Non c’è più religione! Ci mancava proprio un prete esibisce sui social il suo fisico palestrato che fa eccitare gentili donzelle da ogni parte del globo
IL BRACCIO MUSCOLOSO DI DIO – SU TIKTOK È DIVENTATO FAMOSO DON GIUSEPPE FUSARI, SOPRANNOMINATO “IL PRETE CULTURISTA”, PARROCO DI BRESCIA CHE SOTTO LA TONACA NASCONDE UNA FISICO DA PALESTRATO – IL PRETE, 57 ANNI BEN PORTATI, È SUI SOCIAL PER PORTARE LA PAROLA DI DIO MA, DAI COMMENTI, SEMBRA CHE LE FOLLOWER GRADISCANO BEN ALTRO: “MI FAREI CONSACRARE” – “INCENSAMI TUTTA” – “MI SENTO MOLTO PIÙ VICINA ALLA RELIGIONE” – E MOLTE NOTANO UNA CERTA SOMIGLIANZA CON GIANLUCA VACCHI
Ora non è per far il moralista , il bachettone , ecc ma qui si tratta di coerenza ed etica ed rispetto verso l'abito talare ed i suoi valor di dignità , umiltà morigeratezza , spesso violata ipocritamente da chissà quanti preti morigerati, umili e discreti conosco con figli e relazioni segre . Lo so che Magari è un buon sacerdote! L' abito e in questo caso ,il fisico, non fa il monaco !! Ma un o' di discrezione e meno esibizionismo non guasterebbe
Le vie del Signore sono infinite, dicono i fedeli. E allora, in chiesa c’è spazio anche per figure non convenzionali, come Don Giuseppe Fusari, soprannominato “il prete culturista”. Su TikTok esiste un proflilo (non gestito dall’interessato), con quasi 20mila follower, dove appaiono video del don che parla di Dio ai più giovani e non solo. Appare con un look curato, con barba e capelli sempre in ordine.
A spiccare però, è il fisico scolpito, che svela l’attività parallela di culturista. Davanti alla telecamere posa con una camicia attillata, che non contiene le braccia muscolose sulle quali sono impressi alcuni tatuaggi.Don Giuseppe Fusari ha 57 anni. È stato ordinato nel 1991, ormai 32 anni fa, ed è presbitero della diocesi di Brescia. Sul suo profilo LinkedIn spiega di essere anche insegnante all’Università Cattolica del Sacro Cuore da 25 anni. Sui social il profilo che pubblica i suoi video ha attirato le attenzioni di migliaia di utenti: merito del suo look, decisamente particolare per un don.
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Ragazzina di 13 anni stuprata da 7 giovani clandestini, anche oggi Alessia Morani riesce a fare schifo: condanna il gesto, dimenticando di citare l’origine delle bestie
mi fa ridere il giustizialismo d'accatto di questi destronzi che s'eccittano quando a commettere una barbarie come lo stupro è uno straniero a prescindere se di prima o di seconda generazione , se regolare o clandestino . Per poi diventare pecorelle ( con rispetto per esse ) garantiste quando fra gli stupratori ( veri o presunti che siano ) ci sono figli del pesidente del senato . Beee... Beeee
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«Mia moglie ha tradito il suo ex con me e ora
sono io ad avere le corna. Lei è stufa della routine ma non vuole lasciarmi. Che devo fare?»
Un marito disperato e in preda alla confusione non sa proprio più che fare con la moglie. Lei lo ha tradito ma non vuole che lui la lasci e non vuole nemmeno lasciarlo. La storia è un po' complicata perché lei si sarebbe stancata della solita routine, mentre lui non si fida più. Come risolvere la situazione? Puo seguire quanto gli ha risposto l'esperta dell'amore, Bel Mooney, che dà consigli sentimentali sul Daily Mail a cui il protagonista s'era rivolto : : << instaura un dialogo vero e sincero: ditevi tutto e ricominciate da capo. So che è difficile, ma devi cercare di ridarle fiducia e di farla sentire come una regina, anche se ha sbagliato. Se la ami davvero ci riuscirai e se lei ti ama davvero, non sbaglierà più perché la sua routine le piacerà così tanto che non avrà bisogno di cercare nulla altrove >> oppure accordatevi per uno scambio di coppia o il triangolo cioè rapporto a tre
Volumi miniati medievali, sigilli per autenticare pergamene e persino popup antichi per bimbi: i tesori nel caveau dell’Istituto Centrale per la patologia dei libri
di Francesco Collina
A scuola con i cani: la pet therapy in aula
Un esperimento nato a Torino e ora replicato in diverse città: la lezione con gli animali aiuta a superare diffidenze e paure anche nelle relazioni coi compagni di classe
di Giulia Destefanis
Ritorno al grano antico: gigante e senza insetticidi
Le colture moderne sono basse: redditizie ma vulnerabili. Viaggio nella fattoria di Peccioli dove la produzione non è frenesia e si riscopre il passato. Lavorando meno
di Chiara Tarfano Madri e figli a scuola insieme per imparare l'italiano
In Italia 110mila persone sono iscritte nei centri di istruzione adulti. L’ultimo suono della campanella in un istituto di Torino dove studiano alunni di 70 nazionalità
Dal trullo all'ashram, il sogno di Lisetta Carmi
Cinquant’anni fa la celebre fotografa arrivò in Puglia e portò la spiritualità incontrata in Oriente. Ora racconta quella stagione. E Cisternino le dedica una mostra
di Daniele Leuzzi e Gianvito Rutigliano
Rivive tra Molise e Abruzzo la Transiberiana d'Italia
Attraversa tre parchi naturali e si arrampica tra il massiccio della Majella e gli altipiani carsici: viaggio sulle carrozze storiche della linea Sulmona-Isernia
Leggendo le ultime notizie sull'ennesimo femminicidio avvenuto stavolta in Sardegna A tortoli più precisamente mi sono ritornate alla mente alcune strofe di Non ricordo più del mare di Andrea Sisti
Sono qui sdraiato a terra
Va di fretta la mia vita
Mentre il sangue dentro brucia
Mi si appanna anche la vista
Ma un sorriso mi sorprende
So che non morirò per niente
Ma ora veniamo ai fatti
Una terribile tragedia si è consumata la notte del 10 maggio a Tortolì (NU), in via Monsignor Virgilio, pieno centro: Mirko Farci, giovane di 20 anni, è stato ucciso a coltellate mentre cercava di difendere la madre Paola Piras, 50 anni, dall’ex-compagno Masih Shahid, 29 anni. Il killer pakistano, un operaio, è stato arrestato nella mattinata di ieri dai carabinieri, poi è stato trasportato in caserma per l’interrogatorio. A dare l’allarme Stefania Piras, zia di Mirko, che abita nella stessa palazzina della tragedia, al piano di sotto.Stando alla prima ricostruzione degli inquirenti, l’uomo sarebbe entrato nella casa dell’ex-compagna e l’avrebbe colpita con un coltello per ucciderla. Ma Mirko sarebbe intervenuto per proteggere la mamma da quell’uomo violento e avrebbe così perso la vita, ucciso dallo stesso coltello che ha ridotto la madre in un letto d’ospedale a lottare tra la vita e la morte. Il comportamento violento dell’ex-compagno non è stato un fulmine a ciel sereno: di recente, l’uomo era stato già arrestato per maltrattamenti
La madre di Mirko, soccorsa dal 118, è ricoverata ora all’ospedale di Lanusei, in Ogliastra. La donna ha riportato sul corpo i segni di 17 coltellate, inferte con inaudita violenza ai reni, al volto, alla trachea e all’addome. I medici dell’ospedale Nostra Signora della Mercede di Lanuse l’hanno sottoposta ad un delicato intervento chirurgico durato circa 4 ore e tecnicamente riuscito, fa sapere lo staff sanitario dell’ospedale.L’ex compagno della donna, un pakistano di 29 anni, era stato già arrestato per maltrattamenti e, per questo motivo, gli era stato imposto dai giudici di Lanusei il divieto di avvicinamento, che ovviamente non ha rispettato. I due si erano conosciuti su Facebook due anni prima, per qualche tempo avevano avuto una relazione, ma la mamma di Mirko non riusciva più a liberarsi di quell’uomo violento, che continuava ad insultarla e minacciarla di morte.Tutti in quartiere sapevano di dover avvisare i carabinieri se avessero visto l’operaio arrivare in paese e avvicinarsi alla casa di Paola e Mirko. Ma l’uomo, sapendo ciò, ha scelto le prime luci dell’alba per agire, quando quasi nessuno avrebbe potuto vederlo ed avvisare le forze dell’ordine. continua https://www.ildigitale.it/mirko-ucciso-dallex-compagno-della-madre-difesa/
Un articolo d cronaca nera , cosa rara , non troppo sensazionalistico rispetto sia all'orripilante titolo del secolo d'Italia sia all'indignazione un tanto al kilo di
in una chat ho avuto una discussione simile allo stato fb dell'amica
Essere spregevoli in politica è spesso consuetudine, non ci si dovrebbe meravigliare più di niente, ma la strumentalizzazione di Giorgia Meloni sulla tragedia di Mirko stamattina mi ha rivoltato le budella.
Ora trovatemi altri post della Meloni o degli altri esponenti di destra ( compresi i loro seguaci \ simpatizzanti ) sui vari casi di cronaca che affliggono il paese, io vedo che si espone solo quando si tratta di stranieri? Cosa vuol dire "Pakistano uccide"? Premetto che il fatto mi ha sconvolta abbastanza perché il ragazzo aveva più o meno l'età di mia nipote ( figlia di mio cugino in primo ) e all'assassino gli avrei dato la peggior pena, ma è un assassino non un pakistano o d'altra nazionalità , l'intento della Meloni e company per il mio giudizio è da voltastomaco. come dicono alcuni comenti alla discussione ( qui tutti gli altri commenti ) dello stato prima citato :
*** la morte di un giovane ragazzo non dev'essere d'esempio per nessuno di noi comuni mortali, dovrebbe essere una molla che fa agire il governo in difesa di persone indifese, cose ovviamente che son ben lontane dal nostro 2021. È l'ennesima tragedia di una vittima di violenza. Ma esempio di che? Se le leggi funzionassero non ci sarebbe bisogno di piangere innocenti !
concordo con te ***** il problema è la criminalità, non la sua provenienza, ci può stare l'indignazione. In effetti non ho nemmeno mai capito il perché nei fatti di cronaca si tende sempre a sottolineare la nazionalità di chi ha compiuto il crimine. Come se fosse più criminale uno "straniero" rispetto a un italiano, sei delinquente punto e devi essere condannato per quello non per la provenienza
<< soprattutto >> come risponde l'autrice del post ad un commento << mi dicano dove leggono notizie di omicidi in cui si scriva "Italiano uccide". Ma quello che mi ha infastidito ora è cavalcare l'onda del dramma per il proprio tornaconto .🤮 >>>. Sempre in una chat privata il mio interlocutore dicui parlavo prima mi è stato detto << hai sollevato un "caso razzismo" dove proprio (in questo caso) non esiste... Mi dispiace... puoi anche trovare tutte le motivazioni possibili...ma è solo questione di pregiudizio... Io non ci vedo la benché minima traccia di razzismo . A me non frega un corno il fatto che si sottolinei la provenienza del criminale, non la vedo una cosa razzista. Semmai si è portati a vedere razzismo ovunque anche quando palesemente chi ha commesso quel crimine, bianco, nero, giallo o veldi chi sia, dovrebbe essere solo ed esclusivamente condannato... Non che ogni volta si parte con la manfrina del razzismo... Ma basta Santo cielo... Per me può essere chiunque, sempre un disgraziato da punire, severamente, resta.>> Io gli ho riposto ( e rispondo a tutti quelli che la pensano cosi ) ma tu un titolo della Meloni( o altro esponente di destra ) "giovane italiano uccide immigrato" lo trovi? Magari uno su Zdenka Kreicikova ( un altro orripilante femminicidio avvenuto l'ano scorso qui maggiori notizie ) . sapete qual è, per me, il problema? É che se è già di per sé gravissimo quello che ha fatto questo pezzo di merda, diventa ancora più grave per il fatto di essere un ospite in un paese straniero... E questo vale anche per un italiano che commetta un crimine all'estero. << Ma >> e qui concordo con *** un altro mio amico che ha scritto mi pare sul suo fb o sul suo twitter << dire che non è la nazionalità o l'etnia a fare di una persona un delinquente e in questo caso un omicida ma la sua individualità come essere umano. La Meloni continua a ripetere le stesse parole di propaganda trite e ritrite da 30 anni a questa parte nell'ambiente della destra e ormai ( come un onda appiccicosa ) non solo quando avviene un evento delittuoso compiuto da uno " straniero " e ne rimarca la nazionalità, ma non lo fa mai quando ad uccidere o delinquere è un suo connazionale. Credo sia lapalissiano. Chiudo qui perchè non so più cos'altro scrivere senza che le lacrime mi scendono sul viso se non che << tante cose segnano una vita\ e tante vite segnano qualcosa\qualcosa che verrà >> ( Kevlar Dall'album "Piazza Carlo Giuliani ragazzo" Il testo del ritornello è tratto da una poesia di Carlo )
FORSE è perché «sono abituati a doversi arrangiare tra grandi difficoltà» come osserva Stefano Rovelli, cofondatore di Singa Italia, un network nato nel 2018 per sostenere le attività degli imprenditori stranieri. Fatto sta che persino nell’anno del Covid le imprese guidate in Italia da imprenditori stranieri sono aumentate del 2,3 per cento secondo la Fondazione Leone Moressa, mentre quelle guidate da italiani sono rimaste più o meno stabili (-0,02 per cento). Ormai le imprese guidate da stranieri sono diventate un decimo di quelle nazionali, grazie a un aumento del 29,3 per cento negli ultimi dieci anni contro un calo dell’8,6 per cento di quelle italiane. «Gli stranieri possono anche contare su una rete familiare che permette loro di abbattere i costi, rimanendo aperti con orari prolungati. Hanno inoltre la possibilità di utilizzare filiere diverse, a costi più bassi» osserva Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione Leone Moressa. La maggior parte delle imprese guidate da stranieri si trova in Lombardia, segue il Lazio. Le prime tre nazionalità: cinesi, romeni e marocchini. La presenza maggiore è nel commercio, seguito da servizi, costruzioni e ristorazione. Qui di seguito alcuni di loro hanno accettato di raccontarsi al Venerdì.
Amanda Menezes, Brasile.
Trentaquattro anni, è venuta in Italia per amore, e ha aperto la sua azienda nel pieno della tempesta Covid: «Ho conosciuto mio marito a Rio de Janeiro, ci siamo sposati e l’ho raggiunto in Italia». Con una laurea e un Mba internazionale, e un’ottima conoscenza dell’inglese, Amanda pensava che sarebbe stato facile trovare
Amanda Menezes, 34 anni, importa costumi brasiliani
un lavoro. «E invece dopo mesi di ricerca, niente. Sapevo che se avessi fatto passare altro tempo avrebbe avuto un effetto negativo sul mio curriculum, e così ho deciso di mettermi in proprio». L’idea è stata quella di importare in Italia la moda mare brasiliana, ma con una particolare connotazione: «Scelgo solo tessuti sostenibili, importo i lavori artigianali delle donne indigene del Sudamerica, aiutandole anche così a preservare la loro cultura». La pandemia non l’ha scoraggiata: «Sto lavorando anche per ampliare la produzione attraverso accordi con artigiane del Sud Italia. E a breve lancerò la prima collezione, con modelli interamente creati da me».
Marco Wong, Cina
«Perché i cinesi sono tra le prime nazionalità tra gli imprenditori stranieri? Perché l’80 per cento dei cinesi che vivono in Italia vengono dallo ZheJiang, un’area dove da sempre si coltiva il sogno imprenditoriale». Marco, 57 anni, è diventato cittadino italiano a 18. È cresciuto a Firenze, è tornato in Cina, ha lavorato in Sudamerica e infine è rientrato a Roma, dove vive e ha tre aziende: una si occupa di importazione di alimenti etnici, la seconda gestisce gli immobili di supporto all’altra, e infine la terza si occupa di organizzazione di eventi digitali. «Per uno straniero molto spesso aprire un’impresa è l’unico modo per non essere rispedito al proprio Paese, e ciò vale anche nei momenti di crisi, come questo». E per superare gli ostacoli rappresentati dalla lingua e dalla normativa, spiega: «In Italia si creano delle strutture professionali legate a chi è arrivato prima che mettono a disposizione consulenti, mediatori e commercialisti».
Elena Musuc, Moldavia
Sono venuta in Italia nel 2009 dalla Moldavia, a 20 anni: ho studiato all’Accademia di Belle Arti e mi sono innamorata di Leonardo da Vinci, dell’architettura, delle opere dei Musei Vaticani. Ho cominciato a lavorare come baby sitter e domestica, ma il mio sogno era realizzare abiti di sartoria ispirati all’arte italiana. Anche adesso, quando creo le mie collezioni, vado nei musei per cercare ispirazione». Elena Musuc, 33 anni, ha un negozio nel centro di Roma, a Largo Argentina. Realizza abiti su misura e fa anche riparazioni di sartoria: «Con il lockdown le persone hanno ritrovato negli armadi abiti vecchi di 20 anni, di buona qualità ma che non riescono più a indossare. Io li trasformo in modo che possano metterli di nuovo». Prima di aprire il proprio negozio ha lavorato anche nelle boutique di grandi stilisti, da Armani a Gucci: «Mi hanno presa perché parlavo il russo», racconta. Ha avuto grandi difficoltà per il credito iniziale, ce l’ha fatta grazie a prestiti di amici e alla sua forza di volontà, e nei mesi più duri del Covid ha anche cominciato a cucire mascherine. Nel frattempo si è sposata e ha avuto due bambini, che ora hanno sei mesi e quattro anni.
Kelly Chidi-Ogbonna, Nigeria
Laureata in statistica, Kelly Chidi-Ogbonna, 35 anni, ha un diploma post laurea in formazione e sviluppo e un diploma in affari e imprenditorialità. Eppure quando, nel 2013, è venuta in Italia dalla Nigeria per raggiungere suo marito, che già era emigrato e viveva a Padova, non riusciva a trovare lavoro. «È stato tutto molto difficile, frequentare la scuola per imparare la lingua, conciliare tutto con la nascita dei miei tre figli». Piuttosto che continuare a cercare un impiego, nel 2015 ha avuto un’idea: esportare in Nigeria vino biologico italiano. «Le banche non mi hanno aiutato e quindi ho cominciato con piccole quantità. È stata ed è ancora una vera sfida». Ha anche un blog, che si chiama The finest italian wine. Nel 2017, con l’aiuto dell’incubatore di Singa, Kelly ha aperto la startup MySpotlyt, che mette in contatto persone di talento con aziende o imprenditori che possano farle lavorare, permettendo di realizzare i loro sogni. Un po’ come è successo a lei.
Marco Soxo, Ecuador
Quarantuno anni, è arrivato in Italia malvolentieri: «Sono stato costretto nel 1999 dalla mia famiglia, che si era tutta trasferita qua, comprese sei delle mie otto sorelle. Quando sono arrivato smagnetizzavamo videocassette usate in modo che potessero essere usate per nuove registrazioni». A quel punto Marco si è messo a studiare italiano, ha fatto il cassiere, pulito le piscine, ha preso il patentino di istruttore di nuoto. «Nel 2006 ho aperto la mia prima impresa, con soci italiani: un ristorante di cucina messicana in franchising in un Carrefour di Limbiate». Dalla ristorazione è passato alla disinfestazione delle cucine, aprendo una nuova azienda con una certificazione ad hoc per l’eliminazione di “insetti striscianti e roditori”. Il Covid gli ha un po’ ridotto il lavoro, ma non si scoraggia: «Gli italiani stanno cominciando a diventare più pigri, spesso le aziende muoiono perché i figli non sanno gestire quello che hanno avuto dai genitori, mentre uno straniero parte da zero e non ha niente da perdere. E poi agiamo con più “incoscienza” e quando ci rendiamo conto che ci sono problemi, ci rimbocchiamo le maniche e andiamo avanti».
Ma gli italiani salvo pochi esempi vedi post precedente che fanno ?
Dal titolo sembrerebbe che ce l'abbia con i commessi . Beh non completamente perchè ubbidiscono alle direttive del proprietario \ del capo , ma un minimo d'umanità cioè saper distinguere la regola dell'eccezione non guasterebbe specialmente quando è un cliente che viene in quel supermercato da 30 anni . Ma soprattutto mi lascia basito il fatto che nessuno\a in fila alla cassa sia intervenuto \a facendo il gesto o di pretestare alla signora 0.60 €cent che fine a fatto la solidarietà . Molti mi diranno e tu cosa avresti fatto ? come faccio quando mi capita , gli avrei prestati
Corriere della Sera 2018-05-23 predsa tramite l'aggregatore http://va.newsrepublic.net/ Quattro cose. Latte, burro, zucchero e uova hanno già fatto “bip”. La cassiera parla alla signora guardando da un’altra parte.
“Dieci euro e sessanta”
Quattro cose. Latte, burro, zucchero e uova hanno già fatto “bip”. La cassiera parla alla signora guardando da un’altra parte.
“Dieci euro e sessanta”
“Quanto ha detto?”
“Dieci e sessanta”
La signora gira le dita nel portafoglio e continua a spostare la banconota da dieci euro per cercare le monetine.
“I sessanta glieli porto dopo”
La cassiera sposta lo sguardo dal nulla e lo posa sulla signora. Non può non vedere un elegante e borghesissimo vestito di fiori, le rughe che dicono ottanta e la schiena un po’ curva che conferma.
“Mi spiace signora, il supermercato non può far credito. Deve lasciare giû qualcosa”
“Guardi non posso lasciare giù niente, mi serve tutto”
“Mi spiace”
“Ma sono trent’anni che vengo in questo supermercato”
“Mi spiace”
Vedo la signora muoversi faticosamente verso l’uscita senza nulla in mano. Non pare stizzita e cammina lenta. Gli occhi della giovane cassiera non la seguono. Pago in fretta le mie cose e per un attimo mi vergogno di aver assistito alla scena come a teatro senza pensare. Sono rimbambito.
Cerco di guadagnare velocemente l’uscita per rimediare e trovo la signora davanti a un ragazzo africano nella zona dei carrelli
“Mi presti sessanta centesimi?”
Il ragazzo africano non capisce, sgrana gli occhi. Sembra spiazzato. Forse ha mille domande in testa o forse nessuna fatto sta che schiude il pugno.
“Prenda quello che vuole signora”
Lo guardo. Si sente un re quel ragazzo, se fosse passato uno e gli avesse mollato una banconota da cento non sarebbe altrettanto felice.
La signora torna alla cassa. Non resisto e la seguo, fremo come davanti a un calcio di rigore. Ci siamo: la signora porge alla cassiera dieci euro e sessanta centesimi.
“Sa chi me li ha dati? Quel nero là ”. Poi prende le quattro cose e se ne va.
Cerco lo sguardo della sconfitta nella cassiera e trovo la solita espressione anafettiva, cerco il sorriso della vendetta nell’anziana e scorgo sofferenza.
Nei pressi dell’auto rivedo il ragazzo africano che gesticola e alla fine dà una pacca a un connazionale. Non avevano niente e ora hanno niente meno sessanta centesimi ma stanno ridendo. Hanno la luce negli occhi e sguardi di speranza. “Quanto ha detto?”
“Dieci e sessanta”
La signora gira le dita nel portafoglio e continua a spostare la banconota da dieci euro per cercare le monetine.
“I sessanta glieli porto dopo”
La cassiera sposta lo sguardo dal nulla e lo posa sulla signora. Non può non vedere un elegante e borghesissimo vestito di fiori, le rughe che dicono ottanta e la schiena un po’ curva che conferma.
“Mi spiace signora, il supermercato non può far credito. Deve lasciare giû qualcosa”
“Guardi non posso lasciare giù niente, mi serve tutto”
“Mi spiace”
“Ma sono trent’anni che vengo in questo supermercato”
“Mi spiace”
Vedo la signora muoversi faticosamente verso l’uscita senza nulla in mano. Non pare stizzita e cammina lenta. Gli occhi della giovane cassiera non la seguono. Pago in fretta le mie cose e per un attimo mi vergogno di aver assistito alla scena come a teatro senza pensare. Sono rimbambito.
Cerco di guadagnare velocemente l’uscita per rimediare e trovo la signora davanti a un ragazzo africano nella zona dei carrelli
“Mi presti sessanta centesimi?”
Il ragazzo africano non capisce, sgrana gli occhi. Sembra spiazzato. Forse ha mille domande in testa o forse nessuna fatto sta che schiude il pugno.
“Prenda quello che vuole signora”
Lo guardo. Si sente un re quel ragazzo, se fosse passato uno e gli avesse mollato una banconota da cento non sarebbe altrettanto felice.
La signora torna alla cassa. Non resisto e la seguo, fremo come davanti a un calcio di rigore. Ci siamo: la signora porge alla cassiera dieci euro e sessanta centesimi.
“Sa chi me li ha dati? Quel nero là ”. Poi prende le quattro cose e se ne va.
Cerco lo sguardo della sconfitta nella cassiera e trovo la solita espressione anafettiva, cerco il sorriso della vendetta nell’anziana e scorgo sofferenza.
Nei pressi dell’auto rivedo il ragazzo africano che gesticola e alla fine dà una pacca a un connazionale. Non avevano niente e ora hanno niente meno sessanta centesimi ma stanno ridendo. Hanno la luce negli occhi e sguardi di speranza.
Nessuno vuole affittare una casa alla famiglia di origine pakistana
«Ci dicono che la casa è disponibile, ma appena diciamo che veniamo dal Pakistan trovano qualche scusa per non affittarcela»: Mina, che è pakistana ma che nella parlata non ha alcuna inflessione
PADOVA.
«Ci dicono che la casa è disponibile, ma appena diciamo che veniamo dal Pakistan trovano qualche scusa per non affittarcela»: Mina, che è pakistana ma che nella parlata non ha alcuna inflessione straniera, non riesce a trovare una casa per lei e la sua famiglia: mamma, papà, un fratello piccolo e un cugino. Continua a cercare fra gli annunci e a chiamare, ma niente. Al telefono va tutto bene, ma quando rivela le sue origini le cose cambiano.«Non vogliono avere a che fare con noi. Si inventano mille scuse per non affittarci la casa». Eppure il papà di Mina lavora con un contratto a tempo indeterminato. «Nemmeno questo basta. E così, ora che siamo stati sfrattati dalla casa di via Manara, dove viviamo, non sappiamo come fare». Un caso purtroppo non isolato. Ce ne sono molti di simili, come evidenzia l’Adl Cobas, che ieri mattina insieme a Sportello Meticcio ha organizzato un sit-in proprio davanti all’Ufficio Casa di via Tommaseo, per riportare sotto i riflettori l’emergenza abitativa.
Purtroppo il fenomeno della casa e degli affitti non riguarda sono i nuovi italiani o exstracomunitari . Infatti sempre secondo questi articolo
Un caso purtroppo non isolato. Ce ne sono molti di simili, come evidenzia l’Adl Cobas, che ieri mattina insieme a Sportello Meticcio ha organizzato un sit-in proprio davanti all’Ufficio Casa di via Tommaseo, per riportare sotto i riflettori l’emergenza abitativa. «Oltre ai casi come quello della famiglia di Mina, ce ne sono moltissimi di difficili. Soprattutto quando si parla di case dell’Ater e del Comune» spiega Riccardo Ferrara di Adl Cobas. «Stiamo assistendo a un preoccupante ritorno degli sfratti per morosità, quando ci sono 600 alloggi pubblici vuoti, di cui 500 dell’Ater, e 1200 famiglie in attesa, a fronte di 80 assegnazioni l’anno». Questo, secondo il sindacato, a causa di una mancanza di discussione e accordo tra Ater e Comune. «L’Ater preferisce lasciare vuoti i propri alloggi, mettendone a disposizione 20 rispetto ai più di 2 mila disponibili. Così blocca le le assegnazioni. La graduatoria ferma al 2015 parla da sola»
Alle email ricevute dopo il mio post sul caso Calderoli - Kyenge in cui mi si dice che sono esagerato ne definire razzismo di stato , chiedo allora questo cosa è
Il Dasp ha aperto un'indagine interna in seguito al comportemento tenuto da alcuni agenti della polizia penitenziaria
Il 15 febbraio scorso, un detenuto rumeno di 39 anni si è impiccato nella sua cella del carcere di Opera a Milano. L'uomo era stato condannato all'ergastolo per aver commesso un omicidio nel 2007. La notizia avrebbe dovuto destare un certo sdegno, perché è un nuovo segnale dei gravi problemi che affliggono il regime di detenzione in Italia. Troppo spesso, infatti, non riesce ad assolvere alla sua funzione rieducativa e a salvaguardare la vita delle persone. E invece c'è stato chi ha esultato. Non stiamo parlando di "normali" cittadini, bensì di alcuni agenti del sindacato di polizia penitenziaria Alsippe. Gli agenti, sulla pagina Facebook dell'ente, si sono lasciati andare a commenti crudeli e razzisti nei confronti del suicida: "Meno uno"; "Un rumeno in meno"; "mi chiedo cosa aspettino gli altri a seguirne l'esempio".
C'è qualcuno che ha provato a reagire sul social network, protestando davanti ad espressioni così disumane. Ma le risposte, di tono palesemente fascista, non si sono fatte attendere: "Lavora all'interno di un istituto. Sono solo extracomunitari. Per fare questo mestiere devi avere il core nero".
Questa storia, con ogni probabilità, non finirà qui. Il caso è stato segnalato al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Secondo quanto riportato da Repubblica.it, il Dasp ha avviato un'inchiesta interna. E la cosa ci pare più che opportuna, visto che le frasi in questione provengono da agenti con responsabilità sindacali.
Secondo il Centro Studi di Ristretti Orizzonti, i suicidi in carcere nel 2014 sono stati 43, mentre i morti totali 131. Dall'inizio del 2015, invece, le persone che si sono tolte la vita nelle nostre prigioni sono già 6. Numeri, questi, che dovrebbero far riflettere.
solo le solite mele marce ? ivviamenrte il mio pensiero collima con quanto dice commentando la notizia sula pgina fb dela nuova sardegna
Sara OggianoDopo un lungo periodo di volontariato presso una struttura penitenziaria per detenuti definitivi, ho avuto modo di incntrare il personale che opera all'interno. Posso dire che la polizia penitenziaria è in numeri troppo esigui rispetto a quello dei detenuti, svolgono turni di lavoro spesso troppo lunghi e non possono usifruire delle ferie proprio perché sottodimensionati come necessità di presenze. Tutto questo, a lungo andare, crea dei grandi disagi, perché alla fine, una professione fatta con passione diventa una detenzione involontaria. È un lavoro delicato e difficile e vi assicuro che il personale che ho conosciuto collaborava con noi volontari in maniera assolutamente seria e professionale. Non è corretto lasciare commenti cosi brutali rispetto alla morte ma bisogna anche ricordarsi di chi opera seriamente all'interno del carcere. La malattia professionale più diffusa, in questo caso, è legata allo stress psicologico.... Lavorare nelle strutture "totali", quali il carcere e un tempo gli ospedali psichiatrici, è un po più complicato....ci si sente fisicamente prigionieri, anche se non lo si è..... È giusto arrabbiarsi per quei commenti ma non offendiamo una categoria di lavoratori seri!