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25.10.25

che bisogno abbiamo di hallowen Il fascino de Su Prugadoriu, quando le anime tornano a casa Nella notte in cui il confine tra i vivi e i defunti è sottile come un soffio di vento, la Sardegna si ferma per ascoltare le voci dell’aldilà

   a  grande  richiesta   approffondisco   quanto  detto   in   :  ‹‹  voi  festeggiate  hallowen    io  il grande  cocomero  ››  aggiungendo  ai siti del  post   precedente  un altro articolo  sulle  usanze    mortuarie   

  fonte    unione  sarda 


Il fascino de Su Prugadoriu, quando le anime tornano a casaNella notte in cui il confine tra i vivi e i defunti è sottile come un soffio di vento, la Sardegna si ferma per ascoltare le voci dell’aldilà

Un momento del rito de su prugadoriu a Seui (foto d'Archivio)

Nella notte in cui il confine tra i vivi e i defunti è sottile come un soffio di vento, la Sardegna si ferma per ascoltare le voci dell’aldilà.
È Sa notti ’e is animas, la notte delle anime, un rito antico che attraversa i secoli e le generazioni, e unisce memoria, devozione e comunità.
Prima che Halloween varcasse i confini del mondo anglosassone, nell’Isola si accendevano già le zucche — concas de mortu — per illuminare il cammino degli spiriti che tornavano a visitare i propri cari.
Dal tramonto del primo novembre fino alla mezza giornata del 2, le case sarde si aprono a una ritualità intima e collettiva: è il tempo di Su Prugadoriu, parola che in sardo significa “purificazione”. Secondo l’antica credenza, le anime dei defunti, ancora sospese tra la terra e il Paradiso, si preparano in quei giorni alla loro ascesa definitiva. E i vivi, in un gesto di pietà e di amore, diventano custodi del loro passaggio, offrendo preghiere, cibo e piccole donazioni.
A incarnare questa tradizione sono soprattutto i bambini, che percorrono le strade dei paesi bussando di porta in porta e chiedendo: “Mi donada su prugadoriu?” (mi dà il purgatorio?) e ricevono in cambio dolci, frutta secca o piccole offerte.
È un gesto che richiama il trick or treat anglosassone, ma con un significato profondamente diverso: qui non si tratta di gioco, non ci sono maschere, ma è un atto di carità verso le anime bisognose, un modo per “sfamare” i morti e tenerne viva la memoria.
Le famiglie rispondono con un augurio che è una benedizione: «A is animas dei nostusu, e bengada dividiu cun cussas animas chi non s’arregodanta» (alle anime dei nostri cari e con quelle anime che nessuno più ricorda).
Parole pronunciate con la stessa delicatezza con cui si accende una candela davanti a una fotografia sbiadita.
Nei piccoli centri dell’interno, la tradizione è ancora più corale: a Esterzili, per esempio, sul sagrato della chiesa di San Michele, gli adulti si ritrovano attorno a un grande falò. Si arrostiscono castagne, si beve vino nuovo, si prega e si suonano le campane “a morto” per tutta la notte.
È un modo per vegliare insieme, per condividere il ricordo e trasformarlo in vita. Anche i giovani chierichetti partecipano alla raccolta delle offerte per is animeddas, destinate alle messe in suffragio dei defunti, in un intreccio di fede e solidarietà che rinsalda la comunità.
Sulle tavole, non possono mancare is culurgionis, i celebri ravioli sardi dalla chiusura a spiga. In quei giorni sono più di un semplice piatto: la loro forma, che ricorda il ciclo della semina, è un simbolo del legame tra vita e morte, tra ciò che finisce e ciò che rinasce.
Nella notte delle anime, ogni casa diventa un altare. Le zucche intagliate e illuminate rappresentano la luce che guida i defunti nel loro viaggio verso l’eterno. In questa atmosfera sospesa, dove il sacro si mescola al quotidiano, la Sardegna rinnova un’antica promessa: ricordare i morti per restare vivi, custodire il passato per non smarrire il futuro.

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