Non è il primo ad aver la risata
facile, e noi italiani ne abbiamo una triste esperienza. Quella di Mered
Medhanie, uno degli scafisti-schiavisti responsabili dell’ecatombe nel
Canale di Sicilia, ci sembra di sentirla. Incurante, leggera e stolida.
Ridevano gl’imprenditori mafiosi aquilani dopo il terremoto del 2012,
subodorando affari d’oro con la ricostruzione. Rideva Medhanie stipando
carne umana sui barconi della morte, perché, malgrado fosse un “lavoro
stressante”, gli consentiva di condurre una lussuosa vita a Tripoli. Ma
c’è qualcosa di più terribile di quella risata. Una croce. Nelle
fotografie, Medhanie ne sfoggia una vistosa al collo, con evidente
compiacimento. Quale significato attribuirle? È forse cristiano
Medhanie ?
L’obiezione sorgerebbe fin troppo facile: uomini come
Medhanie non appartengono a nessuna religione. Certo. Tuttavia, i
simboli mantengono la loro importanza. E lo scafista ostentava il suo
(come i piissimi uomini d’”onore”, come certi nazisti, spietati
assassini e al tempo stesso amorevoli padri di famiglia) in una terra
devastata dall’Is, dove i cristiani autentici, per il semplice fatto di
esistere, vengono decimati – l’ultimo eccidio, 28 etiopi, tre giorni fa –
e a quelli come lui non solo non vien torto un capello ma gli si
permette, immaginiamo con reciproco rispetto da ambo le parti,
un’esistenza piena di agi e mollezze sulla pelle di disperati.
È
forse cristiano Medhanie? Il nome parrebbe smentirlo. Ma la questione,
angosciosa, rimane: perché quella croce? In un caso come nell’altro, per
lui non ha alcun significato. E per noi?
Quante volte noi europei appendiamo al collo crocioni enormi, preziosi o glitterati, talora kitsch, talora ambiguamente esoterici, di quella paccottiglia magico-consumistica da bancarella di periferia ? In un modo o nell'altro, privati del loro senso ultimo e vero: li indossiamo come orpelli, sono idoli muti, non testimoniano alcuna appartenenza.
Si è denunciato, da più parti, il rischi d’un cristianesimo senza croce; ma oggi assistiamo a un fenomeno opposto: a una croce senza cristianesimo; e, laddove non v’è l’una, non si trova nemmeno l’altro. Bensì il suo misconoscimento, la sua negazione, il suo capovolgimento.
Quante volte noi europei appendiamo al collo crocioni enormi, preziosi o glitterati, talora kitsch, talora ambiguamente esoterici, di quella paccottiglia magico-consumistica da bancarella di periferia ? In un modo o nell'altro, privati del loro senso ultimo e vero: li indossiamo come orpelli, sono idoli muti, non testimoniano alcuna appartenenza.
Si è denunciato, da più parti, il rischi d’un cristianesimo senza croce; ma oggi assistiamo a un fenomeno opposto: a una croce senza cristianesimo; e, laddove non v’è l’una, non si trova nemmeno l’altro. Bensì il suo misconoscimento, la sua negazione, il suo capovolgimento.
Che
la croce di Medhanie risulti innocua ai tagliagole dell’Is, risulta
allora del tutto ovvio: essa è il simbolo del nulla. Ma chi l’ha
banalizzata, e quindi rinnegata, siamo stati noi. È stato il nostro
mondo d’idoli consunti, il nostro sistema di non-valori diffuso ormai su
scala planetaria. Quella croce senza cristianesimo attesta la nostra
sconfitta: è qualcosa di peggiore della negazione; è l’indifferenza.
Contrapposto a questa croce senza cristianesimo troviamo il corpo
crocifisso dalle acque della bimba semiemersa, circondata dall’azzurro
tragico e pietoso, che ormai campeggia sulle pagine dei media. Eppure,
quanto ci appare più solido, vivo, giudice, ma d’un giudizio che
travalica l’umano, quel corpicino riverso, a confronto dello sguardo
smagato e indolente di Medhanie e delle croci rovesciate su cui abbiamo
costruito la cosiddetta civiltà! Ma riusciremo a distinguere,
ancora, la fisicità potente di quel corpo? Il grido che ne scaturisce?
La croce vera, senza la quale non esiste l’uomo? I simboli, i richiami
si moltiplicano di questi tempi, sempre più tragici e definitivi.
Sapremo ancora distinguere una voce da un clangore d’inarticolati suoni?
© Daniela Tuscano
© Daniela Tuscano