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18.4.21

Nell’anno della pandemia le piccole imprese guidate da cittadini stranieri in Italia sono cresciute nonostante la crisi e la burocrazia.

 

  da  repubblica  online 

FORSE  è perché «sono abituati a doversi arrangiare tra grandi difficoltà» come osserva Stefano Rovelli, cofondatore di Singa Italia, un network nato nel 2018 per sostenere le attività degli imprenditori stranieri. Fatto sta che persino nell’anno del Covid le imprese guidate in Italia da imprenditori stranieri sono aumentate del 2,3 per cento secondo la Fondazione Leone Moressa, mentre quelle guidate da italiani sono rimaste più o meno stabili (-0,02 per cento). Ormai le imprese guidate da stranieri sono diventate un decimo di quelle nazionali, grazie a un aumento del 29,3 per cento negli ultimi dieci anni contro un calo dell’8,6 per cento di quelle italiane. «Gli stranieri possono anche contare su una rete familiare che permette loro di abbattere i costi, rimanendo aperti con orari prolungati. Hanno inoltre la possibilità di utilizzare filiere diverse, a costi più bassi» osserva Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione Leone Moressa. La maggior parte delle imprese guidate da stranieri si trova in Lombardia, segue il Lazio. Le prime tre nazionalità: cinesi, romeni e marocchini. La presenza maggiore è nel commercio, seguito da servizi, costruzioni e ristorazione. Qui di seguito alcuni di loro hanno accettato di raccontarsi al Venerdì.

Amanda Menezes, Brasile.

Trentaquattro anni, è venuta in Italia per amore, e ha aperto la sua azienda nel pieno della tempesta Covid: «Ho conosciuto mio marito a Rio de Janeiro, ci siamo sposati e l’ho raggiunto in Italia». Con una laurea e un Mba internazionale, e un’ottima conoscenza dell’inglese, Amanda pensava che sarebbe stato facile trovare

Amanda Menezes, 34 anni, importa costumi brasiliani  

un lavoro. «E invece dopo mesi di ricerca, niente. Sapevo che se avessi fatto passare altro tempo avrebbe avuto un effetto negativo sul mio curriculum, e così ho deciso di mettermi in proprio». L’idea è stata quella di importare in Italia la moda mare brasiliana, ma con una particolare connotazione: «Scelgo solo tessuti sostenibili, importo i lavori artigianali delle donne indigene del Sudamerica, aiutandole anche così a preservare la loro cultura». La pandemia non l’ha scoraggiata: «Sto lavorando anche per ampliare la produzione attraverso accordi con artigiane del Sud Italia. E a breve lancerò la prima collezione, con modelli interamente creati da me».


Marco Wong, Cina

«Perché i cinesi sono tra le prime nazionalità tra gli imprenditori stranieri? Perché l’80 per cento dei cinesi che vivono in Italia vengono dallo ZheJiang, un’area dove da sempre si coltiva il sogno imprenditoriale». Marco, 57 anni, è diventato cittadino italiano a 18. È cresciuto a Firenze, è tornato in Cina, ha lavorato in Sudamerica e infine è rientrato a Roma, dove vive e ha tre aziende: una si occupa di importazione di alimenti etnici, la seconda gestisce gli immobili di supporto all’altra, e infine la terza si occupa di organizzazione di eventi digitali. «Per uno straniero molto spesso aprire un’impresa è l’unico modo per non essere rispedito al proprio Paese, e ciò vale anche nei momenti di crisi, come questo». E per superare gli ostacoli rappresentati dalla lingua e dalla normativa, spiega: «In Italia si creano delle strutture professionali legate a chi è arrivato prima che mettono a disposizione consulenti, mediatori e commercialisti».

Marco Wong, 57 anni, ha tre società  

Elena Musuc, Moldavia

Sono venuta in Italia nel 2009 dalla Moldavia, a 20 anni: ho studiato all’Accademia di Belle Arti e mi sono innamorata di Leonardo da Vinci, dell’architettura, delle opere dei Musei Vaticani. Ho cominciato a lavorare come baby sitter e domestica, ma il mio sogno era realizzare abiti di sartoria ispirati all’arte italiana. Anche adesso, quando creo le mie collezioni, vado nei musei per cercare ispirazione». Elena Musuc, 33 anni, ha un negozio nel centro di Roma, a Largo Argentina. Realizza abiti su misura e fa anche riparazioni di sartoria: «Con il lockdown le persone hanno ritrovato negli armadi abiti vecchi di 20 anni, di buona qualità ma che non riescono più a indossare. Io li trasformo in modo che possano metterli di nuovo». Prima di aprire il proprio negozio ha lavorato anche nelle boutique di grandi stilisti, da Armani a Gucci: «Mi hanno presa perché parlavo il russo», racconta. Ha avuto grandi difficoltà per il credito iniziale, ce l’ha fatta grazie a prestiti di amici e alla sua forza di volontà, e nei mesi più duri del Covid ha anche cominciato a cucire mascherine. Nel frattempo si è sposata e ha avuto due bambini, che ora hanno sei mesi e quattro anni.

Elena Musuc, 33 anni, stilista   

Kelly Chidi-Ogbonna, Nigeria

Laureata in statistica, Kelly Chidi-Ogbonna, 35 anni, ha un diploma post laurea in formazione e sviluppo e  un diploma in affari e imprenditorialità. Eppure quando, nel 2013, è venuta in Italia dalla Nigeria per raggiungere suo marito, che già era emigrato e viveva a Padova, non riusciva a trovare lavoro. «È stato tutto molto difficile, frequentare la scuola per imparare la lingua, conciliare tutto con la nascita dei miei tre figli». Piuttosto che continuare a cercare un impiego, nel 2015 ha avuto un’idea: esportare in Nigeria vino biologico italiano. «Le banche non mi hanno aiutato e quindi ho cominciato con piccole quantità. È stata ed è ancora una vera sfida». Ha anche un blog, che si chiama The finest italian wine. Nel 2017, con l’aiuto dell’incubatore di Singa, Kelly ha aperto la startup MySpotlyt, che mette in contatto persone di talento con aziende o imprenditori che possano farle lavorare, permettendo di realizzare i loro sogni. Un po’ come è successo a lei.

Kelly Chidi-Ogbonna, 35 anni, esporta vino in Nigeria 

Marco Soxo, Ecuador

Quarantuno anni, è arrivato in Italia malvolentieri: «Sono stato costretto nel 1999 dalla mia famiglia, che si era tutta trasferita qua, comprese sei delle mie otto sorelle. Quando sono arrivato smagnetizzavamo videocassette usate in modo che potessero essere usate per nuove registrazioni». A quel punto Marco si è messo a studiare italiano, ha fatto il cassiere, pulito le piscine, ha preso il patentino di istruttore di nuoto. «Nel 2006 ho aperto la mia prima impresa, con soci italiani: un ristorante di cucina messicana in franchising in un  Carrefour di Limbiate». Dalla ristorazione è passato alla disinfestazione delle cucine, aprendo una nuova azienda con una certificazione ad hoc per l’eliminazione di “insetti striscianti e roditori”. Il Covid gli ha un po’ ridotto il lavoro, ma non si scoraggia: «Gli italiani stanno cominciando a diventare più pigri, spesso le aziende muoiono perché i figli non sanno gestire quello che hanno avuto dai genitori, mentre uno straniero parte da zero e non ha niente da perdere. E poi agiamo con più “incoscienza” e quando ci rendiamo conto che ci sono problemi, ci rimbocchiamo le maniche e andiamo avanti».

Marco Soxo, 41 anni, disinfesta le cucine 
Ma gli italiani  salvo   pochi esempi    vedi post  precedente  che fanno  ? 

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