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D di repubblica della scorsa settimana n 858
Quel che è certo è che va alla grande,nella piccola e nella grande distribuzione.
Quello che fino a pochi anni fa era una nicchia di consumo adesso vale, solo per il cibo e solo in
Italia, 3,1 miliardi di euro, in crescita ininterrotta da un decennio.L’angolo dei prodotti biologici c’è
perfino nei discount, e molte catene hanno intere linee di prodotti derivati da un’agricoltura più sostenibile che non fa ricorso a sostanze chimiche. I prezzi continuano a essere più alti, ma il biologico è un “marchio” che vende,
anche in tempi di crisi. D'altronde, non saremmo un po’ tutti d’accordo che la salute viene prima di tutto? L’associazione è quasi scontata, biologico uguale più sano. Ma anche più gustoso, più ecologico, più naturale. Non sempre,però, le idee che popolano l’immaginario collettivo corrispondono alla realtà. Proviamo a verificare con gli esperti, a partire da alcune delle convinzioni più diffuse.
I cibi biologici sono più nutrienti?
Dalla letteratura scientifica emerge che alcune differenze di qualità tra prodotti biologici e “convenzionali” ci sono. A volte a vantaggio del “bio”, ma anche a svantaggio », spiega Flavio Paoletti, ricercatore presso l’ex Inran, istituto oggi accorpato al Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura), che ha curato un studio degli articoli scientifici sull'argomento pubblicati dal 2005 al 2011, dal titolo La qualità nutrizionale dei prodotti dell’agricoltura biologica. «Il metodo di coltivazione può influenzare alcuni aspetti della qualità dei prodotti, ma contano anche altri fattori, che anzi spesso hanno un’influenza maggiore, come le caratteristiche genetiche della specie coltivata, le condizioni climatiche, l’esposizione alla luce, la qualità del suolo».
I prodotti biologici sono più salutari?
«Risultano meno contaminati da residui di pesticidi di sintesi, visto che la normativa ne impedisce l’uso», spiega Paoletti, «ma anche nella quasi totalità dei prodotti convenzionali non ce ne sono, o rientrano nei limiti di legge, anche se si discute da tempo della tossicità determinata dall'effetto combinato di più sostanze presenti contemporaneamente». Interrogando invece un esperto nella
prevenzione dei tumori emerge un altro distinguo: «Più che badare unicamente al biologico, bisogna fare attenzione a quello che si mangia», spiega Franco Berrino, oncologo e consulente della direzione scientifica dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. «Fa male fondare la propria alimentazione su troppi prodotti animali o su quelli molto raffinati, come accade per zucchero e farine. Non importa niente che la farina 00 sia biologica, i pesticidi non ci sarebbero comunque perché, semmai, vengono
eliminati insieme alla crusca e al germe di grano nel processo di raffinazione. Lo stesso discorso si può fare per lo zucchero. Oggi l’industria del biologico produce cibi altamente processati di qualsiasi tipo, ma è inutile stare a discutere se le merendine meglio prenderle bio oppure no, il problema è la merendina in sé. Forse il biologico ha più senso per l’ecologia che per la salute, dove finora non ci sono molte evidenze di una maggiore sicurezza. Certo, si può scegliere di attenersi al principio di precauzione, ma la regola dovrebbe essere comunque quella di acquistare cibi, e non alimenti trasformati», conclude Berrino.
Nel biologico non si usano mai pesticidi?
«In realtà anche nelle produzioni biologiche c’è la necessità di usare agrofarmaci», obietta Antonio Pascale, scrittore e saggista, agronomo impiegato al Ministero delle politiche agricole e forestali nonché autore di un libro che parla proprio di agricoltura, Pane e pace. Il cibo, il progresso,il sapere nostalgico (Chiarelettere). «Nelle colture biologiche si usano antiparassitari e agrofarmaci quali il rame, il rotenone, o i piretroidi, definiti “non di sintesi” perché ricavati da elementi presenti in natura. Prendiamo per esempio il rame, che è un buon fungicida, ma in agricoltura non viene certo usato allo stato naturale, piazzando un pezzo di metallo nel campo. Cioè si usa anche in questo caso un prodotto chimico, a base di rame, tant'è che l’industria chimica vende agrofarmaci sia ai produttori che fanno biologico sia a quelli che fanno convenzionale.
Inoltre nel biologico spesso si usano maggiori quantità degli agrofarmaci consentiti: per esempio il rame è facilmente dilavabile, scivola via con le piogge e quindi va dato più spesso; ma è comunque un metallo pesante che finisce nel terreno, dove poi si accumula procurando danni alla micro fauna. I vari insetticidi che vanno sotto il nome di rotenone sono abbastanza pericolosi, non agiscono in modo mirato e colpiscono qualsiasi organismo presente nell'ambiente circostante, comprese le api.
Un’altra classe di insetticidi usati nell'agricoltura biologica è tratta dal bacillus thurigiensis, batterio che produce una tossina attiva per tre ordini di insetti: i lepidotteri,cioè le farfalle, i coleotteri, per esempio le coccinelle, e i ditteri, cioè le mosche. Il problema è che va vaporizzato sulle piante, quindi può finire facilmente nell'ambiente circostante o nei campi vicini e si accumula nel terreno,«La vera differenza dovrebbe essere fatta tra cibi processati e prodotti più semplici, meglio se meno ricchi di proteine animali», dice l’oncologo . finendo per uccidere anche gli insetti utili, come le coccinelle. Per questo negli anni Ottanta i ricercatori hanno cercato di mettere a punto piante che producessero da
sole il batterio, in modo che fosse tossico solo per i predatori che mangiano la pianta. Ma sappiamo che c’è una totale e incondizionata opposizione dei produttori del biologico agli Ogm, nati in un certo senso come una sorta di integrazione al biologico. In realtà gli intenti di questo metodo di produzione sono del tutto condivisibili: è giusto cercare di abbassare il più possibile l’uso delle sostanze nelle coltivazioni, ma è sbagliato il metodo, l’idea che il buono è solo quello del passato e che si debba sempre guardare indietro. In realtà il vero biologico è tecnologico, nel senso che i mezzi nuovi, più all’avanguardia, offrono vantaggi proprio nella direzione auspicata da chi crede nel biologico».
La frutta bio è sempre più brutta?
«Non è sempre vero, anche se è più facile che possa presentare dei difetti. La frutta bio che troviamo nei supermercati non è certo più brutta di quella convenzionale, ma è stata selezionata per rispondere agli standard fissati dalla grande distribuzione. Bisognerebbe vedere quant'è lo scarto a cui è stato costretto il produttore bio, e quanto di quella produzione “imperfetta” gli viene comunque pagato dall’industria di trasformazione e quanto sia invece costretto a rivendere a un prezzo più basso, rimettendoci», osserva Paoletti.
Il pesce biologico è pescato?
Il biologico vanta spesso l’associazione con il naturale, ma nel caso dei pesci che vivono sereni nel mare non si può usare la definizione di “biologico”, perché non se ne può in alcun modo controllare l’esposizione a eventuali sostanze inquinanti presenti nelle acque. «Si può definire il pesce pescato in mare aperto come selvatico, ma non bio. Per essere definito biologico deve essere allevato con un metodo di acquacoltura per il quale esiste una normativa specifica e appositi disciplinari di produzione», specifica Paoletti.
I prodotti biologici sono più gustosi?
Che siano più buoni è un argomento molto usato da produttori e sostenitori del biologico, e in definitiva è quello che gli stessi consumatori si aspettano. Partiva da queste premesse il progetto Ecropolis, un’indagine europea curata per la parte italiana dall'Università di Bologna, che ha analizzato la qualità sensoriale dei prodotti biologici o convenzionali. «Dai risultati ottenuti non si può dire che i due tipi di produzione abbiano sapori diversi o uno dei due sia in generale più gustoso», spiega Tullia Gallina Toschi, tra i curatori dello studio e docente di Analisi degli alimenti del dipartimento di scienze e tecnologie agroalimentari dell’Alma mater. «Per contribuire al sapore sono
risultate più rilevanti altre variabili, come il clima o il tipo di lavorazione. Inoltre, il gusto è determinato da fattori culturali e dalla familiarità con certi sapori, e la preferenza non è stata sempre accordata allo stesso prodotto in tutti i Paesi».
Negli allevamenti bio non si usano antibiotici?
I regolamenti europei consentono l’uso di alcuni trattamenti della medicina convenzionale, e in caso di malattia anche per la zootecnia biologica si possono usare antibiotici, al contrario di quanto consentito negli Usa. «Alla base di questa idea c’è un’impostazione ideologica diversa: in Europa prevale l’intento di salvaguardare sempre il benessere degli animali, mentre negli Stati Uniti la priorità è il consumatore», spiega Andrea Martini, docente di zootecnia speciale alla Facoltà di agraria di Firenze. Negli Stati Uniti, nel caso il cui il trattamento antibiotico sia
necessario, i capi vanno eliminati dall’allevamento biologico e trasferiti a uno convenzionale. Anche in Europa ci sono però dei limiti: se i trattamenti antibiotici sono più di tre in un anno, gli animali devono essere sottoposti a una sorta di processo di “riconversione”».
Una maglietta di cotone organico è bio?
In realtà, tutto dipende dal tipo di certificazione che il capo riporta in etichetta. I regolamenti europei dedicati riguardano solo il settore alimentare, «nel mondo del tessile si usano certificazioni che rispondono a norme stabilite da enti privati», spiega Paolo Foglia dell’Icea, l’Istituto per la certificazione etica e ambientale. «Le certificazioni principali sono due. Innanzitutto la Global Organic Textile Standard, la quale prevede a sua volta due classi di prodotti: una con contenuto minimo di fibra bio sopra al 95% e l’altra sopra il 70%. E poi la Organic Content, che certifica come bio un capo con una presenza di più del 5% di fibra coltivata con metodi naturali». Molto poco, dunque. «Questa certificazione fa capo alla Textile Exchange, organizzazione che raggruppa i grandi marchi dello sport e le multinazionali della moda low cost, e, al contrario dell’altra, non tiene in considerazione né premia nessun altro aspetto ambientale o sociale».
I cosmetici a marchio bio sono tutti naturali?
«Anche per i cosmetici non c’è una normativa specifica, e in effetti l’industria della bellezza, come anche quella dei detergenti, è un po’ il regno degli eco-furbi: purtroppo, ce ne sono tantissimi», osserva Fabrizio Zago, chimico industriale esperto di cosmesi e autore del sito
biodizionario.it che
offre una mappatura dell’origine dei principali ingredienti usati nei cosmetici e nei prodotti per l’igiene. «Un trucco classico del marketing è quello di esaltare il concetto di naturale, come se in natura non ci fossero pericoli né sostanze tossiche per gli esseri umani. Un esempio tipico in ambito di cosmesi “bio” è di sostituire i profumi con oli essenziali, che però hanno alte capacità reattive, e vengono assorbiti dalla pelle attraverso la quale passano al fegato, ragione per cui vanno dosati con estrema attenzione», avverte Zago. «Inoltre, per vantare diverse proprietà, spesso in un prodotto si mescolano tanti componenti, ma questo poi vuol dire che le quantità di principio attivo sono minime, ed è quindi difficile che le promesse riportate sulle confezioni possano essere mantenute: meglio scegliere prodotti con pochi ingredienti», consiglia.I prodotti bio devono per forza costare di più?
Anche per il biologico vale la regola per cui «non sempre il costo di produzione fa il prezzo finale», osserva Maurizio Canavari, docente di Economia ed estimo rurale all'Università di Bologna. «Con l’ingresso dei prodotti bio nella grande distribuzione abbiamo visto una drastica riduzione del sovrapprezzo, passato dal 150% di qualche anno fa al 10-15% di oggi». I supermercati in effetti riescono a “spalmare” meglio le voci di costo per produzione e distribuzione, «ma in effetti le aziende biologiche continuano a sostenere spese maggiori delle altre, a cominciare dai costi di certificazione, che sono a carico dei produttori».