capisco che non ti voglia vaccinare e cerchi cure alternativa . Ma questa è pura follia . non puoi imporre a gli altri le tue scelte
Un no vax a processo. Da quando si era vaccinata contro il Covid l'ex marito aveva convinto i figli che fosse «radioattiva» e non consentiva loro di avvicinarla. L'uomo è ora imputato a Bergamo e come
riferisce l'edizione locale del Corriere della Sera la donna ha di nuovo con sé da un mese i due ragazzi di 16 e 13 anni che erano stati in comunità per tre anni per riprendersi da quelli che, secondo l'accusa, sono stati i maltrattamenti psicologici del padre. No vax, acqua magica e processo Il padre, con cui è separata dal 2017, ha perso la responsabilità genitoriale e da fine agosto ha il divieto di avvicinamento. Le difficoltà erano già sorte nel 2018 ma dal marzo 2021, quando la donna si era vaccinata contro il Covid, erano divenuti insostenibili. «Non venivano più a tavola con me, si cucinavano loro da mangiare dicendomi "tu non puoi toccare", non salivano in auto, se mi sedevo sul divano mi spingevano via con calci e pugni», ha raccontato in aula. In quel momento i figli avevano 13 e 10 anni. «Mi dicevano che ero radioattiva» ed è convinta che glielo avesse inculcato l'ex marito. Nel capo di imputazione è scritto che l'uomo li «persuadeva di non avvicinarsi alla madre per almeno 40 giorni» dopo la vaccinazione». «Diceva "ragazzi uscite, che non è niente", che il Covid non esisteva e la mascherina era dannosa. La mettevano abbassata. Fece saltare loro la scuola, il più grande venne bocciato in terza media per le assenze» e prima della pandemia, «aveva sospeso l'antibiotico a uno dei nostri figli quando nel fine settimana erano con lui». Invece «dava loro boccette con dell'acqua magica, io le svuotavo e mettevo l'acqua normale» ha raccontato, aggiungendo che l'ex marito «imponeva le mani sui bambini dicendo che avrebbe assorbito il loro dolore» Nel 2022 l'imputato era stato prosciolto dal gup «perché il fatto non sussiste» e il giudice parlò di una «preoccupazione iperprotettiva per i figli», su cui potrebbe aver inciso la parziale incapacità di intendere e volere riconosciuta dal perito. Su ricorso del pm, però, la Corte d'Appello ha mandato l'uomo a processo.
Oggi si commemorano le vittime del #covid19. La ricorrenza è nazionale, ma nessuno la simboleggia meglio di Jihad, il giovane #palestinese che ogni giorno si arrampicava sulla parete dell'ospedale
dov'era ricoverata sua madre Rasma Salama, per poterla vegliare da lontano. In molti siamo stati Jihad, o avremmo voluto esserlo. Molti hanno salutato i propri cari solo dietro un vetro. Altri non hanno avuto nemmeno questa possibilità. Da allora sono trascorsi quattro anni. Rasma nel frattempo è deceduta, di Jihad abbiamo perso le tracce, ma la #Palestina sanguina più che mai; e il mondo intero trema sotto l'incubo di una #guerra, la #pandemia più devastante di tutte.Il «vaccino» in verità ci sarebbe. È il vaccino del #figlio, di chi sa di essere amato e a sua volta ama. Non esiste altro rimedio per le infermità che incontriamo o ci procuriamo.
Oggi è anche una pagina cittadina, milanese, grigia Da #annidipiombo. Quegli anni non erano formidabili, ma #faustoejaio sì. Figli per sempre, rossi, #comunisti. Soprattutto, rossi di garofano, come il petalo allegato al necrologio di una mia amica dell'epoca. Un garofano di 46 anni accompagnato da una grafia adolescenziale, perché chi muore come Fausto e Jaio, per mano di #neofascisti (quelli veri) che controllavano il mercato della #droga, può essere solo giovanissimo. A Fausto e Jaio faceva male il mondo, avevano sogni, volevano liberare i loro coetanei dalla tossicodipendenza. Impresa impossibile, da folli; un «gioco da ragazzi»! Formidabili quegli anni? No. Formidabile, assurda la giovinezza, che una volta era tanta e affollata.
Dai figli ai #padri. È morto il #19marzo, giorno di #sangiuseppe, e si chiamava Giuseppe. Era padre come #giuseppedinazareth, «putativo». #donpeppediana pensava a tutti i suoi «figli». Parlava con la sua presenza, col suo stare a #casaldiprincipe. Lo chiamavano «prete #anticamorra», ma era un prete che faceva il prete. Anch'egli aveva sogni, come i vecchi e i bambini del profeta #Gioele. Anch'egli fu tolto di mezzo «con ingiusta sentenza ». Ma senza questi padri - e questi figli - «sconfitti», l'umanità sarebbe scomparsa da un pezzo. Forse, non sarebbe mai esistita.
«Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscere la differenza.» perchè le file dei no vax ( foto a sinistra ) per farsi il tampone Stanno mettendo in crisi la pietà degli italiani. Infatti i tanti, troppi No Vax uccisi dalla malattia che negavano, e dunque con-dannati a quel contrappasso che impietosiva persino Dante. Generalmente l’Italia della misericordia, il popolo che nelle disgrazie dà il meglio di sé, non solo non perdona, ma neppure sembra commuoversi per questi morti senza vaccino o per i loro appelli spesso coerenti ma generalmente a modo di lacrime di coccodrillo E forse perché la ferocia dei primi due anni di pandemia, con quelle bare che, nell’inverno del 2020, furono caricate sui camion militari verso una cremazione senza sepoltura, sono oggi “memoria collettiva”, sono il passato che, come dicono i filosofi della Storia, perduta l’urgenza, “pende sul presente come una mannaia” ma di cui viene ignorate , basti vedere le piazze reali e virtuali dei novax co la ( la maggior parte ) arroganza fisico e verbale .
Forse perché
i nomi di quelle vittime non sono ancora stati incisi sulle colonne di marmo dei Monumenti ai Caduti, l’Italia dunque sembra negare alla perduta gente dei No Vax, pentiti o irriducibili che siano, quella pietà che concede a tutte le povere vittime, fossero pure di se stessi: lasciate ogni speranza, o voi che entrate.
<< Eppure --- sempre secondo Merlo ---- noi italiani abbiamo sofferto per la mamma assassina di Cogne. E i battiti del cuore ci hanno impedito di accanirci su Olindo e Rosa, mostri assassini ma innamorati. E davanti alla vigliaccheria criminale di Schettino ci ha addolcito il riconoscerlo come nostro fratello. >> Invece adesso un’implacabile soddisfazione rischia di diffondersi nel Paese della Pietà di Michelangelo proprio mentre cresce l’elenco di quelli che muoiono perché non ci credono, perché non se la bevono, e nonostante siano dolorose e persino strazianti le loro pene e le loro “lacrime impure”. Ecco alcuni casi : Anna Caruso, l’infermiera di 64 anni dell’ospedale di Alessandria che un mese prima di morire diceva: “Io questo virus, a questo punto, mi auguro di prenderlo; piuttosto che morire strisciando meglio morire in piedi”. Ci vuole molto più pudore ed è davvero necessario governare il cinismo quando l’ammalato No Vax sta ancora lottando contro il Covid. Del professor Festini al Carreggi, e di Mauro da Mantova che nei suoi sfoghi alla radio degli “sfogati” (la Zanzara di Cruciani e Parenzo) già malato si vantava di andare al supermercato con 38 di febbre “per fare l’untore”. Per il l'ultimo il caso della preside di un liceo della mia città ù
La verità è che questi poveracci, già da sani, farebbero a tutti gli italiani una gran pena se il covid non avesse aggredito la solidarietà e imbrattato anche la carità.
Nel nuovo clima di caccia alle streghe si sente spesso parlare di "irrazionalità". I no-vax, ma anche i no-qualunque-cosa, sarebbero "irrazionali". In TV ci si spinge spesso oltre, definendoli come dei "pazzi" (noto di passaggio che l'uso del concetto di "follia" ricorre come se Basaglia non fosse mai esistito). C'è una nuova religione dell'ortodossia razionale che decide che cosa non lo è (non è certo una novità nella storia): gli "irrazionali", però, non sono solo i terrapiattisti, quelli delle scie chimiche, i negatori della realtà, gli anti-scientisti, i diffusori di bufale, ecc.ecc.: la categoria può allargarsi a dismisura ricomprendendo tutti quelli che si rivolgono a forme di medicina alternativa o naturale, i cultori dell'agricoltura biodinamica, i militanti notav, i salutisti radicali, gli eremiti, gli scettici, i non allineati, e così via. È interessante notare che i guardiani militanti della "razionalità" ufficiale dicono di "credere" nella scienza. Come se poi la scienza non avesse favorito cose irrazionalissime, tipo la bomba atomica o le armi batteriologiche o un'espansione malsana e distruttiva della specie in ogni ecosistema. Ovvio che il problema non è "la" scienza in sé (che, tra l'altro, non può essere compatta e monolitica per definizione), ma la sua commistione con i sistemi economico-politici (salvo che qualcuno creda ancora alla favola della neutralità di scienza e tecnica). ..... continua su https://mariodomina.wordpress.com/2021/12/06/irrazionale/
Si è sentito dire di tutto. “Non mi fido”. “Non è vero niente”. “Chissà cosa ci mettete dentro...”Alla fine Amedeo Giorgetti, 65 anni, medico di famiglia di Recanati, ha detto basta. Ha affisso fuori dalla porta dello studio un cartello che recita:
“Caro paziente, il Covid ha devastato la vita umana e professionale. Fino a oggi, il vaccino è l’unica arma per non ammalarsi. Se ha qualche dubbio o timore, sono a disposizione. Se invece crede che il vaccino sia una pericolosa arma in mano alle multinazionali del farmaco con la connivenza di noi medici di famiglia, è pregato di cambiare ambulatorio perché non tollero queste accuse stupide e offensive.”
Li curerà, perché questo è quel che prevede il giuramento di Ippocrate e la deontologia professionale. Ma, una volta superata la malattia, li ricuserà. Il gesto forte contro no vax è stato annunciato dal dottor Amedeo Giorgetti che ha il suo ambulatorio nel centro di Recanati, la città natale di Giacomo Leopardi. E fuori dal suo studio ha già affisso un messaggio evocativo che serve da monito a tutti i suoi pazienti che ancora non si sono vaccinati. Dopodiché, una volta guarito, Giorgetti andrà direttamente alla Asl e ricuserà il paziente no-vax. Lo ha già fatto. Il messaggio è chiarissimo.
Nella chat con oltre mille esperti tra medici e giuristi anti Covid, il medico di Recanati ha già raccolto grande sostegno: dopo il cartello affisso alla porta del suo ambulatorio, non ha più intenzione di tollerare pazienti che rifiutano il vaccino
La rivolta dei medici di famiglia contro i No vax parte dalla piccola Recanati, con il dottor Amedeo Giorgetti fermamente convinto a rinunciare ai suoi pazienti se continuano a rifiutare con ostinazione il vaccino anti Covid. Intervistato dal Corriere della Sera, il medico racconta di aver già raccolto grande sostegno tra i colleghi che animano la chat «Renaissance team vs Covid», un gruppo di oltre mille
professionisti che vanno da Matteo Bassetti al presidente di Gimbe Nino Cartabellotta, passando per componenti del Cts e dell’Iss, ma che aderiscono al gruppo a titolo personale per un confronto continuo sulla lotta alla pandemia. Quello spinto dal dottor. Giorgetti è un ribaltamento di fronte nel completato e spesso esasperante rapporto con chi di farsi curare non ha alcuna intenzione. Tutto sarebbe partito quando il medico ha affisso fuori dalla sua porta un cartello che è tutto un programma: «Caro paziente, il Covid ha devastato la vita umana e professionale. Fino a oggi, il vaccino è l’unica arma per non ammalarsi. Se ha qualche dubbio o timore, sono a disposizione. Se invece crede che il vaccino sia una pericolosa arma in mano alle multinazionali del farmaco con la connivenza di noi medici di famiglia, è pregato di cambiare ambulatorio perché non tollero queste accuse stupide e offensive».
«Chissà cosa ci mettete dentro»
L’intenzione di Giorgetti è di andare direttamente alla propria Asl e ricusare il paziente No vax, ovviamente: «Solo dopo averlo guarito». E un caso c’è già stato: «Un mio paziente 55enne – spiega il medico – obeso, iperteso e diabetico, col quale da sei mesi sto discutendo per cercare di convincerlo a fare il vaccino e lui: “No, per carità, chissà che mi mettete dentro”. È risultato positivo al tampone». L’equipe medica Usca, spedita da Giorgetti, lo ha seguito per le cure domiciliari, è guarito e a quel punto le strade tra i due si sono separate: «Gli ho detto che una volta guarito avrebbe dovuto cambiare medico. Così ha fatto, per fortuna sua e mia». Il messaggio che Giorgetti vuole lanciare è chiaro: «Basta avere a che fare con gente mi tratta a pesci in faccia e quando prende il Covid non solo pretende di ricevere immediatamente assistenza, ma usa arroganza. Voglio dare un segnale forte ai No vax: se continuate così, il vostro medico vi lascia».
Generalmente uso facebook per ripondere al commenti dei post che scrivo o condivido , ma quando la risposta è troppo lunga , meglio un altro canale comunicativo , il blog a cui l'account e la pagina sono appendici , in questo caso . Nel post d'oggi rispondo a questo commento
haagione perché la legge sul green pass è fatta a .... Ultimamente siete diventati anche costituzionalisti, grande posto FB, specialisti a gogò..
fattomi su questo post https://bit.ly/3BrUyw9Non c'è bidsogno d'essere costituzionalisti per dire che questo provvedimento è fatto a .... ed il dereto è applicato come dimostrano questi due video caustici di del comico Dado
Io sono per il green pass , ma l'applicazione dev'essere fatta bene e per tutti allo stesso modo Infatti a mio avviso tale strumento andrebbe usato per luoghi molto frequentati come entri commerciali , estetisti , ecc . Infatti nel mio paese ( circa 10\2 mila abitanti ) i focolai si sono diffusi perchè gente contagiata che dovrebbe rimanere in quarantena domiciliare è andata dall'estetita o fare la spesa . Quindi in tutti i luoghi e non in alcuni si ed altri no come dice la lettera , anonima come al solito , publicata dal sito cittadino Gallura news e da me commentata nel post prima citata
Allora, io sono ligio anche se critico alle regole soprattutto quando riguardano la salute pubblica , o almeno cerco di esserlo, sono bi-vaccinato, ho il Green pass e non faccio che scrivere "editoriali " ed condividere post per dire che i no vax e i noGreen pass [ termine generici perchè non tutti\e che fanno questa scelta la fanno perchè sono creduloni di bufale ascientifiche , ma lo fanno per paura e per motivi di salute ] sbagliano a non tentare o a combattere . E ricevo fior di lettere ed commenti civili la magffior parte dei medesimi no vax e no Green pass, i quali tentano di spiegarmi che hanno ragione loro, che gli effetti a lungo termine, che la sperimentazione, che le case farmaceutiche, che tanto è come un raffreddore... Eh no, ribadisco io, soprattutot neoi confronti degli ultimi due casi ascoltate i medici delle terapie intensive, guardate le cifre, leggete le tremende confessioni di chi dal letto d’ospedale si dice pentito di aver rifiutato la punturina. Mi sembra tutto così limpido, così lineare: se sei vaccinato va tutto bene, se non lo sei corri rischi, e oltretutto non puoi andare a cena fuori, al cinema, allo stadio, al museo eccetera eccetera. Sarebbe proprio il caso di dire: più chiaro di così si muore.
Ecco perché non mi va giù la faccenda dei ristoranti che obbligano i “Greenpassisti” amangiare al chiuso. Sì, perché in giro per l’Italia sta succedendo esattamente questo (vedi anche una delel tantger lettere ricevute riportata sotto ) . In questo ultimo anno, anno e mezzo moltissimi locali si sono dotati di tavoli all’aperto, e tanti di loro adesso “riservano” quei posti a chi non è vaccinato. Tu Greenpassista magari hai prenotato proprio in quel ristorantino che conosci, dove sai che mangerai vista mare (o montagne), ti presenti con la famiglia, esibisci orgoglioso la tua patentina verde e - sorpresa - il gestore ti prega di accomodarti all’interno, già bello pieno, ed è rimasto solo posto all’uscita della cucina, o davanti alla porta del cesso, o a un metro dal forno delle pizze. Protesti, certo. Ma lui, il gestore, poveretto, ti spiega che già aveva rischiato di chiudere baracca, e quindi non può permettersi di perdere gli incassi dei no vax. Li fa mangiare all’aperto, che altro deve fare ? E tu, caro cliente ligio alle regole, siediti brontolando dove loro, i resistenti, i refrattari, i complottisti, i paurosi non possono entrare. È la beffa del momento. La grande rivincita dei no vax . Sì, proprio quelli che ti guardano sogghignandomentre sbafano gli spaghetti alle vongole godendosi il bicchiere di bianco ghiacciato, l’aria pulita, il cielo terso, la dolce risacca della spiaggetta lì sotto, e intanto a te tocca l’antro buio e impregnato degli odori di fritto. A me non è (ancora) capitato, ma se ne parla, eccome. E non si può neppure dare la colpa ai ristoratori che, salvo rare eccezioni, ce la devono mettere tutta per non fallire. Prendersela col governo, allora? Che senso avrebbe? L’introduzione del Green pass è una misura doverosa, pensata per ridurre le occasioni di contagio e in definitiva garantire la salute di tutti. Faccio appello ai miei sbiaditi ricordi universitari di Filosofia: questa vicendami pare l’esemplificazione perfetta di quel fenomeno che si chiama (attenzione: espressione difficile 😒) eterogenesi dei fini. Cioè, tu compi un’azione che ha un determinato scopo (in questo caso, agevolare chi è vaccinato) e per una serie di circostanze esterne ottieni l’effetto opposto (in questo caso, agevolare chi non è vaccinato).Vabbè, passerà anche questa. Come si usa dire, c’è di peggio, nella vita, che cenare al chiuso, e c’èdimolto peggio in questa pandemia. Anche perché questo famigeratoGreen pass, finora, non sembra aver attecchito più di tanto. A parte chemolti vaccinati non riescono ad averlo (vedi la lettera di Silvia nella pagina seguente), non sempre viene chiesto, e non sempre viene verificato con l’apposita app. Quando succede, però, è una grande soddisfazione anche se momentanea visto che i controlli fatti a ... casaccio nel sapere che , anche se non mi piace tanto essere monitorato ed reputo il green pass il green pass per come 'è applicato è una gran cazzata, enorme proprio, un ricatto , ma non essendoci altri sistemi per monitorare l'epidemia e fare il tracciamento lo acetto , sto andando da qualche parte in sicurezza anzi che stare in casa quasi h24 .
Caro Ulisse
le scrivo nella speranza di dare visibilità ad un problema di cui non si sta parlando molto: la schiera di coloro che, pur avendo diritto al Green pass, si ritrovano ghettizzati perché a causa di intoppi burocratici non sono ancora in possesso del documento. Sono stata vaccinata ormai più di tre mesi fa, dopo la prima dose mi sono accorta che il codice fiscale riportato sul certificato vaccinale era errato. Poco male, mi sono detta, il giorno del richiamo lo farò correggere. Cosa che avviene. Ma passano i giorni e il codice non arriva. Inizio ad attivarmi, illudendomi di risolvere in breve tempo. Purtroppo non è stato così e a oggi, 23 agosto, mi ritrovo senza documento e con una gastrite derivante dalla frustrazione di non riuscire in nessun modo a risolvere il guaio. Il numero 1500 e la mail predisposti dal ministero si limitano ad attivare segnalazioni che regolarmente cadono nel vuoto. Ho contattato Asl, Ats, centri vaccinali e tutti sostengono di non poter fare nulla. Il ministero rimanda all’Asl, l’Asl rimanda al centro vaccinale, il centro vaccinale rimanda al ministero. Morale, io a oggi non posso andare a mangiare una pizza, entrare in unmuseo, prendere un treno e la lista potrebbe continuare. Mi chiedo se il governo non può, in questa fase, allentare la rigidità del controllo rendendo valido, almeno temporaneamente, il certificato vaccinale. Complimenti per la rivista, nella mia casa da almeno 40 anni ogni settimana.
Silvia
Cara Silvia, non saprei dirle quanti vaccinati siano nella sua stessa situazione visto che ogno giorno sui media e sui social comaiono proteste ed lamentele . Personalmente, conosco almeno un’altra persona che, regolarmente vaccinata, non riesce ad avere il Green pass. E la sua proposta mi sembra ragionevole e da prendere in considerazione .
Voglio " tranquillizzare " miei utenti e non solo che mi dicono che sto difendendo Salmo . Se ci si sofferma solo al titolo : << il gesto di salmo è idiozia ma anche no >> del precedente post lohgico che si crede ciò , se invece si legge per intero l'articolo si capisce che io sto solo affermendo che il gestoi di Salmo è comprensibile cosa diversa dasl giustificabile . Provate voi artisti o pseudo artisti a fare concerti con regole contrdditorie e cosi stringenti , e sopratutto rispettate da poch vedi il festeggiamento del campionato e degli europei di calcio . Però come , fanno notare , le fonti citate nel post precedente mi fanno dare ragione , SIC al radical chic pensiero a sinistra portafoglio a destra .
Mi fermo ho già sprecato troppo tempo a parlare di , gusti personali , queste nullità pseudo-musicali e de degli eventuali artisti ( o pseudo tali ) e personaggi ormai in declino che diranno la loro per avere una chance di ritornare in auge o far parlare di se
Quella riportata sotto da repubblica d'ieri e confermata da questo editoriale su repubblica d'oggi di Concita De Gregorio È una grande storia, quella dei due ragazzi minorenni figli di no vax che vogliono essere vaccinati.
È una grande storia, quella dei due ragazzi minorenni figli di no vax che vogliono essere vaccinati.
Ne conosciamo due, ma chissà quanti sono in Italia. Un dissenso che incrocia diritti, responsabilità, libertà, educazione, norme e aspirazioni. I genitori non vogliono vaccinarsi, per ragioni che da adulti sanno senz’altro difendere anche con veemenza, e non vogliono
che i figli minorenni lo facciano: «Fino a diciott’anni fai come dico io», ci siamo tutti sentiti ripetere in modo più o meno garbato, chiaro anche quando non detto.
Dai giornali si sa che i ragazzi, entrambi toscani, si sono rivolti a un avvocato.
Gianni Baldini, dell’Associazione avvocati matrimonialisti e per la tutela dei minori.
Baldini dice che non è facile: non esiste in Italia una figura di “avvocato dei minori” come in altre nazioni europee, che possa dirimere contrasti senza far intervenire il giudice. Quello che lui può fare è parlare coi genitori. Difficile immaginare che due convinti no vax si lascino persuadere, ma non si può mai dire. I ragazzi possono in alternativa rivolgersi al Garante per l’infanzia e l’adolescenza o ai servizi sociali, e arrivare per quella via a una decisione del giudice.
A parte che l’urgenza di vaccinarsi non è compatibile con un iter del genere (diventerebbero nel frattempo maggiorenni, risolta così la questione) come chiunque capisce il livello di conflitto domestico che si accende se ti rivolgi ai servizi sociali contro la tua famiglia può essere insopportabile per un ragazzino che in quella famiglia e in quella casa vive. Ha detto uno dei due: «Gli adulti sono liberi di fare ciò che vogliono ma devono lasciare liberi anche gli altri, figli compresi». Davvero un grande tema.
Infatti repubblica del 23\6\2021
La battaglia di un ragazzo per vaccinarsi "A 17 anni scelgo da solo per questo mi ribello a mamma e papà no vax"
FIRENZE— «Alla mia età sono libero di sballarmi in discoteca ma non di avere voce in capitolo su questioni come la mia salute. È assurdo che io non possa partecipare a una decisione tanto importante. Alla fine quando sei un ragazzo l’ultima parola è dei genitori anche se tu non sei d’accordo». Matteo (nome di fantasia), 17enne fiorentino che non potrà vaccinarsi contro il Covid perché i suoi genitori non sono d’accordo, si sfoga con Repubblica.
Abbiamo parlato con lui su WhatsApp tramite Gianni Baldini, presidente della sezione di Firenze dell’ Ami (Associazione avvocati matrimonialisti italiani), che sta accompagnando lo studente in un percorso che avrà come primo passo un tentativo di mediazione con i genitori. Loro ancora non sanno che Matteo si è rivolto a un legale dopo avergli negato il consenso a farlo vaccinare.
Come è nata la tua ribellione?
«Sono figlio unico. La mia famiglia è unita. I miei genitori hanno un bel lavoro, sono laureati, ma sono anche no-vax convinti. Ritengono che il vaccino sia pericoloso, infatti non sono vaccinati e vogliono impedire a me di farlo».
Come hai vissuto la pandemia?
«Come i miei compagni di classe. Ho rinunciato a quasi due anni di uscite, gare, interrogazioni, recluso in casa davanti a uno schermo per parlare con gli amici, seguire le lezioni e giocare alla PlayStation. E basta, tutto qui. Prima del lockdown avevo anche una ragazza, ma non so più nemmeno come riavvicinarmi a lei».
Ora che c’è un vaccino a te non è permesso farlo.
«Non posso stare con gli amici e non posso viaggiare con loro senza green pass. È come se non avessi un futuro».
Cosa facevi prima della pandemia, a cosa hai rinunciato?
«Faccio nuoto. Una delle mie paure è che possano mettere limitazioni agli accessi in piscina ai non vaccinati. Partecipavo anche alle manifestazioni ambientaliste di Fridays for Future».
Matteo ha potuto rivolgersi a un avvocato, nonostante l’ordinamento italiano non consenta al minore di farlo in modo diretto, grazie a un’intesa sottoscritta da Ami e ministero dell’Istruzione, che prevede la possibilità per i minori di dialogare con un legale e ottenere supporto su questioni che riguardano i loro diritti e interessi.
Dopo il no dei tuoi genitori cosa hai deciso di fare?
«Ero frastornato. Ho parlato con i miei amici e chiesto aiuto a scuola. Il legale dell’associazione proverà a farli ragionare. Ai miei non ho ancora detto che ho parlato con un avvocato. Loro dicono che nessuno può obbligarli a vaccinarsi, perché i vaccini sono pericolosi, però vogliono costringermi a non farlo. A me sembra una contraddizione, per questo ho cercato un modo per convincerli. Anche alcuni miei compagni di scuola vorrebbero farlo ma non hanno ricevuto il permesso dalle famiglie».
Cosa pensi dei vaccini e dei no vax?
«Per me chi dice che non sono sicuri per via della sperimentazione troppo rapida dice una scemenza. Poi ognuno è libero di fare quello che gli pare, anche se proprio quelli che non vogliono imposizioni alla fine impongono le loro convinzioni agli altri, come nel caso dei miei genitori con me».
Ai genitori di Matteo l’avvocato Baldini chiederà un incontro per capire se c’è un margine di accordo. In caso contrario la vicenda potrebbe arrivare in procura.
Riporto un testo così come l’ ho letto, senza modifiche o aggiunte , perché pur essendo una storia che girà nel web , dice tutto .Racconta di come Al tempo del Coronavirus, le file al supermercato non sono state solo teatro di litigi e baruffe.
“In fila alla cassa, il display segna 26,80€, la faccia stranita:
"Ah scusi ho dimenticato il bancomat, ho solo 25€ tolgo qualcosa".
Nel piccolo carrello non ci sono patatine o cibi inutili, vedo pane, pasta, latte, pomodori, carta igienica. L'imbarazzo per chi è distante appena un metro è palpabile, il volto di una mamma poco più che 50enne è corrucciato, deve scegliere cosa sottrarre ai propri figli. È così che assisto al più bel film italiano, reale più che neorealista, poco dietro un altro signore in fila: "Scusi, le è caduto qualcosa" La signora è sorpresa, a terra c'è una banconota da 10 euro, sa bene che non le appartiene Lo sguardo amorevole dell'uomo la convince, é troppo per lei dire che è sua. Non ha vestiti firmati ma non indossa stracci, non ha il trucco ma la sua faccia trasuda sacrifici. Il signore si piega, raccoglie la banconota e le dice: "Probabilmente è successo quando ha aperto il borsello". Ora sembra una bambina, é felice, soprattutto della sua onestà. Paga e uscendo sorride all'uomo che è davanti a me. Lo guarda per l'ultima volta e dice: "Grazie". Assisto e sono felice anch'io, ho capito la lezione. Quell'uomo avrebbe potuto dire: "Non si preoccupi faccio io". Invece ha scelto di preservare la dignità, sua e della signora.
Ora Chi ha fatto un beneficio taccia, lo ricordi chi lo ha ricevuto.” Ricordiamoci il bene si fa in silenzio ,il resto è palcoscenico . Mentre leggevo questa news trovata sulla home di Facebook mi è venuto in mente che le buone notizie sono… a più piani. Primo piano: ho lasciato per intero la descrizione dell’ accaduto perché ce la potessimo gustare: la buona notizia come un sasso buttato nell’ acqua che buca la superficie e si allarga a cerchi concentrici. Secondo piano: uno sconosciuto in fila alla cassa nota che la signora che lo precede non ha tutti gli euro per pagare la spesa; la buona
notizia parte dal vedere, cioè dal non essere spettatori inerti. Terzo piano: i dieci euro che “colui che vede” getta a terra, come se fossero caduti dal borsello della signora, ci dice che la buona notizia è silenziosa, umile, senza bisogno di fanfare. Quarto piano: la signora capisce il “gioco” e regala il suo stupore, la sua gratitudine. Quinto piano: mentre esce, la signora esprime un grazie pieno di dignità e di franchezza; sa che un dono non è mai “meritato”. E grazie lo dicono coloro che vengono a conoscenza di questa “buona notizia”, non solo coloro che sono stati testimoni (in fila al supermercato) ma anche noi che ne veniamo a conoscenza grazie alla testimonianza.
FORSE è perché «sono abituati a doversi arrangiare tra grandi difficoltà» come osserva Stefano Rovelli, cofondatore di Singa Italia, un network nato nel 2018 per sostenere le attività degli imprenditori stranieri. Fatto sta che persino nell’anno del Covid le imprese guidate in Italia da imprenditori stranieri sono aumentate del 2,3 per cento secondo la Fondazione Leone Moressa, mentre quelle guidate da italiani sono rimaste più o meno stabili (-0,02 per cento). Ormai le imprese guidate da stranieri sono diventate un decimo di quelle nazionali, grazie a un aumento del 29,3 per cento negli ultimi dieci anni contro un calo dell’8,6 per cento di quelle italiane. «Gli stranieri possono anche contare su una rete familiare che permette loro di abbattere i costi, rimanendo aperti con orari prolungati. Hanno inoltre la possibilità di utilizzare filiere diverse, a costi più bassi» osserva Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione Leone Moressa. La maggior parte delle imprese guidate da stranieri si trova in Lombardia, segue il Lazio. Le prime tre nazionalità: cinesi, romeni e marocchini. La presenza maggiore è nel commercio, seguito da servizi, costruzioni e ristorazione. Qui di seguito alcuni di loro hanno accettato di raccontarsi al Venerdì.
Amanda Menezes, Brasile.
Trentaquattro anni, è venuta in Italia per amore, e ha aperto la sua azienda nel pieno della tempesta Covid: «Ho conosciuto mio marito a Rio de Janeiro, ci siamo sposati e l’ho raggiunto in Italia». Con una laurea e un Mba internazionale, e un’ottima conoscenza dell’inglese, Amanda pensava che sarebbe stato facile trovare
Amanda Menezes, 34 anni, importa costumi brasiliani
un lavoro. «E invece dopo mesi di ricerca, niente. Sapevo che se avessi fatto passare altro tempo avrebbe avuto un effetto negativo sul mio curriculum, e così ho deciso di mettermi in proprio». L’idea è stata quella di importare in Italia la moda mare brasiliana, ma con una particolare connotazione: «Scelgo solo tessuti sostenibili, importo i lavori artigianali delle donne indigene del Sudamerica, aiutandole anche così a preservare la loro cultura». La pandemia non l’ha scoraggiata: «Sto lavorando anche per ampliare la produzione attraverso accordi con artigiane del Sud Italia. E a breve lancerò la prima collezione, con modelli interamente creati da me».
Marco Wong, Cina
«Perché i cinesi sono tra le prime nazionalità tra gli imprenditori stranieri? Perché l’80 per cento dei cinesi che vivono in Italia vengono dallo ZheJiang, un’area dove da sempre si coltiva il sogno imprenditoriale». Marco, 57 anni, è diventato cittadino italiano a 18. È cresciuto a Firenze, è tornato in Cina, ha lavorato in Sudamerica e infine è rientrato a Roma, dove vive e ha tre aziende: una si occupa di importazione di alimenti etnici, la seconda gestisce gli immobili di supporto all’altra, e infine la terza si occupa di organizzazione di eventi digitali. «Per uno straniero molto spesso aprire un’impresa è l’unico modo per non essere rispedito al proprio Paese, e ciò vale anche nei momenti di crisi, come questo». E per superare gli ostacoli rappresentati dalla lingua e dalla normativa, spiega: «In Italia si creano delle strutture professionali legate a chi è arrivato prima che mettono a disposizione consulenti, mediatori e commercialisti».
Elena Musuc, Moldavia
Sono venuta in Italia nel 2009 dalla Moldavia, a 20 anni: ho studiato all’Accademia di Belle Arti e mi sono innamorata di Leonardo da Vinci, dell’architettura, delle opere dei Musei Vaticani. Ho cominciato a lavorare come baby sitter e domestica, ma il mio sogno era realizzare abiti di sartoria ispirati all’arte italiana. Anche adesso, quando creo le mie collezioni, vado nei musei per cercare ispirazione». Elena Musuc, 33 anni, ha un negozio nel centro di Roma, a Largo Argentina. Realizza abiti su misura e fa anche riparazioni di sartoria: «Con il lockdown le persone hanno ritrovato negli armadi abiti vecchi di 20 anni, di buona qualità ma che non riescono più a indossare. Io li trasformo in modo che possano metterli di nuovo». Prima di aprire il proprio negozio ha lavorato anche nelle boutique di grandi stilisti, da Armani a Gucci: «Mi hanno presa perché parlavo il russo», racconta. Ha avuto grandi difficoltà per il credito iniziale, ce l’ha fatta grazie a prestiti di amici e alla sua forza di volontà, e nei mesi più duri del Covid ha anche cominciato a cucire mascherine. Nel frattempo si è sposata e ha avuto due bambini, che ora hanno sei mesi e quattro anni.
Kelly Chidi-Ogbonna, Nigeria
Laureata in statistica, Kelly Chidi-Ogbonna, 35 anni, ha un diploma post laurea in formazione e sviluppo e un diploma in affari e imprenditorialità. Eppure quando, nel 2013, è venuta in Italia dalla Nigeria per raggiungere suo marito, che già era emigrato e viveva a Padova, non riusciva a trovare lavoro. «È stato tutto molto difficile, frequentare la scuola per imparare la lingua, conciliare tutto con la nascita dei miei tre figli». Piuttosto che continuare a cercare un impiego, nel 2015 ha avuto un’idea: esportare in Nigeria vino biologico italiano. «Le banche non mi hanno aiutato e quindi ho cominciato con piccole quantità. È stata ed è ancora una vera sfida». Ha anche un blog, che si chiama The finest italian wine. Nel 2017, con l’aiuto dell’incubatore di Singa, Kelly ha aperto la startup MySpotlyt, che mette in contatto persone di talento con aziende o imprenditori che possano farle lavorare, permettendo di realizzare i loro sogni. Un po’ come è successo a lei.
Marco Soxo, Ecuador
Quarantuno anni, è arrivato in Italia malvolentieri: «Sono stato costretto nel 1999 dalla mia famiglia, che si era tutta trasferita qua, comprese sei delle mie otto sorelle. Quando sono arrivato smagnetizzavamo videocassette usate in modo che potessero essere usate per nuove registrazioni». A quel punto Marco si è messo a studiare italiano, ha fatto il cassiere, pulito le piscine, ha preso il patentino di istruttore di nuoto. «Nel 2006 ho aperto la mia prima impresa, con soci italiani: un ristorante di cucina messicana in franchising in un Carrefour di Limbiate». Dalla ristorazione è passato alla disinfestazione delle cucine, aprendo una nuova azienda con una certificazione ad hoc per l’eliminazione di “insetti striscianti e roditori”. Il Covid gli ha un po’ ridotto il lavoro, ma non si scoraggia: «Gli italiani stanno cominciando a diventare più pigri, spesso le aziende muoiono perché i figli non sanno gestire quello che hanno avuto dai genitori, mentre uno straniero parte da zero e non ha niente da perdere. E poi agiamo con più “incoscienza” e quando ci rendiamo conto che ci sono problemi, ci rimbocchiamo le maniche e andiamo avanti».
Ma gli italiani salvo pochi esempi vedi post precedente che fanno ?