<< Ci sono storie comode, che è facile raccontare perché generalmente accettate, e anzi celebrate. E ce ne sono altre, invece, che disturbano perché a lungo occultate, travisate, addirittura negate.>> ( dichiarazioni di Andrea Penacchi sul film la Rosa d'Istria ) .
Infatti ho recentemente scoperto una di queste storie leggendo l'articolo , riportato sotto , de il Fq di oggi 29\1\2024 .
Ed io che pensavo , informandomi e sentendo tutte le campane , in questi 20 anni d'istituzione del giorno del ricordo , di sapere ormai tutto sulla storia e sulle vicende del confine orientale tra 1866 e 1974 in particolare tra il 1918\19 - 1947\54 , invece ...... .
Ma ora Basta piangersi addosso e veniamo all'artiocolo in questione .
MASSIMO NOVELLI
Sono i giorni della memoria: da quella dell’olocausto (27 gennaio), cioè dei milioni di ebrei, e non solo loro, sterminati dai nazisti, al Giorno del ricordo (10 febbraio), isituito per onorare le vittime italiane delle foibe titine in Jugoslavia e per rammentare il massiccio esodo giuliano-dalmata. Alle vicende delle foibe e dell’esodo è dedicato il bel romanzo Eredità colpevole (edito da Voland) di Diego Zandel, autore di numerosi romanzi di successo (come I confini dell’odio )e figlio di esuli fiumani, nato nel 1948 nel campo profughi marchigiano di Servigliano.
Il libro, uscito tempo fa, viene ripresentato in queste settimane in varie città d’italia perché, come ha scritto lo stesso Zandel, si tratta di un brandello “di Storia sulla quale, a quasi ottanta anni dalla fine della guerra, si scontrano ancora gli opposti estremismi, incapaci – come emerge ogni anno quando, il 10 febbraio, si commemora il Giorno del ricordo delle Foibe e dell’esodo – di fare i conti con la Storia,senza pregiudizi e strumentalizzazioni di sorta”. Il romanzo di Zandel è liberamente ispirato alla figura di Oskar Piškuli, capo sanguinario nel 1945 della famigerata Ozna, la polizia politica del maresciallo Tito a Fiume. Vent’anni fa, nel 2004, si concludeva a Roma il lungo processo italiano a Piškuli, che, grazie a un contestato cavillo giuridico, riuscì a farla franca e a non pagare per le atrocità commesse e ordinate. Era stato giudicato in contumacia in quanto accusato di avere ucciso, tra le centinaia (circa 500) di vittime italiane addebitategli, tre capi autonomisti fiumani, Giuseppe Sincich, Nevio Skull e Mario Blasich. Erano, dice sempre Zandel, “antifascisti della prima ora che, come si erano opposti a Gabriele D’annunzio nel 1919 e all’annessione di Fiume all’italia, si opponevano ancor più all’annessione della città alla Jugoslavia”.I figli di Giuseppe Sincich, osserva Diego Zandel, anni dopo “si costituirono parte civile nei confronti di Oskar Piškuli dando vita a un processo che, dopo le contrastanti valutazioni del gip, si svolse a Roma, nei suoi vari gradi, dal 1997 al 2004. La sentenza della seconda Corte di Assise, poi confermata dalla Cassazione, avrebbe decretato che Piškuli, all’epoca ancora in vita, seppur colpevole di omicidio continuato aggravato, non potesse scontare la sua condanna per difetto di giurisdizione, a ragione del fatto che Fiume non era più italiana (anche se, per altri, lo fosse ancora, e lo sarebbe stata fino al 15 settembre 1947 in base al Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio dello stesso anno)”.La storia dell’uccisore di italiani è stata narrata anche in un testo teatrale: Processo a Oskar Piškuli. A scriverlo Zandel e Laura Marchig, una giornalista e scrittrice fiumana. Il docu-recital si basa sull’intervista che l’ex capo della Ozna rilasciò nel 1990 alla medesima Marchig, all’epoca giovane redattrice del quotidiano in lingua italiana La Voce del Popolo di Fiume, e sugli atti del processo istruito dalla nostra magistratura nei confronti di Piškuli. Un dibattimento, peraltro, nato proprio a seguito di quella intervista. Ma giustizia, come in tanti altri processi a criminali di guerra, jugoslavi, italiani e tedeschi, non fu mai fatta.
leggo qualche giorno fa su uno dei giornali vecchi che uso per accendere il fuoco del camino che una Liliana Segre particolarmente amareggiata quella che arriva a Palazzo Marino, a Milano, per presentare assieme al sindaco Beppe Sala le iniziative per il Giorno della Memoria ha dichiarato
"Quando uno vecchio come me, che ha visto prima l'orrore, e poi, arriva a sentire che si nega addirittura quel che è stato la coscienza si sveglia. Dopo che sei stato silenzioso,
ammalato, non capito, a un certo punto succede che non si sia mai contenti, che si diventi pessimista. E che si ritenga che fra qualche anno, della Shoah ci sarà una riga sui libri di storia, e poi nemmeno quella". [...] Capisco che la gente dice da anni "basta con questi ebrei, che cosa noiosa". [...] "Il giorno della Memoria è inflazionato, la gente è stufa di sentire parlare degli ebrei.
il mio commento a caldo /d'istinto ( che poi non lo è se leggete i link riportati a fine post e le modifiche segnalate in corsivo del post in questione )è stato che poi è anche la risposta a chi mi dice perché dici che è una giornata palla e poi ne parli
adesso se ne accorge ? io sono anni che lo dico e lo scrivo come introduzione a miei post in cui ricordo tali che ancora continuo a scrivere perché ci sono ancora delle
che negano o sminuiscono o creano miti auto assolutori tipo italiani brava gente dimenticando che anche noi italiani vi abbiamo partecipato direttamente ( leggi razziali , campi di internamento , poi di transito , collaborando con i tedeschi o da soli nelle deportazioni , con vagoni ferroviari la deportazione in quelli nazisti , ) o indirettamente ( silenzio , ovazioni nelle piazze , con spie e , delazioni , ecc ) a tali brutture e coloro che si sono opposti ed hanno reagito salvando e nascondendo ebrei si contano sulle dita delle due mani
le cause che i media ufficiali quando parlano del 27 gennaio fanno un unicum tra shoah e olocausto ( vedere nel precedente post , le differenze se pur sottili ) concentrandosi solo sul primo dimenticando o minimizzando che ci fu anche l'olocausto cioè lo sterminio di tutte le categorie di persone ritenute dai nazisti "indesiderabili" o "inferiori" per motivi politici o razziali, tra cui le popolazioni slave delle regioni occupate nell'Europa orientale e nei Balcani, neri europei e, quindi, prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, massoni, minoranze etniche come rom, sinti e jenisch, gruppi religiosi come testimoni di Geova e pentecostali, omosessuali e portatori di handicap mentali e/o fisici
leggendo delle varie iniziative della settimana della menoria per ricordare anche a bambini ed i ragazzi , d'altronde è proprio su di loro che dobbiamo puntare perché certe brutalità non si ripetano , la shoah ed l'olocausto , ho letto che Il 27 gennaio su Rai 3, Rai Gulp e disponibile su Rai Play, andrà in onda “La cartolina di Elena“, una produzione originale Rai che racconta la storia di Elena colombo ( foto sotto al centro presa dall'account fb di Rondolino ) una ragazzina ebrea torinese, la prima documentata deportata da sola nel ’44 ad Auschwitz e finita subito nella camera a Gas .
immagini dell'opera in questione
Dal " bugiardino " della rai ecco alcune notizie .
Uno speciale tv inedito, dedicato a ragazzi e famiglie, per il Giorno della Memoria della Shoah, in animazione e live action, prodotto da Rai Kids e Stand by me. "La cartolina di Elena" racconta la storia vera, finora poco conosciuta, di Elena Colombo, una bambina ebrea torinese che, nel 1943, fu separata dai genitori a 10 anni e deportata da sola ad Auschwitz: l'unico caso documentato in tutta la Shoah italiana. La vicenda è narrata attraverso gli occhi di due giovani protagonisti, Cecilia e Fabrizio, che vivono a Torino oggi e che ricostruiscono la storia di Elena e dei suoi genitori a partire da una vecchia fotografia di famiglia: la narrazione alterna presente e passato, sogno e realtà, in un'investigazione che, mescolando live action e animazione, è in grado di commuovere e sorprendere.
Eco sotto la storia
Shoah: storia di Elena Colombo, la bimba che affrontò da sola deportazione e sterminio
di Marco Zonetti 🖋️
Nella Giornata della Memoria, che cade il 27 gennaio di ogni anno per
commemorare le vittime dell’Olocausto, si ricordano anche i tantissimi
bambini che finirono vittime della barbarie umana. Al Memoriale della
Shoah di Milano campeggia per esempio il ricordo della piccola Sissel Vogelmann, nata a Torino il 3 settembre 1935 emorta il 6 febbraio 1944, a neanche nove anni di età, nel campo di concentramento di Auschwitz. Caricata, per la sua fatale destinazione, sul convoglio numero 6 dal binario 21 della stazione di Milano. Quel
binario che, prima adibito ai treni postali, fu invece impiegato
durante la Shoah per deportare ebrei, partigiani, prigionieri politici –
caricati su vagoni bestiame – ai campi di Auschwitz-Birkeneau. La tragica storia della piccola Sissel – particolarmente toccanti i
suoi disegni dedicati alla nonna esposti nel Memoriale – ha ispirato
romanzi, raccolte di poesie e un cortometraggio, Destinazione Auschwitz – viaggio nella fabbrica dello sterminio, commentato da Liliana Segre.
E un’altra bambina ebrea, Elena Colombo, è protagonista di una storia peculiare legata all’Olocausto, raccontata dal giornalista Fabrizio Rondolino sul suo profilo Facebook. Che pubblichiamo qui di seguito. “Elena Colombo nasce a Torino il 5 giugno 1933. Suo padre, Sandro, il
fratello di mia nonna, aveva servito la patria nella Prima guerra
mondiale e aveva poi aperto una piccola azienda di imballaggi per
dolciumi; nel 1932 aveva sposato Vanda Foa. Nell’autunno del
1939 Elena comincia la prima elementare alla Scuola ebraica di Torino:
le leggi razziali volute da Mussolini e firmate dal Re Vittorio Emanuele
III le proibiscono di frequentare la scuola pubblica. “Nel dicembre del 1942 la famiglia Colombo si trasferisce a Rivarolo
Canavese per sfuggire ai bombardamenti; dopo l’8 settembre 1943, quando i
tedeschi occupano l’Italia e cominciano le deportazioni degli ebrei,
Elena e i genitori si rifugiano a Forno Canavese, nascosti in una baita
della frazione Milani.
Il 7 dicembre tedeschi e repubblichini
arrivano a Forno, dove si era formata una delle prime bande partigiane,
il “Gruppo Monte Soglio”, e iniziano i rastrellamenti. Nella battaglia del giorno successivo saranno catturati 18 partigiani, poi torturati e fucilati.“In quello stesso giorno, l’8 dicembre 1943, la famiglia Colombo è arrestata e, l’indomani, portata a Torino. Dopo qualche settimana alle Nuove, Sandro e Vanda vengono trasferiti nel carcere di San Vittore, a Milano. Da qui il 30 gennaio 1944 sono deportati ad Auschwitz, dove arriveranno il 6 febbraio. Nessuno dei due è tornato. Elena invece viene affidata ad una famiglia amica di Torino, dove resterà fino al 9 marzo 1944.“Quel giorno le SS la prelevano e la portano all’Istituto Charitas,
dove tornano a riprenderla il 25 marzo per deportarla nel campo di
transito di Fossoli (Modena). Da qui, il 5 aprile, Elena parte da sola
per Auschwitz, dove arriverà la mattina del 10 aprile. Il giorno stesso è
mandata alla camera a gas. Aveva 10 anni e 10 mesi. Elena
Colombo è l’unico caso documentato nella Shoah italiana di un bimbo che
ha dovuto affrontare da solo l’arresto, la deportazione, lo sterminio“.
non so che altro aggiungere se non asciugarmi le lacrime
come promesso nei post precedenti dedicati a tale giornata riporto qui un articolo interessantissimo do editorialedomani del 22\1\2022 di Laura Fontana Storica della Shoah ed esperta di didattica. È responsabile per l’Italia del Mémorial de la Shoah di Parigi, ha pubblicato numerosi saggi scientifici in diverse lingue. È autrice di Gli Italiani ad Auschwitz. 1943-1945. Deportazioni, “Soluzione finale”, lavoro forzato. Un mosaico di vittime, Oswiecim, Museo Statale di Auschwitz-Birkenau, 2021.
UN MOSAICO DIFFICILE DA COMPORRE
Le storie dimenticate degli italiani non ebrei deportati ad Auschwitz
Nella foto: Vittoria Gorizia Nenni (Wikipedia)
Nonostante la mole impressionante di studi oggi disponibili, Auschwitz resta per molti, sostanzialmente, un’idea e un’immagine (del male, della crudeltà, della disumanizzazione).
Quando a prevalere è la dimensione simbolica o il discorso morale attorno al tema, il rischio è quello di sconnettere i diversi elementi della storia e di tramandare un racconto sempre più generico e impreciso, confondendo i percorsi delle vittime e i contesti della loro deportazione.
L’intuizione di approfondire queste vicende mi ha portato a scoprire le storie di 1.200 non ebrei internati in quel campo. Sono emerse le biografie di tante storie dimenticate di “triangoli rossi” (simbolo nel lager dei prigionieri politici).
Dalla fine della guerra, la storia di Auschwitz è stata abbondantemente documentata. Eppure, la conoscenza comune resta limitata a pochi fatti essenziali (date, numeri, nomi) e la narrazione appare improntata a una visione parziale, non inclusiva di tutte le politiche criminali che i nazisti realizzarono in questo sito. In sintesi, per tutti Auschwitz è la Shoah e ogni prigioniero dietro il filo spinato era ebreo, destinato alla camera a gas.
Dal 1943 al 1944 lo sterminio costituì la funzione principale del sito (almeno il 90 per cento delle vittime furono ebrei). Ma la Shoah – il cui svolgimento non coincise, per la maggior parte, con la cronologia di Auschwitz – non rappresentò mai l’unico obiettivo dei nazisti. L’istituzione stessa del campo, nel 1940, non fu motivata dalla logica di eliminare gli ebrei, ma dal contesto di brutale repressione della Polonia.
Anche quando Auschwitz iniziò ad assumere un ruolo centrale nella Soluzione finale, il sito mantenne la sua funzione di campo di concentramento e di lavoro forzato, internando prigionieri che non erano solo ebrei.
Nonostante la mole impressionante di studi oggi disponibili, Auschwitz resta per molti, sostanzialmente, un’idea e un’immagine (del male, della crudeltà, della disumanizzazione). Quando a prevalere è la dimensione simbolica o il discorso morale attorno al tema, il rischio è quello di sconnettere i diversi elementi della storia e di tramandare un racconto sempre più generico e impreciso, confondendo i percorsi delle vittime e i contesti della loro deportazione.
Tra storia e microstoria
Capodistria (Koper) 1945. Su questo riflettevo qualche anno fa, quando ho intrapreso il progetto di un libro sugli italiani
Jolanda Marchesich mostra il suo numero di matricola di Auschwitz tatuato sul braccio.
deportati ad Auschwitz. L’intenzione era di narrare le vicende umane della Shoah italiana a un ampio pubblico di lettori, dando spazio alle memorie dei superstiti e adottando un approccio integrato tra storia e microstoria, per far emergere le relazioni tra i diversi ambiti di azione che avevano reso possibile quella tragedia.
All’epoca non conoscevo la storia di italiani non ebrei finiti ad Auschwitz, salvo quella di tre donne, arrestate in luoghi e circostanze diverse: Vittoria (Vivà) Nenni, figlia del leader socialista Pietro Nenni e deportata come resistente dalla Francia, la triestina Ondina Peteani, catturata come giovane staffetta partigiana, e Ines Figini, operaia della Tintoria Comense, arrestata perché aveva scioperato.
L’intuizione di approfondire queste vicende per collocarle nel racconto della deportazione italiana ad Auschwitz mi ha portato a scoprire le storie di 1.200 non ebrei internati in quel campo, grazie a una lunga ricerca negli archivi europei. Il libro ha, quindi, imboccato un’altra strada, più complessa e ambiziosa, volta a riscrivere una storia che fino ad allora era stata raccontata solo attraverso la lettura della Shoah. Dalle carte degli archivi sono emerse le biografie di tante storie dimenticate di “triangoli rossi” (simbolo nel lager dei prigionieri politici).
Le biografie di Ondina e di Ines sono state la chiave per conoscere altre storie di giovani italiane, almeno un migliaio, quasi tutte arrestate nel 1944 nelle province di Udine, Gorizia, Trieste, Fiume, Pola e Lubiana, incorporate nel Reich dopo l’8 settembre.
Territorio sottoposto a una durissima repressione nazista, il litorale adriatico fu oggetto di vaste azioni di arresto e di rastrellamento di civili, volte a stroncare la Resistenza e raccogliere manodopera per le industrie belliche tedesche.
Maria Rudolf, 18 anni di Gorizia, o Adriana Bruschi, 16 anni di Fiume, sono due esempi tra centinaia di giovanissime italiane coinvolte nell’azione partigiana. Altre, invece, vennero arrestate perché sospettate di fiancheggiare le bande partigiane.
Alla cattura, spesso su delazione dei fascisti locali, seguì talvolta la tortura fisica, persino lo stupro. Aurelia Gregori, slovena di 23 anni, partorirà ad Auschwitz la sua bimba, frutto di violenza, pochi giorni prima dell’arrivo dell’Armata rossa.
Molte delle politiche italiane deportate da Gorizia e Trieste erano slovene e croate, nate in località annesse all’Italia dove il fascismo aveva pesantemente discriminato queste minoranze, imponendo un’italianizzazione forzata. Negli anni tra le due guerre, si era diffuso nelle popolazioni locali un sentimento sempre più forte di opposizione, esacerbato poi dall’occupazione nazista. Da Bergamo furono deportate circa quaranta operaie scioperanti delle fabbriche lombarde: una misura punitiva, unita a ragioni di sfruttamento economico. Resta da chiedersi, perché solo loro finirono ad Auschwitz, tra molte altre scioperanti.
Dimensione polivalente
È complicato interpretare per tutte queste italiane la motivazione che ne determinò la deportazione ad Auschwitz. Nel 1944, oltre che centro di sterminio per gli ebrei, Auschwitz era un gigantesco complesso di campi adibiti al lavoro forzato, non solo industriale. Eppure, le testimonianze delle italiane superstiti convergono su un punto: quasi nessuna dovette svolgere un lavoro a scopo produttivo o in fabbrica. Peraltro, tante vi rimasero internate solo per il periodo di quarantena, a ricordare che Auschwitz funzionava anche come campo di smistamento di prigionieri. Fu solo dopo il trasferimento in altri lager che le italiane iniziarono a essere impiegate per la produzione bellica.
Quanto ai più di duecento uomini internati come triangoli rossi, nessuno risulta arrivato direttamente dall’Italia, ma trasferito con specifici trasporti di prigionieri, scelti per categoria (malati e inabili al lavoro per Majdanek) o per professione (lavoratori specializzati e medici da Mauthausen e Dachau).
Gli uomini giunsero ad Auschwitz in condizioni ben peggiori delle connazionali. Già sfiniti dal duro lavoro in diversi campi, spesso sei o sette lager diversi, come per il piemontese Pio Bigo, in molti non fecero ritorno a casa. Generalmente i medici, uomini e donne, che ad Auschwitz furono scelti per la loro professione, come Luciana Nissim, amica di Primo Levi, o il maggiore dell’esercito Giuseppe Filippini, poterono contare su migliori condizioni di sopravvivenza. Per ognuno il trauma rimase indelebile, anche per l’impossibilità di curare i prigionieri ammalati.
Solo ricollocando al centro del quadro la dimensione polivalente di Auschwitz nel 1944, quando vi arrivò la quasi totalità degli italiani, è possibile attribuire un senso alle tante e diverse storie, in particolare quelle delle donne non ebree.
Il lavoro forzato, inteso però in senso ampio, come sfruttamento del corpo degli internati a servizio delle mansioni più disparate (tra le quali svuotare le latrine, trasportare i cadaveri, livellare continuamente un terreno paludoso e ghiacciato), rimase una funzione importante nella storia del complesso di Auschwitz, mai però prevalente, anche durante gli anni dello sterminio e al termine delle operazioni di uccisione col gas, nell’autunno 1944.
È il 2 dicembre 1944 quando, a pochi giorni dalla grande evacuazione, arriva da Mauthausen un trasporto numeroso di lavoratori specializzati, come fabbri, falegnami, elettricisti, ma anche cuochi: tra loro, 165 prigionieri registrati come italiani. Non è un trasferimento casuale, ma giustificato dall’indicazione delle diverse professioni che hanno motivato la scelta di quei prigionieri da inviare proprio ad Auschwitz, dove la pluralità dei campi e sotto-campi della sua amministrazione, richiedevano con urgenza molta manodopera. Allo stesso modo, le continue epidemie di tifo e malattie contagiose, richiedevano la presenza di medici anche per curare le SS e le loro famiglie. Gli ultimi cinque medici prigionieri italiani, internati come triangoli rossi a Dachau e a Mauthausen, giungono ad Auschwitz il 22 novembre 1944 e il 3 gennaio 1945.
La storia degli italiani ad Auschwitz è un mosaico difficile da comporre, perché mancano alcuni tasselli. Le fonti sono frammentarie e le testimonianze dei superstiti non ebrei poco numerose, rilasciate in età molto anziana, oppure raccolte in sloveno e croato e non tradotte.
Raccontare i diversi aspetti di una tragedia, ricordando tutte le vittime, non serve solo a raccogliere le memorie e a riscrivere il racconto storico. È anche un atto di giustizia per tutti coloro che per tanto tempo sono stati ingiustamente dimenticati.
Avrei preferito, pur essendo contro le giornate a tema , che l'olocausto e lo shoah ( per me nessuna differenza se non sottilissima ) stessi eventi
Differenza tra Olocausto e Shoah
Quale è la differenza tra Olocausto e Shoah? In quali contesti storiografici si usano?
Col termine Olocaustoviene attualmente designato il genocidio o sterminio di una considerevole componente degli ebrei d’Europa. Assieme agli ebrei altri gruppi finirono nel programma di sterminio dei regimi nazi-fascisti, anche se l’ostilità antiebraica – nella sua nuova veste di moderno antisemitismo razziale – fu fin dall’inizio parte integrante della ideologia del Nazismo tedesco.
Il termine olocausto, che deriva dal greco e successivamente dal latino, traduce anche un termine biblico legato alla sfera dei sacrifici cruenti e animali. Con tale termine si traduce in lingua greca il sacrificio ebraico detto ‘olah, ossia innalzamento, un sacrificio che viene “tutto bruciato”. Il fumo che sale “è odore gradito al Signore”.
Il termine utilizzato per descrivere la lo sterminio degli ebrei d’Europa si è mantenuto nella lingua inglese (Holocaust). Che esso provenga da ambienti cristiani di età medievale, che indichi un lemma proveniente dal mondo pagano, che abbia un significato troppo religioso, come spesso si afferma, è tutto sommato irrilevante. Certo ci può essere una sorta di assonanza tra il fumo dei campi di sterminio e quello della vittima sacrificale, ma si tratta di assonanza superficiale e deviante, poiché l’immagine biblica indica ben altro gesto culturale. Cosa si voleva intendere quando si associò lo sterminio degli ebrei all’offerta sacrificale del mondo antico? Un “sacrificio” dei nazisti al “dio della Razza”? O una auto concezione del sé ebraico come vittima sacrificale simile alle concezioni del sacrificio cristiano?
L’ambiguità del significato di questo termine è ovvia, provoca di certo disagio. Da qualche decennio – per lo più nei paesi di tradizione non anglosassone – è invalso l’uso di utilizzare un termine ebraico, ritenuto più pertinente . Il termine Shoah – שואה – veicola, nel lessico biblico, diversi significati legati all’idea di distruzione. Esso è certamente più neutro, meno connotato in senso religioso, anche se a dire il vero, il lemma ricorre frequentemente nel libro di Giobbe, nella lingua del profeta Isaia e in alcuni salmi, ed essendo in qualche senso legato alla sfera del religioso, non è così determinato dalle azioni di carattere cultuali.
che hanno in comune le atrocità umane ma con significato semantico differente , fosse celebrata\ ricordata il 16 ottobre in quanto in tale data nel 1943– ci fu la DeportazionedalGhetto di Romadi 1023 ebrei verso ilCampo di sterminio di Auschwitz o quelle del primo convoglio di deportati ebrei diretto ad Auschwitz partì da Milano il 6 dicembre 1943 o dell’ultimo, il 15 gennaio 1945 Ma l'italia pur di non mettere il coltello nella piaga e voler fare autocritica in quanto alle date sopra riportate parteciparono anche militari italiani ha preferito per salvare capra e cavoli s'adegua passivamente alla risoluzione ONU del 2005 che per celebrare il 60° anniversario della liberazione dal nazismo e per ricordare l'orrore della Shoah e commemorare le vittime dell'Olocausto è stata istituita una ricorrenza internazionale ha stabilito che il 27 gennaio – giorno in cui le truppe sovietiche liberarono Campo di sterminio di Auschwitz– sia il Giorno della memoria.
Come si può raccontare l’orrore dell’Olocausto agli studenti? Come è possibile parlare della Shoah e del Giorno della Memoria anche se sono lontani dal periodo storico che si sta studiando s e mai si arriva a studiarlo ? La Memoria non si insegna visto che : << [ ... ] Io chiedo quando sarà che l' uomo potrà\ imparare \a vivere senza ammazzare \e il vento si poserà \e il vento si poserà [ ... ] >> ( La canzone del bambino nel vento (Auschwitz) ) o se non è coltivata ed praticata . Conviene partire dagli eventi della Storia e lasciare spazio alle parole degli ultimi testimoni sopravvissuti se ce ne sono ancora o alle loro memorie . Lo so che questo si differenza dalla storia come spiega benissimo Alessandro barbaro , nel video sotto
ma io non ne vedo altri modi che non sia retorica e nozionistici . Ma soprattutto concordo con la riflessione della giornalista Francesca Paci, autrice di Un amore ad Auschwitz. Edek e Mala: una storia vera, edito da UTET << Cosa accadrà quando non ci saranno più i testimoni, quando anche l’ultimo sopravvissuto sarà sepolto da qualche parte? I più giovani di loro, i rarissimi bambini usciti vivi dal lager, hanno abbondantemente superato gli ottanta. Il tempo vola. A un certo punto il compito di tramandare la memoria toccherà a noi, a chi ha avuto il privilegio di ascoltare le loro voci.
Per questo mi sono appassionata immediatamente a Mala e Edek, perché sono due figure fuori dal comune che in condizioni estreme costruiscono un rapporto intenso, romantico, quasi un film, ma soprattutto perché la loro è una storia d’amore reale laddove di reale c’era solamente la morte>>.
Ogni volta che si tratta l’argomento della Memoria o vedo sui social foto di pietre d'inciampo qui maggiori dettagli ( da cui ho tratto la foto sotto a sinistra ) mi chiedo come dice Fabio Perugia su https://www.interris.it/ Gennaio 27, 2017 <<cosa è possibile fare per non banalizzare il ricordo della
Shoah. Non è un’impresa facile, tutt’altro. Perché la storia è una sola e racconta lo sterminio – quasi portato a termine – degli ebrei nei campi nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. E perché un sinonimo di Shoah non esiste e solo in quella parola si può concentrare l’urlo di milioni di anime barbaramente deportate da ogni angolo della nostra Europa per poi finire nelle camere a gas.>>
Eppure dobbiamo sforzarci per far sì che quando si parla di shoah e di olocausto soprattutto durante la giornata ora diventata settimana del 27 gennaio non assuma il sapore del rito e della celebrazione istituzionale e quindi forzata \obbligatoria . << Un esercizio che oggi siamo ancora in grado di fare grazie alla presenza dei pochi sopravvissuti che attraverso i loro racconti dell’orrore riescono a fissare nelle nostre menti quel tragico ricordo. Ma domani, quando purtroppo passeranno a noi il testimone della narrazione della Shoah, cosa saremo in grado di consegnare ai nostri nipoti? Accanto al ricordo di Auschwitz Birkenau, il Giorno della Memoria deve trasmettere un messaggio, un insegnamento che sia alla base del motivo per cui i sopravvissuti sono sopravvissuti. Sami Modiano, che è stato deportato a Birkenau, dice sempre ai ragazzi che incontra: “Io vi racconto ciò che ho vissuto affinché non succeda mai più”.>>
Ecco quindi che celebriamo il Giorno \ settimana della Memoria non solo per ripercorrere il passato ma anche per costruire un migliore futuro. La prima cosa da imparare da Auschwitz e gli altri campi è che non nascono dal nulla. Non sono la macchina della morte piombata all’improvviso al centro dell’Europa. Auschwitz e gli altri campi sono stati solo il più tragico e ultimo tassello di un lungo percorso. Che inizia nelle nostre strade, nei paesi anche italiani, della profonda provincia o della viva città, dove il vicino di casa diventa improvvisamente un “diverso”, un cittadino di serie B. E a pochi è importato se quel vicino ebreo improvvisamente non poteva andare a scuola, lavorare, insegnare, vivere come gli altri suoi simili. In un’escalation progressiva, talvolta lenta, la società ha messo in un angolo gli ebrei e poi è rimasta in silenzio – tranne eccezioni – quando è arrivato il momento delle deportazioni. Anzi, alcuni hanno collaborato alle deportazioni dei loro concittadini.
<<Eppure, forse, non sono stati loro i peggiori. La maggioranza, la massa, è rimasta nell’indifferenza. Si è vista prima declassare e poi deportare verso la morte i propri amici ebrei [ e non solo aggiunta mia ] restando in silenzio. Il Giorno della Memoria ci insegna che non possiamo distrarci, che dobbiamo essere attenti, che dobbiamo avere cura dei nostri comportamenti di tutti i giorni, che dobbiamo avere a cuore il prossimo, che dobbiamo guardarci intorno e capire se c’è il nostro vicino di casa che è stato messo nell’angolo. Se non lo facciamo, se permettiamo che altri esseri umani siano trattati come esseri umani di serie B, se permettiamo che un nero sia inferiore a un bianco, se permettiamo che un musulmano sia solo un terrorista, se permettiamo che un immigrato sia solo un clandestino, se permettiamo questo allora sappiamo che l’Uomo ha già dimostrato di poter costruire Auschwitz e dove la mente umana è arrivata può purtroppo tornare. [... ] >>
Per questo Giorno della Memoria 2022 vi propongo spunti didattici, consigli di letture e attività per affrontare e discutere in classe o a casa con i figli alcuni aspetti della Shoah.
Nella tragedia della Shoah, lo sterminio degli ebrei operato da fascisti e nazisti negli anni della Seconda guerra mondiale, milioni di persone hanno sofferto un dolore simile. Spesso hanno anche subìto una sorte comune. Ma quel dolore non è stato l’unica esperienza. Ciò che univa le persone è stata spesso la vita passata, e la speranza presente. Molti sopravvissuti ricordano che pur nel buio e nell’angoscia si aggrappavano a ricordi, pensieri, oggetti per tenersi vicino un mondo che sembrava non esistere più. Piccole speranze che hanno permesso ai deportati di passare il tempo, arrivare a sera, non demordere, in una parola: resistere. La resilienza dei deportati passa attraverso piccoli oggetti quotidiani, passioni, affetti. Cose apparentemente poco significative che diventano fondamentali. Le 28 storie raccolte in questa antologia sono vere, e i loro protagonisti adolescenti del tutto simili ai giovani lettori cui il libro è destinato. Vicende commoventi, illuminanti ed esemplari che ci rivelano dove possiamo trovare la forza di cui abbiamo bisogno nei momenti difficili.
Quando anche gli ebrei italiani cominciano a essere deportati nei campi di concentramento nazisti, Andra e Tati sono solo due bambine. D’improvviso, si vedono strappare via tutto ciò che hanno; perfino la famiglia è travolta e straziata da eventi inspiegabili. Troppo piccole per capire, Andra e Tati si ritrovano sole e piene di paura. Il mondo comincia a cambiare e diventa un incubo, un’ombra minacciosa che si diffonde ovunque e a cui sembra impossibile sfuggire. Andra e Tati sono solo delle bambine, sì. Ma non smettono di sperare e di farsi coraggio a vicenda, unite e salvate dall’amore l’una per l’altra.
Nell’era più buia della storia dell’umanità, la forza e la speranza sono le uniche armi per sopravvivere. Con le immagini originali del primo film d’animazione europeo sull’Olocausto, la commovente storia vera di due sorelline sopravvissute alla Shoah.
Max non ha mai avuto un animale domestico e adesso
che c’è Auguste non si stancherebbe mai di guardarlo mentre nuota felice nella sua boccia. Ma il mondo attorno a loro sta cambiando. Ora bisogna andare in giro con una stella d’oro sul petto. Si parla di “discriminazione” e “rastrellamento”, ma nessuno spiega a Max che cosa vogliano dire queste parole. Fino a che un giorno a casa Geiger, la casa di Max e Auguste, non arrivano i tedeschi. È il 16 luglio 1942. E la famiglia Geiger deve fare le valigie. Max non sa per dove, sa solo che il pesciolino Auguste non potrà seguirlo. Forse un giorno riuscirà a tornare da lui?
Poiché , come ho detto provocatoriamente ( ma mica tanto ) in << visto che la scuola non forma i cittadini formiamoci da noi gli strumenti ci sono . non aspettiamo la manna dal cielo>> perchè generalmente non ci s'arriva perchè gli insegnanti ( la maggior parte ) non arrivano a farlo nei programmi o nelle giornate e non ne parlano o non lo insegnano se non nelle giornate istituzionali come queste , andrebbe spiegato o in famiglia o nelle scuole ( non solo il 27 gennaio ) fin da bambini .
Lo so che quello dell’Olocaustonon è un concetto facile da spiegare e far comprendere prima dell’adolescenza. Tuttavia i bambini si possono avvicinare a questo argomento che sarà successivamente approfondito negli anni. Anche se nella scuola primaria gli insegnanti avvicinano i bambini al tema della shoah attraverso poesie, racconti e documentari, è solo dalle medie in poi che verrà interamente spiegato e analizzato. dall'asilo ale elementari lo si può fare con filastrocche ed brani e e poesie come quelle suggerite da https://www.pianetamamma.it/la-famiglia/il-bimbo-nella-societa/giornata-della-memoria-come-spiegarla-ai-bambini.html e da https://www.nostrofiglio.it/bambino/27-gennaio-giornata-della-memoria-bambiniPiù in la come suggerito da entrambi i siti citati più precisamente qui con libri e film adatti ad avvicinare bambini e ragazzi al tema dell’Olocausto. Letture e visioni che andrebbero però fatte sempre attraverso la mediazione di un adulto.
Libri per spiegare la Shoa ai bambini
Tra i libri da leggere per affrontare il tema dell’Olocausto possiamo ricordare:
"L'amico ritrovato" di Fred Uhlman
"Ora mai più. Le leggi razziali del 1938 spiegate ai bambini" di Daniel della Seta
“L’albero della memoria: la shoah raccontata ai bambini” di Anna e Michele Sarfatti
“In punta di stella. Racconti, pensieri e rime per narrare la shoah” di Anna Baccelliere e Liliana Carone
Film per spiegare l'Olocausto ai bambini
Anche i film possono essere un ottimo modo per iniziare a spiegare l'Olocausto ai bambini. Tra i film consigliati ci sono:
"Train de vie - Un treno per vivere" di Radu Mihăileanu
"La vita è bella" di Roberto Benigni
"Il bambino con il pigiama a righe" di Mark Herman tratto dall'omonimo romanzo
“Jona Che Visse Nella Balena” di Roberto Faenza
"La chiave di Sara" di Gilles Paquet-Brenner
non so cos'altro aggiungere alla prossima
P.s
Mentre rilleggevoil post alla ricerca di refusi e d'errori mi è arrivata come notifica dei siti che seguo quest'articolo cher rpropongo sotto . Ovvvero fumettti\ graphic novel dedicati all'olocausto \ alla shoah
Giorno della memoria, i fumetti da leggere per non dimenticare Dalla mostra La Shoah nel fumetto italiano alle novità in arrivo in libreria, le graphic novel che raccontano gli orrori dell'Olocausto
ANDREA CURIAT
Si avvicina il 27 gennaio, il Giorno della memoria; storica ricorrenza della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. Anche il mondo dei fumetti raccoglie il compito di preservare il ricordo di quegli anni, per non dimenticare gli orrori dell'Olocausto e del nazismo, con tutta la forza di una forma d'arte che unisce le differenti capacità evocative del racconto e dell'illustrazione.L'importanza delle graphic novel è riconosciuta nella mostra virtuale organizzata in questi giorni dall'Istituto italiano di cultura di Tel Avive dedicata proprio aLa Shoah nel fumetto italiano.
L'esibizione è fruibile sui canali socialFacebookeInstagramdell'ente, dove sino al 4 febbraio verranno pubblicati interventi e interviste video dedicati a opere comeLa porta di Sion, graphic novel di Walter Chendi che racconta gli anni bui delle leggi razziali e della fuga verso la terra promessa (Edizioni Bd, 108 pp, 12 euro); o le biografie a fumetti dedicate ai Giusti tra le nazioni, tra cui Perlascadi Matteo Astragostino e Armand Miron Polacco (BeccoGiallo, 144 pp, 18 euro) eGiorgio Perlasca, un uomo comune, di Ennio Bufi, Marco Sonseri (edizioni ReNoir, 128 pp, 12,50 euro); oJan Karski,l'uomo che scoprì l'Olocausto, di Marco Rizzo e Leilo Bonaccorso (Rizzoli Lizard, 160 pp, 17,50 euro).Tra le tante opere oggetto di approfondimento durante la mostra, merita sicuramente una menzione d'onoreUna stella per Nella,graphic novel realizzata dalle giovanissime studentesse liceali Marta De Vincenzi e Maddalena Stellato nell'ambito di un progetto promosso dall'Anpiper raccontare la storia vera diNella Attias, deportata ad Auschwitz a soli cinque anni.
Oltre alla mostra sono diverse le novità in arrivoin libreria, fumetteria e negli store online per il Giorno della memoria 2022, tra cui due graphic novel edite da Coconino Press. La prima, firmata da Julian Voloj e Lorena Canottiere, racconta un lato poco noto nella vita di un grande atleta italiano. In Bartali. La scelta silenziosa di un campione (128 pp, 20 euro), (ri)scopriamo come il leggendario ciclista abbia sfruttato la propria notorietà per aiutare molti ebrei a sfuggire alla persecuzione nazifascista, lavorando segretamente come messaggero clandestino per i partigiani. Il fumetto indaga sull'umanità di Bartali e sulla sua scelta valorosa, portata avanti con grande rischio personale, e rimasta a lungo un segreto per volontà dello stesso ciclista. Solo nel 2013, infatti, gli fu riconosciuto il titolo di “Giusto tra le nazioni” da parte dello Yad Vashem, l'Ente israeliano per la Memoria della Shoah.
Il secondo volume è la ristampa di un'opera a lungo introvabile, ma quantomai necessaria: Una stella tranquilla. Ritratto sentimentale di Primo Levi(256 pp, 22 euro), di Pietro Scarnera. Non una semplice biografia di uno tra i più grandi testimoni letterari dell'Olocausto, ma la storia di uno scrittore e di un'esperienza letteraria durata decenni; dell'inestinguibile esigenza di raccontare l'orrore; e del passaggio generazionale ai testimoni del futuro - un'esigenza più che una speranza, lasciata come eredità ai posteri dallo stesso Primo Levi in una delle sue ultime poesie. Partendo da fotografie, copertine di libri e altri documenti storici, la graphic novel unisce biografia, documentario e fiction, in un riuscito esperimento che si è aggiudicato ilPrix Révélational Festival di Angoulême 2016.
Einaudi porta invece in libreria Dov'è Anne Frank, nuovo graphic novel di Ari Folman e Lena Guberman (160 pp, 15 euro), tratto dal film animato del 2021 Where is Anne Frank (girato dallo stesso Folman). Non si tratta di una trasposizione del Diario, ma di un poetico viaggio sospeso a metà tra storia e attualità, in cui Kitty, l'amica immaginaria cui Anna Frank indirizzava ogni pagina delle proprie memorie, si fa bambina e accompagna i lettori in una riflessione sulle tragedie del passato e i rischi del presente. Sempre Ari Folman, insieme all'illustratore David Polonsky, aveva già firmato la graphic novel Anne Frank - Diario (Einaudi, 160 pp, 15 euro), tratta dalla versione definitiva del memoriale curata e autorizzata dalla fondazione Anne Frank Fonds. Un'opera perfetta per chiunque voglia scoprire, o riscoprire, perché il Diario sia considerato come uno dei libri più importanti della storia contemporanea, e perché sia stato inserito dall'Unesco nell'Elenco delle memorie del mondo.
Chiude l'elenco delle novità 2022 una nuova edizione di una pietra miliare del fumetto e della letteratura collegata all'Olocausto. Mausdi Art Spiegelman, prima graphic novel ad aggiudicarsi uno Special Award ai Premi Pulitzer nel 1992, torna in occasione del trentennale in un cofanetto composto da due volumi, che rispecchiano la suddivisione originale dell'opera ai tempi della sua pubblicazione originale tra il 1986 e il 1991 (Einaudi, 308 pp, 26 euro). Nel primo volume, Mio padre sanguina storia, Spiegelman racconta la storia di suo padre Vladek nella Polonia prima della Seconda Guerra Mondiale, quando iniziava a stringersi la morsa letale intorno agli ebrei polacchi. Nel secondo volume, E qui sono cominciati i miei guai, si raccontano gli anni trascorsi da Vladek e dalla fidanzata Anja nel campo di concentramento di Auschwitz. La narrazione di Spiegelman trova il perfetto equilibrio tra rigore storico-biografico (nella testimonianza diretta del padre) e potenza metaforica (nella decisione di ritrarre gli ebrei come topi antropomorfi, i nazisti come gatti, i polacchi come maiali, gli americani come cani…); e tra rievocazione del passato e riflessione su cosa significhi, oggi, essere discendenti di sopravvissuti all'Olocausto. Una graphic novel che, a trent'anni dalla pubblicazione, si conferma una letturaimperdibileper tutti.