi insegnanti e studenti, che ce le stiamo ancora procurando da soli. E poi a me il rosa sta benissimo. >> E da il Siap di Palermo, il più grande sindacato di base della Polizia . IL che dimostra che i rappresentanti delle forze dell'ordine in questo caso della polizia della polizia in questo caso , non sono tutti uguali.
Tale sindacato ha preso una posizione chiarissima in merito all’assurda polemica sollevata sulle mascherine rosa ai poliziotti da parte dei colleghi del Siap . Lo ha fatto come dice e fa notare giustamente Lorenzo Tosa , con parole da incorniciare: << Le FFP2 sono uno strumento indispensabile. È fondamentale che vengano fornite a chi opera in prima linea e soffre per e con il Paese, non c'è tempo per sciocchezze ‘machiste’ e medievali basate su apprezzamenti cromatici ! >>Ecco quindi che c'è una Polizia di Stato ( in questo caso ) di donne e uomini evoluti, colti e intelligenti ( la maggioranza assoluta! ). Donne e uomini che lottano contro gli stereotipi e le questioni di genere. Ora qualcuno ma come non eri e sei contro le forze dell'ordine ? E' vero non ho , as volte con sarcasmo e derisione , ho mai lesinato critiche (anche molto dure ) alle forze dell'ordine alla divisa in generale per alcune delle atrocità che hanno scandito la sua storia anche recente, a cominciare dal G8 (vissuto raccogliendo testimonianze per il libro Genova nome per nome a cui ho collaborato ). Ma non ho mai pensato - come alcuni - anche se non sempre l'ho messo in pratica nei miei scritti e commenti che la Polizia sia quello e solo quello. Infatti io che credevo che l’immagine dell’istituzione fosse “pregiudicata” dal G8 di Genova, dal caso Cucchi, Aldrovandi, Magherini, Uva, dai pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere faccio ammenda . Credo sia fondamentale distinguere i (troppi) comportamenti deviati da una netta maggioranza di professionisti e persone perbene. Non necessariamente con le mie o le vostre idee ma perbene. Ed è giusto riconoscerlo quando accade, come in questo caso. Grazie ai poliziotti del Siap in questo caso di Palermo per avercelo ricordato.

25.5.14

Addio a scorta e auto blindata: la svolta del capo della polizia









Spending review, l'esempio di Pansa: via la Bmw: viaggia su una Delta usata. Ora tocca agli altri dirigenti del Viminale. Il messaggio: i tagli alle forze dell'ordine devono colpire anche i vertici



di ALBERTO CUSTODERO




ROMA - Il capo della Polizia italiana, Alessandro Pansa, rinuncia alla scorta. E all'auto blu, una Bmw blindata che sfiora i centomila euro. Da una quindicina di giorni viaggia per Roma su una Delta usata, con autista e assistente. La notizianon è stata annunciata pubblicamente. Ma il nuovo stile del numero uno delle forze dell'ordine italiane (Pansa, come capo del Dipartimento sicurezza, coordina Polizia, Arma e Finanza), non è passato inosservato, al Viminale. E le sue ultime uscite pubbliche a bordo della Delta vecchia di tre anni sono state un messaggio forte e chiaro per i suoi uomini. 
Come capo della Polizia, avrebbe diritto anche a un'auto di scorta che precede, o segue, la sua. Da quando ha rinunciato alla Bmw modello "casta", e all'auto di scorta (che invece contraddistinguevano gli spostamenti dei suoi predecessori), tutti i dirigenti della Sicurezza del Viminale hanno capito il messaggio. E molti hanno seguito il suo esempio. Dal palazzo sono ben presto sparite le costose auto blu presidenziali, contestualmente sono comparse Renault, Seat, e Punto. Non più macchine vip, ma utilitarie. Anche questo fa parte della spending review della sicurezza, tagli che colpiscono i vertici, e non solo il comparto più operativo. Non tutti, va detto, hanno seguito l'esempio del dipartimento Sicurezza: molti, se non tutti, i prefetti e i direttori degli altri 4 dipartimenti del Viminale continuano a girare su auto di lusso, creando un senso di diffuso imbarazzo: il dirigente più importante - Pansa - su una Delta usata, loro su bolidi di grossa cilindrata. 
Un altro segnale dei tagli è il recentissimo bando di appalto per l'acquisto di duecento "pantere" della Polizia e "gazzelle" dei carabinieri, per il rinnovo delle vecchie Bravo, uscite di produzione. Una volta i due corpi facevano appalti separati, con le conseguenti diseconomie. Ora, per la prima volta, Pansa ha voluto un unico appalto al fine di spuntare un maggior ribasso. 
La rinuncia della scorta di Pansa è senz'altro un adeguamento allo stile di Renzi che, anche quand'era sindaco di Firenze, s'è sempre spostato in bici, a piedi o coi mezzi propri. Il premier, del resto, ha imposto cinque auto blu per ministero e disposto la vendita su e-bay di quelle in eccesso. È stato sempre il presidente del Consiglio recentemente a tagliare gli stipendi ai manager di Stato. I precedenti capi della Polizia avevano stipendi da oltre 600 mila euro l'anno. Renzi ha posto come tetto massimo - quindi anche per il capo della Polizia - stipendi sotto i 300 mila euro. Va detto, tuttavia, che Pansa ha cambiato registroben prima che il sindaco di Firenze diventasse inquilino di Palazzo Chigi. Il primo messaggio di un nuovo corso l'aveva lanciato l'estate scorsa, contro le raccomandazioni. Al momento della promozione di una sessantina di funzionari a "primo dirigente" (equivalente al grado di colonnelli), il numero uno della Sicurezza, per la prima volta nella storia del Viminale, li aveva trasferiti tutti. Senza lasciarne neppure uno "imboscato" in qualche palazzo romano.

17.9.13

che brutta bestia l'oblio . Neppure una targa nella sua città ( bonorva ) per ricordare il poliziotto Antonio Niedda, ucciso il 4 settembre 1975 a Padova dalle Br

Péur  non condividendo  il  tono retorico  : <<  Pochi si ricordano di un eroe.>>  dell'articolo sotto riportato  sulla muova sardegna del  16\9\2013 ,  dico che  bisogna  ricordare   , e   ben venga  la dedica  , se  pur  tardiva dl sindaco  del suo paese natale  (  Bonorva )   di intitolargli il Palasport appena ristrutturato 
La sua città ha dimenticato
la terza vittima in divisa delle Br
di Antonello Palmas 

SASSARI Pochi si ricordano di un eroe. Perché nei suoi luoghi di origine da 38 anni nessuno sembra avere interesse a farlo e il suo nome resta chiuso nelle polverose raccolte di giornali degli anni di piombo, quando morire per lo Stato era troppo facile. Pochi sanno chi era Antonio Niedda, un agente della polizia stradale di Padova, ucciso nella città veneta il 4 settembre 1975 dalle Brigate Rosse, all’età di 44 anni. Niedda era nato a Bonorva nel 1931, ma ben presto si era trasferito a Sassari, e si sentiva sassarese, anche se per lavoro si era dovuto trasferire nel Veneto, dove aveva messo su famiglia. Eppure né Sassari né Bonorva hanno mai sentito il dovere di dedicargli una via, una piazza. Né di ricordarlo in qualche modo. Così la Sardegna non sa che un suo figlio ha dato la vita per tutti. Altrove non è così: a Padova ogni 4 settembre il sacrificio di Niedda viene ricordato con una cerimonia: anche all’ultima vi hanno partecipato un centinaio di persone, gente che lo ha conosciuto e ne ha apprezzato l’umanità, autorità, colleghi. Ad Albano Laziale, luogo che non ha nulla a che fare con i suoi trascorsi, gli hanno intitolato la sede della Polizia di Stato. Sempre a Padova tra un mese gli sarà intitolato un grosso centro sportivo, perché Niedda era un atleta che faceva parte delle Fiamme Oro. Il presidente Ciampi conferì alla sua memoria la Medaglia d'Oro al valor civile. Nella sua terra, niente. Sino a pochi giorni fa. A una richiesta dei parenti ha infatti risposto il sindaco di Bonorva, Gianmario Senes: non ci sono nuove strade a disposizione, così l’amministrazione ha deciso che a breve intitolerà a Niedda il nuovo palasport. Niedda era stato designato al servizio antirapina dal comando della polizia stradale. Aveva terminato dei controlli al casello autostradale di Padova Est e con un collega si era diretto a Ponte di Brenta, una zona di Padova. In via delle Ceramiche aveva notato la presenza di una Fiat 128 bianca ferma con due persone a bordo. Decisero di controllare i documenti e lui si accorse che la patente di uno di loro, il 25 enne Carlo Picchiura, era contraffatta; l’altro, Pietro Despali, era senza documenti. Mentre il collega si dirigeva verso il mezzo della polstrada, Picchiura scese dalla macchina e aprì il fuoco. Niedda, raggiunto da cinque proiettili, stramazzò a terra, l’altro agente si salvò per miracolo: la pistola si inceppò, il terrorista (che risulterà appartenere alle Br) tentò la fuga ma venne arrestato. Per la famiglia (Niedda lasciò la moglie, Francesca Ciscato, e due figli di 8 e 11 anni, Salvatore e Francesco) fu un dramma, anche tra i parenti sassaresi furono momenti terribili e ancora li ricordano come un incubo nonostante siano passati tanti anni. Anche perché tutti erano affezionati a zio Antonio, persona di grande bontà. Si trattava della terza vittima del terrorismo tra le forze dell’ordine. Ai suoi funerali a Padova ci fu una folla di 5.000 persone, addirittura anche una rappresentanza della comunità nomade della zona: si scoprì solo così che Niedda aiutava personalmente i bambini rom portandogli regali nei campi. Le cronache dell’epoca dicono di quando risuonarono le note del “Silenzio” e la vedova scoppiò in lacrime tra la commozione generale. Vennero fatte delle collette per consentire ai ragazzi di studiare. E da allora ogni anno Niedda viene ricordato, in particolare con manifestazioni organizzate dall’Anps, l’associazione dipendenti della polizia di Stato. Sassari invece ha perso la memoria su quel gesto eroico. Un fatto di cui i parenti veneti non si capacitano e che crea dispiacere. È stata proprio una nipote, Salvina Mura, figlia anc’essa di un poliziotto, a contattare il Comune di Sassari per aprire il problema. «Nel novembre del 2011 _ dice _ ho consegnato un dossier, con gli articoli di giornale che ricordavano il sacrificio di mo zio. Mi dissero che si sarebbe dovuta riunire la commissione toponomastica, e che ci avrebbero fatto sapere. Nel novembre 2012 sollecitai una risposta, ma furono piuttosto vaghi, parlando di tempi non brevi ma confermando l’intenzione di muoversi per intitolare una strada. Poi più niente. Ho contattato anche il Comune di Bonorva, più di recente: ho scoperto che nemmeno sapevano chi fosse Niedda, mi dissero che noi parenti abbiamo ragione. L’altro giorno mi hanno richiamata annunciandomi la decisione di inttitolare il palasport».Finalmente un sorriso. Pochi giorni fa, a fine agosto, frattanto, è morto Carlo Picchiura: aveva contratto la Sla. «Non si è mai pentito _ dice Salvina _ e non ha mai sentito il bisogno di chiedere il perdono alla famiglia»

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...