Come ogni anno da oggi dopo quella della memoria inizia la settimana del il giorno del ricordo ovvero il 10 febbraio .
Da 21 anni cioè con l'istituzione della legge legge 30 marzo 2004 n. 92, si ricorda giustamente una storia semi conosciuta ( eccetto studiosi specialisti, gli abitanti del friuli venezia Giulia, e in nazionalisti del Msi eredi di Fdi ) all'opinione pubblica nazionale il massacro delle #Foibe (pozzi carsici) e dell'esodo #giulianodalmata e #istriano, uno dei momenti tragici della 2°guerra mondiale soprattutto nell'Adriatico e nella ex Jugoslavia .
Voglio inoltre ricordare a tutti gli amici che mi suggeriscono libri sulle foibe scritti da gente di destra e nazionalisti che per inquadrare meglio la storia: dovrebbero leggere un breve ma essenziale riassunto di non basarsi solo sul libro di Bernas citato nel bellissimo musical magazzino 18 d Simone Cristicchi . Ecco che prima di toccare un argomento così delicato e dibattuto ci si dovrebbe sforzare di andare oltre la vulgata ufficiale del 10 febbraio e leggere o almeno sfogliare le pagine introduttive di "Foibe" di Giacomo Scotti (uno storico di tutto rispetto, di cui vale la pena leggere un'intervistaa prescindere dalla sua ideologia ).Tanto per capire la differenza, Scotti è uno che ha studiato la questione per decenni, e che - pur essendo senz'altro di sinistra e avendo vissuto a lungo in Jugoslavia - non ha mai risparmiato le critiche anche al regime di Tito tanto che è stato il primo a scrivere un libro sule brutture del carcere Titino di Goli Otok ( foto sotto )
Questo Bernas invece è uno che per vendere il suo libro ha bisogno:
1) di infilare nel titolo le parole "fascisti" e "italiani", così tanto per allargare il target
2) di farsi fare la prefazione da Veltroni
3) di farsi fare la postfazione da Fini
Questo si che è riduzionismo non chi vuole ricordare e sottolineare che le grandi tragedie e sofferenze dei popoli, quelle stesse del giorno d’oggi, nascono dai nazionalismi alimentati dalle ambizione di sopraffazione e di dominio sugli altri» Il fascismo e il comunismo Titino nel nostro caso
A inquadrare nella giusta prospettiva la storia di quel periodo ha contribuito tra gli altri anche lo storico Sandi Volk, che spesso è intervenuto anche https://www.antiwarsongs.org/ per sfatare alcuni luoghi comuni che circolano in Italia sulla storia della Dalmazia e di Trieste. Il ricordo ufficiale e della destra delle foibe non distingue le foibe del 1943 da quelle del 1947 e viene mescolato al periodo dell’esodo degli italiani. E’ singolare inoltre che dalle terre istriane, nei resoconti odierni, scompaiano ( salvo eccezioni dove vengono tratti en passant ) i nazifascisti e non si parli più delle loro stragi, dell’italianizzazione forzata e del razzismo anti-slavo che hanno alimentato la voglia di rivalsa, ma rimangano solo “italiani” contrapposti agli “slavocomunisti” di Tito. 13 luglio 1920 fu incendiato daifascistiil13 luglio1920, nel corso di quello cheRenzo De Felicedefinì "il vero battesimo dellosquadrismoorganizzato" IlNarodni dom(inslovenoCasa nazionale,Casa del popolo) diTriesteera la sede delle organizzazioni deglisloveni triestini
, un edificio polifunzionale nel centro di Trieste, nel quale si trovavano anche un teatro, una cassa di risparmio, un caffè e un albergo (Hotel Balkan).
Il 21 settembre 1920 Mussolini rivendicò orgogliosamente gli incendi delle Case del Popolo di Trieste e Pola in un discorso incendiario al teatro Politeama Cescutti di Pol dichiarando la necessità di estendere il territorio italiano “… sacrificando 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”: il fascismo di frontiera era utile per sedare le agitazioni sindacali e risolvere il “problema slavo”. La campagna di italianizzazione vera e propria iniziata nel 1922 impose il divieto di parlare in sloveno, la chiusura delle scuole “non italiane”, il cambio dei cognomi e della toponomastica; furono inoltre devastate le sedi operaie, chiusi i circoli culturali e le associazione sportive slovene. L’azione del governo fascista annullò l’autonomia culturale e linguistica delle popolazioni slave ed esasperò i sentimenti di inimicizia nei confronti dell’Italia.
All’epoca le foibe venivano già utilizzate dagli squadristi per far sparire le teste calde. Tra le due guerre mondiali, inoltre, gli esuli sloveni e croati dalla Venezia Giulia furono oltre 100.000.
Poi ci fu la brutale occupazione del 1941: l’Italia fascista era al seguito dei nazisti che invasero tutta la Jugoslavia. Seguirono stupri, massacri, bombardamenti e deportazioni di massa specialmente a danno di serbi e altre minoranze; violenze di cui l’esercito fascista fu parte attiva con la creazione di campi di concentramento come la Risiera di S. Sabba, a Trieste o il campo di Gonars a Udine. Alla fine della guerra la Jugoslavia conterà circa un milione di vittime di cui 300.000 direttamente attribuibili alle truppe d’occupazione italiane.
Dopo l’8 settembre del ’43, con le sorti della guerra rovesciate, con il fascismo in rotta e con una recrudescenza da parte dei nazisti, le popolazioni slave, oppresse dalla dittatura e dall’occupazione militare, ebbero modo insorgere in un complesso coacervo di motivazioni etniche, nazionali e ideologiche. L’esercito popolare e bande di irregolari intensificarono la lotta contro i simboli della dittatura: contro gerarchi del fascismo, camicie nere e civili collaborazionisti. Come in tutte le guerre ci furono anche vittime innocenti e all’interno dello stesso campo partigiano. Durante la guerra di liberazione dall’invasore avvennero centinaia di fucilazioni e una serie di infoibamenti il cui numero non è mai stato chiarito; non vogliamo fare la conta dei numeri, ma sono cifre che cambiano di anno in anno nei testi di propaganda delle destre post/neo-fasciste. Dopo la fine del conflitto bellico, nessun italiano criminale di guerra è stato processato.
Realtà storica testimoniata e documentata: un fenomeno complesso, con un prima e un dopo, che annualmente diventa un’arma di propaganda per gruppi e associazioni che si rifanno idealmente e/o politicamente al fascismo, alla repubblica di Salò o che fanno direttamente apologia del nazismo; movimenti che riducono tutto all’”odio slavo-comunista contro chi aveva la colpa di essere italiano”; quegli italiani che, a dispetto dei massacri compiuti in Libia, Etiopia e Grecia, sembrano essere sempre brava gente.
Chiunque decida di prendere in considerazione la questione delle foibe deve tenere conto di questo contesto: non per negarle o per ridurne l’importanza, ma per comprenderle. Chi invece rivendica platealmente l’eredità ideale del fascismo e della Rsi, quando parla di “foibe” dovebbe se ha coraggioe coerenza rivendicare anche l’italianizzazione forzata, la dittatura, la ferocia della guerra e i massacri subiti dal popolo slavo: una vergogna d’Italia che non si cancella nemmeno settant’anni dopo.
Ma purtroppo, invece di essere motivo di studio serio per non ripetere gli errori passati, e capire come ci si è arrivati e le conseguenze fino alla fine della guerra fredda , è motivo di propaganda e di orgoglio, riduzione delle responsabilità e scaricabarile solo sui comunisti o per i fascisti e per certa sinistra non comunista . Vediamo di capire cosa furono e come inquadrarle è fondamentale affrontare questo tema con rispetto e sensibilità, evitando generalizzazioni e semplificazioni.
Quindi le foibe si posso dividere in due fasi la prima non necessariamente comunista in quanto fu anche una rivolta popolare avvenute fra il 25 luglio e l'8 settembre dove i cadaveri di fascisti e collaborazionisti uccisi dai partigiani italiani e jugoslavi si mescolano con le vendette e con la reazione ( non giustificabile perchè sempre di violenza e d'abberrazione si tratta ) alla pulizia etnica e razziale del fascismo e del nazismo ., la seconda fase cioè quella totalmente comunista avvenuta da quando le forze Tito entreranno , il 1 maggio 1945 a Triste dove le foibe continuano ad essere utilizzate per seppellire i cadaveri di fascisti e collaborazionisti uccisi dopo la liberazione dell'Italia insieme a quei partigiani slvined italiani chevosarino criticare tito e le sue mire espansionistiche
Le uccisioni avvennero in un contesto di ostilità conclusa, e spesso sono state interpretate come atti di vendetta o giustizia sommaria da alcuni d'altri come puliia etnica da parte slava in quanto bastava per essere italiano secondo slcunino dissidente e critico verso toto per essere inquadrato come nemico del popolo e come fascista per finirci dentro .
In sintesi, la principale differenza sta nel contesto temporale e politico: le foibe del 1943 sono legate alla fase di guerra cioè al controllo del fascismo e occupazione tedesca, mentre quelle del 1945 sono legate alla fase di fine ostilità e liberazione. Poi seguira l'esodo , la divisione in due della zona di trieste e il Memorandum di Londra del 1954 e fino al 10 febbraio 1994 la congiura del silenzio salvo alcune voci libere insieme ai nazionalisti e ai fascisti Quindi Se si vuole arrivare ad una vera riconciliazione si deve avere una storiografica scevra il più possibile dalle ideologie. Questo è raccontare la storia. Usare certi episodi e tacerne altri per mera propaganda equivale a seminare odio. Inoltre e qui concludo Se non si ricordano anche le cause, si racconta una storia a metà. Per chi volesse approfondire tali argomenti cosi complessi e " divisivi " ancora a quasi 80 anni dal tratto di pace del 1947 e 60 anni 1954 dalla soluzione della questione di triste ecco alcuni link a 360° o quasi
Ci sono storie comode, che è facile raccontare perché generalmente accettate, e anzi celebrate. E ce ne sono altre, invece, che disturbano perché a lungo occultate, travisate, addirittura negate. Così, ancor prima della messa in onda, ha suscitato palesi irritazioni La rosa dell'Istria, il film tv che (tratto dal romanzo di Graziella Fiorentin Chi ha paura dell'uomo nero?, e diretto da Tiziana Aristarco) vedremo lunedì 5 febbraio su Raiuno. Il motivo? secondo la i nazionalisti ed la destra : << Il film racconta la storia dell'esodo dall'Istria dei profughi istriani e dalmati, dal 1943 in poi costretti dai partigiani comunisti di Tito ad abbandonare terra, casa e lavoro, per vagare in cerca d'identità e dignità. Non basta: il film della Aristarco è stato presentato lo scorso dicembre assieme a molti altri titoli, fra i quali però vennero notati soprattutto La lunga notte (sui fatti del Gran Consiglio del 25 luglio 1943) e L'Italia chiamò (biopic su Goffredo Mameli). >>.Ora Il protagonista Andrea Pennacchi: su Repubblica : << Su Rai 1 ‘La rosa dell’Istria’, l’esodo dei profughi giuliani è un film. La direttrice di Rai Fiction: “Non c’entra TeleMeloni, è memoria condivisa” >>
afferma giustamente Storie che vanno raccontate perché riguardano anche il mondo in cui viviamo .Lavorando sul territorio abbiamo trovato "ancora ferite molto aperte, non me l'aspettavo. C'è ancora la necessità da parte di molti di avere risposte, ci sono divisioni ancora molto forti". >> Dello stesso temore è la regista Tiziana Aristarco, parlando del film tv da lei diretto La rosa dell'Istria, con, fra gli altri, Andrea Pennacchi, l'esordiente Gracjela Kicaj, Clotilde Sabatino, Costantino Seghi e Eugenio Franceschini che debutterà su Rai1 in prima serata il 5 febbraio, poco prima del Giorno del Ricordo, giornata ormai. diventata settimana , in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata . Il racconto, liberamente ispirato al romanzo Chi ha paura dell'uomo nero? di Graziella Fiorentin (Corbaccio) affronta il tema attraverso il dramma famigliare degli istriani Braico, che di fronte ai crescenti pericoli seguiti all'armistizio del '43 in Italia, tra i soldati tedeschi che cercano di riorganizzarsi nella Repubblica di Salò e le truppe del maresciallo Tito intenzionate ad annettere l'Istria alla Jugoslavia, decidono di lasciare la propria terra per trovare rifugio in Friuli. Esso dovrebbe avere , l'intento di << Costruire una nuova narrazione >>
nel raccontare << un'altra tappa nel ventaglio di racconti che vogliamo fare del nostro Paese nel segno di una memoria condivisa, anche perché vediamo come certe tragedie anche oggi si ripetono - spiega in conferenza stampa la direttrice di Rai Fiction Maria Pia Ammirati, che respinge l'idea che il film tv sia riflesso della cosiddetta Telemeloni - Escludo l'idea che ci sia stato dietro un pensiero di costruzione di una nuova narrazione. Anche perché abbiamo cominciato a scrivere tre anni fa". >>È "importante raccontare anche parti di storia che sono state ancora abbastanza raccontate e vengo raccontate male strumentalizzate ideologicamente . concordo con quanto si dice sempre su repubblica : << Parliamo di tutti, smettiamola di parlare solo di una parte, la ricchezza di questo Paese sono le storie, bisogna farle conoscere >>.
Andrea Pennacchi e Gracjela Kicaj
La rosa dell'Istria, coprodotto da Rai Fiction, Publispei e Venicefilm (che aveva già realizzato sul tema delle foibe il mediocre , si salva solo per la fotografia e il buon cast , Red land di Maximiliano Hernando Bruno, qui cosceneggiatore con Angelo Petrella e coproduttore), inserisce la grande storia in una chiave "che la rende [ o dovrebbe renderlòa corsivo mio ] volutamente accessibile al pubblico più ampio possibile, quella del romanzo popolare >>aggiunge Ammirati.
Nella foto: Andrea Pennacchi e Costantino Seghi
dalla trama
L'esodo della famiglia Braico Così seguiamo l'esodo della famiglia Braico, segnato proprio all'inizio dal destino del figlio maggiore, Nicolò. Il capofamiglia, Antonio, medico (Pennacchi), porta la moglie e i due figli, la 18enne Maddalena, talentuosa pittrice e il figlio più piccolo Saulo, prima in Friuli, poi in Veneto, tra spaesamento, pregiudizi, difficoltà economiche e nuovi inizi. Un percorso nel quale Maddalena (Kicaj) incontra Leo (Franceschini), anche lui giovane pittore, che la incoraggia a credere nel proprio talento: una strada che la mette in rotta di collisione con il padre.L'esodo della famiglia Braico, segnato proprio all'inizio dal destino del figlio maggiore, Nicolò. Il capofamiglia, Antonio, medico (Pennacchi), porta la moglie e i due figli, la 18enne Maddalena, talentuosa pittrice e il figlio più piccolo Saulo, prima in Friuli, poi in Veneto, tra spaesamento, pregiudizi, difficoltà economiche e nuovi inizi. Un percorso nel quale Maddalena (Kicaj) incontra Leo (Franceschini), anche lui giovane pittore, che la incoraggia a credere nel proprio talento:na strada che la mette in rotta di collisione con il padre.
"L'esodo ha riguardato 350mila persone che nell'arco di sei, sette, otto anni hanno dovuto lasciare la casa e i loro beni per rimanere italiani" ricorda Alessandro Centenaro, coproduttore per Venice Film. È "un film importante su cui abbiamo lavorato con grande amore e passione - aggiunge Verdiana Bixio, coproduttrice per Publispei - C'è uno sforzo produttivo notevole e si vede una quantità di territorio friulano incredibile, con un'ottantina di location". Nel ruolo della protagonista c'è l'esordiente Graciela Kicai, albanese che vive in Italia fin da bambina, ora allieva all'Accademia di Brera: "Sono venuta in Italia da molto piccola e non mi è capitato di subire bullismo o di essere emarginata come succede a Maddalena”, spiega. Però quello del film << è un tema che ritroviamo tutti i giorni nelle notizie, dall'Ucraina al Medio Oriente, vediamo tutti come la storia si ripeta >>. Sembra buna . Infatti sempre secondo repubblica : << Lavorando sul territorio abbiamo trovato "ancora ferite molto aperte, non me l'aspettavo. C'è ancora la necessità da parte di molti di avere risposte, ci sono divisioni ancora molto forti". Lo spiega la regista Tiziana Aristarco, parlando del film tv da lei diretto La rosa dell'Istria, con, fra gli altri, Andrea Pennacchi, l'esordiente Gracjela Kicaj, Clotilde Sabatino, Costantino Seghi e Eugenio Franceschini che debutterà su Rai1 in prima serata il 5 febbraio, poco prima del Giorno del Ricordo, in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata. >> Purtropo Il racconto, liberamente ispirato al romanzo Chi ha paura dell'uomo nero? affronta il tema attraverso il dramma famigliare degli istriani Braico, che di fronte ai crescenti pericoli seguiti all'armistizio del '43 in Italia, tra i soldati tedeschi che cercano di riorganizzarsi nella Repubblica di Salò e le truppe del maresciallo Tito intenzionate ad annettere l'Istria alla Jugoslavia, decidono di lasciare la propria terra per trovare rifugio in Friuli e non affronta tutto quello che c'era prima . In quanto le origini di tali abberrazioni vanno ricercate non solo il 25 luglio 1943 .
Quindi se proprio si vuole e si deve "Costruire una nuova narrazione” va fatta a 360 gradi soprattutto se lo si fa in tv . Altrimenti l'istituzione della giornata settimana è solo mera propaganda ed uso politico \ strumentale della storia . E un'altra tappa nel ventaglio di racconti che vogliamo fare del nostro Paese nel segno di una memoria condivisa, diventa solo ipocrisia e pulicoscienza , anche perché << vediamo come certe tragedie anche oggi si ripetono - spiega in conferenza stampa la direttrice di Rai Fiction Maria Pia Ammirati, che respinge l'idea che il film tv sia riflesso della cosiddetta Telemeloni. Ed ecco che lo scopo di raccontare anche parti di storia cosi dolorosa ed ancora " divisiva " con cui anora non abbiamo fatto i conti e di cui si pretende di volere fare un qualcosa di condiviso Quini parliamo di tutti, smettiamola di parlare solo di una parte, la ricchezza di questo Paese sono le storie, bisogna farle conoscere bene .La rosa dell'Istria, coprodotto da Rai Fiction, Publispei e Venicefilm (che aveva già realizzato sul tema delle foibe Red land di Maximiliano Hernando Bruno, qui cosceneggiatore con Angelo Petrella e coproduttore), inserisce la grande storia in una chiave "che la rende volutamente accessibile al pubblico più ampio possibile, quella del romanzo popolare" aggiunge Ammirati.D'accordo con lei Andrea Pennacchi: "La memoria che hai e che guida le azioni nel presente, è diversa dalla storia che ti insegnano a scuola - sottolinea l'attore - lo dico da figlio e nipote di partigiani. Ora vediamo nel mondo il fallimento di memorie che non sono riuscite a dialogare l'una con l'altra. Queste sono storie che devono essere raccontate perché riguardano anche il mondo in cui viviamo adesso".
“Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo”
José Saramago
Il nipote di un mio amica di 12\13 anni mi chiede
--- mamma mi ha consigliato di chiedere a te che sei esperto di storia cosa è il giorno e ricordo ?
-- esperto .non esageriamo , sono un semplice appassionato . Comunque Il giorno \ settimana del ricordo e quella giornata che “ci dovrebbe dare occasione per ripetere che non ci sarà mai giustificazione per l’odio, la discriminazione etnica, la presunzione di avere il diritto di sopraffare gli altri, la follia ideologica dei nazionalismi prima quello fascista e poi quelo comunista . Così come è l’occasione per riaffermare che di fronte a tutti i crimini confermati dalla verità storica non possono trovare spazio forme di revisionismo, negazionismo o giustificazionismo , ed uso politico \ ideologico , che hanno come unico risultato quello di offendere le vittime e colpire i sentimenti dei superstiti e dei discendenti. che hanno trovato la morte nei lager ( la risiera di san Saba ) nazi fascista e diversi campi di concentramento fascisti dei Balcani \ ex Jugoslavia . >Il più noto è qiuelo . Gonars (1942-1943) e nelle Foibe sia quelle tra il 25 luglio e l'8 settembre sia successivamente 1945 \1947 . Insomma a quanti, perché inseguiti dalla violenza e per in una scelta di libertà, hanno abbandonato la loro casa, la loro terra e ogni avere per affrontare la via dell’Esilio .comunque se vuoi approfondire https://www.tag24.it/484428-foibe-cosa-sono-e-giorno-del-ricordo/
---- ma come stai mettendo sullo stesso piano violenze fasciste e violenze comuniste , lager e foibe .
--- Ma quando mai . Accomunare olocausto e foibe serve solo a sminuire l’unicità della Shoah e a tacere le responsabilità del fascismo”. Qui sto contestualizzando perché purtroppo il confine orientale è stato teatro di questi tre crimini ideologici ( fascismo , nazismo , comunismo ) che uniti al nazionalismi hanno reso particolare ed ancora doloroso insieme al silenzio quasi totale dovuto alla voglia di lasciarsi alle spalle gli orrori e e brutture dei quel periodo e l'opportunismo politico della guerra fredda cioè dello scontro tra i due blocchi quello Nato ad Ovest e quello Russo \ sovietico ad est hanno determinato quella dolorosa ferita . Quindi il nostro paese deve ancora fare i conti su quello che è successo nel confine orientale .
---- Un po' sintetica come spiegazione .
------- effettivamente . Ma non volevo annoiarti con la mia logorrea. Non ti preoccupare che ne sentirai parlare visto che tra poco inizierà la settimana del ricordo ( la giornata del #10febbraio ) e ne sentirai parlare in TV e sul web in maniera più o meno dettagliata /a 360° gradi . Infatti negli ultimi anni sta venendo meno il refrain barbarie comunista e congiura del silenzio ( che certamente ci fu visto tali eventi furono regalato solo su libri specialistici o auna determinato pensiero ideologico culturale o qualche spirito libero che affrontava il tabù di tali argomenti ) . Comunque sei vuoi approfondire l'argomento trovi sotto dei siti Mi scuso se sono 4 sui 5 dello stesso sito ma erano articoli troppo interessanti . E se vuoi quando abbiamo un po' più di tempo ne parleremo più a fondo e magari ti do altri siti .
Qualche giorno dopo lo rincontro e mi dice << Grazie . Dai link che mi ha suggerito e dai programmi tv ed altri siti che ho consultato sulle vicende storiche del periodo storico riguardo alle vicende del confine orientale ho capito \ mi sono fatto un idea fra il 1918-1975 che l'italia , , non ha da quando è stata unita , fatto i conti con il proprio passato e le brutture che ha commesso e taciuto in questo caso e che le violenze e gli eccidi non furono da una parte solo come la propaganda pro 10 febbraio ci ha fatto credere >> .
Mi sono sono inumiditi gli occhi dalla gioia di vedere un seme lanciato germogliare
visto che la maggior parte delle trasmissioni televisive e articoli di giornale ricordano a senso unico le vicende del confine adriatco a sensounico cioè solo le brutalità comuniste facendo tutt'uno le foibe del periodo 1941\43 con quelle del 1945\7 quando la guerra era finita . Ricordiamo anche quello che successe prima .
riprendo da un post facebookiano dell'anno scorso la vicenda
Le vicende biografiche di B. sono drammaticamente legate al contesto storico e politico goriziano dei primi decenni del Novecento. La sua breve esistenza, iniziata a Gorizia nel 1902 e giunta a termine in seguito ad una brutale aggressione fascista nel 1937, va così contestualizzata all’interno della complessa realtà della minoranza slovena di cui egli è stato uno dei protagonisti. B. infatti era noto in tutto il territorio goriziano per la sua professione di maestro, che lo portava a spostarsi da un paese all’altro, e per le sue molteplici attività musicali. Dapprima cantore e organista parrocchiale, poi direttore di cori e insegnante di musica nel Seminario minore, egli divenne ben presto uno dei principali artefici del “rinascimento culturale” degli sloveni, esternato in un fervore di movimenti associativi a partire dagli anni Venti. Anni in cui l’attività corale, a cui guardava con interesse sia il mondo cattolico che quello socialista, rappresentava un motivo di forte coesione sociale al punto da essere rigidamente controllata dalle autorità del regime. Nel 1922 egli fondò così il coro Mladika, istituzione che accolse nelle proprie fila persone di umile estrazione, con cui valorizzò il repertorio di autori come Marij Kogoj e Anton Lajovic, e due anni dopo partecipò alla nascita e redasse il progetto all’atto costitutivo della Pevska zveza, associazione che raccoglieva e coordinava le quasi ottanta formazioni allora presenti nel territorio. B. lavorò instancabilmente per definire con chiarezza le finalità dell’associazionismo corale – lungi dall’esaurirsi nel semplice intrattenimento, a suo avviso doveva piuttosto mirare alla divulgazione della musica popolare e d’autore – e le modalità della sua presenza nel territorio. Alla fine del 1929 l’arcivescovo di Gorizia lo nominò ispettore arcivescovile dei cori parrocchiali della diocesi, mentre Cesare Augusto Seghizzi lo avrebbe voluto suo successore nella direzione del coro del duomo di Gorizia. In questo contesto egli pensò anche all’istituzione di una scuola per organisti, che però non sarebbe riuscito a portare a compimento. Autodidatta, B. fu autore di musica sacra, con oltre cento canti corali scritti prevalentemente in lingua slovena e alcuni piccoli pezzi riportanti storie dell’Antico e Nuovo Testamento espressamente finalizzati alla catechesi dell’infanzia, e di musica profana in cui si cimentò nell’elaborazione di canti popolari. Nelle composizioni sacre, a cui dedicò le maggiori attenzioni, egli riuscì a conciliare i dettami ceciliani con la freschezza sorgiva della musica popolare. Testimonianza, questa, dell’identità della propria musica e della sua autonomia dalla tradizione ecclesiastica romana.
Naturalmente, però, gli Italiani per la proganda del #giornodelricordo sono solo le povere vittime della barbarie comunista ...
Ad usare strumentalmente un periodo bruttissimo , quello che viene riassunto come questione Adriatica o come foibe e che ricorda purtroppo a seso unico ( salvo ecezioni ) ed in maniera strumentale, delle storia italiana ed europea che ha caraterizzato il secolo scorso e di cui si sentono ancora oggi gli effetti di tale uso e del suo non farne i conti ed il silenzi ufficiali a causa guerra fredda e per le vergogne "nazionali" da nascondere sotto il tappetto e lasciare che fossero coperte dall'olio del tempo e dall'uso ideologico di una certa parte politica
Mentre cercavo ispirazione per la mia contro celebrazione dellla giornata orami divnta settimana del 10 febbraio \ giorno del ricordo ho trovato quest'articolo de il manifesto del 15\12\2022. Ma prima di riportarlo consiglio la lettura dell'immeno lavoro che trovate qui
Lavoro andato a ramengo per gli errori evidenziati ( e che potete verificare leggendo il pdf ministeriale ) da tale articolo
Foibe, se il Miur anticipa Meloni
Nel
mondo della scuola esplode la polemica sulle nuove «Linee guida per la
didattica della frontiera adriatica» firmate dal ministro
dell’Istruzione Patrizio Bianchi come ultimo atto
Il presidente della Regione Friuli - Venezia Giulia Fedriga con un assessore regionale a Basovizza
Nel mondo della scuola esplode la polemica sulle nuove «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica» firmate dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi come ultimo atto
Il giorno prima della nascita del governo Meloni, come suo ultimo atto da ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi ha messo la firma su un documento di 90 pagine intitolato «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica». Si parla, insomma, di foibe e, benché il tutto sia stato approvato a metà settembre da un larghissima commissione variamente composita, la sua divulgazione, alla vigilia dell’insediamento del governo di destra, testimonia un curioso passaggio di consegne, nella migliore delle ipotesi, oppure un grande riposizionamento generale all’interno del Miur. Queste linee guida stanno facendo discutere molto nel mondo della scuola, sia per questioni di merito sia per fatti di metodo. Per cominciare, in effetti, è curioso che un ministero si occupi in questa maniera di un tema tanto specifico, e – a memoria di molti insegnanti – nessun argomento sin qui si è meritato un fascicolo di 90 pagina tutto per sé. Inoltre, l’invasione di campo è evidente: il tema delle foibe e dei fatti avvenuti al confine orientale negli anni Quaranta sono già affrontati nei manuali.La scusa della «verità taciuta» ormai non regge più: il giorno del ricordo – fissato al 10 febbraio, là dove il resto d’Europa conserva la memoria degli accordi di Parigi che posero formalmente fine alla Seconda Guerra Mondiale – è stato istituito nel 2004, dunque ormai 18 anni fa. I redattori delle linee guida sono docenti di chiara fama (Raoul Pupo, Giuseppe Parlato, Guido Rumici e Roberto Spezzali), ma basta guardare i revisori per rendersi conto di quanto sia politica l’operazione: venti persone, in rappresentanza di tutte le associazioni degli esuli, oltre a figure extraistituzionali come i rappresentanti dei «liberi comuni in esilio» di Zara e di Pola. Come e perché questi signori siano finiti a occuparsi di faccende didattiche non è chiaro, ma tant’è.Nel merito , poi, queste linee guida sembrano rappresentare un malriuscito esempio di «memoria condivisa», in cui si parla sì dei crimini perpetrati dagli italiani durante l’occupazione di quei territori, ma in cui pure si specifica che i due eventi non sono da mettere in correlazione. Si parla, in proposito, di «strategia dell’elusione».Se nell’ambito di un’unità didattica sulle foibe la maggior parte del tempo è dedicata ai precedenti di violenza del fascismo di confine e delle truppe italiane in Jugoslavia – si legge a pagina 17 -, questa non va considerata come corretta contestualizzazione. Bensì quale mera elusione». Le cause, dunque, andrebbero ricercate in una «pluralità di contesti tra loro connessi», dalla fine dell’impero asburgico all’inizio del comunismo.Ecco il comunismo e la rivoluzione di Tito occupano il posto d’onore sul banco degli imputati di queste linee guida. Non manca spazio, ovviamente, per il Pci, al quale (pagina 78) viene dedicato un paragrafetto intitolato «Il silenzio di partito», che così recita: «Il Pci evita di parlare dell’argomento per non rendere evidente la propria posizione, legata anche alle indicazioni di Mosca, su quanto avviene lungo il confine nordorientale». Tre righe appena che, qui sì, annullano completamente il contesto, addossando ai comunisti italiani una sorta di concorso di colpa per quelle vicende, senza fare il minimo cenno al dibattito interno, che pure ci fu, e ai complicati rapporti tra Tito e Togliatti, documentati da ampia storiografia. Poco sotto, stessa pagina, si parla anche di «silenzio di Stato» (per qualche ignoto motivo diverso da quello del Pci) in cui si afferma che le varie forze politiche preferirono lasciar perdere la questione delle foibe «per non aprire i conti col passato» e cercare di celare il fatto che l’Italia la guerra l’aveva persa. Il nodo, in fondo, sarebbe tutto qui: ogni guerra significa morte e distruzione, le recriminazioni dei vinti sulla ferocia dei vincitori sono sì argomento interessante, ma anche spesso e volentieri interessato. Del resto, quella delle foibe è da sempre una vicenda che la destra italiana più o meno postfascista utilizza per bollare la Liberazione come un evento tragico per il Paese e non come uno dei mezzi grazie al quale siamo diventati una democrazia
Da notare, infine, come curiosamente le linee guida affrontino in maniera parziale la questione del numero delle vittime delle foibe. Si legge a pagina 19: «Mentre sul piano della pietà sarebbe importante conoscere esattamente la sorte di ogni vittima, lo stabilire un ordine di grandezza in molti casi può risultare sufficiente sul piano dell’interpretazione storica».E vA bene, ma qual è questa grandezza ? Nessuna indicazione. Si parla di «esagerazioni» (pagina 62), ma si mette anche in guardia «dall’assumere in sede interpretativa il medesimo punto di vista degli autori delle stragi, ribaltando sulle vittime l’onere di provare la loro innocenza». Così si parla di repressione su un numero di persone comprese tra le 60 mila e le 100 mila, ma niente viene detto sulle vittime. Questo, è del tutto evidente, offre uno scudo istituzionale alle «esagerazioni» di cui sopra. E il problema, dunque, non è la giustificazione delle stragi, ma l’apertura delle porte del ministero a ogni tipo di revisionismo.
Peccato un lavoro ben fatto e monumentale buttato nel cesso per gli errori prima citati che ho avuto modo d verificare consultando tale documento
un grosso passo è stato fatto . Adesso completatelo rendendo pubblica la relazione relazione I rapporti italo-sloveni dal 1880 al 1956[209], consegnata nel 2000 dalla Commissione mista storico-culturale italo-slovena, appositamente istituita nell'ottobre 1993 su iniziativa dei Ministri degli Esteri d'Italia e Slovenia.e magari dandolo come opuscolo nelle giornate del 10 febbraio \ giorno del ricordo .Invece di ricordare solo le aberrazioni comuniste e titine
Mattarella, gesto storico a Trieste. Mano nella mano con il presidente sloveno Pahor davanti alla foiba di Basovizza
Il presidente della Repubblica italiana Mattarella e il presidente della Repubblica di Slovenia Pahor alla foiba di Basovizza
"La storia non si cancella, la sofferenza sia patrimonio comune". Il Narodni Dom, la casa del popolo incendiata cento anni fa dai fascisti, restituita alla comunità slovena. Il Capo dello Stato: "L'Europa adotti soluzione innovative e di grande respiro contro la crisi"
N.b Non sto come credono alcuni , PERCHÉ FARLO SAREBBE DA STOLTI E INTELLETTUALMENTE DISONESTI , negando le brutture ed gli orrori : delle foibe ( sia quelle avvenute durante la guerra che a guerra finita ) , eccidi come quello di Porzus, i campi di Tito , la strage di Vergarolla , il governo interalleato nel territorio A , l'esodo , ecc ., ma inquadrarlo in un contesto
Infatti La storia non è solo lo studio di date, di fenomeni, di battaglie, di interpretazioni, ma la visione di quell'eterno mosaico composto da milioni di tasselli che parlano di uomini e donne con i loro dolori, le loro tragedie, i loro sogni, i loro affetti.E' per questo che accendo deii flash quando parlo o condivido post non solo qui d'anni , ma nel miei social nel buio di stato e della verità diventata bugia e della bugia diventata verità o nel far passare in secondo piano certe atrocità e concentrarsi solo su altre
Ecco cose avvenne prima delle foibe
dopo le violenze e le angherie dal 1919\20 e ci furono anche quelle della guerra con la Jugoslavia
La guerra con la Jugoslavia fu voluta da Hitler, che perseguiva il disegno di penetrazione della Germania nei Balcani. L’Italia si accodò, e ne ricevette benefici territoriali (l’annessione della provincia di Lubiana in Slovenia, il controllo del Regno di Croazia e il protettorato del Montenegro). Il conflitto vero e proprio iniziò il 6 aprile del ’41 e durò soltanto undici giorni. Il 12 aprile la bandiera nazista sventolava a Belgrado e il 17 l’esercito jugoslavo firmava la capitolazione.
Il regime di occupazione italiana fu duro e crudele; molti partigiani e civili furono uccisi o internati in campi di concentramento. Già a luglio in Jugoslavia nacque la Resistenza, che diede un grande contributo agli Alleati alla cacciata dei tedeschi dalla penisola .
Ostaggi fucilati dai fascistiGli orrori perpetrati nei confronti degli sloveni furono indicibili, e questo scatenò un ondata di odio verso gli italiani che, ebbe il culmine con la fine della guerra e le foibe, dove furono gettate migliaia di persone per vendetta ..Ma analizzando le cause di tale odio, viene da pensare a quanti soprusi e massacri abbiano subito i popoli slavi da parte del nostro esercito fascista agli ordini dei Generali Roatta e Robotti ..
Il Generale Mario Roatta criminale di guerra impunito
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Ma a questo punto nasce un nuovo scenario: i soldati allo sbando creano i primi gruppi di resistenti subito affiancati dai comunisti guidati da Josif Broz, detto Tito.Tedeschi e italiani nelle rispettive aree di influenza devono ora combattere un nemico insidioso: Il partigiano, che combatte con tecniche di guerriglia a cui i soldati di un esercito regolare non sono abituati.Il “mordi e fuggi” diventa prassi quotidiana per partigiani che sanno muoversi nel loro territorio e operare attentati che mettono in difficoltà il controllo del territorio da parte dell’occupante esercito italiano. Brigata partigiana iugoslava
Il risultato è facilmente prevedibile: attacchi spesso sanguinosi a presìdi e singoli soldati, reazione draconiana dei nostri comandi ben sintetizzata da una frase del generale Mario Robotti, “Qui si ammazza troppo poco”.Non è da meno Mario Roatta, superiore di Robotti e comandante delle truppe nei Balcani: “Non dente per dente ma testa per dente”.Da qui uno stillicidio infinito di fucilazioni e deportazioni in lager italiani e lungo la costa dalmata di decine di migliaia di sloveni ma anche croati, montenegrini, greci che sicuramente non fa onore al nostro esercito. Nella maggioranza dei casi si tratta di civili (prevalentemente vecchi, donne e bambini) perché i partigiani una volta catturati erano subito fucilati.
24-luglio-1941-a-Sinj-12 civili vengono giustiziati-dai fascistiNei documenti redatti dal gen. Orlando (comandante della divisione Granatieri e quindi responsabile militare di Lubiana e dintorni) e fatti propri dai comandanti superiori, emerge chiara la convinzione razzista dei generali italiani: essi credono di avere a che fare con una popolazione culturalmente arretrata, che rifiuta la civilizzazione generosamente offerta dall’Italia e che si fa, più o meno ingenuamente, fuorviare da pochi capi comunisti e dagli ebrei, appoggiati dai Russi e dagli Inglesi.
In questo secondo documento si scrive che i dirigenti del Fronte Liberatore sloveno sarebbero “molto pochi e … tutti ben noti comunisti …” per i quali “… si deve procedere inesorabilmente alla fucilazione …“, mentre “gli esecutori materiali” (anche questi da fucilare) sono “per lo più delinquenti comuni o giovani quasi irresponsabili di tutte le gesta criminose …“.
Il tenente cappellano PIETRO BRIGNOLI svolgeva il suo servizio nella divisione Granatieri di Sardegna, che dal 4 maggio 1941 al 21 settembre 1942 era stanziato a Kočevje, partecipando alla OFFENSIVA ITALIANA DELL’ESTATE 1942, con la quale occupatori italiani si prefiggevano di eliminare, una volta per tutte, i focolai di resistenza slovena che, ad un anno dall’aggressione italiana alla Jugoslavia, continuava ad attaccare i convogli militari italiani. Durante i rastrellamenti le truppe italiane riuscirono ad uccidere circa 1000 partigiani, ma oltre a ciò bruciarono decine di villaggi, uccisero circa 1.000 civili e deportarono circa 26.000 vecchi, donne e bambini. la “massa di manovra del movimento ribelle” quindi sarebbe composta da studenti-disoccupati senza famiglia, disoccupati, ex-militari del disciolto esercito jugoslavo, braccianti e contadini senza una propria azienda agricola, gente “… che tutto aveva da guadagnare tentando l’avventura, si buttò nelle bande con la segreta speranza di vivere di rapina senza fatica e di precostituirsi per il prossimo avvenire una posizione di privilegio nella patria liberata dallo straniero. E’ chiaro che togliendo tempestivamente di mezzo questa variopinta massa di disoccupati sarebbe sottratta dalle mani dei capi la materia prima con la quale essi intendevano confezionare rivoluzione. …”.
Una considerazione specifica è poi dedicata ai fuoriusciti politici dalla Venezia-Giulia a partire dal “… 18 ottobre del 1922, quando con l’avvento del fascismo fu stroncato il movimento comunista sloveno di Trieste e Gorizia e dintorni, … dovendosi particolarmente al loro fervore anti-italiano, l’inquinamento politico di Lubiana.“.Secondo Orlando, quindi “… è necessario eliminare: tutti i maestri elementari, tutti gli impiegati comunali e pubblici in genere (A.C., Questura, Tribunale, Finanza ecc.), tutti i medici, i farmacisti, gli avvocati, i giornalisti, … i parroci, … gli operai, … gli ex-militari italiani, che si sono trasferiti dalla Venezia Giulia dopo la data suddetta“.
Civili fucilati dai fascisti in IugoslaviaQuindi per Orlando ed i generali italiani la soluzione della questione jugoslava viene “soltanto dall’impiego della forza, che senza indecisioni, intervenga, giusta, inesorabile, immediata a reprimere ogni manifestazione di banditismo od atto di rivolta”.I militari devono operare con decisione: “nelle zone nelle quali si sa o si suppone che vi siano dei ribelli, e si agisca decisamente: rapido censimento, interrogatorio degli elementi sospetti, fucilazione degli indiziati”; queste sono le disposizioni ribadite dal gen.Ambrosio (comandante della II Armata) il 30 dicembre 1941 prima di passare il posto al gen. Roatta.Un civile sloveno viene messo al muro per essere fucilato dai fascistiRoatta successivamente si spinge a proporre ulteriori misure contro i favoreggiatori dei ribelli, soprattutto nei confronti dei parenti: la deportazione e la fame!L’obiezione politica di Grazioli. che tagliando i viveri ai parenti si stimolerebbe la solidarietà verso costoro creando degli inutili martiri, ferma questo particolare provvedimento contro i civili.Civili sloveni fucilati dai fascistiDal luglio 1942 le divisioni italiane, con grandi operazioni di rastrellamento, procedettero alla deportazione della popolazione dei villaggi in campi di concentramento, soprattutto di donne, di bambini e di anziani poiché gli uomini validi fuggivano per evitare la cattura. Tra l’estate del 1942 e quella del 1943 furono attivi sette campi di concentramento per civili sotto il controllo della II^ Armata; almeno 20.000 civili sloveni furono internati mentre un documento del Ministero dell’Interno italiano dell’agosto 1942 indica 50.000 persone circa, di cui la metà donne e bambini; la causa principale delle morti in tali campi era la fame, il freddo, gli stenti e le malattie.
Nel 1942 gli italiani realizzarono sull’isola croata di Arbe, l’odierna Rab, un campo di concentramento per i civili sloveni in cui in seguito furono deportati anche ebrei croati; vi furono internati più di 10.000 civili, principalmente vecchi, donne e bambini. Secondo il Centro Simon Wiesenthal questo campo, gestito completamente dagli italiani, ricevette 15.000 prigionieri dei quali 4.000 morirono; soltanto nell’inverno del 1942-1943 morirono 1.500 persone a causa della denutrizione, del freddo, delle epidemie e dei maltrattamenti. Campo di concentramento di Rab Arbe.
Comunque la pratica dell’affamamento diventa una costante nell’azione repressiva verso i deportati e la popolazione; l’assoluta insufficienza del cibo risulta infatti la prima vera causa delle migliaia di decessi nei campi di concentramento della II Armata a Rab/Arbe come in Italia.La politica di affamamento e rapina è condivisa e praticata dai comandanti italiani, tra gli altri il gen. Danioni che progetta di: “procedere alla requisizione dei raccolti lasciando ad ogni singolo proprietario il puro necessario per non morire di fame”.Roatta propone inoltre la deportazione “di tutti i disoccupati e degli studenti per farne unità di lavoratori”.
E’ sempre il comandante della II Armata Slovenia-Dalmazia che prospetta di assegnare a italiani i “beni rurali dei ribelli … in modo da costituire nuclei rurali tutti italiani di ex combattenti, sopratutto at cavallo linee comunicazioni et presso frontiere”.
Civili sloveni costretti a scavarsi la fossa prima di essere fucilati dagli italianiRoatta, vero tecnico della repressione, dopo la promulgazione della circolare 3 C e quindi la disposizione della fucilazione immediata dei partigiani catturati, impone in Slovenia e Dalmazia la rappresaglia automatica sugli ostaggi civili, nel caso di attentati contro militari italiani o collaborazionisti.A Lubiana questa decisione viene resa nota attraverso la pubblicazione di un bando firmato congiuntamente dall’autorità militare e civile (Robotti e Grazioli).
31 luglio 1942-fucilazione di cinque ostaggi sloveni da parte delle truppe italiane durante l’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943). i nomi dei fucilati:Franc Žnidaršič,Janez Kranjc,Franc Škerbec,Feliks Žnidaršič, Edvard Škerbec.Alcuni prigionieri sloveni vengono bendati prima di essere fucilati dai fascisti.Fonte- Crimini di guerra italiani
E quest’ultimo, ormai allineato alla politica di decimazione dei generali, nel corso di una riunione con i militari il 30 aprile 1942, annuncia che “il DUCE ha approvato in pieno la lettera e lo spirito del bando”, e aggiunge riguardo gli ostaggi: “se l’autorità militare non fucilerà, li fucilerò io.
Iniziarono i massacri, furono bruciati migliaia di villaggi sospettati di aver dato sostegno alla resistenza slava, gli stupri, le violenze quotidiane, le ingiustizie verso il popolo sloveno, si consumarono sotto gli occhi indifferenti delle autorirtà militari che giustificavano i massacri come rappresaglie contro i covi della resistenza ..
Chiunque era sospettato veniva giustiziato sul posto.nella sola provincia di Lubjana , furono fucilati circa 1.000 ostaggi, 8.000 persone furono giustiziate in seguito.Furono bruciate 3.000 case, e internate subito 35.000 persone, furono distrutti oltre 800 villaggi,e oltre 8000, persone moririno nei campi di concentramento . Cimitero di Arbe, migliaia di croci sulle tombe dei deportati che morirono di stentiNella notte fra il 22 e il 23 febbraio del 1942 le autorità militari italiane cinsero con filo spinato e reticolati l’intero perimetro di 30 km di Lubiana , al fine di operate un rastrellamento completo della popolazione maschile della città disponendo un ferreo controllo su tutte le entrate e le uscite. La città venne divisa in tredici settori e furono raccolti 18 708 uomini che furono controllati nelle caserme con l’aiuto di delatori sloveni dissimulati; 878 di questi uomini furono mandati in campo di concentramento.
A Lubiana nel solo mese del marzo ’42 gli italiani fucilarono 102 ostaggi. Un soldato italiano in una lettera inviata a casa il 1º luglio 1942 scrisse:
«Abbiamo distrutto tutto da cima a fondo senza risparmiare gli innocenti. Uccidiamo intere famiglie ogni sera, picchiandoli a morte o sparando contro di loro. Se cercano soltanto di muoversi tiriamo senza pietà e chi muore muore.
Un altro scrisse:
«Noi abbiamo l’ordine di uccidere tutti e di incendiare tutto quel che incontriamo sul nostro cammino, di modo che contiamo di finirla rapidamente
.Le cifre variano nell’insieme delle vittime tramite gli archivi storici e documenti ritrovati nell’armadio della vergogna e da fonti locali..senza contare le vittime totali di uomini che combatterono i nazifascisti tramite la resistenza jugoslava … Nel mese di giugno erano presenti 71.159 militari italiani. Le prime formazioni partigiane slovene iniziarono la loro azione nel luglio 1941, con effettivi molto limitati (vengono successivamente indicate in 8-10 mila). Il primo tentativo di annientamento del movimento di liberazione jugoslavo, con un’azione congiunta italo-tedesca, viene realizzato nell’ottobre 1941.
Esso termina con un totale fallimento, malgrado l’uso sistematico del terrorismo verso le popolazioni civili, le stragi e la distruzione, le rappresaglie feroci verso i partigiani e le loro famiglie (solo a Kragulevac, furono fucilate 2300 persone). Con l’inasprimento della lotta, i nazifascisti tentano una seconda grande offensiva, con 36.000 uomini. Scarsi risultati, moltissime vittime. I partigiani riescono a sfuggire al tentativo di accerchiamento.
Terza grande offensiva dal 12 aprile al 15 giugno 1942, sotto la direzione del generale Roatta. Ancora una volta grandi perdite, stragi e distruzioni: non viene raggiunto l’obiettivo di annientamento. Intensificazione delle azioni contro guerriglia in Slovenia da parte delle forze del XI^ Corpo d’Armata (quattro Divisioni italiane, con l’aggiunta dei fascisti sloveni della “Bela Garda” – Guardia Bianca -). Sempre feroci le azioni di terrorismo contro i civili e la deportazione delle popolazioni di intere zone, senza distinzioni di sesso e di età.
Dopo la guerra, la commissione crimini di guerra jugoslava chiese l’estradizione del criminale Mario Roatta e di altri ufficiali fascisti per processarli come dovuto ..non fu dato corso all’estradizione richiesta dal governo jugoslavo in quanto poté giovarsi della cosiddetta “Amnistia Togliatti intervenuta il 22 giugno 1946 e di quella definitiva del 18 settembre 1953 proposta dal guarda sigilli Antonio dazora per tutti i reati politici commessi entro il 18 giugno del 1948
Roatta che nel frattempo era fuggito in Spagna sotto la protezione del Generale “Francisco Franco” ritornò solo nel 1966 e morì a Roma il 6 gennaio del 1968 senza essersi pentito di avera fatto trucidare migliaia di persone innocenti e di aver fatto deportare nei campi di concentramento italiani quasi 150.000 persone che avevano l’unica colpa di essere sloveni .
L’aggressione nazifascista alla Jugoslavia ha provocato la morte di 300.000 militari,900.000 civili, e oltre 200.000 feriti ,per un totale di 1’400.000 vittime …Ora domandatevi come mai il popolo slavo ci ha odiato così tanto fino ad arrivare al culmine della follia e della vendetta contro chiunque parlasse la lingua italiana …