| Concetto | Manifestazione nel caso di Rovigo |
|---|---|
| Razzismo istituzionale | L’idea implicita che i migranti non meritino investimenti pubblici. È una forma di razzismo che si esprime attraverso le politiche e le scelte amministrative. |
| Discriminazione | Il rifiuto degli alloggi crea una disparità concreta: i braccianti migranti restano senza soluzioni abitative dignitose, esposti al caporalato e all’emarginazione. |
Infatti Razzismo qui non è espresso con insulti o slogan, ma con atti amministrativi che negano diritti e dignità. E la Discriminazione si concretizza nel non offrire pari opportunità di accoglienza e sicurezza, pur avendo risorse disponibili.
Ma ora basta parlare io lasciamo la parola all'articolo del https://www.ilpost.it/ Mercoledì 29 ottobre 2025
A Rovigo non vogliono soldi pubblici per migliorare la vita dei migranti
La sindaca ha rifiutato dei fondi del PNRR per costruire alloggi per braccianti, e bloccato di fatto il sistema di accoglienza
di Angelo Mastrandrea
Il centro di Rovigo, di sera (Angelo Mastrandrea/il Post)La sindaca di Rovigo, in Veneto, è Valeria Cittadin. È un’ex insegnante e sindacalista della CISL, è stata eletta col centrodestra e preferisce farsi chiamare “sindaco”. Come diversi sindaci di destra, Cittadin ha posizioni molto nette sui migranti. I suoi colleghi e colleghe più pragmatici, però, accettano spesso fondi pubblici per gestire efficacemente la presenza dei migranti nelle proprie città. Cittadin, invece, questi soldi non li vuole.
Negli ultimi mesi ha cancellato un progetto per costruire alloggi e servizi per i migranti che lavorano nelle campagne, rifiutando oltre 1 milione di euro di fondi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Inoltre ha bloccato il Sistema di accoglienza e integrazione (SAI) per i richiedenti asilo, quello dei cosiddetti centri di “seconda accoglienza”, più piccoli ed efficienti: altri 500mila euro all’anno. Infine ha chiesto e ottenuto di dimezzare i migranti ospitati nel Centro di accoglienza straordinaria (CAS) situato nell’ex convento dei Cappuccini, e ora vorrebbe chiuderlo.
Il suo ragionamento sembra questo: rendere la vita più difficile per le persone straniere dovrebbe scoraggiarle dal vivere a Rovigo. Il punto è che secondo diverse associazioni locali l’approccio di Cittadin non tiene conto del fatto che una persona straniera ben integrata è meno spinta ai margini della società e quindi verso la criminalità. Inoltre le limitazioni di Cittadin stanno producendo effetti poco graditi anche per il resto della popolazione locale.
Alla fine di luglio, dopo l’omicidio di un uomo di origine tunisina avvenuto durante un litigio nella centrale piazza Matteotti e alcuni altri episodi di violenza, Cittadin ha ottenuto dal governo nazionale l’istituzione nel centro della città di una «zona rossa», in cui i controlli delle forze dell’ordine sono rafforzati. Nei giorni seguenti ha emesso un’ordinanza che vieta di chiedere l’elemosina e impone limitazioni agli spostamenti negli orari serali. Cittadin ha spiegato che l’obiettivo del provvedimento è di «contrastare comportamenti che alimentano il degrado», attribuiti in particolare agli stranieri non bianchi, maschi, che di sera si incontrano nei bar del centro e in piazza Matteotti.
Con una seconda ordinanza, Cittadin ha poi esteso i divieti alla tradizionale fiera autunnale cittadina, che si è svolta dal 18 al 21 di ottobre. In quei giorni lungo le strade del centro c’erano più carabinieri, poliziotti e vigili urbani del solito. Nonostante le eccezionali misure di sicurezza la notte del 18 ottobre davanti a un bar lungo corso del Popolo, a poche decine di metri da Palazzo Roverella (l’edificio più importante della città), è stato ferito gravemente a coltellate un uomo di origine marocchina. La mattina dopo, su Facebook, Cittadin l’ha definita «una scena squallida, indegna, che si ripete ormai troppo spesso: una rissa tra cittadini nordafricani, in uno dei bar più frequentati da stranieri. È razzista dirlo? No. È semplicemente raccontare la verità».

Corso del Popolo, la strada in pieno centro in cui è avvenuto un accoltellamento (Angelo Mastrandrea/il Post)
Sul tema della sicurezza e della migrazione la sindaca Cittadin sa di poter contare su un consenso trasversale. Lo dimostra per esempio l’esito del referendum della scorsa primavera sulla cittadinanza per gli stranieri: a Rovigo votò appena il 29 per cento degli aventi diritto, e di questi il 37 per cento rispose “no” al quesito, che proponeva di dimezzare il periodo di residenza necessario a poter chiedere di diventare cittadini italiani. Poche altre città italiane hanno avuto una percentuale simile di “no”. Il Post ha provato più volte a parlare con Cittadin per questo articolo, e le ha inviato alcune domande, ma la sindaca non ha risposto.

L’ex convento dei Cappuccini dove si trova il Centro di accoglienza straordinaria (CAS) per migranti (Angelo Mastrandrea/Il Post)
Le misure di Cittadin hanno provocato diversi malumori tra i commercianti, che si sentono danneggiati. «Tante persone, soprattutto anziani e i più giovani, non escono più, soprattutto la sera», ha detto il presidente della Confcommercio locale Stefano Pattaro, parlando esplicitamente di «perdita della clientela». «Il messaggio che hanno dato con questi provvedimenti è che il centro di Rovigo è pericoloso ed è meglio non andarci, e questo ha allontanato non solo le persone del posto ma anche i turisti», dice Carlo Zagato, presidente della cooperativa Porto Alegre, che gestisce il centro di accoglienza nell’ex convento e una sartoria sociale dove lavorano alcune donne migranti.
Le persone più colpite, comunque, restano quelle migranti, che in città non hanno più spazi o iniziative riservate a loro. È possibile che per queste ragioni alcuni decidano di andarsene: in molti però vivono a Rovigo da tempo, hanno un lavoro e qualche rete informale di supporto, e insomma rimarranno qui a prescindere. Anche per questo per esempio alcune associazioni cattoliche come ACLI e Azione cattolica hanno scritto una lettera alla sindaca per chiederle di rafforzare «il sistema locale dei servizi». «Rinunciando all’accoglienza, l’amministrazione comunale si troverà comunque a dover sostenere con mezzi propri l’assistenza di singoli e famiglie migranti che si trovano sul territorio».
A Rovigo gli stranieri residenti sono poco più di 5mila, circa il 10 per cento della popolazione totale. Ogni anno ne arrivano poco meno di 1.500 con il decreto “flussi” per lavorare nelle campagne come stagionali, ma molti di loro finiscono a vivere in alloggi in subaffitto nei comuni della provincia. Altri 440, che hanno presentato una richiesta di protezione internazionale, sono ospitati nei CAS, dati in gestione dalla prefettura ad associazioni e cooperative sociali.
«Per rendere Rovigo una città tranquilla la stanno facendo diventare una città impossibile», dice il direttore della Caritas locale Davide Girotto. «Hanno cancellato tutte le misure che aiuterebbero i migranti a inserirsi, come i corsi di italiano e l’assistenza di uno psicologo per chi è in difficoltà, però poi dicono che i migranti non si vogliono integrare e quindi devono andarsene». Secondo lui a Rovigo non c’è alcuna emergenza legata alla sicurezza: i casi di violenze sono avvenuti tra persone senza dimora e si sarebbero potuti evitare se queste persone fossero state accolte e quindi fosse stata data loro una prospettiva diversa.
La Caritas ha aperto al pianterreno del seminario diocesano locale quella che viene chiamata “locanda”, che ha rimpiazzato la mensa chiusa dai francescani. Serve un pranzo gratuito fra le 11 e le 11:30. Ogni anno assiste circa 300 migranti, ma quelli che vengono a mangiare tutti i giorni sono una trentina: gli altri a quell’ora stanno tutti lavorando.
«La maggior parte di loro sono impiegati nell’agricoltura, molti lavorano anche nell’edilizia e nella logistica che noi definiamo da “nastro trasportatore”, cioè la più povera e con un’occupazione di bassa qualità», dice il segretario della CGIL locale Pieralberto Colombo. Secondo dati dell’INPS nel 2024 i lavoratori migranti nelle campagne del Polesine, in provincia di Rovigo, erano 6.500. Sono aumentati del 21 per cento dopo la morte di Satnam Singh, il bracciante indiano morto schiacciato da un macchinario mentre lavorava in nero in un’azienda agricola di Latina. Secondo il sindacato è il segno che molte aziende, temendo maggiori controlli, hanno regolarizzato i dipendenti che erano in nero.
Zagato, il presidente della cooperativa Porto Alegre, spiega che i migranti che non vengono accolti dagli enti pubblici o da associazioni e cooperative sociali finiscono spesso, soprattutto nelle campagne, in «alloggi impropri e molto affollati, gestiti dai caporali che guadagnano sul subaffitto, sul trasporto e sul vitto», in condizioni quindi di estrema vulnerabilità, che spesso si concretizza in disagi fisici e psichici.
A fine giugno nelle campagne di Porto Viro, un comune della provincia vicino al mare, la Guardia di Finanza ha scoperto 18 braccianti stranieri che lavoravano fino a 12 ore consecutive con temperature anche sopra i 30 gradi per 6 euro all’ora. Due di loro erano in nero e un terzo non aveva i documenti. Due caporali li portavano ogni mattina nei campi di quattro aziende agricole e la sera li riportavano in alloggi fatiscenti, dove non c’erano servizi igienici e docce.

L’ambulatorio nella frazione Concadirame che avrebbe dovuto essere ristrutturato (Angelo Mastrandrea/il Post)
Per arginare questo fenomeno la precedente giunta di centrosinistra aveva deciso di ristrutturare una ex scuola elementare e un ambulatorio medico a Concadirame, una frazione di 250 abitanti a nord della città. È il progetto che avrebbe portato a Rovigo 1 milione e 129mila euro di fondi europei, e che prevedeva alcune decine di posti letto, un servizio medico e sportelli di assistenza gestiti da associazioni e sindacati per contrastare almeno in parte lo sfruttamento dei lavoratori migranti.
La sindaca Cittadin però ha bloccato il progetto, perché secondo lei «il nostro comune non può farsi carico di ulteriori sacche di difficoltà».
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