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18.3.23

Onori e sgarbi Dopo l’8 settembre Ettore Castiglioni portò in salvo un centinaio di persone, tra cui molti ebrei e il futuro capo dello Stato Il no a un monumento

 

Questa storia è ormai di ordinaria meschinità politica. Ha radici lontane. Lo spunto è una data: il 12 marzo 1944. Ogni anno, sui social, in occasione di questa ricorrenza, si ricorda il grande alpinista e partigiano Ettore “Nino” Castiglioni, sottotenente degli Alpini che dopo l’8 settembre 1943 si era unitoai partigiani e che salvò oltre cento ebrei e antifascisti fra i quali il futuro presidente Luigi Einaudi, portandoli al sicuro in Svizzera, nel Cantone dei Grigioni, e queste imprese lo hanno eletto “Giusto tra le Nazioni”. Castiglioni, infatti, morì assiderato la notte del 12 marzo 1944 mentre fuggiva dalla Svizzera, dove era stato arrestato per la sua attività di passeur  . Indossava un lenzuolo e un plaid: i gendarmi elvetici gli avevano sequestrato gli scarponi, gli sci, la giacca a vento, persino i pantaloni. Se assurda e ingiusta è stata la morte di Castiglioni, ancor più assurda e ignobile è invece stata la decisione di Donato Seppi, sindaco di Ruffré-mendola che ha negato la posa di un monumento dedicato all’eroico alpinista nella piazza del paese, in provincia di Trento, dove Ettore era nato il 28 agosto 1908. Successe cinque anni fa, ma da allora, ogni 12 marzo, 

un’ondata di indignazione si abbatte sul settantenne Seppi. Ancor prima di diventare partigiano, Castiglioni era stato tra le due guerre uno dei più forti scalatori europei (affrontò le Dolomiti a soli 15 anni), tanto da essere premiato con la medaglia d’oro al merito alpinistico. Autore di bellissime guide escursionistiche sulle Pale di San Martino, le Odle, il Sella, la Marmolada, le Dolomiti di Brenta, con il trentino Bruno Detassis aprì oltre 200 vie. Conosceva a menadito le montagne della Valtellina: accompagnava i fuggiaschi lungo sicuri percorsi in alta quota, sfruttando ogni valico, ogni passo, ogni scorciatoia. Una volta entrato in Svizzera, cercava di rabbonire le guardie con forme di formaggio. Ma non bastò. Arrestato per spionaggio e contrabbando, rimase in cella due settimane. Al rilascio, lo minacciarono: se rientri, ti sbattiamo in galera e gettiamo via la chiave della cella. Ettore non si spaventò. Continuò nei suoi percorsi clandestini, sfidando i nazisti e i loro alleati repubblichini. Un giorno, i gendarmi svizzeri lo intercettano. Addosso ha documenti falsi. Un’aggravante. Finisce rinchiuso in un hotel. Riesce a scappare lo stesso, calandosi dalla finestra con un lenzuolo, avvolto in una coperta. Troppo poco per proteggersi dal freddo. C’era la luna piena, quella notte. C’erano anche 20 gradi sottozero, mentre raggiunge il Passo del Forno. Il ghiacciaio non fece sconti. Stremato, Ettore si accostò a un masso. Forse voleva riposarsi, prima di riprendere il cammino verso il fondovalle. Non si rialza più. Il gelo lo uccide. Lo ritrovarono il 6 giugno. Appena oltre il Passo del Forno (quota 2770), sul versante italiano c’è un piccolo piano, formato dal letto di un ghiacciaio scomparso. Al centro, quel masso. Un po’ più grande degli altri che stanno attorno. E una piccola targa arrugginita: “Ettore Castiglioni – 12 marzo 1944 – alpinista patriota”. Ufficialmente, il sindaco di Ruffré ha motivato il rifiuto di concedere lo spazio pubblico al monumento perché “non aveva nulla a che fare con Ruffré, era uno di Milano”, scusa risibile, visto che Castiglioni era nato lì, dunque un legame tutt’altro che casuale (come il rapporto che Castiglioni aveva col Trentino). Era il 2018, il gesto del sindaco suscitò indignazione e proteste, alle quali Seppi replicò: se ci tenete tanto, potete erigere il monumento in un terreno privato. Lo fecero, in un bosco appena fuori Ruffré. Ma nessuno dimenticò l’affronto. Gli alpinisti sono come i marinai. Aiutano, soccorrono. Comprendono. Ma non perdonano gli inumani: “Stando a contatto coi profughi si può toccare con mano la gioia che si dà. Li si vede con la faccia stravolta dalla paura e poi, al confine, sereni e felici salutarti come un salvatore”, aveva appuntato Castiglioni nei giorni in cui salvava ebrei e antifascisti, “dare la libertà alla gente, aiutarli a fuggire per me adesso è un motivo di vita”. Disperatamente attuale.

1.11.21

Che strano è l'essere umano. Litiga con i vivi e regala fiori ai morti.

 



Oggi   nei  giorno  dei  morti  concordo  con l'amica  

Che strano è l'essere umano.
Litiga con i vivi e regala fiori ai morti.
Rimane per anni senza parlare con un vivo e quando muore, gli rende omaggio.
Non ha tempo per andare a trovare un vivo, però rimane un giorno intero ad una veglia. Non chiama, non abbraccia, non si interessa di un vivo, però si dispera di fronte ad un morto. Sembra
quasi che la cosa più preziosa sia la morte... e non la vita.
Poi ci sono quelle persone meravigliose,
che le persone le celebrano da vive ..
e quando purtroppo queste persone vanno via ,
non si dimenticano di loro o si ricordano di loro solo una volta all ' anno,ma curano la loro tomba sempre... come se fosse la loro casa !!


Non sempre è così, almeno per e vero che molte persone vanno solo una volta all'anno a portare i fiori sulla tomba dei loro cari, ho detto questo perché nella tomba dei miei nonni paterni e sempre bella pulita e con tanti fiori dei nostri giardini, e pensiamo a loro con tanto affetto. Quelli materni quando possiamo perchè si trovano in citta lontane , ma il pensiero rimane .
cocordo  con il  commento  di   

Alessandra Canu
I parenti, gli amici, le persone in generale, vanno amate e rispettate da vive. Serve una carezza,un bacio, un,io ci sono,da vivi,un fiore va regalato da vivi , dopo ,fa bene solo a chi rimane ,magari xché la coscienza, si fa sentire

18.10.21

la shoah e l'antisemitismo cattolico fanno ancora paura ? Trento: la mostra sull’antisemitismo non deve esistere Domenica Primerano lascia il Museo Diocesano Tridentino: l’allestimento (già premiato) svela la menzogna ecclesiastica e antisemita su Simonino da Trento

  Al museo   diocesano Tridentino    di Trento si voleva rendere  permanente    la  bellissima  mostra  (  trovate    qui  , almeno  finche  non  lo  rimuoveranno  alcuni  contenuti :    L'invenzione del colpevole. Il 'caso' di Simonino da Trento, dalla propaganda alla storia  organizzata  da Domenica Primerano ma  la  curia   ha  detto No  .  Purtroppo IL GOVERNO del patrimonio culturale è in mano a figure grigie e ossequiose al potere Nessuno spazio per eretici talentuosi e sperimentatori: come Domenica Primerano La mostra da lei curata, (   una  delle  foto della  mostra   a destra  ) ,  ha ricevuto il Grand Prix per l’educazione dell’european heritage award, il più prestigioso premio europeo per il patrimonio culturale. Di qui l’idea di musealizzarne permanentemente una parte: l’arcivescovo di Trento Lauro Tisi ha archiviato il progetto  .  Ecco quindi   che sei ha  talento  o rimani ai margini  oppure  vieni spostato  \ promosso    perchè crei fastidio ed  gelosie    degli incompetenti  ed  incapaci  . 

 

Ecco  cosa  succede     a  

Trento: la mostra sull’antisemitismo non deve esistere
Domenica Primerano lascia il Museo Diocesano Tridentino: l’allestimento (già premiato) svela la menzogna ecclesiastica e antisemita su Simonino da Trento

Il Fatto Quotidiano18 Oct 2021▶ MONTANARI



Fateci caso, i posti di responsabilità nel governo del patrimonio culturale sono tutti assegnati a figure allineatissime al potere costituito. Ortodosse, poco o per nulla innovative: meglio se grigie e ossequiose. Nessuno spazio per eretici talentuosi, creativi, visionari, sperimentatori: alla faccia della funzione rigenerativa della cultura. Se poi si tratta di donne, ciò che ci si aspetta è una totale sottomissione

all’ordine stabilito dal dominio maschile. Figuriamoci se poteva reggere la brillante, intellettualmente insubordinata, responsabile di un museo ecclesiastico: e infatti Domenica Primerano,(  foto  a   sinistra )  direttrice del Museo Diocesano Tridentino, si è da poco clamorosamente dimessa. La sua colpa? Aver pensato e realizzato la mostra italiana più importante degli ultimi anni, almeno sul piano intellettuale e politico. E poi aver proposto di renderla in qualche modo stabile e permanente.LA MOSTRA è quella, del 2019, su L’invenzione del colpevole. Il ‘caso’ di Simonino da Trento dalla propaganda alla storia. Vi si ricostruiva la storia terribile di Simonino: un martire inventato nel 1475 da un principe vescovo corrotto e in cerca di soldi e successo. La morte accidentale di un bambino divenne allora l’occasione per montare un processo atroce contro la comunità ebraica. Il capo di accusa era quello classico della persecuzione degli ebrei: Simonino sarebbe stato dissanguato nell’impasto del pane da consumare per la Pasqua, in una parodia cannibalesca dell’eucarestia cristiana. Tutto falso, ma la tortura strappò confessioni a spiriti prostrati e corpi massacrati, e, nonostante l’opposizione di illuminati prelati della curia romana, gli ebrei innocenti furono uccisi, e il bambino innalzato sugli altari. Era la fine della presenza ebraica a Trento, una ferita che iniziò a rimarginarsi solo quando le ricerche di un prete e storico trentino (era il 1965) convinsero la Chiesa ad abolire il culto del bambino e a riabilitare gli ebrei innocenti. Ma ancora oggi nel discorso pubblico, e sulla rete, Simonino è un santo vero, gli ebrei assassini di bambini.La mostra smontava questa storia attraverso la potenza delle opere d’arte, dei libri, dei riti pubblici dedicati a un santo inventato e a un massacro perpetrato in nome della fede cattolica. E lo faceva in un momento in cui l’invenzione del colpevole (nero, immigrato, rom, omosessuale, povero: comunque diverso, come gli ebrei) è ancora il pane quotidiano delle più votate forze politiche italiane. Non sembri un collegamento forzato: più di una volta la Difesa della razza (la rivista fascista, pubblicata tra 1938 e 1943, di cui era efferato caporedattore Giorgio Almirante: tuttora riconosciuto come padre politico dal partito di Giorgia Meloni) mise in copertina le immagini e la storia di Simonino, vittima dei perfidi giudei che allora fascisti e nazisti avviavano ai forni crematori.La mostra di Domenica Primerano ha avuto uno straordinario successo (comprese le scritte antisemite che ne hanno imbrattato i manifesti: segni sicuri di efficacia), vincendo tra l’altro il Grand Prix per l’educazione dell’eu ro pe an heritage award, il più prestigioso premio europeo per il patrimonio culturale. Di qui l’idea – necessaria – di musealizzarne permanentemente una parte nella cappella che, nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo, aveva ospitato per secoli le reliquie e i riti di questo culto “sacrilego” – sacrilego perché falso. Un’idea fortissima anche sul piano strettamente religioso: perché “i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Giovanni 4, 23).Ma un’incredibile alleanza di fatto tra destra catto-fascista, alcune personalità della comunità ebraica trentina (smentite però dalla presidente delle Comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, che si è rifiutata di firmare le lettere contro il progetto) preoccupate di una riaccensione del culto, e storici convinti che la storia non si possa spiegare al popolo ha indotto l’arcivescovo di Trento Lauro Tisi (che pure aveva coraggiosamente sostenuto la mostra) ad archiviare il progetto, togliendo di fatto la sua fiducia alla direttrice Primerano. E così questa studiosa, questa intellettuale indomita e tutta intera alla quale dobbiamo così tanto, ha preso la bicicletta ed è partita per un viaggio lungo la Loira. CHI L’HA COSTRETTA ad andarsene si è assunto una grave responsabilità morale. Perché raccontare proprio in quel luogo il tradimento abominevole che lì fu compiuto sarebbe stato importantissimo: così come lo è stato musealizzare Auschwitz. E perché si sarebbe trattato di uno dei rarissimi tentativi di far parlare a tutti il patrimonio culturale: con rigore storico, ma anche con tensione morale e con spirito costituzionale. Abbiamo tremendamente bisogno di direttrici e direttori come Mimma Primerano: perché è solo con persone così che davvero “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura” (art. 9 Cost.)


e  crea  anticorpi  contro fascismi  e  nazismi   ed  i  loro rigurgiti   chge ancora      oggi    sono resenti anche  se   mescolati  a l  sovranismo ed   al populismo  .

15.9.21

8 settembre 1943: la città che salvò i soldati, La rinascita di Paraloup, prima borgata della reistenza in piemonte , Seppellire 2000 partigiani, la missione di Nicola Grosa

 Lo   che  l'8   settembre è passato   e  quuindi   secondo alcuni\e  di voi   ed  la celebrazione  rituaslistica  sarei fuori tempo  . Ma   storie  e   vicende  non hanno una  data  fissa   e  sono   perchè    anche  chi  le usa  come  mezo strumentale  o   ideologico   sono  ancora  vive  a prescindere  dal  calendario  . Ma     sopratttutto  


Anche la disperazione impone dei doveri
E l'infelicità può essere preziosa
Non si teme il proprio tempo, è un problema di spazio
Non si teme il proprio tempo, è un problema di spazio
Geniali dilettanti in selvaggia parata
Ragioni personali, una questione privata
Geniali dilettanti in selvaggia parata
Ragioni personali, una questione privata
La facoltà di non sentire
La possibilità di non guardare
Il buon senso, la logica, i fatti, le opinioni, le raccomandazioni
Occorre essere attenti per essere padroni di sé stessi
Occorre essere attenti
 Ma  ora  bado   alle  ciancie  ecco  le  storie 


8 settembre 1943: la città che salvò i soldati
Il giorno dell’armistizio, i rastrellamenti dei nazisti. E il racconto di come Mantova si mobilitò con ingegno e coraggio per aiutare i militari abbandonati nelle caserme

di Nicola Saccani



La rinascita di Paraloup, prima borgata partigiana
La seconda resistenza delle baite che nel settembre '43 furono quartier generale delle bande di Giustizia e Libertà: tornano a popolarsi per salvare memoria e ambiente

                                           di Francesco Doglio






Seppellire 2000 partigiani, la missione di Nicola Grosa
La storia del comandante piemontese che dopo la guerra recuperò le spoglie dei compagni scavando a mani nude “per dar calore ai resti”. Un’impresa che lo portò alla morte

di Giulia Destefanis



26.8.21

Marco Atzeni riporta in vita nel suo blog piccole e grandi storie della città «Non sono matto ma a volte mi sembra di vedere i personaggi dei miei racconti» Vecchie ville, statue e ricordi di una Sassari che non c'è più

dalla nuova  sardegna de  26\8\2021


SASSARI
"Scorsi poco lontano una bimba sola, aveva i fiocchi che le tenevano i capelli. Muoveva le manine nell'aria concentrandosi su qualcosa che non capivo. Che fai? Le dissi. Mi rispose "Accarezzo le farfalle!", ma io non vedevo alcuna farfalla. Rimasi ad osservarla, mi arrivava poco più su del ginocchio e guardandomi seria mi chiese "Signore, io sono morta?". Mi lasciò senza parole. Fu lei stessa a concludere il suo pensiero, dicendomi "Io non cresco mai... sono sempre piccolina!". Fuggì via coi suoi passettini. Allora socchiusi gli occhi, e per un istante riuscii anche io a vedere le farfalle attorno a lei. Poi svanirono, le farfalle e la piccola Bianca Maria Boeri".Erano le 5 di pomeriggio di sabato 9 luglio 1910, e la piccola
 Bianca Maria Boeri  busto
al cimitero moinumentale di Sassari  

Bianca Maria Boeri, a due anni e mezzo, moriva nella casa di via Cavour. Ogni palazzo, ogni statua custodisce un segreto o un mistero. Marco Atzeni spreme il marmo e tira fuori la storia di chi ci ha vissuto. Chi ha abitato, un secolo fa, in quella villa? Perché si chiama così? Chi era quella bimba con le codette del cimitero monumentale ? È strano che sia un giovane di 38 anni a scavare nella memoria di Sassari. E lo faccia solo per passione. Nel suo blog e nella sua pagina Facebook racconta i morti come fossero vivi. È come se andasse a trovarli nella loro casa in bianco e nero, suonasse il campanello, quattro passi e una chiacchierata nel presente, e poi li riaccompagnasse nel loro mondo color seppia, a riposare nelle pieghe della storia. «Alle volte mi sembra di essere matto - dice - quando passo sotto le finestre di villa Farris, a Cappuccini, o villa Crovetti in viale Caprera, o nei palazzi antichi di via Roma, sollevo lo sguardo verso le finestre, e mi sembra di vedere affacciati dal passato gli inquilini di quelle abitazioni. La nobildonna che mi saluta, sento le risate dei bimbi che giocano. Ho una tale confidenza con i protagonisti di quel tempo, che li percepisco ancora vivi».Fare il  cacciatore di storie non è il suo lavoro. Non è uno storico, non ha scritto libri.

cacciatore di storie non è il suo lavoro. Non è uno storico, non ha scritto libri. Marco Atzeni è un impiegato della Provincia, laureato in Economia, dotato di una straordinaria memoria per i nomi e per le date e di una curiosità in riserva fissa. Un topo da biblioteca, ma con la faccia furba e gli addominali da Instagram. «Sia ben chiaro: non sono una enciclopedia vivente. Io scopro e racconto. Molto spesso di quelle storie che scrivo, tre mesi prima non sapevo nulla». È un attento perlustratore del paesaggio urbano, e quando il suo sguardo si posa su una bella villa, diventa come una tomografia assiale, che vuole andare a fondo, nelle viscere, nella dimensione umana custodita nelle cose. I palazzi, gli sfarzi, le apparenze nascondono le fragilità delle famiglie: gioie, sofferenze, sacrifici, debiti, tradimenti, pianti, i delitti e tutti quei segreti di cui i muri sono intrisi. Ma non è gossip barricato, o ficcanasare nelle aristocratiche sfighe. È un rewind rispettoso, in punta di piedi. «Abitavo a Cappuccini, ed è pieno di belle ville. Chiedevo: chi l'ha costruita? Chi ci ha abitato? E non trovavo risposte. La mia ricerca è nata così. E pian piano mi sono accorto che questa curiosità non è solo mia, ma appartiene a tanti». Gli basta un nome, una traccia, una data, poi va avanti come un segugio: «Per prima cosa gli archivi della Nuova Sardegna, dove scovi tante storie. Poi gli archivi comunali, il catasto, la conservatoria». E infine lo strumento più chirurgico: Facebook. «Digiti un cognome, e scovi i parenti di quel nobile, gli eredi, che sono quasi sempre felici di riesumare le proprie origini e ti arricchiscono con gli aneddoti del bisnonno, le foto, i ricordi». E incrociando documenti e testimonianze, la pagina acquista spessore e va oltre il "Ciarameddu storicizzato", le vulgata leggenda affascinante ma priva di fondamento. C'è Villa Farris, intrisa di lutti, mai vissuta per davvero, con un senso di malinconia inestinguibile. Villa Caria, che sintetizza un romanzo, il bello e il brutto di una vita. Un proprietario che esportava il formaggio in America, con le stive dei transatlantici all'odor di pecorino, che dormiva nei migliori hotel di New York. E poi la crisi del '29, il tracollo finanziario e anche la villa che appassisce. O ancora villa Mimosa, con il barone Don Gaspare Arborio Mella dei conti di Sant'Elia che corteggiò la bella e giovane argentina Josephine con i mazzi di mimose. Vicende che Marco Atzeni riappiccica con scrupolo alle pareti, rifoderandole di storia. «I testamenti poi mi fanno impazzire. Racchiudono delle gemme inaspettate. Perché dentro inventari sterminati di ricchezze trovi piccoli spaccati di vita, o pillole che racchiudono il carattere del personaggio». Tipo: Giovanni Battista Basso, proprietario del palazzo di Piazza Azuni, che a fine 800 lasciava alla moglie un patrimonio immenso, a patto che in casa non entrasse nessun altro uomo. E che poi specificava le modalità delle esequie: due bare, una più grande, elegante, e all'interno una più piccola, rivestita con tessuto morbido, per un viaggio confort nell'aldilà. 



O ancora le ultime volontà del medico Achille De Vita, venuto da Cosenza, proprietario del palazzo De Vita in piazza d'Italia, che in più passaggi definisce la moglie deficiente. E scrive: alla mia moglie deficiente lascio.... e uno pensa: ma cosa avrà combinato questa donna? Per poi capire che la povera Fanny Lavagna non aveva alcuna colpa. Era solo l'Alzheimer, nel 1890, a non avere ancora un nome. "Scorsi poco lontano una bimba sola, aveva i fiocchi che le tenevano i capelli. Muoveva le manine nell'aria concentrandosi su qualcosa che non capivo. Che fai? Le dissi. Mi rispose "Accarezzo le farfalle!", ma io non vedevo alcuna farfalla. Rimasi ad osservarla, mi arrivava poco più su del ginocchio e guardandomi seria mi chiese "Signore, io sono morta?". Mi lasciò senza parole. Fu lei stessa a concludere il suo pensiero, dicendomi "Io non cresco mai... sono sempre piccolina!". Fuggì via coi suoi passettini. Allora socchiusi gli occhi, e per un istante riuscii anche io a vedere le farfalle attorno a lei. Poi svanirono, le farfalle e la piccola Bianca Maria Boeri".Erano le 5 di pomeriggio di sabato 9 luglio 1910, e la piccola Bianca Maria Boeri, a due anni e mezzo, moriva nella casa di via Cavour. Ogni palazzo, ogni statua custodisce un segreto o un mistero. Marco Atzeni spreme il marmo e tira fuori la storia di chi ci ha vissuto. Chi ha abitato, un secolo fa, in quella villa? Perché si chiama così? Chi era quella bimba con le codette del cimitero monumentale? È strano che sia un giovane di 38 anni a scavare nella memoria di Sassari. E lo faccia solo per passione. Nel suo blog e nella sua pagina Facebook racconta i morti come fossero vivi. È come se andasse a trovarli nella loro casa in bianco e nero, suonasse il campanello, quattro passi e una chiacchierata nel presente, e poi li riaccompagnasse nel loro mondo color seppia, a riposare nelle pieghe della storia. «Alle volte mi sembra di essere matto - dice - quando passo sotto le finestre di villa Farris, a Cappuccini, o villa Crovetti in viale Caprera, o nei palazzi antichi di via Roma, sollevo lo sguardo verso le finestre, e mi sembra di vedere affacciati dal passato gli inquilini di quelle abitazioni. La nobildonna che mi saluta, sento le risate dei bimbi che giocano. Ho una tale confidenza con i protagonisti di quel tempo, che li percepisco ancora vivi».Fare il cacciatore di storie non è il suo lavoro. Non è uno storico, non ha scritto libri. Marco Atzeni è un impiegato della Provincia, laureato in Economia, dotato di una straordinaria memoria per i nomi e per le date e di una curiosità in riserva fissa. Un topo da biblioteca, ma con la faccia furba e gli addominali da Instagram. «Sia ben chiaro: non sono una enciclopedia vivente. Io scopro e racconto. Molto spesso di quelle storie che scrivo, tre mesi prima non sapevo nulla». È un attento perlustratore del paesaggio urbano, e quando il suo sguardo si posa su una bella villa, diventa come una tomografia assiale, che vuole andare a fondo, nelle viscere, nella dimensione umana custodita nelle cose. I palazzi, gli sfarzi, le apparenze nascondono le fragilità delle famiglie: gioie, sofferenze, sacrifici, debiti, tradimenti, pianti, i delitti e tutti quei segreti di cui i muri sono intrisi. Ma non è gossip barricato, o ficcanasare nelle aristocratiche sfighe. È un rewind rispettoso, in punta di piedi. «Abitavo a Cappuccini, ed è pieno di belle ville. Chiedevo: chi l'ha costruita? Chi ci ha abitato? E non trovavo risposte. La mia ricerca è nata così. E pian piano mi sono accorto che questa curiosità non è solo mia, ma appartiene a tanti». Gli basta un nome, una traccia, una data, poi va avanti come un segugio: «Per prima cosa gli archivi della Nuova Sardegna, dove scovi tante storie. Poi gli archivi comunali, il catasto, la conservatoria». E infine lo strumento più chirurgico: Facebook. «Digiti un cognome, e scovi i parenti di quel nobile, gli eredi, che sono quasi sempre felici di riesumare le proprie origini e ti arricchiscono con gli aneddoti del bisnonno, le foto, i ricordi». E incrociando documenti e testimonianze, la pagina acquista spessore e va oltre il "Ciarameddu storicizzato", le vulgata leggenda affascinante ma priva di fondamento. C'è Villa Farris, intrisa di lutti, mai vissuta per davvero, con un senso di malinconia inestinguibile. Villa Caria, che sintetizza un romanzo, il bello e il brutto di una vita. Un proprietario che esportava il formaggio in America, con le stive dei transatlantici all'odor di pecorino, che dormiva nei migliori hotel di New York. E poi la crisi del '29, il tracollo finanziario e anche la villa che appassisce. O ancora villa Mimosa, con il barone Don Gaspare Arborio Mella dei conti di Sant'Elia che corteggiò la bella e giovane argentina Josephine con i mazzi di mimose. Vicende che Marco Atzeni riappiccica con scrupolo alle pareti, rifoderandole di storia. «I testamenti poi mi fanno impazzire. Racchiudono delle gemme inaspettate. Perché dentro inventari sterminati di ricchezze trovi piccoli spaccati di vita, o pillole che racchiudono il carattere del personaggio». Tipo: Giovanni Battista Basso, proprietario del palazzo di Piazza Azuni, che a fine 800 lasciava alla moglie un patrimonio immenso, a patto che in casa non entrasse nessun altro uomo. E che poi specificava le modalità delle esequie: due bare, una più grande, elegante, e all'interno una più piccola, rivestita con tessuto morbido, per un viaggio confort nell'aldilà. O ancora le ultime volontà del medico Achille De Vita, venuto da Cosenza, proprietario del palazzo De Vita in piazza d'Italia, che in più passaggi definisce la moglie deficiente. E scrive: alla mia moglie deficiente lascio.... e uno pensa: ma cosa avrà combinato questa donna? Per poi capire che la povera Fanny Lavagna non aveva alcuna colpa. Era solo l'Alzheimer, nel 1890, a non avere ancora un nome.



Un umido pomeriggio di aprile del 1894, verso le cinque, il ventenne Ferdinando Marianini indossò i suoi stivaletti, abbottonò il cappotto doppiopetto ed uscì di casa. Abitava con la famiglia in un elegante immobile nella parte iniziale dell'allora via Ospedale Civile, al numero civico 4, oggi via Enrico Costa. Dopo aver chiuso alle sue spalle il portone ad arco, Ferdinando iniziò una lunga camminata. Arrivò prima allo spiazzo sterrato del mulino a vento, all'apice di via Roma, dove si concludeva il centro abitato, poi proseguì per le lontane campagne di Serra Secca. Era una zona che conosceva, perché la sua famiglia possedeva alcuni terreni in quella località. A testa bassa e con le mani in tasca, il giovane Marianini procedette sino alla strada per Osilo e si addentrò silenzioso per gli ancor più sperduti boschi che conducevano al bacino del Bunnari. Eludendo la sorveglianza, arrivò di nascosto sullo strapiombo della diga che allora alimentava Sassari, fumò la pipa per qualche minuto, lasciandola poi sopra un piccolo masso. Si tolse i vestiti e li ripose ordinatamente in un luogo visibile. Fece gli ultimi tre passi del suo percorso cominciato un paio d'ore prima, chiuse gli occhi e si gettò nel nulla. Pochi istanti dopo calarono le tenebre. A casa Marianini si attese con angoscia il suo rientro fino all'indomani, poi fu chiaro che fosse accaduto qualcosa di spiacevole. L'ultimo ad aver visto il ventenne fu un bracciante. L'uomo indirizzò le ricerche, rivelando anche l'oscuro saluto rivoltogli dal giovane il giorno prima: "Ci vediamo all'altro mondo!". Il corpo fu ritrovato solo mesi dopo. Ferdinando, determinato sino all'inverosimile, si era immobilizzato le braccia con la cintura per evitare ogni ripensamento. Ferdinando era un affascinante ed educato studente dell'Istituto Tecnico di Sassari. Un biglietto, nascosto nella tasca della giacca, racconta il perché di quel gesto estremo: Ferdinando aveva perso la testa per la graziosa Antonina, ma i genitori del ragazzo proibivano una relazione con una
domestica. Ferdinando, puro d'animo, se ne innamorò e l'ultimo pensiero, prima di lasciare il mondo, lo dedicò proprio a lei: "Addio Antonina"Le storie delle ville liberty, dei palazzi più prestigiosi di Sassari e dei loro protagonisti sono raccolti nel blog http://storiasassari.blogspot.com Poi ci sono le pillole sul gruppo Facebook Sassari veccia e noba di Marco Atzeni (  foto a  sinistra  presa  dal suo account   facebook )  , Il blog racchiude decine di storie, con episodi spesso inediti e sconosciuti, raccolti attraverso la testimonianza degli eredi dei protagonisti.Marco Atzeni per il momento non ha intenzione di pubblicare alcun libro. Sarà solo l'ultima tappa, dopo aver concluso le sue ricerche. In cantiere ci sono ancora decine di storie.


26.6.21

non darmi il tormento ... appena incominciata l'estate e già si parla di tormenttoni estivi . aspettare l'autunno no ?

Ma  che   ....    non è ancora  iniziata la stagione     che  già  si parla di  tormentoni  . È  partita     come ogni estate  , ecco un  dei motivi   per  cui  (  sarà  che  sto invecchiando  )  sto iniziando ad odiarla ,  partita  la    guerra  dei  tormentoni  una    tradizione   (  ormai    standardizzata  )  tutta Italiana   «Le  hit  estive   vivono  l'età  d'oro  negli ani 60\70   come dice  Enzo gentile    nel  libro Onda su  onda  (  copertina a  sinistra  ) e  aggiunge   «Ora  ricordiamo sapore  di  di sale    , tra  30 anni   chi canterà Giusy Ferreri ?  >> 
Ha  ragione  Umberto Brindani nell'ultimo  editoriale di Oggi  : <<  è  il momento dei  nuovi  tormentoni   estivi  . ma  forse stiamo esagerando  >> .
Infatti se    prima i  tormentoni   , come spiega  l'articolo   sempre  su  oggi  di   Dea Verna    sempre  su Oggi  erano involontari  visto che  fino  a 20\30  anni fa   gli artisti pubblicavano   brani  e   se  avevano successo   diventavano tormentoni  ( ed  alcuni  rimangono nella memoria   ancor  oggi )  altrimenti  finivano  nel dimenticatoio    salvo essere  riscoperti ed  riusati per   qualche cover  . Infatti   c'era  un meccanismo   darwiano   solo i brani più  forti    si 'imponevano ed  sopravvivevano  ed  non erano   necessariamente    scritte  \  composte     solo per  l'estate   perchè erano anche tormentoni  quelle   che   vincevano   ma  non è detto   San remo o simili   . Ma  soprattutto    se   venivano  composte  per l'estate  c'era una  o più  canzone  , per  tali   rassegne   Festivalbar    e  simili  . C'erano al massimo  due  \ tre   all'anno   e  spesso d'alta  qualità visto che alcuni  sono   usati ancora  oggi   come cover  o  nella versione originale  .   Oggi   è il contrario , dagli anni novanta è  iniziata la standardizzazione della hit, frutto di un "calcolo" determinato da un'industria musicale che si stava trasformando letteralmente in un’industria  vera  e propria per  poi  passare   dagli  anni duemila  .
Infatti  la formula vincente ora è l’abbinata  “vecchia gloria più artisti giovani- di moda-pieni di follower”. 
L’estate è appena iniziata, ma già impazza lo strano trio formato da Orietta Berti, Fedez e Achille Lauro con Mille (che poi, diciamolo, a reggere la canzone è il ritornello cantato con voce cristallina da Orietta). A tallonarli, Gianni Morandi e Jovanotti con L’allegria, mentre la premiata ditta Takagi & Ketra con Giusy Ferreri ha già timbrato il cartellino con Shimmy shimmy. Solo  per  citarne   alcuni .  C'è  quindi  una caterva   di  canzoni\  canzonette  spesso , dipende  dai gusti ,  di   mediocre ed  infima  qualità   per la  maggior  parte  .  Infatti   il  tormentone     lo si fabbrica  a tavolino   creando appositamente  canzoni   che dopo una  stagione  saranno  dimenticati  ( salvo eccezioni  )   si  potrebbe  dire   che    se prima  Tormentone  lo  divettava  oggi  invece  Tormentone  si nasce  .   Infatti 

A ciascuno il proprio tormentone del cuore… ai posteri l’ardua sentenza: saranno in grado i pezzi di oggi di durare così a lungo nel tempo? Bella domanda, chi può dirlo, di sicuro l’ingente quantitativo di proposte non aiuta, anzi rischia di confondere, depistare e far passare in secondo piano parecchi brani degni di nota. Il mercato musicale estivo negli ultimi anni è sicuramente in crescita dal punto di vista commerciale, l’intera discografia investe più che in passato, i ritorni sono sicuramente importanti, ma non perdiamo di vista il focus, la musica non può essere trattata solo esclusivamente come un’industria. Pensiamo a tutte le canzoni che abbiamo appena citato, hanno funzionato, molte senza alcuna aspettativa, il segreto forse sta proprio in questo. Insomma, gli anni passano ma i tormentoni ben fatti rimangono! 

(  da   https://recensiamomusica.com/viaggio-nella-storia-dei-tormentoni-estivi-dagli-anni-60-ad-oggi  )  

concludo   con lo stesso interrogativo espresso  , ho dovuto usare  il cattura  schermata  perchè  non riuscivo a copiarlo in altro modo    ,  nella  chiusa  dell'articolo  di  Dea  Verna  su oggi  di  questa  settimana  




2.2.21

sfatiamo il ricordo delle foibe e del 10 febbraio a senso unico

 Premesso che una vicenda storica complessa come quella   del confine  orientale il cui  ricordo della  giornata  del 10 febbraio viene  in massima parte       ridotta    solo  alle  foibe, intrecciata con :  il risorgimento italiano , con  il fascismo e le due guerre mondiali,  e  con l'esodo  di popolazioni   è difficilmente sintetizzabile in un articolo senza rischiare di essere approssimativi,
Con quest'articolo inoltre non si intende negare che nel 1943 e nel maggio 1945 ci furono atti di violenza o di rappresaglia contro fascisti, ex-fascisti e/o collaborazionisti, poiché questi fatti si accompagnano sempre e comunque ad ogni dopoguerra, e nemmeno si intende esaltare la violenza vendicativa contro gli sconfitti, quanto evidenziare alcuni aspetti su quelle vicende . Si condanna   :  il silenzio e il nascondere  cosi è stato fino all'istituzione del  10  febbraio  tali vicende

  1. Il nazionalismo, il militarismo e il patriottismo generano sempre violenza;
  2. Gli episodi delle “foibe” del settembre 1943 vanno distinti dagli arresti e dalle esecuzioni del dopoguerra;
  3. Non è mai esistita una volontà dei popoli slavi di organizzare una pulizia etnica degli insediamenti italiani.
  4. Non vi furono massacri indiscriminati di persone in quanto italiani, la maggior parte delle vittime furono fascisti o collaborazionisti, nonché oppositori anticomunisti, spesso slavi;
  5. La maggior parte dei morti si ebbe nei campi di internamento, dove certamente le condizioni di vita non erano buone. Va però detto che la Slovenia era stata distrutta dagli invasori nazifascisti. Mancavano impianti sanitari, acquedotti ecc. Le stesse sofferenze furono patite anche dalla popolazione civile che aveva difficoltà a sfamarsi;
  6. È praticamente impossibile uccidere un così alto numero di persone in così poco tempo semplicemente gettandole in delle cavità naturali: ci sono prove che il numero delle vittime sia notevolmente inferiore rispetto a quanto riportano le campagne mediatiche disinformative.
  7. Vi furono anche vendette personali, ma molti di coloro che le perpetrarono furono processati e condannati (e in taluni casi amnistiati).
  8. La narrazione dei presunti massacri si è spesso rivelata uno strumento per giustificare una futura presa di potere di forze populiste e anti-rivoluzionarie.
  9. Non si può piegare la storia alla volontà dei vincitori; infatti, la rinascita e il ritorno in auge della destra neo nazionalista, reazionaria e populista sono le motivazioni e le pericolose conseguenze alla base del revisionismo storico di questi anni. Infatti L'impostazione chiusa [ ed a senso unico aggiunta mia ] ed nazionalistica della giornata del ricordo corre [ in realtà c'è già ] seriamente il rischio di legalizzare il ricordo dei crimini altrui nell'oblio di altri crimini cioè dei nostri ( Carlo Spartaco Capogreco  )

Ora  dopo questa premessa   veniamo  al  post    sorto   da  interessante  dibattito  , di cui riporto la discussione  per  chi non mi segue  ( e  non segue ) sorto  da  un  articolo  da me  condiviso  sul  mio (  vostro  perchè  i commenti  sono liberi e non moderati   , salvo  mancanza  di rispetto e  cattiva educazione cosi  come    la  condivisione     sula mia  bacheca    )  facebook      https://www.facebook.com/redbeppeulisse1/  dell'articolo   purtroppo  a  pagamento  di quest'articolo  

da https://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2021/01/18/news/gobetti-le-foibe-non-furono-genocidio-basta-ingerenze-politiche-1.39788732


Gobetti: «Le foibe non furono genocidio. Basta ingerenze politiche»

Esce per Laterza un saggio-pamphlet dello studioso torinese, una diretta presa di posizione contro le mistificazioni su una dolorosa pagina di storia. «I fatti sono stati strumentalizzati» 



  • Non è un genocidio perchè non furono trucidati a causa della "razza". Che cambia?
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    • Pina Sechi
       Cambia che se si inquadrano nel contesto della seconda guerra mondiale e di cosa e' successo gli anni precedenti si ridimensiona moltissimo il fenomeno dal "genocidio" e al "trucidare" a semplici uccisioni di guerra... magari sbagliate, ma non certo equiparabili o confrontabili con le porcherie che avevano fatto loro prima...
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  • Fu uno sterminio di massa
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  • Se le parole hanno un loro significato, è così. Il genocidio è ben altro.
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    • Omar Eustat Arcano
       e cosa intendi per genocidio
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    • Giuseppe Scano
       Non e' difficile: Nazismo=genocidio. Turchi vs armeni=Genocidio. Giapponesi vs Cinesi in Manciuria=Genocidio. Foibe=Cazzata revisionista: trattasi di episodi inquadrati in un periodo di guerra. 
      https://it.wikipedia.org/wiki/Genocidio
      Genocidio - Wikipedia
      IT.WIKIPEDIA.ORG
      Genocidio - Wikipedia
      Genocidio - Wikipedia
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    • Ruggiero Olivieri
       anche nel dopo guerra visto che continuarono soprattutto nell'istria anche dopo. Non è cazzata revisionista in se perché sono successe realmente. Ma la cazzata revisionista è l'uso che se ne fa distorcendone gli avvenimenti ad uso ideologico da una parete dall'altra
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    • Lo so. Ero sarcastico. Volevo solo sapere cosa interesse o quale significato gli dava 
      Omar Eustat Arcano
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    • Giuseppe Scano
       dammi qualche fonte relativa agli atti del dopoguerra in Istria sul genocidio, altrimenti sono solo chiacchiere. Parlare di genocidio per questi fatti e si revisionismo ed anche becero.
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    • Ruggiero Olivieri
       non ho detto che sia genocidio. Ho solo detto che sono avvenute. Non ho parlato di Genocidio
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    • Giuseppe Scano
       dopo ogni guerra o rivoluzione ci sono state vendette più o meno trasversali. Il problema , probabilmente non ci sarebbe stato se invece di infoibarli, li avessero seppelliti in fosse comuni o inceneriti...insomma se non avessero lasciat… 
      Altro...
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    • Gino Jena Nieddu
       E' questo il punto: nelle foibe hanno trovato poco o niente.... la foiba di basovizza e' vuota... da sempre...
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    • Giuseppe Scano
       Ok sono avvenute cosa? che cosa e' avvenuto nel dopoguerra?
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    • Ruggiero Olivieri
       conosco la storia. Penso che chi ha inventato questa pratica siano proprio gli oppressori italiani
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    • Gino Jena Nieddu
       E' dagli anni 90, da quando la destra e' stata sdoganata che si e' cominciato a revisionare i misfatti che abbiam fatto in quella parte d'europa...
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    • Ruggiero Olivieri
       la destra italiana è solo fascista
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    • Gino Jena Nieddu
       ultimamente si . ma in origine no
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    • Ruggiero Olivieri
       stavo confondendo gli eccidi avvenuti in Istria e a Fiume e violenze che continuarono dopo la liberazione di trieste .
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    • Giuseppe Scano
       Gli eccidi in istria e fiume li han fatti gli italiani fascisti durante l'occupazione dal 41 fino al 43... dopo l'armistizio, arrivarono i tedeschi e cominciarono loro a massacrarli (appoggiati dai repubblichini).. a Trieste, quando arrivarono i tedeschi, i repubblichini denunciarono e mandarono nei campi di concentramento gli ebrei e i partigiani triestini (i loro concittadini... vermi schifosi)... i tedeschi si trovarono le liste gia pronte... sapevano che i tedeschi li avrebbero mandati ad auschwitz ed altri posti di merda, ma non si fecero scrupoli... e quando i titini li trovarono, alcuni si fecero giustizia da soli, ma la maggior parte subirono processi per crimini di guerra e al contrario di quello che i fascisti di oggi vogliono far credere, molti tornarono a casa poiche estranei ai fatti, altri furono fucilati poiche trovati colpevoli.... esistono tanti documenti che mostrano chi mori realmente nei supposti eccidi: repubblichini, assassini e gerarchi.... e questi vermi oggi addirittura, il 10 di febbraio, premiano con medaglie i parenti di alcuni repubblichini conclamati! Ma davvero stiam parlando di queste merdate? Ci sarebbe da vergognarsi per almeno due generazioni di quello che abbiamo fatto in quei posti e c'e anche qualche schifoso che dice che fu un genocidio di italiani....
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    • Giuseppe Scano
       il genocidio avviene quando si prende di mira un gruppo etnico o religioso. Le foibe sono esistite ma non si può parlare di genocidio perché i titini ammazzavano italiani che non sono né un gruppo etnico né religioso.
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quindi non    certo  ci  fu   pulizia  etnica  e genodio  ma    ci  furono   ideologico  , aberrazioni nazionaliste , totalitarismi , vendette  tipiche  quando  si passa    da  un regime  ad  un altro  ,  o  dopo una    guerra  . C'è    la  volontà  di  usare  la   gli eventi  storici  storia    e le  ed  le  rispettive    ad  uso  politico  \  ideologico contro il proprio  avversario   come   dicono   questi  due storici di diversa  formazione  cultulturale 



     estratto da    https://youtu.be/m0meQAHiTng



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non so più cos'altro  scrivere  ed  aggiungere    a quanto  già detto 





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