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2.1.25

Sopravvissuta all'Olocausto, ha vinto 10 medaglie alle Olimpiadi: Agnes Keleti si è spenta a 103 anni

  fonti  corriere dela sera tramite msn.it  e https://www.thesocialpost.it/ e https://www.ilmessaggero.it/video/sport/ per il video

Agnes Keleti, una delle più grandi atlete ebree della storia, è morta a 103 anni in Ungheria. Sopravvissuta all’Olocausto, era la campionessa olimpica vivente più anziana, con 10 medaglie conquistate nella ginnastica . “Avrebbe compiuto 104 anni giovedì prossimo”, un traguardo che avrebbe celebrato con lo stesso spirito indomabile che l’ha sempre contraddistinta.Nata Agnes Klein nel 1921, la sua carriera fu drammaticamente interrotta dalla Seconda guerra mondiale e dalla cancellazione delle Olimpiadi del 1940 e 1944. Nel 1941, a causa delle leggi razziali, fu costretta ad abbandonare la squadra di ginnastica e a nascondersi nella campagna ungherese sotto una falsa identità, lavorando come domestica. La madre e la sorella sopravvissero grazie al diplomatico svedese Raoul Wallenberg, ma il padre e altri familiari furono deportati e morirono ad Auschwitz.
Dopo la guerra, Keleti tornò ad allenarsi con determinazione. Sebbene un infortunio le avesse impedito di partecipare alle Olimpiadi di Londra del 1948, il debutto a Helsinki nel 1952 la vide brillare: un oro, un argento e due bronzi negli esercizi a corpo libero. La consacrazione definitiva arrivò alle Olimpiadi del 1956 a Melbourne, dove conquistò 4 ori e 2 argenti.
Agnes è rimasta un’icona anche dopo il ritiro. Nel 2017 ha ricevuto il prestigioso Premio Israele, mentre l’Ungheria l’aveva già insignita del titolo di “Atleta della Nazione” nel 2004. Sorprendentemente, ha continuato a eseguire spaccate fino ai 90 anni, dimostrando che la sua forza andava ben oltre il tempo . i.
Keleti conquistò le medaglie olimpiche in due edizioni dei Giochi: Helsinki 1952 e Melbourne 1956, dove batté la leggendaria ginnasta sovietica Laris Latynina. Ha dovuto aspettare, dopo un mucchio di occasioni sfuggite: prima a causa della guerra, poi per un infortunio che l'ha costretta a rinunciare ai Giochi del 1948 a Londra. Era sopravvissuta agli orrori dell'Olocausto, aveva dovuto lasciare la ginnastica e superare il dolore per la scomparsa del padre e di diversi parenti, uccisi dalla ferocia nazista nel campo di concentramento di Auschwitz. Agnes si è salvata e con lei anche mamma e sorella.
 


Keleti è considerata una delle più grandi atlete ebree di sempre ed era la campionessa olimpica vivente più anziana: era nata a Budapest il 9 gennaio 1921 e giovedì prossimo avrebbe compiuto 104 anni. Agnes ha ottenuto anche successi importanti in Italia: ai Campionati del Mondo di Roma 1954 si è laureata Campionessa del Mondo alle parallele asimmetriche. Keleti ha lasciato l'Ungheria a causa della rivoluzione scoppiata nel '56, proprio durante le Olimpiadi di Melbourne: dopo aver chiesto asilo politico in Australia, si è trasferita in Israele. In un'intervista di tre anni fa, disse: «Ho 100 anni, ma ne sento 60. Amo la vita». Lo sport piange una donna che è stata più forte di tutto.

15.12.24

Luigi Mocci, il centenario che disse no al posto fisso: "Mai pentito, meglio il lavoro nei campi"

   unione  sarda




L’8 dicembre ha soffiato su una torta con cento candeline nella sua casa di via Orsini, a Sanluri, al fianco dell’inseparabile moglie Rosina Muntoni che di anni ne ha 98 e con la quale il 31 dicembre festeggerà 71 anni di matrimonio, traguardo che consegnerà loro il record di coppia più longeva della città. «Ci saremmo sposati anche prima, ma era morta mia madre e bisognava rispettare il lutto», spiega lei assisa sulla poltroncina dalla quale non perde mai di vista quell’ex ragazzo che dal fronte della seconda guerra mondiale le spedì un mucchio di lettere che lei conserva ancora. «Avevo chiesto il permesso a suo padre di poterle scrivere e lui mi disse “Va bene, purché non siano troppe”. Ma io appena potevo le mandavo lettere d’amore molto lunghe. Lei no, era più corta, poche righe e basta».Dunque, tornando alla carriera. «I miei genitori avrebbero voluto che lavorassi in ufficio, per questo dopo la scuola dell’avviamento iniziai all’ufficio catastale del Comune. Dovevo sistemare le carte anche dei paesi del circondario, eravamo in sette. Ma non ero felice e ogni giorno guardavo questo mio collega: aveva avuto un figlio ogni anno, il più grande ne aveva 15, ma non stava mai in famiglia e lo stipendio non bastava per mantenerla. Mi sono detto: chi me lo fa fare? E poi volevo aiutare mio padre che soffriva di asma e faceva fatica a lavorare nei terreni e badare agli animali». Da qui la decisione di mollare tutto. «Il mio capoufficio era molto credente, ogni domenica andava in chiesa per la prima messa. Allora un bel giorno l’ho aspettato fuori e gli ho detto “Da domani non vengo più”. Non ci credeva ma avevo ragione io, lì dentro non mi hanno più visto». La vita però aveva in serbo ancora molte sorprese per Luigi Mocci e il lavoro nei campi ha dovuto aspettare. Prima venne il militare. «Il primo anno l’ho fatto nel nord Sardegna. Una notte eravamo accampati a Serra Secca, a Sassari, ci svegliarono al suono di tromba e il generale annunciò “Oggi nasce la nuova Brigata Sassari”. Dovevamo tenerci pronti per partire». E così fu. Presto arrivarono la traversata da Cagliari a Napoli, il viaggio in treno per Brindisi e poi il fronte tra Bologna e Rimini e la battaglia di Monte Cassino. «Nacque il Corpo di Liberazione e noi eravamo con gli Alleati, facevamo saltare i ponti o i binari dove sarebbero passati i fascisti e i tedeschi».
L’incarico
Il rischio di finire dietro una scrivania era ancora in agguato. «Il sergente maggiore affidò a ognuno di noi un compito. Io rimasi per ultimo e alla fine mi disse “Tu stai nell’ufficio del generale”. Io gli risposi che non sapevo parlare l’americano, sapevo dire solo “okay”. Eppure ci capimmo».
A casa
Tornato a Sanluri iniziarono i preparativi per il matrimonio. «Ho trasportato ogni pietra che è stata usata per costruire questa casa. Il 31 dicembre del 1953 vennero celebrate le nozze e dall’amore tra Luigi e Rosina nacquero Brunella, Raffaele, Maria Pina e Annalisa. «In campagna ho faticato parecchio, ma sono sempre stato felice».

22.11.24

diario di bordo n 88 anno III Cristina Brignolo,l'unica donna al volante del Nucleo Radiomobile dei carabinieri di Ancona,"Abbraccio le donne vittime di violenza per rassicurarle" ., Ferrara, è morta a 104 Giuseppina "Giose" Molinari, a marzo era stata fermata mentre guidava con la patente scaduta



(ANSA) - ANCONA, 21 NOV - Quando entra in una casa per soccorrere una donna che ha chiesto aiuto la prima cosa che fa è "abbracciarla, farla sentire sicura", quando è in pattuglia e qualcosa non le torna,
interviene senza esitazione e non si ferma neppure quando si tratta di gettarsi in un inseguimento per fermare un fuggitivo in auto. Alle donne vittime di violenza dice "non perdonate, non nascondetevi i segnali che vi dicono quest'uomo è tossico e vi fa male. Non c'è amore dove c'è violenza". E non sono solo i pugni e le sberle che devono preoccupare "c'è la violenza psicologica che è ancora più grave che rende succubi ed è la meno riconoscibile dalle vittime". Lei è Cristina Brignolo, 38 anni, Piemontese di origine, tre figli di 13, 10 e quasi 5 anni, l'unica donna al volante del Nucleo Radiomobile dei carabinieri di Ancona, "ho lottato per far parte del nucleo Radiomobile, c'erano resistenze ma il mio generale ha avuto fiducia in me". Operativa su turni h24, sempre in prima linea nel rispondere alle chiamate, una forte empatia verso chi soffre una sola preoccupazione "con quello che vedo ho paura di essere troppo dura con i miei figli". "Non ho paura e non mi tiro mai indietro" anche se ogni tanto "il mio collega deve tenermi a bada". Le emergenze che affronta quotidianamente sono soprattutto i "codici rossi e la droga". Ma è la violenza di genere "non solo di mariti, compagni presenti o ex, ma anche, dei figli verso i genitori, soprattutto le madri" a non darle tregua, a farla soffrire quando non riesce a "liberare" la vittima e a convincerla che "una alternativa c'è sempre".Soffre quando la donna non vuole denunciare: "abbiamo le mani legate - ammette - e allora entra in gioco la capacità di convincere la vittima che non è sola, che ci sono le associazioni e le strutture protette che possono accoglierle anche con i loro figli". Cristina affronta ogni giorno, insieme ai suoi colleghi, situazioni critiche ma "è quello che ho scelto e per cui mi sono battuta, aiutare le persone e farlo per strada al volante della gazzella, senza esitazioni" (Bper Banca): “Vogliamo fare la differenza contro quella economica”



Visualizza su Orologio"Un giorno - è il suo racconto - siamo intervenuti dopo la chiamata al 112 di una bambina di 7-8 anni che sentiva le urla della madre. L'ex compagno l'aveva aspettata fuori e l'aveva picchiata. Non era la prima volta e la figlia, nonostante fosse terrorizzata e forse perché istruita dalla mamma, ha dato l'allarme. Siamo arrivati subito, l'uomo ci aspettava fuori dell'abitazione. 'Sono stato aggredito' - si è giustificato con il mio collega - era convinto di non aver fatto nulla di male. Mi sono precipitata all'interno dell'appartamento. 




Ho trovato la bimba scossa e la donna terrorizzata. L'ho abbracciata e rassicurata, ho chiamato il 118 e intanto abbiamo fatto avvisare i genitori". Dopo i primi momenti chiedo cosa le accade."Inizia un dialogo in cui spiego che lo può denunciare, le dico che può chiedere di andare in una struttura protetta". E la convinci? "Purtroppo spesso la donna ritiene di essere
lei il problema, perdona la violenza quando non c'è un danno grave ed evidente". In quel caso la donna ha poi denunciato l'ex compagno ed è scattato il braccialetto elettronico "una soluzione non sempre sufficiente" e "purtroppo nel 90% dei casi prevale la paura a denunciare e per me è una sconfitta perché so che le violenze si ripeteranno".Non riuscire a dare consapevolezza alla vittima che "vive in uno stato di costrizione, o dove la gelosia è già degenerata nel controllo totale" per Cristina significa aver perso. "Io mi immedesimo nella donna, nella paura che leggo negli occhi dei loro figli, non posso farne a meno" e "se vedo qualcosa che non mi quadra devo andare fino in fondo anche se purtroppo non sempre si riesce a far accettare una prospettiva diversa". Cristina è 'tosta' dicono i colleghi lei abbraccia le vittime anche se "non è una cosa da carabiniere" si schernisce. 

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L'11 marzo, in piena notte, Giuseppina si era messa alla guida per tornare a casa dopo una serata passata a giocare a burraco con amici. A quanto pare, però, a un certo punto si era persa e aveva continuato a percorrere le stesse strade senza riuscire a raggiungere la meta. A segnalare l'auto della donna era stato, attorno all'una di notte, un cittadino. Pochi minuti dopo, una pattuglia dei carabinieri aveva rintracciato la vettura: dopo averla fermata e controllato la patente dell'anziana, i militari avevano scoperto che la patente era scaduta da due anni e che l'auto era senza assicurazione. A quel punto l'anziana era stata multata e poi riaccompagnata a casa, mentre l'auto era stata prelevata da un carro attrezzi. In poco tempo, la storia di Giuseppina era finita su tutti i media.
"Mi dicevo 'domani vado a rinnovare la patente'. Poi domani è diventato dopodomani e dopodomani è diventato dopodomani ancora e alla fine mi hanno fermata e multata… I carabinieri mi hanno detto che non avrei potuto più guidare e ho risposto loro che avrei scritto per protesta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella", aveva dichiarato l'anziana. È morta a 104 anni Giuseppina "Giose" Molinari, l'anziana di Vigarano Pieve (Ferrara) balzata agli onori della cronaca a marzo dopo essere stata fermata e multata dai carabinieri a Bondeno, nel Ferrarese, perché scoperta alla guida della sua auto senza assicurazione e con la patente scaduta. "Era una beniamina del paese, amata da tutti e ci dispiace molto per la sua scomparsa. Ci lascia una donna molto dinamica, forte e tenace, che lasciava dimenticare quale fosse la sua età anagrafica. Non dimenticheremo quello che ha dato alla comunità", ha dichiarato il sindaco di Vigarano Mainarda, di cui Vigarano Pieve è frazione, Davide Bergamini. Lo riporta l'edizione bolognese del Corriere della Sera.

6.10.24

Debuttare a cent’anni: i dipinti di Anna Maria Fabriani

 È la prima volta che le sue opere si offrono allo sguardo del pubblico. Un sicuro talento il

La pittrice Anna Maria Fabriani ha compiuto ieri 100 anni, il sindaco Mario Pardini e il consigliere comunale Gianni Giannini FONTE LA NAZIONE.IT

suo, affinatosi accanto a uno dei maggiori esponenti della Scuola Romana, Carlo Socrate, ma rimasto poi confinato nella dimensione domestica, per censura e autocensura, per quel non sentirsi all’altezza, perché per le donne non è mai stato facile (e in parte ancora
non lo è) ottenere la giusta considerazione e i relativi riconoscimenti, figurarsi nell’Italia patriarcale del secondo dopoguerra. E se una prima volta è sempre importante, questa è davvero speciale. Sì perché l’artista a cui è dedicata questa prima retrospettiva è Anna Maria Fabriani, nata a Roma nel 1924, e che lo scorso 28 giugno ha compiuto cento anni. La mostra Anna Maria Fabriani – Riverberi e trame della Scuola Romana, a cura di Sabina Ambrogi, figlia dell’artista, è allestita nei magnifici e prestigiosi spazi di Palazzo Merulana, a Roma, fino al 6 ottobre. E benché la pittrice ora viva a Lucca, all’inaugurazione, il 4 settembre, è stata presente, forse un po’ frastornata da attenzioni e complimenti ma sempre lucida e ironica, tanto da dire alla figlia Sabina artefice di tutto: "Ma cosa ti è venuto in mente?".
Ha sempre dipinto Anna Maria, figlia di un designer industriale, Raffaele Fabriani, e di Maria Magris, appartenente a una famiglia di illustratori, pittori, architetti. Nel dopoguerra, con i soldi guadagnati come impiegata al ministero degli Esteri, si paga gli studi all’Accademia di Belle Arti di via Ripetta, dove diventa allieva di Carlo Socrate. Nel 1960 sposa Silvano Ambrogi, scrittore e drammaturgo, autore tra l’altro de I Burosauri, commedia di successo, scelta anche da Roberto Benigni per il suo debutto come attore. Nascono Cecilia e Sabina, si dedica all’insegnamento e dalla fine degli anni ’60 smette di dipingere. "Non è assolutamente dipeso da mio padre, è stata una sua scelta", tiene a precisare Sabina.
Passano molti anni prima che riprenda i pennelli in mano. Accade pochi mesi dopo la morte del marito, scomparso nel ’96. Si ricorda di un ritratto che gli aveva fatto da giovane, mai completato e rimasto confinato in cantina. Da quel momento ricomincia a dipingere e continua, con quella passione, quasi un’ossessione, che la portava a non essere mai soddisfatta. "La notte cancellava con una lametta – racconta Sabina – quello che aveva dipinto durante il giorno. La mattina dopo riprendeva a dipingere su quella tela, per poi, la sera, tirare via di nuovo tutto". Dipingeva nella sua stanza da letto: nature morte, fiori, ritratti: soggetti che rispecchiano il suo orizzonte domestico e il bellissimo ritratto della figlia Cecilia ne è l’immagine simbolo sul manifesto della mostra. Nel 2018, dopo avere realizzato un centinaio di opere, si ferma perché non riesce più a stare in piedi davanti al cavalletto e non è pensabile per lei dipingere da seduta.
Nella mostra di Palazzo Merulana ci sono quadri del primo periodo della sua attività, dal ritratto di Rosetta e della madre, Maria Magris, del 1953, e quelli della seconda fase fino all’ultimo, Limoni e bottiglia di amaro. Ha impiegato anni Sabina Ambrogi a recuperare i quadri della madre, molti messi via senza nessuna attenzione così da avere bisogno di importanti restauri. Alcuni ritrovati per caso, macchiati di vernice, ammuffiti, nella cantina di un palazzo a Villa Fiorelli, a Roma, dove la pittrice aveva abitato dal 1934 al 1960. E altri ne mancano all’appello, come quelli spediti nel 1959 al fratello Maurizio, in Venezuela, scaricati al porto di Caracas e di cui si sono poi perse le tracce. La speranza è che questa mostra possa, in qualche modo, come lanciando “un messaggio in una bottiglia“, aiutare a ritrovarli.

31.7.23

Trecento anni in tre: a Nurallao la vita "lenta" di un gruppo di amici



unioNe  sarda  30\7\2023

Sonia Gioia


Una panchina, tre uomini e un secolo di storia che vive nei loro ricordi. Giuseppe Demurtas ha 101 anni, Danilo Atzeni un secolo tondo tondo, il più giovane Antonio Pintus ne ha "appena" 98. Sono l'orgoglio del paese di Nurallao. Ogni giorno si incontrano per trascorrere qualche ora insieme e ricordare il loro passato, fare un confronto con la vita trascorsa e quella presente. Dalla panchina vicino alla casa di Danilo, guardano il mutare di quel paese che li ha visti prima bambini, poi ragazzi, adulti e ora memoria storica. In gamba In tre hanno quasi trecento anni, la mente lucida, vivi ricordi, accesa la speranza di continuare a vivere con dignità e "onore". La loro esistenza è passata dalla misera patita
prima della guerra, al progresso degli anni post bellici che hanno trasformato il loro paese rendendolo vivo, ricco e bello e portando il benessere. «Meno male che c'è stato il progresso», dice Giuseppe, noto
Peppe, il più grande, «speriamo che Dio ci faccia vivere ancora un po', poi gli altri vedranno cosa fare». «Oggi purtroppo a Nurallao», aggiunge Danilo, «ci sono tante case chiuse e la gente è andata via, non c'è più nessuno anche qui passa poca gente». C'è un po' di malinconia in queste parole e un po' di nostalgia nei loro occhi che hanno vissuto la rinascita e ora vivono una nuova decadenza senza poter fare molto. «Siamo vecchi», sospira Peppe, mentre gli altri annuiscono sorridendo. Eppure loro continuano ad incontrarsi, ad alzare la mano e fare un sorriso a chiunque passi davanti alla panchina di via Roma, a vivere a pieno continuando a guardare avanti. Sono uomini che hanno conosciuto il duro lavoro quello della produzione di carbone, quello delle cave di calce, quello della campagna e degli animali che comunque ha permesso loro di formare delle belle famiglie con tanti figli, famiglie di cui sono fieri e con le quali vivono ancora oggi. L'orgoglio «Si usciva con il buio», racconta Danilo, «e si rientrava con il buio, per colazione pane e cipolla, ci si lavava poco, per non parlare del salario». Quando accennano ai soldi si guardano e sorridono mostrando tutta la loro complicità e la consapevolezza della forza che gli ha permesso di essere ciò che sono oggi: uomini orgogliosi, dignitosi, che si ritengono fortunati perché ancora in salute e circondati dall'affetto dei propri cari. Danilo e Antonio sono vedovi, Peppe vive con la moglie malata di cui cerca comunque di occuparsi nonostante l'età. «Ogni mattina vado a prendere il pane», racconta Peppe, «poi raggiungo i miei amici sulla panchina». Tutti e tre continuano a fare qualche passeggiata, Danilo va in campagna poco distante da casa, Antonio ama girare con i suoi familiari per visitare posti nuovi. «Purtroppo a causa di alcuni problemi di cuore», aggiunge Antonio, «non posso più andare in campagna dove ho sempre lavorato e badato agli animali ed è la cosa che mi manca di più» Antonio tra i tre è però il più tecnologico, usa il cellulare che gli permette di stare in contatto con parenti e amici con i quali fa delle lunghe chiacchierate. In compagnia Quando si salutano la mattina per rientrare a casa all'ora di pranzo è soprattutto un arrivederci perché la sera, se il caldo non è eccessivo, si rincontrano sulla panchina e ricominciano a chiacchierare. Li sentono tutti perché l'udito non è più quello di una volta e devono alzare il tono della voce. Neppure l'inverno gli impedisce di vedersi. Se il freddo non è troppo rigido lasciano il tepore del caminetto e raggiungono la loro posizione vestiti con cappotto, sciarpa e cappello. Non è mancato neppure chi ha voluto scattare assieme a loro una foto perché da tutti sono considerati una ricchezza di cui andare fieri a Nurallao. Le loro chiacchiere non sono altro che un libro letto a voce alta che racconta di un secolo di storia paesana. 

14.1.23

il senso della vita è il sacrificio la storia ( una come tante dei nostri anziani ) di Ferdinando di Frontignano,

 Lui è Ferdinando. Nasce a Frontignano, in Umbria nel 1922. Cresce in campagna insieme ai tre fratelli e alla sorella. Mamma e papà tirano la cinghia per farlo studiare. Ferdinando si mette d’impegno. Ripagherò i vostri sacrifici, un giorno avremo una casa e una terra tutta nostra. Cresce, si iscrive all’Istituto Agrario, è lanciato, ma la guerra manda all’aria i suoi piani. Ferdinando fissa la lettera. Arruolato, io? Finisce nei Balcani. Freddo, paura, morte sono all’ordine del giorno. Ferdinando si aggrappa al pensiero della famiglia. Deve resistere per loro. Le prova tutte per tirarsi fuori da quel




buco di fango. Si arruola nell’Arma, fa il telefonista, aspetta solo il momento giusto. Durante una sommossa in città, si leva la divisa e fugge. Corre a perdifiato, acchiappa il primo treno e dopo un viaggio che gli sembra infinto, avvista finalmente quei profili tanto amati. La sua terra. La sua famiglia. Ferdinando resta nascosto fino alla Liberazione, poi si rimbocca le maniche. Non ha dimenticato. Finisce la scuola, diventa perito agrario. Tra i banchi conosce Adiana, è amore a prima vista. Si sposano, nascono quattro figli. Ferdinando lavora come fattore. Con sudore, fatica e tanta pazienza mette insieme quel che gli serve. Dopo anni di sacrifici compra la terra, l’azienda e la casa. Insegna ai figli come si coltiva il tabacco, lavora come un matto, ma qualunque cosa succeda, la domenica si mangia sempre tutti insieme. Passano gli anni. La tavola si allarga, Ferdinando aggiunge le sedie per i nipoti. Sono la sua gioia. Li accompagna a scuola, racconta della guerra, si inventa viaggi in terre lontane. Il pranzo della domenica resta l’appuntamento fisso. Dopo sessant’anni di matrimonio Ferdinando dice addio alla sua compagna di vita. I nipotini gli asciugano le lacrime, lo riempiono di baci e lo trascinano a tavola. Oggi Ferdinando ha 100 anni. Vive sotto lo stesso tetto con figli, nipoti e pronipoti. Ogni mattina lascia vagare lo sguardo sul suo impero, così lo chiama. Non è fatto di ricchezze, ma di una famiglia solida, capace di sacrificio e unita dagli stessi valori. Il senso della vita è tutto lì.

18.2.22

storie di centenari. I 107 anni di Luisetta Mercalli Quaquero insegnante di generazioni di studenti e morto a 101 Morto pilota Usa che lanciava con il onte aereo dolci ai bambini di Berlino nel 1948

 la nuova  sardegna  del  17\2\2022

La signora Luisetta Mercalli Quaquero

Nata a Carloforte, studi a Padova, l'ultracentenaria signora è stata docente alla scuola media Alfieri di Cagliari ed è la madre di Angela e Myriam, la prima, psicoterapeuta, è la presidente dell'Ordine degli psicologi della Sardegna e la seconda, musicologa, è docente al Conservatorio di Cagliari

CAGLIARI. Grande festa nella residenza sanitaria assistenziale “Fondazione Stefania Randazzo” di Selargius, per il centosettesimo compleanno di Luisetta Mercalli. L’ultracentenaria nata a Carloforte il 17 febbraio 1915, di mercoledì, il giorno delle “Ceneri”, è la primogenita delle tre figlie di Limbania Rivano e Giorgio, ufficiale del regio esercito nella Prima guerra mondiale e successivamente funzionario della società che aveva la concessione per lo sfruttamento della miniera di Montevecchio a Iglesias.Luisetta Mercalli, sopravvissuta alla “spagnola”, la pandemia influenzale che contrasse nel 1918, quando aveva 3 anni, e quest’anno al covid-19, dopo aver studiato all'istituto Carlo Felice di Cagliari, ha conseguito un secondo diploma alla scuola femminile superiore ”Pietro Scalcerle” di Padova, per insegnare quindi Economia domestica nella scuola secondaria di avviamento professionale prima a Carloforte, poi a Monserrato. Era l’insegnante prevalente: la materia comprendeva contabilità, disegno professionale, merceologia. Successivamente, dal 1 ottobre 1963 sino alla pensione, 1979, ha insegnato Applicazioni tecniche nella scuola media Alfieri a Cagliari.Il 28 giugno del 1951, dopo un breve fidanzamento, si è sposata nella chiesa di San Carlo a Carloforte con Luigi Quaquero, un ufficiale carlofortino che durante la Seconda guerra mondiale era stato catturato dagli inglesi nell’Africa Orientale e tradotto in uno dei campi di prigionia allestiti in Kenia.

La signora Luisetta a passeggio con le figlie Myriam e Angela

La signora ultracentenaria ha avuto due figlie: Angela Maria, laureata in Lettere e Psicologia, psicologa psicoterapeuta, già assessora alle politiche sociali della provincia di Cagliari dal 2005 al 2013, attuale presidente dell’Ordine degli Psicologi della Sardegna, e Myriam, laureata in filosofia e Disciplina delle arti, della musica e dello spettacolo (DAMS), diplomata in composizione, musicologa e titolare della cattedra di Storia ed estetica musicale presso il conservatorio di musica “Pierluigi da Palestrina” di Cagliari fino al 2018. Dotata di una grande manualità la signora Luisetta ha sempre amato ricamare e cucire. Dal mese di dicembre dello scorso, grazie ad un intervento eseguito dall’oculista Sergio Manuel Solarino, ha riacquistato una parte della vista. E pertanto può nuovamente dedicarsi alla lettura, un’altra delle sue passioni.Tra i primi a esternarle gli auguri oltre alle figlie, ai generi e alle 3 nipoti Alice, Francesca, Elena, anche la sorella ultimogenita Maria Vittoria, novantunenne, una delle prime ad aver conseguito in Sardegna il diploma di laurea Isef, e il sindaco di Carloforte Salvatore Puggioni.

Halvorsen, 'bombardiere di caramelle' contro embargo sovietico

(ANSA) - ROMA, 17 FEB - Gail Halvorsen, l'ex pilota americano passato alla storia per aver lanciato dolciumi ai bambini di Berlino durante l'embargo imposto dall'Unione sovietica, è morto a 101 anni. Soprannominato il 'bombardiere di caramelle' o 'zio Wiggly Wings' per il modo in cui manovrava il suo aereo in modo che i bambini sapessero del suo arrivo, fu il primo pilota a far piovere su Berlino piccoli paracaduti riempiti cioccolata, gomme da masticare e caramelle e ispirò tanti altri piloti a fare lo stesso dopo di lui. "Anche se volavo giorno e notte, con il ghiaccio e sotto la neve... ero felice quando vedevo l'espressione dei bambini che aspettavano i paracaduti. Ne andavano matti", raccontò Halvorsen in un'intervista di dieci anni fa. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dal 1948 al 1949 gli americani e gli alleati organizzarono un'operazione chiamata 'Il ponte di Berlino' per portare rifornimenti ai 2,5 milioni di abitanti di Berlino ovest, ancora sofferenti per il conflitto e circondati ai sovietici che avevano bloccato tutti gli accessi ai tre settori occupati da statunitensi, inglesi e francesi e tagliato tutti i collegamenti ferroviari e stradali. Furono 2 milioni le tonnellate di merci trasportate da oltre 270.000 voli alleati. Almeno 78 piloti americani, britannici e tedeschi hanno perso la vita in incidenti aerei o a terra, consegnando cibo e altri generi di prima necessità alla popolazione di Berlino che era allo stremo. (ANSA).



31.1.20

Brexit, l'incredibile storia di Giovanni Palmiero: ha 101 anni, ma per il Regno Unito è un neonato senza permesso

Giovanni Palmiero, originario di Decorata in provincia di Benevento, ha 101 anni ed è uno dei quasi 3,5 milioni di europei residenti nel Regno Unito che devono fare richiesta di "settled status". Il certificato si ottiene attraverso una app e assicura la permanenza sul territorio una volta attuata la Brexit.



Purtroppo, l'ex cuoco Giovanni (a Londra dal 1966, ancor prima che il Regno Unito entrasse a far parte dell'Unione europea), non riesce ad ottenerlo per colpa di un bug scoperto proprio grazie alla sua domanda. Il software per le richieste ideato dall'Home Office - l'ufficio britannico per l'immigrazione - è stato programmato per elaborare solo le ultime due cifre della data di nascita. Quindi il 1919, anno di nascita di Giovanni, si è trasformato in "19" e per il sistema l'anziano risulta un neonato che necessita della presenza dei genitori per completare la domanda. Sposato con Lucia, 92 anni, ha 4 figli, 8 nipoti e 11 pronipoti. "Fino a 94 anni ha lavorato in un fish and chips", racconta uno dei figli.


incuriosito   e  cercando   ulteriori informazioni  insomma facendo  fact-checking    ho  trovato  da     questo sito  la news     http://www.londraitalia.com/cronaca

Ha 101 anni ma per l’Home Office è un neonato. Giovanni bloccato nel limbo del settled status

“Per proseguire l’applicazione del settlement scheme abbiamo bisogno dei dati dei suoi genitori”. A 101 anni!? E in chiesa accompagnato e al cinema mai da solo!? Verrebbe da replicare! Giovanni Palmiero classe 1919, più di 75 anni di matrimonio con l’amata Lucia, decenni di residenza a Londra. Eppure, a poche ore dalla formale uscita del Regno Unito dall’Unione europea, la sua posizione è ancora incerta. Lui, cittadino italiano residente nel Regno Unito dal ’66, inciampa nella burocrazia pre-brexit per un bug dell’applicazione per richiedere il settled status.“Non c’è ansia per l’esito della procedura”, racconta Assuntino Palmiero, figlio di Giovanni, che ci apre le porte di casa per raccontarci questi momenti di fibrillazione che anticipano il B-day.Trascorrere un paio di ore in casa Palmiero è come sentirsi … in Italia. Varcando l’uscio dell’abitazione nel cuore di Islington pare di stare a Decorata, frazione di Colle Sannita. Il calore, i ritratti, l’emozioni, i racconti ti riportano a casa e ti restituiscono quei ricordi famigliari che solo un whatever o anyway spezzano, facendoti ripiombare al civico 48 di un qualsiasi flat in quel di Londra.“Siamo andati all’Inca-Cgil qua vicino – racconta Assuntino – dove papà e mamma, accompagnati da mia sorella e da mia moglie hanno fatto l’application per formalizzare la richiesta di rimanere in UK. Ma la richiesta – precisa Assuntino seduto al fianco dei genitori – è pendente a causa dell’età di papà”.









In alto Giovanni Palmiero con il figlio Assuntino. Sopra l’sms ricevuto dall’Home Office

A raccontarci nel dettaglio come sono andate le cose ci pensa Dimitri Scarlato, che per l`Inca – Cgil è consulente per le questioni Brexit. All’Italian Advice Centre, di cui Andrea Malpassi e Maurizio Rodorigo sono rispettivamente presidente e coordinatore, Lucia e Giovanni ci sono andati e lí hanno avviato le pratiche.
“Quando ho fatto lo scan del passaporto – racconta Scarlato – l’app ha importato tutti i dati biometrici, ma, e qui subito l’intoppo, l’applicazione ha importato la data di nascita sbagliata … ma di cento anni. Il signor Giovanni, infatti, è nato nel 1919, quindi acquisendo le due cifre 19, il sistema ha dedotto che Mr Palmiero fosse nato nel 2019.
Mi sono accorto subito che qualcosa non quadrasse perchè, parimenti alle applicazioni degli under 12, saltava il passaggio della scansione del volto, portando direttamente alla pagina in cui devi scattare la foto. A questo punto – racconta Scarlato – ho preferito interrompere la procedura a favore di un consulto con l’Home Office. Il funzionario che ha raccolto la nostra segnalazione mi ha suggerito di proseguire per poi risolvere successivamente il problema”.
Un consiglio non proprio azzeccato.
“Proseguendo nell`applicazione, a quel punto – ricorda Scarlato, che è, tra gli altri, attivista di primo piano di the3milion – mi chiedeva se intendessimo procedere come applicazione bambino, dovendo inserire alternativamente l`indicazione per l`inserimento di una potenziale residenza dei genitori del signor Giovanni o se avessimo voluto procedere indipendentemente. Era chiaro, quindi, che per l`app sviluppata dall`Home Office Giovanni Palmiero aveva un anno, non 101, come da carta di identità”.Un bug legato all’età a tre cifre, si ferma a 99, come se non avessimo in Italia pezzi di territorio, triangoli di benessere, dove i nostri nonni arrivano ad età a tre cifre, Ma questo, evidentemente gli sviluppatori dell`App, lo ignorano.“Ora – conclude Scarlato – della risoluzione dell`impasse se ne è fatto carico il Ministero che ha raccolto manualmente i dati di Giovanni Palmiero per una risoluzione offline del problema, assicurando un aggiornamento ogni 5 giorni sull`applicazione pendente”.“Questo lo abbiamo ricevuto oggi, si scusano per il disagio ma ancora non ci hanno dato l’ok al settled status per papà” mi mostra il cellulare la figlia Anita, riferendosi al messaggino dell`Home Office, che dice di star riscontrando difficoltà nel concludere l’applicazione, ancora vien da pensare.

4.3.19

GASPARE MELE Il poeta che a 107 anni continua a spedire i suoi versi nel futuro

chi lo dice    che   per  esssere poeti bisogna  essere  laureati   ?   la  storia   di  Gaspare Mele – per i compaesani “tziu Gasparru” – è nato il 29 aprile 1911 a Orotelli, dove vive tutt'ora. Ha lavorato fin da piccolo, in campagna. Ha vissuto l’esperienza della guerra e per un breve periodo è dovuto emigrare per cercare lavoro. Infine è stato
capocantiere in una ditta che si occupava di strade ed acquedotti. La poesia è una passione che lo accompagna da sempre e che gli ha permesso di raccontare in versi i temi fondamentali della vita: l’amore, l’amicizia, la solidarietà, il senso del divino, il rispetto per la natura.

 da  lamiaisola  inserto settimanale  della  nuovasardegna  del  2\3\2019







I misteri della mente, malgrado i ripetuti tentativi degli studiosi di scandagliarne gli abissi e lati più oscuri, rimangono tali. Ma sta forse anche qui l’aspetto più affascinante e ricco di sorprese che alimenta l’arcano. Per questo appare incredibile in un uomo di 107 anni, Gaspare Mele, di Orotelli, il connubio così duraturo con la poesia. E se tanti versi sono stati una certezza, una presenza continua mai venuta meno, colpisce profondamente, quasi fosse uno scherzo o un miracolo il suo ricordare una mattina al risveglio un’ottava cantata ben 90 anni prima con alcuni amici.
Insomma, in un’età dove

28.8.18

storie speciali per gente normale , storie normali per gente speciale

CRONACA » TETI

Romina Cambedda, vice sindaco di Teti e cieca a vent'anni: la volontà oltre gli ostacoli

Martedì 21 Agosto alle 12:21 - ultimo aggiornamento alle 19:35

Romina Cambedda
I suoi occhi non vedono la persona con cui parla. Eppure il suo sguardo penetra fino al senso profondo della vita. Romina Cambedda, 31 anni, non è una che si ferma davanti agli ostacoli. Non vedente dai vent'anni, dottoressa in Scienze politiche, in procinto di laurearsi per la seconda volta (Giurisprudenza), è vice sindaco di Teti. E tante altre cose.
Una forza di volontà e una pace interiore fuori dal comune: sono le prime sensazioni che si provano davanti a lei. Romina trasmette sicurezza, entusiasmo per la vita. Ma non è sempre stato così. "Quando avevo 3 anni - racconta a L'Unione Sarda - mi è stato diagnosticato il diabete mellito e poi una malattia rara che porta gradualmente alla cecità. Il periodo dell'adolescenza è stato quello più critico, non mi accettavo e allo stesso tempo non riuscivo a inserirmi e soprattutto ad affrontare il problema".
Doloroso il percorso fino all'accettazione e alla consapevolezza che la vita è il bene più importante. "A vent'anni ho perso completamente la vista e stavo veramente male. Devo ringraziare la mia famiglia e gli amici, che mi hanno dato la forza, mi hanno aiutata a non rinchiudermi in me stessa, ad uscire e ad essere d'esempio".
Un'altra immagine di Romina Cambedda
Per Romina Cambedda è stato importante il confronto con gli altri, con i loro problemi e dolori. "Ora ad essere sincera, posso dire di vedere più di prima, perché ho la sensazione di riuscire a cogliere tutte le cose più belle e il senso profondo della vita".
Grazie all'Istituto dei ciechi Romina ha imparato poi a muoversi nel mondo. E un plauso, raro di questi tempi, va alla Sanità pubblica: "Il sistema sanitario fa tanto per le persone con problematiche come le mie, e ci consente di vivere al meglio".
Da circa un anno Romina è vice sindaco di Teti. Nel suo pantheon politico ci sono Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. E molto entusiasmo per la nuova esperienza. "Fare politica è impegnativo - afferma - ma mi piace tanto. I colleghi più esperti mi aiutano e stando sul campo ci si accorge che dalla teoria alla pratica è un mondo totalmente diverso".




L'Unione Sarda.it » Cronaca » Una vita a far nascere bebè: Capoterra, nonna Marina compie 101 anni
CRONACA » CAPOTERRA
Una vita a far nascere bebè: Capoterra, nonna Marina compie 101 anni
Oggi alle 15:00 - ultimo aggiornamento alle 17:03


Marina Cocco assieme al sindaco di Capoterra

Grazie alla sua memoria invidiabile riesce a raccontare ancora gli episodi più significativi della sua vita, come quando, durante la Seconda guerra mondiale, salvò il marito dal plotone di esecuzione.
O quando nel cuore della Barbagia veniva prelevata dai banditi in piena notte per accudire le loro donne partorienti.
Grande festa a Maddalena spiaggia per i 101 anni di Marina Cocco, la nonnina che durante la sua lunga carriera di ostetrica ha fatto nascere centinaia di bambini.
Nonna Marina, che vive con la sua unica figlia, Giuliana Teresi, e il genero, Paolo Ena, ha ricevuto la visita del sindaco, Francesco Dessì, che le ha donato una targa a nome di tutta la cittadinanza.

                 "Alla forza preferisco la testa": Adriana Cammi, "regina" della Mobile di Cagliari

Domenica 05 Agosto alle 15:54 - ultimo aggiornamento alle 18:07

Adriana Cammi, capo Reparto Mobile di Cagliari
Mettiamola così: la prima donna in Italia alla guida del reparto più muscolare della polizia non è esattamente come te l'aspetti. Adriana Cammi ha un garbo fuori dal comune ed è capace di regalare sorrisi enormi con i quali si prepara a dirigere una truppa di soli uomini. Protagonista della rivoluzione annunciata da Franco Gabrielli nell'aprile scorso con lo storico ingresso delle donne nei reparti riservati ai maschi, sembra non curarsi troppo di questo primato. Modesta fino all'umiltà, pensa solo a mettersi subito al lavoro.
Sa che la chiamano the queen, la regina?
No, a giudicare dallo sguardo sbalordito, non lo sospettava nemmeno. Sgrana gli occhi verdi, ci pensa un po' su e si compiace quel tanto che basta. "Mi sembra comunque un apprezzamento".
Nata (in casa) a Quartu, nel 1963, due figli e una sfida senza precedenti in Italia.
Quanti agenti guiderà?
"Il reparto è composto da 150 uomini e due impiegate civili".
Come ci si sente a essere la prima in Italia a rivestire il suo ruolo?
"Sono molto lusingata ed emozionata perché è una grossa responsabilità anche nei confronti di tutte le altre colleghe".
La celere è la sezione più muscolare della polizia. Ha scelto lei di dirigerla?
"Diciamo che mi piace mettermi in gioco. A Cagliari c'era un avvicendamento naturale e ho cercato un incontro tra la mia disponibilità e il momento storico che l'amministrazione stava vivendo".
Qualcuno dei suoi colleghi avrebbe voluto il suo posto?
"Non lo so".
Il primo obiettivo come dirigente?
"Prendere conoscenza delle peculiarità dell'ufficio, diventare padrona della materia e cercare di dirigerlo al meglio".
Cosa significa per una donna fare ordine pubblico?
"Ha lo stesso significato che ha per un uomo. Non leggo questa differenza. Certo, è un contesto operativo imprevedibile con situazioni che evolvono continuamente".
Conta di più la testa o il fisico?
"Sicuramente la testa. Poi è chiaro che c'è una presenza fisica, ma quella possono averla anche le donne. Servono soprattutto doti strategiche, equilibrio, buon senso, capacità di organizzazione e tecnica".
Ha mai picchiato qualcuno?
"Per carattere sono più portata alla mediazione".
Mai avuto paura durante il servizio?
"No, forse è stata fortuna, ma non mi sono mai trovata in contesti simili".
Una donna può essere più forte di un uomo?
"Sì, tutto dipende dalle caratteristiche individuali".
Come si fa rispettare dai suoi sottoposti?
"All'inizio ero preoccupata dal fatto di avere un carattere docile e amichevole. Poi ho capito che con il sorriso e le buone maniere si ottiene di più che con atteggiamenti duri e autoritari. Penso di essere una brava persona".
Se non fosse riuscita a fare la poliziotta cosa avrebbe fatto?
"Avrei studiato per il concorso in magistratura".
Il momento più difficile della sua carriera?
"Non ho un ricordo particolarmente difficile. Ci sono tanti momenti in cui ti capitano delle cose che ti mettono alla prova".
Quindi non ha mai pensato di mollare?
"Mai".
Come si concilia il suo ruolo con quello di madre?
"È un lavoro impegnativo, come tanti altri. Faccio come tutte le donne che gestiscono una famiglia. Forse è solo un pochino più difficile rispetto ai maschi, ma si può fare grazie alla forza che i figli ti trasmettono".
Dopo cosa farà?
"Preferisco darmi un obiettivo alla volta. Ora devo concentrarmi su questo".
Ha mai detto no a un superiore?
"Non dico mai dei no netti. Quando non sono d'accordo cerco di convincere gli altri e, normalmente, ci riesco".
Ha mai rifiutato di eseguire un ordine che non condivideva?
"Diciamo che l'ordine legittimo deve essere comunque eseguito".
                                             Mariella Careddu

CULTURA » TERRALBA

Dina Pala, l'artista di Terralba: "Tutto è nato da una sfida"

Giovedì 21 Giugno alle 15:02

Dina Pala
Un affascinante viaggio a Terralba per incontrare Dina Pala, pittrice e scultrice che realizza opere molto particolari e che fa parte di un nuovo movimento artistico, il "fluttuismo". Il suo ritratto realizzato dal nostro lettore Alessio Cozzolino.
***
Dina Pala, una simpatica signora attempata, dalla statura minuta, il volto ben delineato, le mascelle possenti, gli occhietti scuri, non sembra, almeno in apparenza, la settima artista al mondo: ha la vaga aria di una Miss Marple di paese.
Invece, l’apparenza inganna.
Pittrice e scultrice ottantacinquenne sarda, vive a Terralba, in provincia di Oristano. La sua, una casa seicentesca, un raro frammento storico in un quartiere relativamente giovane, è un’abitazione museale.
Per scoprire Dina e il suo talento, non si può non andare a farle visita.
Nelle giornate di Monumenti Aperti, tra il 26 e il 27 maggio 2018, la sua bella "domu" è stata resa visitabile al pubblico. Decine le persone che, incuriosite dalla magnifica mano della pittrice e scultrice, hanno colto l’occasione per incontrare dal vivo l’artista e "saggiare" la sua tecnica.
"È una gran soddisfazione - spiega - poter vedere i propri lavori apprezzati". Dina ha raggranellato un grande tesoro: 227 sono le opere da lei fatte ancora in suo possesso, così ripartite: 157 pitture e 70 sculture.
"Non è nato tutto l’altro ieri - si giustifica - ma da 75 anni di vita 'da pittrice e scultrice'. Dipingo e scolpisco da quando avevo 10 anni".
Nella sua "domu" regna un atavico silenzio, interrotto ogni tanto da un lieve cicaleccio proveniente dall’esterno. A rompere davvero la quiete profonda della casetta, però, ci pensano i quadri, che rappresentano spaccati di vite quotidiane delle donne e degli uomini del suo paese, amanti, nudi, giochi tra fanciulli, unioni familiari: vere e proprie opere eloquenti.
A questi, che cambiano di forme e dimensioni, colori e tecniche, si affiancano le statue, non secondarie nella vita della terralbese, che infatti ha cominciato ad affacciarsi al mondo dell’arte con le sculture. "Precisamente - spiega - con la realizzazione di un presepe in argilla".
E tutto per "colpa" di una sfida: gira un curioso aneddoto circa l’iniziazione artistica di Dina. Pare che, da giovanissima, abbia ingaggiato una sfida con una sua amica: chi delle due avesse realizzato il più bel presepe avrebbe ottenuto un riconoscimento. Mentre l’amica andò a comprarsi le statuette preconfezionate, Dina si avventurò in campagna alla genuina ricerca di argilla e vinse quindi la competizione.
L’arte dell’ottantacinquenne ha presto varcato i confini nazionali, espandendosi perfino negli altri quattro continenti, finendo quindi nelle case di collezionisti stranieri. È infatti l’unica interprete di un movimento artistico nuovo: il fluttuismo, nato da una personale visione del futurismo, riconosciuto nel 1999 a New York per l’Art Expò.
I soggetti che sta rappresentando, in questo momento, sono tipici dei canoni bocciani, in cui le linee flessuose si avviluppano in sfondi dai colori mozzafiato, fino a creare particolari forme geometriche, animali, umani.
"Piacciono tantissimo, specialmente ai giovani. Sai?". E aggiunge: "Un pittore deve sempre sperimentare e studiare per non rimanere indietro".
Dina lo ha sempre fatto: dopo la formazione dell’obbligo, da autodidatta ha costruito la sua carriera. Come? Da uditrice, ha frequentato lezioni di pittura e scultura presso le Accademie di Venezia e Firenze. A Parigi, grazie a un certo Maurice, venne introdotta nel mondo dell’arte di Ville Lumiere. E proprio in questo periodo ebbe la fortuna di conoscere il cubista Picasso. "Averlo incontrato mi ha lasciato strane sensazioni - racconta - ma la parte migliore è stato vederlo lavorare, con tanto ardore e zelo".

quando l bullo è un prof' Obesa','Anoressica'.Roma una Scuola sciopera contro la prof bulla

(ANSA) - ROMA, 12 MAR - Alla fine hanno deciso di prendere il problema di petto, facendo uno sciopero, con tanto di presidio e un video per...