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4.10.25

Il cacciatore di virus: «Nella pandemia la paura è stata la mia compagna» Ferdinando Coghe, 69 anni, va in pensione: «Viaggerò con mia moglie, e ho un progetto»

 UNIONE  SARDA  4\10\2025





«Un viaggio in crociera? No, per carità, non mi sono mai piaciute le crociere. Sto programmando un lungo fine settimana da qualche parte nella Penisola e poi un viaggio in un luogo lontano, magari in Cina».

Lei e sua moglie.

«Con del tempo tutto per noi, finalmente. Ha sopportato stoicamente le mie lunghe assenze dovute al lavoro, e le devo riconoscere il merito di avermi sempre incoraggiato e sostenuto, anche durante i tempi bui della pandemia».

È assai strano parlare di vacanze e sentimenti col medico che – in tema di virus, tamponi molecolari, sequenziamento, regole di igiene – durante il Covid (e non solo) è stato uno dei punti di riferimento più importanti in Sardegna, tanto da aver ricevuto l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica. Dopo quarant’anni di onorato servizio, il dottor Ferdinando Coghe è arrivato al traguardo della pensione. Sessantanove anni, originario di Uta, laurea in Medicina e specializzazione in Anatomia patologica, i primi incarichi nel laboratorio del “Santa Barbara” di Iglesias e di interno dell’Università al “San Giovanni di Dio”, ha lasciato l’altro ieri il laboratorio di analisi del policlinico di Cagliari (che ha diretto per quasi due decenni) e la direzione sanitaria dell’azienda ospedaliera. Dalla sua postazione tra provette e macchinari, ha indagato per una vita il sangue, i tessuti e gli umori dei sardi, ma il grande pubblico ha imparato a conoscerlo durante gli anni della pandemia di Covid poiché il laboratorio dell’Aou è diventato il centro di riferimento per l’analisi e il sequenziamento dei tamponi nel Sud Sardegna. In tre anni di emergenza ben 620mila tamponi molecolari.

Il Covid è diventato un’influenza.

«I vaccini hanno fatto il loro lavoro, e l’ha fatto anche la natura infettando e immunizzando la popolazione. Fermo restando che, pure chi lo ha passato potrebbe contrarre nuovamente il virus con la comparsa di nuove varianti».

Quali saranno le prossime?

«Non possiamo saperlo, speriamo che non siano aggressive e che continui tutto così com’è. Io credo comunque che l’epopea del coronavirus si possa dichiarare chiusa. Poi è chiaro che, se contagiati, i fragili continueranno ad avere conseguenze più importanti rispetto ai giovani e sani».

Alpha, Gamma, Delta, Omicron, brasiliana, inglese eccetera. Le varianti venivano smascherate dal sequenziamento…

«Il sequenziamento del genoma del virus che ci dice qual è il suo codice genetico, da dove viene e come potrebbe comportarsi. Un esame fondamentale dal punto di vista epidemiologico per valutare gli interventi».

Lo si fa ancora?

«Certamente. Come laboratorio di riferimento continuiamo a mandare i dati alla piattaforma informatica dell’Istituto superiore di Sanità, che raccoglie quelli in arrivo da tutta Italia per poi trasmetterli al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie».

È ancora necessaria la mascherina?

«Tutte le malattie che si diffondono per aerosol dovrebbero essere soggette a questa regola. Se prendessimo esempio dal Giappone, Paese che amo e dove c’è una cultura spiccata per il rispetto dell’altro, vedremmo che usano la mascherina per non contagiare e per non farsi contagiare. Serve buon senso e sensibilità».

Vero, però la mascherina non viene più usata neanche da chi lavora in ospedale.

«Non è così. La mascherina non è utilizzata nei corridoi, che sono luogo di passaggio e non di cura».

Virus a parte…

«Il laboratorio dell’Aou di Cagliari è anche il centro di riferimento per le arbovirosi, malattie causate da virus trasmessi da vettori come zanzare e zecche, e quindi copre tutta la diagnostica su West Nile, Dengue, Chikungunya, Zika, Usutu eccetera».

Un lavoro impegnativo?

«È un’attività in emergenza urgenza visto che la diagnosi va fatta quanto prima possibile, e noi l’abbiamo sempre garantita entro 8, 12 ore. A differenza del Covid, poi, che prevede un test molecolare, la procedura è più complessa perché, per esempio, vanno fatte indagini su più matrici».

L’allerta oggi riguarda la West Nile.

«È una malattia che è diventata endemica da poco. Abbiamo il virus che circola perché ha come serbatoio i volatili e come vettore la zanzara. Per fortuna il numero dei casi sintomatici è basso, anche se i dati ci suggeriscono attenzione sul cluster di popolazione interessata...».

I non sintomatici.

«Che sono tanti di più dei 41 pazienti positivi a oggi. Siccome si valuta che l’1,5 per cento dei casi è sintomatico, è evidente che questa porzione è parte di una fetta più ampia. Bisogna rivedere alcuni aspetti delle misure in atto».

Per il resto, un laboratorio di analisi chimico-cliniche cosa fa?

«Esamina le matrici biologiche per supportare i medici nella formazione della diagnosi, nel monitoraggio dell’andamento di una malattia, o nell’individuare gli agenti patogeni che hanno determinato una patologia».

Esami condotti su sangue, tessuti, pus…

«Esattamente. E muco, liquido cerebrospinale, espettorati eccetera eccetera».

C’è un’emergenza, in particolare, che ha visto crescere negli ultimi anni?

«La resistenza agli antibiotici, sia in ambito ospedaliero che territoriale. Dentro l’azienda abbiamo sistemi diagnostici molto rapidi che ci permettono di individuare questi patogeni e di avvertire immediatamente il comitato per le infezioni ospedaliere, la direzione medica di presidio e i direttori della strutture complesse».

Avrà nostalgia del lavoro?

«Al policlinico lascio una squadra molto preparata che sicuramente farà bene, anche meglio di quanto ho fatto io. Per il resto, ho un progetto...».

Viaggiare.

«Non solo. È un progetto di digital pathology che mi permette di esercitare la mia specializzazione in anatomia patologica. Continuerò dunque a lavorare con un bel gruppo: c’è il radiologo, l’oncologo, il patologo, l’ingegnere che si occupa di algoritmi e di intelligenza artificiale».

Una società?

«Non abbiamo ancora deciso la forma».

C’è stato un momento, durante la pandemia, in cui ha avuto davvero paura?

«Non un momento, io ho letteralmente convissuto con la paura. Vede, l’idea di creare il laboratorio Covid è stata mia. Sapevo che avrei esposto i miei collaboratori a un rischio enorme, e questo pensiero mi atterriva perché se qualcuno si fosse ammalato, andando magari incontro a conseguenze gravi, mi sarei sentito responsabile. Al contempo, mi sono attrezzato...».

In che senso?

«Ho studiato come fare tanti tamponi e bene, ma allo stesso tempo ho messo a punto un protocollo di protezione. Ho fatto il carabiniere, ma devo dire che, in quel periodo, da me non si è mai infettato nessuno. Lo dico con una punta di orgoglio, anche se devo ammettere che siamo stati molto fortunati».

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