2.2.23

Foibe, se il Miur anticipa Meloni Nel mondo della scuola esplode la polemica sulle nuove «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica» firmate dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi come ultimo atto

Ad  usare strumentalmente   un periodo  bruttissimo , quello che  viene riassunto  come  questione  Adriatica   o  come  foibe   e  che   ricorda   purtroppo  a  seso unico  ( salvo ecezioni )  ed  in maniera  strumentale,  delle storia  italiana    ed europea  che  ha  caraterizzato  il  secolo scorso  e  di cui   si sentono ancora  oggi  gli effetti   di tale  uso     e  del suo non farne  i conti   ed  il silenzi ufficiali  a causa  guerra fredda  e  per  le  vergogne  "nazionali" da  nascondere  sotto il tappetto  e lasciare  che fossero    coperte  dall'olio del tempo  e dall'uso ideologico di una  certa  parte  politica  
Mentre  cercavo ispirazione   per la mia contro celebrazione dellla  giornata     orami  divnta settimana del  10  febbraio  \  giorno  del ricordo   ho trovato   quest'articolo   de il manifesto del  15\12\2022. Ma  prima di  riportarlo   consiglio la  lettura  dell'immeno  lavoro  che trovate qui  

 Lavoro   andato a ramengo per   gli errori    evidenziati   ( e  che potete  verificare    leggendo il pdf  ministeriale  )  da  tale  articolo  


Foibe, se il Miur anticipa Meloni

Nel mondo della scuola esplode la polemica sulle nuove «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica» firmate dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi come ultimo atto

      Il presidente della Regione Friuli - Venezia Giulia Fedriga con un assessore regionale a Basovizza


Nel mondo della scuola esplode la polemica sulle nuove «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica» firmate dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi come ultimo atto
Il giorno prima della nascita del governo Meloni, come suo ultimo atto da ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi ha messo la firma su un documento di 90 pagine intitolato «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica». Si parla, insomma, di foibe e, benché il tutto sia stato approvato a metà settembre da un larghissima commissione variamente composita, la sua divulgazione, alla vigilia dell’insediamento del governo di destra, testimonia un curioso passaggio di consegne, nella migliore delle ipotesi, oppure un grande riposizionamento generale all’interno del Miur. Queste linee guida stanno facendo discutere molto nel mondo della scuola, sia per questioni di merito sia per fatti di metodo. Per cominciare, in effetti, è curioso che un ministero si occupi in questa maniera di un tema tanto specifico, e – a memoria di molti insegnanti – nessun argomento sin qui si è meritato un fascicolo di 90 pagina tutto per sé. Inoltre, l’invasione di campo è evidente: il tema delle foibe e dei fatti avvenuti al confine orientale negli anni Quaranta sono già affrontati nei manuali.La  scusa  della «verità taciuta» ormai non regge più: il giorno del ricordo – fissato al 10 febbraio, là dove il resto d’Europa conserva la memoria degli accordi di Parigi che posero formalmente fine alla Seconda Guerra Mondiale – è stato istituito nel 2004, dunque ormai 18 anni fa. I redattori delle linee guida sono docenti di chiara fama (Raoul Pupo, Giuseppe Parlato, Guido Rumici e Roberto Spezzali), ma basta guardare i revisori per rendersi conto di quanto sia politica l’operazione: venti persone, in rappresentanza di tutte le associazioni degli esuli, oltre a figure extraistituzionali come i rappresentanti dei «liberi comuni in esilio» di Zara e di Pola. Come e perché questi signori siano finiti a occuparsi di faccende didattiche non è chiaro, ma tant’è.Nel merito , poi, queste linee guida sembrano rappresentare un malriuscito esempio di «memoria condivisa», in cui si parla sì dei crimini perpetrati dagli italiani durante l’occupazione di quei territori, ma in cui pure si specifica che i due eventi non sono da mettere in correlazione. Si parla, in proposito, di «strategia dell’elusione».Se nell’ambito di un’unità didattica sulle foibe la maggior parte del tempo è dedicata ai precedenti di violenza del fascismo di confine e delle truppe italiane in Jugoslavia – si legge a pagina 17 -, questa non va considerata come corretta contestualizzazione. Bensì quale mera elusione». Le cause, dunque, andrebbero ricercate in una «pluralità di contesti tra loro connessi», dalla fine dell’impero asburgico all’inizio del comunismo.Ecco il comunismo e la rivoluzione di Tito occupano il posto d’onore sul banco degli imputati di queste linee guida. Non manca spazio, ovviamente, per il Pci, al quale (pagina 78) viene dedicato un paragrafetto intitolato «Il silenzio di partito», che così recita: «Il Pci evita di parlare dell’argomento per non rendere evidente la propria posizione, legata anche alle indicazioni di Mosca, su quanto avviene lungo il confine nordorientale». Tre righe appena che, qui sì, annullano completamente il contesto, addossando ai comunisti italiani una sorta di concorso di colpa per quelle vicende, senza fare il minimo cenno al dibattito interno, che pure ci fu, e ai complicati rapporti tra Tito e Togliatti, documentati da ampia storiografia. Poco sotto, stessa pagina, si parla anche di «silenzio di Stato» (per qualche ignoto motivo diverso da quello del Pci) in cui si afferma che le varie forze politiche preferirono lasciar perdere la questione delle foibe «per non aprire i conti col passato» e cercare di celare il fatto che l’Italia la guerra l’aveva persa. Il nodo, in fondo, sarebbe tutto qui: ogni guerra significa morte e distruzione, le recriminazioni dei vinti sulla ferocia dei vincitori sono sì argomento interessante, ma anche spesso e volentieri interessato. Del resto, quella delle foibe è da sempre una vicenda che la destra italiana più o meno postfascista utilizza per bollare la Liberazione come un evento tragico per il Paese e non come uno dei mezzi grazie al quale siamo diventati una democrazia
Da notare, infine, come curiosamente le linee guida affrontino in maniera parziale la questione del numero delle vittime delle foibe. Si legge a pagina 19: «Mentre sul piano della pietà sarebbe importante conoscere esattamente la sorte di ogni vittima, lo stabilire un ordine di grandezza in molti casi può risultare sufficiente sul piano dell’interpretazione storica».E vA bene, ma qual è questa grandezza ? Nessuna indicazione. Si parla di «esagerazioni» (pagina 62), ma si mette anche in guardia «dall’assumere in sede interpretativa il medesimo punto di vista degli autori delle stragi, ribaltando sulle vittime l’onere di provare la loro innocenza». Così si parla di repressione su un numero di persone comprese tra le 60 mila e le 100 mila, ma niente viene detto sulle vittime. Questo, è del tutto evidente, offre uno scudo istituzionale alle «esagerazioni» di cui sopra. E il problema, dunque, non è la giustificazione delle stragi, ma l’apertura delle porte del ministero a ogni tipo di revisionismo.

Peccato un lavoro ben fatto  e   monumentale  buttato  nel cesso  per  gli errori  prima citati    che   ho avuto modo d verificare     consultando tale  documento  

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