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17.9.25

Renato Copparoni, il portiere sardo che fermò Maradona: ricordi ed emozioni a VillasimiusLa presentazione del libro nella splendida atmosfera di Casa Todde

unione  sarda online  


Renato Copparoni, il portiere sardo che fermò Maradona: ricordi ed emozioni a Villasimius
La presentazione del libro nella splendida atmosfera di Casa Todde



(foto Agus)


Ricordi ed emozioni a Villasimius durante la presentazione del volume “Renato Copparoni, il portiere che fermò Maradona”. Nella splendida atmosfera di Casa Todde lo storico portiere del Cagliari e del Torino ha raccontato i momenti in cui riuscì a neutralizzare il rigore tirato da Diego Armando Maradona: «All’epoca – ha detto - giocavo nel Torino. Il campione argentino ha cercato di spiazzarmi prima di tirare il penalty, ma io non mi sono mosso perché sapevo che non avevo niente da perdere. Alla fine Maradona è stato costretto a tirare, ho intuito il tiro e sono riuscito a respingere il pallone. Mi ricordo ancora gli ottantamila spettatori del San Paolo muti perché Maradona non aveva mai sbagliato un rigore».
Il libro, pubblicato dalla Carlo Delfino Editore, è stato scritto da Umberto Oppus e Mario Fadda. «Ho lavorato per mesi alla composizione del libro – ha spiegato Fadda – e sono stati fondamentali i tanti giornali raccolti e custoditi dal padre di Renato Copparoni».

Ritrova la tomba del padre mai tornato dalla guerra Rina, 80 anni, aveva di lui solo delle foto ingiallite: «Ora voglio che lo riportino qua a Quartrucciu »

 unione sarda  17\9\2025

Ritrova  a Piacenza  la tomba del padre mai tornato dalla guerra



Le foto risalgono ai primi anni Quaranta. Hanno i segni del tempo, passato inesorabile. Rina Fanunza conosce suo padre solo tramite quegli scatti in bianco e nero. Aveva appena dieci giorni quando Onofrio Fanunza, nato a Quartucciu nel 1922, morì a soli 23 anni, nel 1945.
Era un soldato di stanza a Piacenza, nella Quinta Compagnia di controllo del traffico aereo, e stava svolgendo il suo lavoro quando, il 10 giugno, mentre andava a prendere delle lanterne su ordine dei suoi capi, scese dal rimorchio guidato da un suo commilitone e, per una manovra errata, venne travolto dal mezzo. Fu soccorso subito, ma morì quattro ore dopo all’ospedale civile piacentino. Commozione cerebrale e frattura del bacino: questo il referto post-mortem redatto dal direttore del nosocomio a gennaio 1946. Troppo grave per sperare nel miracolo.
La ricerca
Sua figlia Rina, che oggi ha 80 anni e vive nel borgo di San Gaetano, frazione di Quartucciu, negli anni ha coltivato due grandi desideri: «Ho sempre voluto sapere dove era sepolto mio papà e, una volta venuta a conoscenza di questo, vorrei essere seppellita accanto a lui. Mia madre, che quando mio padre morì aveva 19 anni, si risposò e non mi parlava mai di lui. Inizialmente frequentavo i miei zii paterni, che però non mi dissero mai la storia di papà nei dettagli. Poi mia mamma non volle più che li frequentassi, perché per una donna che si risposava era un tabù parlare del primo marito. Capii la motivazione ma non la accettavo».
Sete di verità
La volontà di conoscere il padre morto nel fiore della giovinezza si è rafforzata dopo la morte di sua madre, nei primi anni Ottanta. «Ero rimasta figlia unica, mia sorella più grande morì a 5 anni. Avevo bisogno di sapere la verità su mio padre». Così Luciana Sanna, figlia di Rina e nipote di Onofrio, nella primavera di quest'anno si è messa alla ricerca del nonno. Prima ha chiesto all'Archivio di Stato di Cagliari, il quale non ha saputo fornire risposta, poi al Ministero della Difesa, che le ha comunicato il luogo di morte: Piacenza, per l’appunto.
La tomba ritrovata
«Quindi mi sono rivolta al cimitero monumentale piacentino», dice Sanna, «la comunicazione con il camposanto non è stata facile a causa di lavori in corso, ma poco dopo mi hanno comunicato che nonno è sepolto lì. Sono partita e gli ho portato una fiore anche e soprattutto a nome di mia madre». I dettagli sulla morte di Onofrio Fanunza, la nipote li ha scoperti grazie a una ricerca nei dati del Ministero della Difesa e a una foto trovata tra i documenti della nonna materna. «Abbiamo scoperto che i suoi resti erano stati dissepolti nel 1968 (sempre nel camposanto piacentino, nda) e traslati nell’ossario». Quando Rina ha saputo la bella notizia non stava più nella pelle.
La felicità
«Il mio cuore si è riempito di una gioia immensa», dice non riuscendo a trattenere le lacrime, «finalmente ora so dove riposa papà e soprattutto, conosco i dettagli della sua tragica fine». Il primo desiderio si è quindi avverato. Ora rimane l'altro: poter riposare accanto a lui. Per questo lancia un appello accorato al Comune, in primis al sindaco Pietro Pisu: «Faccia di tutto per riportare qui le spoglie di mio padre e dargli degna sepoltura in quello che è il suo paese natale». Luciana si accoda alla richiesta: «Nonno merita di riposare a Quartucciu. Voglio esaudire anche questo desiderio di mia madre, glielo devo. Spero, e sono convinta, che il sindaco saprà esaudirlo».

22.8.25

Sulle Alpi si scioglie la Storia: 140 mila bombe ed residuati bellici della grande guerra in otto anni


Dai ghiacci alpini che si sciolgono e dalle montagne che si sgretolano, spunta un tesoro di dolore e di ricordi lontani. Sono i cimeli della Grande Guerra, tragica epopea di un massacro che vedeva contrapposti gli eserciti del regno d’italia e dell’impero austroungarico. Un secolo abbondante è trascorso, è venuta un’altra guerra mondiale, ma i nevai hanno continuato a custodire ordigni di morte e oggetti di vita ordinaria in trincea. Adesso che il ghiaccio si ritira è sempre più frequente il ritrovamento di proiettili, bombe, gavette, munizioni ed esplosivo, che fanno tornare alla memoria pagine di Storia e di sangue in Trentino e in Alto Adige.

A partire dalla Val Martello, una laterale della Val Venosta che sale da Laces verso il Parco dello Stelvio,

i militari del 2º Reggimento Genio Guastatori Alpini, che fa parte della brigata “Julia”, hanno cominciato da fine luglio un lavoro ad alto rischio. Sulla base delle segnalazioni che arrivano da alpinisti e camminatori, individuano i residuati bellici e li mettono in sicurezza. I ritrovamenti servono però anche da indicatore dei luoghi dove se ne possono trovare degli altri, pericolosi per chi li trova e li maneggia, visto che il potenziale può essere rimasto intatto a dispetto del tempo.Il quartier generale delle operazioni è a Trento, ma le operazioni si svolgono con il supporto degli elicotteri del 4º Reggimento Altair dell’aviazione di stanza a Bolzano, adloClima I ghiacciai in ritirata restituiscono cimeli, spesso pericolosi: il Genio Alpini riceve le segnalazioni e sale in quota per sminare destrati per le difficili missioni in alta quota. Si tratta quindi di una collaborazione tra Esercito,Aviazione, Protezione civile regionale e altre forze dell’ordine. 

IL lavoro che viene svolto dagli artificieri non si limita alla rimozione, ma si basa su un consolidato meccanismo di segnalazione. Nell’area di competenza del 2. Reggimento, che copre le due province autonome di Trento e Bolzano, dall’inizio dell’anno sono stati neutralizzati 190 residuati bellici di vario calibro. Vengono portati in cave predisposte e fatti brillare.I militari spiegano che gli ordigni possono sembrare innocui, ma in realtà l’esplosivo che si trova al loro interno non si degrada e mantiene intatta la carica. Per questa ragione le indicazioni che vengono fornite sono tassative. Nessuno pensi di portarsi a casa un ricordino della Grande guerra, deve evitare di toccarlo e avvertire allo stesso tempo i carabinieri. Da loro verrà messa in moto la macchina di intervento specializzato che prevede la catalogazione degli ordigni e la valutazione sul modo migliore per il trasporto a valle e la distruzione. Quando possono essere conservati, finiscono in uno dei tanti musei di guerra di cui sono disseminate le località alpine.

scorso anno l’operazione “Carè Alto” si era svolta in alta quota sul gruppo dell’adamello. Aveva portato al recupero di 53 granate d’artiglieria che erano in ottimo stato di conservazione e si trovavano nelle zone di Bocchetta del Cannone (2.850 metri) e Cima Pozzoni (2.915 metri). Nel 2022 gli ordigni recuperati erano stati 785, nel 2021 erano stati 340. Nel 2023, nella sola zona della Vedetta di Nardis, sono stati trovati addirittura 1.039 ordigni. Secondo i calcoli del Genio guastatori, dal 2017 al 2024 sono stati rinvenuti ed estratti ben 141 mila ordigni in tutta la regione Trentino Alto Adige.

Non c’è solo la montagna. Nel 2021 e 2022 il cantiere del Waltherpark ha portato alla luce a Bolzano due bombe inesplose risalenti alla Seconda guerra mondiale. Lo scorso febbraio, nella zona industriale di Bressanone Sud è stata trovata una bomba d’aereo americana, poi disinnescata dai guastatori e fatta brillare in una cava a Naz - Sciaves. A gennaio, durante i lavori del cantiere del bypass ferroviario di Trento, sono emerse dal terreno munizioni del Secondo conflitto bellico, che hanno richiesto anche l’intervento dei Vigili del fuoco per la messa in sicurezza.

Le ricerche vengono estese ai laghi e ai bacini idrici, grazie alla collaborazione dell’esercito con la Marina militare. A intervenire nel Garda e nel lago di Torbole sono stati alcuni mesi fa gli specialisti del Comando Subacquei e Incursori (COMSUBIN). In quel caso erano state rinvenute quattro bombe a mano risalenti alla Prima guerra mondiale, due bombe da fucile modello “Zeitzunder Grenade” e due proiettili d’artiglieria dell’ultima guerra.

16.7.25

La figura del recuperante È una figura storica che nell'Altopiano di Asiago ha avuto un senso.

qualche giorno fa sfogliando msn.it \ bing ho trovasto ( il video sotto ) ed ho ) ho appreso dela figura del recuperante . Ecco cosa ho trovato ( trovate a fine post le mie fonti consultate ) . Il termine "recuperante" (o "recuperanti" al plurale) indica una figura storica, spesso presente
dopo conflitti bellici, che si dedicava alla raccolta e al recupero di materiali residuati dai campi di battaglia. Questi oggetti, come armi, munizioni, e rottami metallici, venivano poi venduti, spesso come rottame, o utilizzati per altri scopi, generando un profitto. che Il recuperante è colui che, in particolare dopo le grandi guerre mondiali, si recava nei luoghi dove erano imperversati i combattimenti, specie di trincea, e recuperava i residuati bellici per rivenderli come rottami pregiati o come esplosivi. Successivamente l'attività è divenuta prevalentemente di carattere storico e di ricerca. Infatti Se in altri tempi come dice anche la testimonianza del video sotto, da cui ho pres a prestito il titolo per il post era dovuto a motivi no solo economici ma di sopravvivenza , oggi per passione delle vicende storichje che colpirono quelle zone e per alcuni anche per lucro .


Infatti    se     come     dice  la  voce   recuperante  di wikpedia  ⁕ «   [... ] Per le popolazioni locali dell'immediato dopoguerra (prima e seconda guerra mondiale), si trattava prevalentemente di un'attività supplementare per integrare gli scarni guadagni mensili, per altri divenne invece il lavoro principale.[3] Si trattava anche di un'attività pericolosa in quanto era frequente incappare in materiale inesploso:[3] quindi i recuperanti iniziarono anche a brillare gli esplosivi in modo artigianale.Le diverse generazioni di recuperanti che si sono succedute erano animate inizialmente dallo spirito di sussistenza-sopravvivenza (1919-1950), mentre in seguito le motivazioni sono divenute storico-sociali.[3]A partire dagli anni 1970 e nell'epoca contemporanea, il recuperante è gradualmente divenuto figura che agisce essenzialmente per due ragioni:

  • il recupero a scopo commerciale, la cui ricerca nei siti delle guerre è finalizzata al ritrovamento, restauro e vendita dei reperti, presso i mercatini sparsi nel Nord e centro Italia o durante le fiere normalmente denominate "Militaria" o simili.
  • il recupero a scopo collezionistico o storico, che impronta la sua ricerca nel ritrovamento, il restauro conservativo e la creazione di una collezione o la cessione dei reperti a musei e collezioni pubbliche.

Durante queste ricerche avviene che vengano ritrovati i resti di militari a cui può essere data una identità e una tumulazione.[4]In alcuni luoghi, come la regione Veneto, l'attività del recuperante è regolamentata e per svolgerla è necessario ottenere un'autorizzazione, comunemente chiamata patentino.[5]  »

Ora  a  prescindere    dallo  scopo   di  tale  attività  essa  permette  che tale periodo storico  non finisca  nelle  nebbie  e nelll'oblio  o  strumentalizzato politicamente  come propaganda  e   mitizzato  . E ridotto  ad una semplice pagina   sintetica    nei libri  di storia   scolastici   e destinata  (  salvo eccezioni  )  a nonessere  affrontata nei programmi   visto che   generalmente  vi ci s'arriva   negli ultimi mesi  scolastici   se   ci s'arriva    vi sto che   di solitoi  ci  si ferma     alla breccia di porta   pia   o al massimo a Giolitti  .  Quanto sangue è stato versato sull’Altopiano di Asiago: ce lo ricorda Ermanno Olmi, regista di innumerevoli film-testimonianza sulla comunità montana (in particolare quella bresciana, da cui proviene) e che con il film I recuperanti (1970) racconta “l’arte” del recupero dei materiali bellici su quelle che furono le trincee delle due guerre mondiali.⁕⁕


15.4.25

Esodo di chiara Atzeni Un viaggio dentro se stessi attraverso la storia dell’esodo giuliano dalmata


    Per  i  rispettivi impegni   sia  miei   sia    dell'autrice,   Chiara Atzeni  autrice  del   bellissimo    profondo  Cd   Esodo ,      riesco    solo  ora a  intervistarla   . IL cd ESODO   è un concept album che trae ispirazione dalla storia dell’esodo giuliano dalmata per svilupparsi in un racconto introspettivo di più ampio respiro, incentrato sulle tematiche del non ritorno, dell’abbandono e della ricerca delle proprie radici.

Il disco, prodotto da Luca Moretti per MaBa Edizioni, nasce dopo una gestazione di quattro anni e rappresenta l’evoluzione in musica dell’omonimo libro di Chiara Atzeni, in cui si narra una storia d’amore sullo sfondo delle travagliate vicende che travolsero l’Istria, il Quarnaro, Fiume e Zara quando passarono dall’Italia alla Jugoslavia.
Le stesse vicende che costrinsero la famiglia della cantautrice ad abbandonare la propria terra, le proprie case, il senso stesso della propria vita. L’album e il libro sono legati a doppio filo dalla stessa genesi e dalla volontà di pervenire a una “catarsi” collettiva e individuale.
“ESODO” è la divulgazione di una memoria comune a migliaia di persone, come riflessione e cura delle più profonde ferite personali. Un viaggio nella storia, così come nell’io più profondo.  

Come sei riuscita a bloccare in forma artistica,in questo caso letteraria\ musicale i ricordi e  le memorie ,  evitando così che i racconti della tua famiglia, più precisamente dei tuoi nonni, esuli giuliani del secondo dopoguerra, finissero nell'oblio del tempo e dispersi nel vento? Oltre ai racconti, le parole di chi li aveva conosciuti e vivendo fisicamente i luoghi: « l’isola di Lussino e il piccolo meraviglioso paese di Neresine. » Ci hai messo qualche riferimento al tuo percorso di studi all'esodo giuliano-dalmata e quindi alla tua laurea in Lettere Moderne con una tesi sul tema ?





Realizzare l’intero progetto (libro, in due edizioni, e disco) è stata un’impresa impegnativa, sotto tutti i punti di vista. Ma era qualcosa che per me andava fatto e che desideravo realizzare già dal 2010, anno della mia tesi di laurea in Lettere. Questo progetto racchiude quello che l’arte è per me, cioè riuscire a veicolare qualcosa di razionale in un linguaggio che arrivi non solo alla nostra parte razionale ma soprattutto alla pancia, alle emozioni. Credo che sentire sia molto più potente del semplice capire. Così ho provato a trasmettere non solo i racconti, che potrebbero ridursi a una cronologia di eventi, ma anche gli stati d’animo, le sensazioni e i sentimenti, dei miei nonni in particolare, ma non solo. Ad esempio, nel disco ho inserito dei suoni tra un brano e l’altro, suoni che ho registrato proprio sull’isola di Lussino, perché potessero immergere l’ascoltatore il più possibile in quel luogo. Oppure, nel libro, ho deciso di lasciare le parlate originali di coloro che ho intervistato (alcune interviste sono estratte proprio dalla tesi di laurea), perché le loro parole potessero essere fermate in quell’istante, sopravvivere nel tempo e arrivare vive e vere a chi le leggerà. I quattro anni di lavoro all’intero progetto sono stati una sorta di catarsi per me, un po’ come l’elaborazione di un non risolto che avevo in qualche modo ereditato.

Consigli per chi scopre da poco ( anche se in realtà il disco uscito più di un anno fa precisamente nel marzo 2024 ) il tuo lavoro discografico Esodo , di ascoltarlo prima o dopo oppure ( come rifarò io dopo questa intervista ) in contemporanea al libro L’Eco di un Esodo ?

 I due lavori sono complementari ma indipendenti, entrambi potrebbero vivere in autonomia. Tuttavia penso che leggere prima il libro possa aprire a un diverso livello di “lettura” del disco; quindi, a chi volesse avvicinarsi a entrambi, consiglierei di leggere prima il libro e poi ascoltare il disco. Vorrei specificare che L’eco di un esodo è stata una prima edizione del libro, destinata ad esaurimento; la seconda edizione del libro, autoprodotta e rieditata, ha preso il titolo di Esodo, come l’intero progetto, ed è quella che consiglio di leggere.

 Tu in L’Eco di un Esodo  dici : << [..] “Il punto di vista cui ho dato voce è quello di coloro che sono partiti quando hanno deciso che restare fosse pericoloso o, semplicemente, abbandonare la loro terra risultava ai loro occhi l’unica alternativa possibile. >> quale delle due fu quella dei tuoi nonni che dovettero a causa della difficile situazione delle terre irridente fuggire e venire in italia ?

Direi entrambe. I miei nonni sono venuti via nel ’49, quindi non subito dopo il passaggio alla Jugoslavia. Hanno provato a rimanere sotto la Jugoslavia per quattro anni e mai avrebbero voluto lasciare la loro terra, da sempre multietnica e variegata. La loro partenza non aveva nulla a che vedere con questioni ideologiche, ma con l’impossibilità di poter vivere serenamente, dignitosamente e in sicurezza in quella che era diventata per loro una terra estremamente ostile. Le motivazioni che li spinsero a partire furono parecchie e ben descritte nel mio libro; sarebbe riduttivo esporle in poche parole. Tuttavia, la goccia che fece traboccare il vaso fu il reclutamento di mia nonna, allora ventenne, al “lavoro volontario obbligatorio” per la ricostruzione di strade e ferrovie, lontano da casa e in condizioni di lavoro insostenibili ed estremamente pericolose (tanto che una sua amica morì durante il lavoro, schiacciata da un masso); non essenso possibile rifiutare il reclutamento (pena l’internamento) i miei bisnonni decisero di farla partire per Trieste. Solo mesi più tardi riuscirono ad ottenere il permesso di raggiungerla, ovviamente lasciando tutto per sempre.

Che ne pensi del 10 febbraio giorno del ricordo è riuscito in questi 20 anni della sua istituzione a : << [..] questa storia va compresa con il cuore prima ancora che con la ragione, per evitare di esser risucchiati da quel groviglio di idee e convinzioni, in cui, anche a voler essere obiettivi, si faticherebbe a venirne fuori indenni.” (Tratto da Chiara Atzeni, L’Eco di un Esodo) >> oppure come tutte le cose italiane , soprattutto quando a causa dell'oblio forzato creato dalla guerra fredda ( la cosidetta congiura del silenzio ) e da non essere riusciti a fare i conti con il passato e le proprie responsabilità le ferite sono ancora aperte , ogni volta che si parla di foibe ed esodo finisce in caciara e tipo contrapposizioni da stadio quando c'è un derby ? 
Purtroppo il 10 febbraio rimane per la maggior parte una data divisiva. Credo che l’essere umano abbia bisogno di appartenere a qualcosa e automaticamente schierarsi contro qualcosa di opposto, catalogare il bene e il male e lì fossilizzarsi, come una sicurezza. Lo stesso succede per quella data che potrebbe essere emblema del ricordo, del rispetto del dolore, dell’andare oltre odio, rancore ed etichette per evolvere come esseri umani; e invece diventa oggetto di strumentalizzazione, da entrambe le parti, come scudo e arma per avvalorare le proprie ideologie, qualsiasi esse siano. Ancora una volta, purtroppo, ideologie e preconcetti prevalgono su empatia e umanità. Però, posso dire anche che in questi anni in cui ho portato in giro Esodo, ho incontrato molte persone curiose e ben disposte all’ascolto.



Per concludere due domande su due canzoni che mi sono piaciute di più, oltre Esodo  che da il  titolo  al tuo lavoro  

 In che senso la canzone Immunità è una strada verso la resilienza . di solo  alla   parola immunità    diamo  significato negativo  ?

 Immunità è la canzone più criptica di tutto il disco, che però lascia anche spazio all’immaginazione; a volte il non detto apre a più interpretazioni e lascia più spazio e chi ascolta. Credo ci sia bisogno anche di quello. “ che poi male che vada, saprò farne una canzone” penso racchiuda un po’ il senso. Tutto quello che ci succede può essere trasformato in qualcos’altro. Anche se non era ciò che avevamo immaginato per il nostro futuro. 

Come si collega la bellissima Amica che , almeno io l'ho interpretata cosi , è una lettera a un’amica; un tentativo di calore e vicinanza durante la malattia, con le tematiche del disco e del lavoro Esodo ?

Amica è proprio una lettera, come dici tu; era il mio modo di rimanere vicina a una persona a me cara. Ma anche questa è un invito alla resilienza, a vivere il presente fiduciosi in quello che la vita ci presenterà. E credo che l’empatia e la vicinanza emotiva a volte siano potenti almeno quanto un aiuto materiale.

 vi lascio con le  note dell'ultima    canzone     del disco Esodo   COSA è CASA  .  


La  quale ,   oltre  a  riassumere   insieme  a    Esodo l'intero  ed intenso  lavoro  di Chiara,  è    secondo  https://www.rockit.it/, cosa  con  cui    concordo ,  il ritorno alle origini con la consapevolezza necessaria è possibile solo grazie al distacco di due generazioni; è l’accettazione e la reintegrazione del proprio vissuto e di quello dei propri avi. È la chiusura di un cerchio in  pratica .

10.2.25

se proprio vogliamo una menoria condivisa sul 10 febbraio \ giorno del ricordo ricordiamo quello che è stato a 360 gradi non solo quello che ci fa comodo

 Oggi   10 febbraio   giorno del ricordo     si celebra giustamente  le foibe  e  l'esodo   \  sradicamento     delle  polazioni italiane   o  miste   vista  la  situazione  tipica  di confini come  quelli    dove   convivevano  tra  alti e bassi    e si mescolavano \  contaminavano  etnie   diverse    fino all'esplodere   \  all'esacerbarsi    ne  nazionalismi ed  arrivare    alle brutture    delle  pulizia   etnica  . Ma   che altro dire   su  tali eventi    che  non sia  già stato detto  o  scritto   ,  che  non sia  solo retorica   nazionalista  \  patriottarda ?  Io nel mio  piccolo  posso   solo   ripetere  quanto  già  detto , da  quando  ho messo   su  il  blog  (  prima  con  splinder  poi  con  blogger )   ed in  particolare    in quest'ultimo post   scritto  di  qualche  fa   ,  quello  che da  fastidio    a  coloro  che vogliono    celebrando tali eventi   a senso  unico   e  solo  in  parte  ,  sminuendo  e  accusando   chi  fa  il  contrario   di negazionismo  \    giustificazionismo    oscurando il resto     delle  vicende 
Quindi  posso  lottare  finchè    sia  ricordato     tutto  la  pulizia  etnica   e  l'italianizzazione     forzata   e  la  cancellazione    etnica    e  le  brutalità  con i  nazisti   


 non  solo     i  crimini    del  foibe  e    del regime  di  Tito .Per  e  per  parafrasare  la  mia  patria  di Sabina  Guzzanti ( qui il testo  integrale  )   le vele al vento del mio pensiero al finche' quel vento resisterà'  e   soffierà  ancora  (   canzone   di  Pierangelo  Bertoli )   lottare  affinché   non si  speculi  con  la  scusa  di  trovare  una  memoria  condivisa  su  tali  vicende   cosi   dolorose e  "  divisive  " e   ancora   per  la politica  della  guerra  fredda   \  congiura  del silenzio  e    degli italiani  brava  gente   (  url  )   . Ma  sopraqttutto  non   siano   ogetto   propagandistico   e usato   cone  speculazione  politica  contro  gli  avversari ( destra )  e  negazionista     e  giustificazionista    con distruzione   e deturpamento  di  monumenti  e sacrari   con vergognose  scritte  





  Quindi   ho  già  detto   tutto  quello  che dovevo  dire  .   Che  altro  aggiungere    quindi ?    se  non  



oppure    visto  che  zitto non  riesco  a stare     segnalando  ( è  dell'anno  scorso ma  l'ho  scoperto  solo  oggi  )    un ottimo lavoro letterario e musicale  scevro     quasi  del tutto  dalla  retorica  patriottarda  e  nazionalista  ma  carico  di  nostalgia     esodo   



di Chiara  atzeni   qui la  sua  pagina   facebook  o  con  una  bellissima  testimonianza   da  sinistra   perché    l'esodo e lo sradicamento     da quelle    terre    riguarda  tutti e  non guarda  in faccia  nessuno

  da  

  • Il Fatto Quotidiano
  • » Adriano Sansa


  • Foibe, la memoria sia almeno giusta: tutto va ricordato e nulla giustificato

    Sono nato a Pola; il nonno era medico a Dignano: morì d’infarto in quei giorni tremendi. Fummo costretti dalle minacce e dal terrore di Tito a lasciare la nostra terra. Passammo tempi di angustie. Poi i miei genitori ricominciarono, senza troppi lamenti. Si riunivano con altri esuli ogni anno a cantare il “Va pensiero”. Ma ancora dopo decenni altri profughi meno fortunati vivevano in squallide caserme fra corde tese a separare con qualche coperta le famiglie.

    Al principio l’italia non fu sempre generosa. Il Partito comunista subiva l’egemonia sovietica, simpatizzava per Tito; gli esuli furono stoltamente chiamati fascisti, talvolta insultati e molestati. Paradossalmente il fascistume seguace del corresponsabile del loro dramma fece mostra di difenderli. Per molti anni non si parlò onestamente della tragedia istriana e dalmata.

    Tuttora, nonostante il Giorno del ricordo, e anzi proprio in questa occasione, certe analisi sono inquinate dall’ideologia. I crimini del fascismo, la persecuzione della popolazione slava richiedono giustamente una memoria e possono spiegare in parte la ferocia dei titini, le foibe, la sostituzione etnica che ne seguì. Ma non le giustificano. Gli eventi pur connessi della storia esigono uno ad uno un giudizio. Gli istriani patirono tremende crudeltà, violenze, sevizie di ogni sorta.

    Le ultime parole di mia madre furono “perché devo morir cussi’ lontan?”. Nata a Lussino, cresciuta tra Trieste e Pola, aveva insegnato nella minuscola isola di Unie. Per tanti esuli il Giorno del ricordo arriva tardi: che sia almeno giusto.


    buona celebrazione a  tutti\e 


    2.1.25

    Sopravvissuta all'Olocausto, ha vinto 10 medaglie alle Olimpiadi: Agnes Keleti si è spenta a 103 anni

      fonti  corriere dela sera tramite msn.it  e https://www.thesocialpost.it/ e https://www.ilmessaggero.it/video/sport/ per il video

    Agnes Keleti, una delle più grandi atlete ebree della storia, è morta a 103 anni in Ungheria. Sopravvissuta all’Olocausto, era la campionessa olimpica vivente più anziana, con 10 medaglie conquistate nella ginnastica . “Avrebbe compiuto 104 anni giovedì prossimo”, un traguardo che avrebbe celebrato con lo stesso spirito indomabile che l’ha sempre contraddistinta.Nata Agnes Klein nel 1921, la sua carriera fu drammaticamente interrotta dalla Seconda guerra mondiale e dalla cancellazione delle Olimpiadi del 1940 e 1944. Nel 1941, a causa delle leggi razziali, fu costretta ad abbandonare la squadra di ginnastica e a nascondersi nella campagna ungherese sotto una falsa identità, lavorando come domestica. La madre e la sorella sopravvissero grazie al diplomatico svedese Raoul Wallenberg, ma il padre e altri familiari furono deportati e morirono ad Auschwitz.
    Dopo la guerra, Keleti tornò ad allenarsi con determinazione. Sebbene un infortunio le avesse impedito di partecipare alle Olimpiadi di Londra del 1948, il debutto a Helsinki nel 1952 la vide brillare: un oro, un argento e due bronzi negli esercizi a corpo libero. La consacrazione definitiva arrivò alle Olimpiadi del 1956 a Melbourne, dove conquistò 4 ori e 2 argenti.
    Agnes è rimasta un’icona anche dopo il ritiro. Nel 2017 ha ricevuto il prestigioso Premio Israele, mentre l’Ungheria l’aveva già insignita del titolo di “Atleta della Nazione” nel 2004. Sorprendentemente, ha continuato a eseguire spaccate fino ai 90 anni, dimostrando che la sua forza andava ben oltre il tempo . i.
    Keleti conquistò le medaglie olimpiche in due edizioni dei Giochi: Helsinki 1952 e Melbourne 1956, dove batté la leggendaria ginnasta sovietica Laris Latynina. Ha dovuto aspettare, dopo un mucchio di occasioni sfuggite: prima a causa della guerra, poi per un infortunio che l'ha costretta a rinunciare ai Giochi del 1948 a Londra. Era sopravvissuta agli orrori dell'Olocausto, aveva dovuto lasciare la ginnastica e superare il dolore per la scomparsa del padre e di diversi parenti, uccisi dalla ferocia nazista nel campo di concentramento di Auschwitz. Agnes si è salvata e con lei anche mamma e sorella.
     


    Keleti è considerata una delle più grandi atlete ebree di sempre ed era la campionessa olimpica vivente più anziana: era nata a Budapest il 9 gennaio 1921 e giovedì prossimo avrebbe compiuto 104 anni. Agnes ha ottenuto anche successi importanti in Italia: ai Campionati del Mondo di Roma 1954 si è laureata Campionessa del Mondo alle parallele asimmetriche. Keleti ha lasciato l'Ungheria a causa della rivoluzione scoppiata nel '56, proprio durante le Olimpiadi di Melbourne: dopo aver chiesto asilo politico in Australia, si è trasferita in Israele. In un'intervista di tre anni fa, disse: «Ho 100 anni, ma ne sento 60. Amo la vita». Lo sport piange una donna che è stata più forte di tutto.

    18.3.23

    Onori e sgarbi Dopo l’8 settembre Ettore Castiglioni portò in salvo un centinaio di persone, tra cui molti ebrei e il futuro capo dello Stato Il no a un monumento

     

    Questa storia è ormai di ordinaria meschinità politica. Ha radici lontane. Lo spunto è una data: il 12 marzo 1944. Ogni anno, sui social, in occasione di questa ricorrenza, si ricorda il grande alpinista e partigiano Ettore “Nino” Castiglioni, sottotenente degli Alpini che dopo l’8 settembre 1943 si era unitoai partigiani e che salvò oltre cento ebrei e antifascisti fra i quali il futuro presidente Luigi Einaudi, portandoli al sicuro in Svizzera, nel Cantone dei Grigioni, e queste imprese lo hanno eletto “Giusto tra le Nazioni”. Castiglioni, infatti, morì assiderato la notte del 12 marzo 1944 mentre fuggiva dalla Svizzera, dove era stato arrestato per la sua attività di passeur  . Indossava un lenzuolo e un plaid: i gendarmi elvetici gli avevano sequestrato gli scarponi, gli sci, la giacca a vento, persino i pantaloni. Se assurda e ingiusta è stata la morte di Castiglioni, ancor più assurda e ignobile è invece stata la decisione di Donato Seppi, sindaco di Ruffré-mendola che ha negato la posa di un monumento dedicato all’eroico alpinista nella piazza del paese, in provincia di Trento, dove Ettore era nato il 28 agosto 1908. Successe cinque anni fa, ma da allora, ogni 12 marzo, 

    un’ondata di indignazione si abbatte sul settantenne Seppi. Ancor prima di diventare partigiano, Castiglioni era stato tra le due guerre uno dei più forti scalatori europei (affrontò le Dolomiti a soli 15 anni), tanto da essere premiato con la medaglia d’oro al merito alpinistico. Autore di bellissime guide escursionistiche sulle Pale di San Martino, le Odle, il Sella, la Marmolada, le Dolomiti di Brenta, con il trentino Bruno Detassis aprì oltre 200 vie. Conosceva a menadito le montagne della Valtellina: accompagnava i fuggiaschi lungo sicuri percorsi in alta quota, sfruttando ogni valico, ogni passo, ogni scorciatoia. Una volta entrato in Svizzera, cercava di rabbonire le guardie con forme di formaggio. Ma non bastò. Arrestato per spionaggio e contrabbando, rimase in cella due settimane. Al rilascio, lo minacciarono: se rientri, ti sbattiamo in galera e gettiamo via la chiave della cella. Ettore non si spaventò. Continuò nei suoi percorsi clandestini, sfidando i nazisti e i loro alleati repubblichini. Un giorno, i gendarmi svizzeri lo intercettano. Addosso ha documenti falsi. Un’aggravante. Finisce rinchiuso in un hotel. Riesce a scappare lo stesso, calandosi dalla finestra con un lenzuolo, avvolto in una coperta. Troppo poco per proteggersi dal freddo. C’era la luna piena, quella notte. C’erano anche 20 gradi sottozero, mentre raggiunge il Passo del Forno. Il ghiacciaio non fece sconti. Stremato, Ettore si accostò a un masso. Forse voleva riposarsi, prima di riprendere il cammino verso il fondovalle. Non si rialza più. Il gelo lo uccide. Lo ritrovarono il 6 giugno. Appena oltre il Passo del Forno (quota 2770), sul versante italiano c’è un piccolo piano, formato dal letto di un ghiacciaio scomparso. Al centro, quel masso. Un po’ più grande degli altri che stanno attorno. E una piccola targa arrugginita: “Ettore Castiglioni – 12 marzo 1944 – alpinista patriota”. Ufficialmente, il sindaco di Ruffré ha motivato il rifiuto di concedere lo spazio pubblico al monumento perché “non aveva nulla a che fare con Ruffré, era uno di Milano”, scusa risibile, visto che Castiglioni era nato lì, dunque un legame tutt’altro che casuale (come il rapporto che Castiglioni aveva col Trentino). Era il 2018, il gesto del sindaco suscitò indignazione e proteste, alle quali Seppi replicò: se ci tenete tanto, potete erigere il monumento in un terreno privato. Lo fecero, in un bosco appena fuori Ruffré. Ma nessuno dimenticò l’affronto. Gli alpinisti sono come i marinai. Aiutano, soccorrono. Comprendono. Ma non perdonano gli inumani: “Stando a contatto coi profughi si può toccare con mano la gioia che si dà. Li si vede con la faccia stravolta dalla paura e poi, al confine, sereni e felici salutarti come un salvatore”, aveva appuntato Castiglioni nei giorni in cui salvava ebrei e antifascisti, “dare la libertà alla gente, aiutarli a fuggire per me adesso è un motivo di vita”. Disperatamente attuale.

    1.11.21

    Che strano è l'essere umano. Litiga con i vivi e regala fiori ai morti.

     



    Oggi   nei  giorno  dei  morti  concordo  con l'amica  

    Che strano è l'essere umano.
    Litiga con i vivi e regala fiori ai morti.
    Rimane per anni senza parlare con un vivo e quando muore, gli rende omaggio.
    Non ha tempo per andare a trovare un vivo, però rimane un giorno intero ad una veglia. Non chiama, non abbraccia, non si interessa di un vivo, però si dispera di fronte ad un morto. Sembra
    quasi che la cosa più preziosa sia la morte... e non la vita.
    Poi ci sono quelle persone meravigliose,
    che le persone le celebrano da vive ..
    e quando purtroppo queste persone vanno via ,
    non si dimenticano di loro o si ricordano di loro solo una volta all ' anno,ma curano la loro tomba sempre... come se fosse la loro casa !!


    Non sempre è così, almeno per e vero che molte persone vanno solo una volta all'anno a portare i fiori sulla tomba dei loro cari, ho detto questo perché nella tomba dei miei nonni paterni e sempre bella pulita e con tanti fiori dei nostri giardini, e pensiamo a loro con tanto affetto. Quelli materni quando possiamo perchè si trovano in citta lontane , ma il pensiero rimane .
    cocordo  con il  commento  di   

    Alessandra Canu
    I parenti, gli amici, le persone in generale, vanno amate e rispettate da vive. Serve una carezza,un bacio, un,io ci sono,da vivi,un fiore va regalato da vivi , dopo ,fa bene solo a chi rimane ,magari xché la coscienza, si fa sentire

    18.10.21

    la shoah e l'antisemitismo cattolico fanno ancora paura ? Trento: la mostra sull’antisemitismo non deve esistere Domenica Primerano lascia il Museo Diocesano Tridentino: l’allestimento (già premiato) svela la menzogna ecclesiastica e antisemita su Simonino da Trento

      Al museo   diocesano Tridentino    di Trento si voleva rendere  permanente    la  bellissima  mostra  (  trovate    qui  , almeno  finche  non  lo  rimuoveranno  alcuni  contenuti :    L'invenzione del colpevole. Il 'caso' di Simonino da Trento, dalla propaganda alla storia  organizzata  da Domenica Primerano ma  la  curia   ha  detto No  .  Purtroppo IL GOVERNO del patrimonio culturale è in mano a figure grigie e ossequiose al potere Nessuno spazio per eretici talentuosi e sperimentatori: come Domenica Primerano La mostra da lei curata, (   una  delle  foto della  mostra   a destra  ) ,  ha ricevuto il Grand Prix per l’educazione dell’european heritage award, il più prestigioso premio europeo per il patrimonio culturale. Di qui l’idea di musealizzarne permanentemente una parte: l’arcivescovo di Trento Lauro Tisi ha archiviato il progetto  .  Ecco quindi   che sei ha  talento  o rimani ai margini  oppure  vieni spostato  \ promosso    perchè crei fastidio ed  gelosie    degli incompetenti  ed  incapaci  . 

     

    Ecco  cosa  succede     a  

    Trento: la mostra sull’antisemitismo non deve esistere
    Domenica Primerano lascia il Museo Diocesano Tridentino: l’allestimento (già premiato) svela la menzogna ecclesiastica e antisemita su Simonino da Trento

    Il Fatto Quotidiano18 Oct 2021▶ MONTANARI



    Fateci caso, i posti di responsabilità nel governo del patrimonio culturale sono tutti assegnati a figure allineatissime al potere costituito. Ortodosse, poco o per nulla innovative: meglio se grigie e ossequiose. Nessuno spazio per eretici talentuosi, creativi, visionari, sperimentatori: alla faccia della funzione rigenerativa della cultura. Se poi si tratta di donne, ciò che ci si aspetta è una totale sottomissione

    all’ordine stabilito dal dominio maschile. Figuriamoci se poteva reggere la brillante, intellettualmente insubordinata, responsabile di un museo ecclesiastico: e infatti Domenica Primerano,(  foto  a   sinistra )  direttrice del Museo Diocesano Tridentino, si è da poco clamorosamente dimessa. La sua colpa? Aver pensato e realizzato la mostra italiana più importante degli ultimi anni, almeno sul piano intellettuale e politico. E poi aver proposto di renderla in qualche modo stabile e permanente.LA MOSTRA è quella, del 2019, su L’invenzione del colpevole. Il ‘caso’ di Simonino da Trento dalla propaganda alla storia. Vi si ricostruiva la storia terribile di Simonino: un martire inventato nel 1475 da un principe vescovo corrotto e in cerca di soldi e successo. La morte accidentale di un bambino divenne allora l’occasione per montare un processo atroce contro la comunità ebraica. Il capo di accusa era quello classico della persecuzione degli ebrei: Simonino sarebbe stato dissanguato nell’impasto del pane da consumare per la Pasqua, in una parodia cannibalesca dell’eucarestia cristiana. Tutto falso, ma la tortura strappò confessioni a spiriti prostrati e corpi massacrati, e, nonostante l’opposizione di illuminati prelati della curia romana, gli ebrei innocenti furono uccisi, e il bambino innalzato sugli altari. Era la fine della presenza ebraica a Trento, una ferita che iniziò a rimarginarsi solo quando le ricerche di un prete e storico trentino (era il 1965) convinsero la Chiesa ad abolire il culto del bambino e a riabilitare gli ebrei innocenti. Ma ancora oggi nel discorso pubblico, e sulla rete, Simonino è un santo vero, gli ebrei assassini di bambini.La mostra smontava questa storia attraverso la potenza delle opere d’arte, dei libri, dei riti pubblici dedicati a un santo inventato e a un massacro perpetrato in nome della fede cattolica. E lo faceva in un momento in cui l’invenzione del colpevole (nero, immigrato, rom, omosessuale, povero: comunque diverso, come gli ebrei) è ancora il pane quotidiano delle più votate forze politiche italiane. Non sembri un collegamento forzato: più di una volta la Difesa della razza (la rivista fascista, pubblicata tra 1938 e 1943, di cui era efferato caporedattore Giorgio Almirante: tuttora riconosciuto come padre politico dal partito di Giorgia Meloni) mise in copertina le immagini e la storia di Simonino, vittima dei perfidi giudei che allora fascisti e nazisti avviavano ai forni crematori.La mostra di Domenica Primerano ha avuto uno straordinario successo (comprese le scritte antisemite che ne hanno imbrattato i manifesti: segni sicuri di efficacia), vincendo tra l’altro il Grand Prix per l’educazione dell’eu ro pe an heritage award, il più prestigioso premio europeo per il patrimonio culturale. Di qui l’idea – necessaria – di musealizzarne permanentemente una parte nella cappella che, nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo, aveva ospitato per secoli le reliquie e i riti di questo culto “sacrilego” – sacrilego perché falso. Un’idea fortissima anche sul piano strettamente religioso: perché “i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Giovanni 4, 23).Ma un’incredibile alleanza di fatto tra destra catto-fascista, alcune personalità della comunità ebraica trentina (smentite però dalla presidente delle Comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, che si è rifiutata di firmare le lettere contro il progetto) preoccupate di una riaccensione del culto, e storici convinti che la storia non si possa spiegare al popolo ha indotto l’arcivescovo di Trento Lauro Tisi (che pure aveva coraggiosamente sostenuto la mostra) ad archiviare il progetto, togliendo di fatto la sua fiducia alla direttrice Primerano. E così questa studiosa, questa intellettuale indomita e tutta intera alla quale dobbiamo così tanto, ha preso la bicicletta ed è partita per un viaggio lungo la Loira. CHI L’HA COSTRETTA ad andarsene si è assunto una grave responsabilità morale. Perché raccontare proprio in quel luogo il tradimento abominevole che lì fu compiuto sarebbe stato importantissimo: così come lo è stato musealizzare Auschwitz. E perché si sarebbe trattato di uno dei rarissimi tentativi di far parlare a tutti il patrimonio culturale: con rigore storico, ma anche con tensione morale e con spirito costituzionale. Abbiamo tremendamente bisogno di direttrici e direttori come Mimma Primerano: perché è solo con persone così che davvero “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura” (art. 9 Cost.)


    e  crea  anticorpi  contro fascismi  e  nazismi   ed  i  loro rigurgiti   chge ancora      oggi    sono resenti anche  se   mescolati  a l  sovranismo ed   al populismo  .

    Destinazioni lontanissime da raggiungere a velocità moderate: viaggiare in scooter è un’esperienza unica, diversa da tutte le altre

    in sottofondo Vespa 50 special - Cesare Cremoni Culture Club - Karma Chameleon