da la nuova sardegna del 23\2\2023
Medicina e nuove frontiere
le scoperte del biologo rocker
Enrico Petretto, sassarese, lavora a Singapore alla Duke-Nus Medical School
Con il suo team ha isolato il gene che “aggiusta” le patologie cardiovascolari
Il chitarrista sul piccolo palco fa vibrare le corde della sua Fender e oscilla
avanti e indietro sull’assolo di Stairway to heaven dei Led Zeppelin. Il pubblico di questo locale pieno di elementi di varia umanità applaude con convinzione,
mentre il musicista riemerge lentamente
dall’estasi melodica e scambia uno sguardo d’intesa con un gruppo di coetanei seduti in un tavolo in prima fila.
Singapore, tarda serata di un weekend
come tanti, all’Heart Rock si esibisce uno
dei soliti gruppi. Musica rock, pezzi conosciuti di gruppi molto famosi. Il chitarrista non è Jimmy Page, ma da queste parti
il suo volto non è nuovo. Non solo perché
ha già suonato in questo locale.
Biologo in carriera Enrico Petretto
ha 50 anni, viene da Sassari e in queste
settimane il suo volto è passato in tv su
uno dei canali più seguiti dell’intera
Asia perché nella sua professione, che
non è certo quella di chitarrista, è una
cima. Fa il biologo genetista, a Singapore dirige il centro di Biologia Computazionale della Duke-Nus Medical
School e di recente ha fatto una scoperta di grande rilievo: identificando un gene del corpo umano e studiandone il
comportamento, ha aperto una nuova
strada verso la prevenzione delle patologie di alcuni organi, in particolare il
cuore. Quella del professor Petretto è
una storia di successo, ma anche di talento, impegno e coraggio. «Sin da
bambino sono stato appassionato di
scienze – racconta -. A scuola ero un
secchione, ma ho sempre coltivato tanti interessi, come la musica. Ho preso
la maturità al liceo scientifico di via
Monte Grappa e poi mi sono laureato
in Chimica, sempre a Sassari, specializzandomi in genetica».
Da quel momento in poi la carriera
di Enrico Petretto è stata un crescendo
continuo. Dopo un master internazionale a Pavia, un dottorato ancora a Sassari e uno studio sul Dna dei centenari
dell’Ogliastra svolto per conto di una
compagnia privata di Cagliari, la prima
svolta: «Terminato il dottorato sono entrato all’Imperial College di Londra, dove sono rimasto per 11 anni, facendo
tutta la carriera accademica. La prima
considerazione che mi viene da fare oggi è che l’Italia mi ha formato, ma poi
ho “prodotto” per un’università di fuori. Purtroppo negli atenei italiani il percorso è troppo accidentato e non sempre il merito viene premiato: spesso la
cosa più importante è la fedeltà nei confronti del capo del dipartimento».
Road to Asia Otto anni fa, una nuova
svolta. «Avevo ricevuto interessanti offerte di lavoro ad Amsterdam e in Scozia, ma avevo deciso di puntare su un’esperienza diversa. Come Singapore. Io
e mia moglie, italiana come me, siamo
venuti per vedere la città pensando di
trovare una specie di clone di Dubai, invece questa è città moderna ma con
molto carattere, molto vivibile da tutti i
punti di vista: buon cibo, ottimo clima,
una bella combinazione tra tradizione
e tecnologia. Venendo da un decennio
a Londra, una città multiculturale molto viva ma difficile da vivere e con un clima pessimo, il miglioramento è stato
notevole. Ci siamo innamorati di questa città: il risultato è che lavoro bene,
viviamo bene e nel mio armadio non
c’è più neanche una giacca: vivere con
30 gradi costanti non è affatto male».
Un sassarese a Singapore. «Mezzo
secolo fa Singapore era un villaggio di
pescatori – racconta il biologo sardo –,
ora è una città importantissima sotto
molti punti di vista. Qui investono tanto in tecnologia e ricerca, molto di più
anche rispetto alla Gran Bretagna. Ci
sono grandi opportunità dal punto di
vista lavorativo, siamo immersi in un
ambiente internazionale con colleghi
competitivi e tanti world class leader.
Tra gli amici con i quali vado a cena, o
con i quali suono la chitarra, ci sono
componenti della commissione che assegna il premio Nobel. Qua nei rapporti umani i titoli non contano e allo stesso tempo in ambito professionale c’è
un grande spirito di collaborazione:
piuttosto che farci la guerra a vicenda,
collaboriamo. Singapore è piccola e deve confrontarsi con realtà molto più
grandi. Per sopravvivere ed essere competitivi bisogna essere compatti. I finanziamenti per la ricerca vengono dati in modo che i progetti coinvolgano
tante persone. Io lavoro da tempo in
un progetto sul diabete, con me ci sono
altre 25 persone che provengono da altre università e altri istituti. Il futuro? Lavoro già con un gruppo di San Donato
Milanese, ho anche un lavoro in Cina.
In generale non sto pensando di tornare in Europa, i fondi per la ricerca là
stanno diminuendo, mentre qua tra alti e bassi i fondi non mancano. Ma soprattutto non riuscirei a riadattarmi
all’ambiente accademico italiano».
Per spezzare le lunghe e impegnative giornate di lavoro in laboratorio, Enrico Petretto si divide tra un viaggio
con sua moglie («in un un’ora si arriva
in Tailandia»), una pizza “sarda” («c’è
un bravissimo pizzaiolo di Ozieri») e la
passione per la chitarra, coltivata sin
da ragazzo. «Suono spesso nei locali,
addirittura a volte mi pagano. E quando posso faccio una rimpatriata sassarese». L’uomo in prima fila che applaude il chitarrista-biologo è Giuseppe Manai, un altro sassarese di successo a Singapore. Anche la sua è un è una storia che
merita di essere raccontata.
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