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9.2.25

«A Pola seppellii il mio tesoro. Tornerò in quell'orto a cercarlo» Bruno Blascovich, classe 1940, piccolo imprenditore piemontese, è tra gli esuli istriani che lasciarono in massa la città morente, ineluttabilmente condannata a diventare Jugoslavia e al feroce regime del maresciallo Tito.

 a  chi  mi  dice   che    ricordo  solo i  crimini  italiani e  dei nazisti     nei  balcani  replico  cosi   riportando   qiuesta  intervista  trovata in  rete    . anche  questi sono  stati dei  criminali   e la  prova provante  è quello che  hanno  subito  alcune   famiglie    



Avvenire


«A Pola seppellii il mio tesoro. Tornerò in quell'orto a cercarlo»


                                       di Lucia Bellaspiga • 3 ora/e




«Da anni cerco di entrare nella mia casa di bambino a Pola e recuperare il tesoro sepolto nell’orto prima di partire. Ma in passato mi hanno cacciato via e quest’anno ho trovato tutto sbarrato. Ora vorrei tanto ricomprare la mia casa...». Bruno Blascovich, classe 1940, piccolo imprenditore piemontese, è tra gli esuli istriani che lasciarono in massa la città morente, ineluttabilmente condannata a diventare Jugoslavia e al feroce regime del maresciallo Tito. Un destino comune a 350mila giuliano-dalmati, dunque, ma la storia di Blascovich è diversa a partire dalla fuga da Pola, che non è avvenuta con l'esodo del ’47 ma anni dopo, in piena dittatura comunista, fino all’ultimo minuto con il fiato sul collo della polizia segreta di Tito.

Una fuga rocambolesca. Come mai non partiste con gli altri polesani nel ’47 a bordo della nave “Toscana”, sotto protezione degli inglesi?

Proprio nel settembre del ’47 mio padre Giovanni era sparito nel nulla. Mia madre, Paola Bencich, e noi sei bambini saremmo potuti partire con gli altri, ma avremmo dovuto abbandonarlo. Faccio un passo indietro: prima della guerra papà alle dipendenze di un possidente austriaco dirigeva le squadre di polo a cavallo sull’Isola di Brioni, a nord di Pola, i ricconi d’Europa venivano lì con gli aerei privati a gareggiare. Ma dopo il ’43 a causa della piega che aveva preso la guerra il turismo sparì e lui fu assunto dalla milizia locale come guardiano di Brioni. Noi bambini eravamo tutti nati lì, in una splendida casa con le fondamenta nel mare, tra il vento e le pinete abitate dai cervi. Fino al 15 settembre del 1947 Pola era ancora un’enclave libera, protetta dagli angloamericani, dentro un territorio già tutto jugoslavo, ma quel giorno anche la nostra città fu consegnata al dittatore e il 20 settembre i militari di Tito arrivarono anche a Brioni: mio padre, 37 anni, fu incatenato con altri due e portato via. Per molti mesi non sapemmo se fosse vivo o lo avessero gettato in foiba o fucilato, io con le mie cinque sorelline e la mamma aspettavamo chiusi in casa. Lo vedemmo tornare alla fine del ’48: avevo 8 anni ma non capii che era lui, era partito di 90 chili e ne pesava la metà, la mamma lo riconobbe dagli occhi. Brioni divenne la residenza di lusso di Tito, vietatissima e blindata, e noi con i nostri mobili fummo scaricati sul molo di Pola, dove entrammo in una delle migliaia di case lasciate vuote dai polesani fuggiti. Tutta Pola era una città fantasma e Tito la riempiva facendo arrivare macedoni, montenegrini, bosniaci, serbi dalla Jugoslavia.

Dov’era sparito suo padre in quei mesi?

Solo dopo anni ci raccontò che era stato internato a Goli Otok (Isola Calva), il gulag in pieno Adriatico. L’inferno in terra. Ma appena tornato, nel '48, fu deportato per anni ai lavori forzati all'interno della Jugoslavia, naturalmente senza stipendio, in schiavitù. Tutto questo durò fino al 1952, quando finalmente anche lui ebbe il permesso di venir via con noi.

Chi tornava da Goli Otok – sempre che avesse ancora il senno – non ne faceva parola per tutta la vita.

Bastava il sospetto di aver raccontato qualcosa e si veniva rispediti a Goli Otok. Lì migliaia di schiavi spaccavano pietre per spostarle da una parte all’altra dell’isola e poi viceversa, fino a impazzire. Non esistevano i bagni ma pozzi larghi dieci metri e tutti intorno a defecare, chi non era veloce veniva colpito alla schiena e lasciato cadere dentro il pozzo. Mio padre vide compagni di sventura morire negli escrementi. Mangiavano una volta al giorno una tazza di brodo di verza con dentro farina gialla e una galletta: la speranza era la pioggia, allora uscivano le lumache e le inghiottivano così com’erano. Tutto era top secret, solo la Ozna, la polizia politica di Tito, aveva la lista dei prigionieri (ancora oggi occultata) e il numero dei morti si stabiliva contando le gavette abbandonate. Ma tutto questo papà lo ha raccontato solo a 57 anni, prima di morire per le conseguenze delle torture: era il 1967, la guerra era finita da 12 anni, e noi eravamo ancora in campo profughi a Cremona. Intanto il resto d’Italia si godeva il boom economico.

Come vivevate a Pola, nei lunghi anni in cui vostro padre era ai lavori forzati?

Mia mamma accettò un lavoro che non voleva nessuno, faceva le pulizie nel reparto tubercolotici, ricordo noi sei in fila seduti sul muretto ad aspettarla a fine turno, quando la notte usciva dall’ospedale con gli avanzi dei malati. Fingeva sempre di non avere fame e dava il meglio a noi... Ma era troppo poco, così io e una mia sorellina andavamo a nostro rischio nei cantieri navali con un carretto a grattar via la corteccia dai tronchi usati per la costruzione delle navi, e questo ci permetteva di scaldarci e cucinare. Poi alla stazione dei treni raccoglievamo da terra con una spazzolina i residui di zucchero, farina, caffè usciti dai sacchi, mentre nelle caserme cercavamo i rifiuti per portarli a una donna che aveva i maiali in cambio di due uova, un mazzetto di radicchio e un po’ di lardo. Vivevamo nella paura, pensi che mia mamma per proteggerci esponeva come tutti alla finestra la grande foto di Tito con scritto “Zivio Tito, sloboda narodu, smrt fašizmu”, viva Tito libertà al popolo morte al fascismo. Con un marito ai lavori forzati! Altro che libertà al popolo, era una dittatura feroce. Io non ho mai avuto un’infanzia, le elementari le ho finite a 16 anni e proprio a scuola avvenne il dramma delle mie due identità, uno sdoppiamento che mi perseguita ancora oggi.

In che senso lei ha due identità?

Sono nato Bruno Blasco e così mi chiamavo nel 1946 in prima elementare. Dall’anno dopo – arrivati i titini – ero Blascovich, cognome slavizzato, ma io bambino ero confuso: perché avevo due pagelle con cognomi diversi? Chi ero io? E perché ora ero sbattuto sempre in ultima fila, chiamato “il fascista”, con le braghe e le scarpe bucate, accerchiato e pestato dai nuovi compagni arrivati da regioni lontane della Jugoslavia? È un incubo ancora ricorrente nelle mie notti e d’altra parte ancora un mese fa in Piemonte l’addetto al rinnovo della mia carta d’identità mi ha chiesto se fossi un extracomunitario, visto il cognome. Poi vedendo la sigla PL di Pola mi ha segnato come polacco. Abbiamo tanto penato per raggiungere la nostra Italia e ancora peniamo.

Nel 1952 l’addio definitivo a Pola e alla casa. Che cosa ricorda?

Due guardie di Tito, armate e con la stella rossa sul berretto, aspettavano che consegnassimo le chiavi di casa e intanto litigavano per chi si sarebbe preso il grammofono. Fuori casa c’era già un gruppo di bosniaci pronti ad occupare i nostri letti, gli armadi, le care stanze. La porta che si chiude, con l’addio per sempre alle mie cose, è l’altro incubo che mi insegue. Ci impedirono di prendere qualsiasi oggetto, persino le foto appese al muro del matrimonio dei miei e di papà Granatiere a cavallo a Roma durante il servizio militare. Io allora avevo 12 anni e chiesi a mia mamma perché dovessimo lasciare lì le nostre cose, ma lei fingendo mi assicurò che saremmo tornati, così corsi nell’orto, sfilai dal muretto a secco una pietra ben precisa e dietro ci nascosi il mio unico tesoro, tre s’cinche, in dialetto istriano le biglie di vetro che avevo sempre in tasca, e con cui giocavo. Poi tutti e otto andammo mestamente a prendere il treno, ognuno di noi tratteneva l’angoscia per non rattristare gli altri, ricordo che mi chiusi in un vespasiano di fronte alla stazione per guardare l’Arena romana dall’inferriata e poter piangere in pace.

Ma fino all’ultimo fu terrore vero...

Furono momenti concitati. Le guardie cercarono di tirare giù dal convoglio papà, che per difesa prese in braccio due mie sorelline, poi finalmente il treno si mosse. Va detto però che per noi bambini era anche un’avventura eccitante: non eravamo mai saliti su un treno! Ricordo che la mamma durante il viaggio chiese dove fossimo e io, guardando dal finestrino, le risposi che eravamo a “Chlorodont”: era un famoso dentifricio, ma vedevo per la prima volta i cartelloni pubblicitari e credevo fosse il nome di un paese.

Finalmente l’arrivo a Gorizia, nella famosa Stazione Transalpina dove dal 1947 era stato eretto un “muro” come a Berlino.

È vero, di là l’Italia e la libertà, di qua la Jugoslavia e il comunismo. Ed ecco il terzo ricordo che torna nelle mie notti: appena superato il confine, a metà piazza papà si buttò a terra a piangere come un bambino, era riuscito a portare in salvo i suoi figli. Da lì andammo per cinque mesi a Udine nel campo di smistamento profughi, poi fummo mandati all’Aquila per tre anni, dove ricevemmo una balla di fieno per riempire i pagliericci. Dividevamo con altre famiglie lo stanzone di una caserma dismessa, non avevamo sedie né tavoli, mangiavamo seduti sul giaciglio, minestra, mortadella, frutta… le assicuro che per me quello era un hotel a cinque stelle, anche se invece di andare a scuola lavoravo per aiutare la famiglia. Poi finimmo al campo profughi di Cremona altri tre anni, dove ho fatto il calzolaio, il fruttivendolo e le corone da morto per il fioraio, e a 16 anni sono entrato in fabbrica. In seguito a Cremona fondarono il Villaggio Istriano e finalmente avemmo un tetto: lì vivevamo benino, tutti si parlava il nostro amato dialetto e grazie a quel suono meraviglioso potevamo illuderci di essere ancora a Pola. Pensi che dopo i vent’anni, ormai “piemontese” e realizzato, andavo in ferie a Trieste solo per stare seduto in silenzio nelle osterie a sentire il mio dialetto, ero ingordo di quella musica.

Quando tornò la prima volta nell’Istria jugoslava?

Era il 1965, in Piemonte mi ero innamorato della mia futura moglie e volevamo sposarci, ma ce lo impediva la questione dei due cognomi, ero Blascovich o Blasco? Così sono andato a Fasana a recuperare il certificato di battesimo. Da lì guardavo col canocchiale la mia casa di Brioni, a rischio di essere arrestato. Ci andava Sofia Loren ospite di Tito e non potevo io! Poi ho bussato alla mia casa di Pola per chiedere la cortesia di riprendermi le s’cinche 13 anni dopo la partenza, ma mi hanno scacciato, «Cos ti vol? Va’ via, fascista»... Ma questo è il passato, oggi sono un padre e un nonno felice, con le mie sole forze ho assicurato un futuro ai miei cari, ho dato lavoro a tanti dipendenti e tutti mi hanno voluto bene.

Ha mai provato odio per i vostri persecutori?

Mai, sono un uomo di pace. La cosa che mi manda in bestia oggi è quando mi danno del fascista in quanto esule istriano: a parte che ero solo un bambino, ma poi tutta l’Italia era sotto il fascismo, mica solo l’Istria, dunque tutti gli italiani di oggi sarebbero fascisti? Il peggio è che coloro che neofascisti lo sono davvero ci considerano dei loro, ci prendono a braccetto, ci usano. Insomma, da una parte e dall’altra siamo ancora strumentalizzati. Non mi interessa la politica, ma senza Mussolini oggi io sarei nella mia casa in Istria e non dovrei raccontare questa tragedia.

Cosa prova quando vede tanti bambini nei nuovi campi profughi di oggi?

Mi immedesimo totalmente in loro, chi ha conosciuto la miseria sa bene cosa significhi non avere infanzia, essere disprezzati, considerati stranieri, non andare a scuola. Per questo, aiuto sempre le famiglie di bravi immigrati che hanno bisogno.

A 84 anni qual è il sogno nel cassetto?

Uno l’ho già esaudito: nel 2019 dopo 70 anni ho riunito le mie sorelle, che abitano all’estero, davanti alla casa di Brioni. Non siamo riusciti ad entrare perché oggi è la residenza estiva del presidente della Repubblica croata, ma l’emozione è stata indescrivibile, quanti pianti! L’ultimo desiderio ora è chiedere che mi vendano la mia casa di Pola, sfilare quella pietra nell'orto e recuperare le s’cinche. Senza dubbio sono ancora là e non esiste per me tesoro più grande. E poi incastrata sotto il fondo della scrivania avevo anche nascosto la prima lettera d’amore della mia vita perché le sorelline non la leggessero... se i nostri mobili ci sono ancora, c’è anche lei.



10.2.24

perchè le foibe ed l'esodo fanno parte della nostra storia ma ancora non sono digerite e assimilate e vengono ancora usate come strumento ideologico

 Oggi  10  febbraio   che  altro   dire  altre  a quello che  ho  già  riportato nel precedente post o  a quanto    detto  nella  bella  puntata del 9\2\2024    della   trasmissione rai   di passato e presente    dove   con lo storico  

  da  https://it.wikipedia.org/wiki/Guido_Rumici


Guido Rumici (Gorizia, 27 settembre 1959) è uno storico e saggista italiano. Studioso della storia del confine orientale italiano ed esperto di storia della Venezia Giulia e della Dalmazia, Rumici è autore di numerosi saggi sull'argomento, cui ha dedicato più di un decennio di ricerche e documentazione.Professore di Economia aziendale e di Storia ed Economia regionale, Rumici è cultore di Diritto dell'Unione Europea e di Diritto Comunitario presso l'Università di Genova nonché relatore e conferenziere per conto dell'Università Popolare di Trieste e su mandato del Ministero degli Affari Esteri nelle Comunità degli Italiani dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia. Giornalista, è autore di volumi divulgativi e documentari di approfondimento. [...]

 si provato a parlare  nel  breve tempo   (  circa  una mezzora   )    a  disposizione     delle  foibe  e  dell'esodo   fino  all'istituzione  del la  giornata  del ricordo   nel 2004 inquadrandolo  (  come   si  dovrebbe   fare  e d  invece  non sempre  viene  fatto   )  nel contesto dela  questione  adriatica  . Unico   neo  è  che  ,  e  qui  ne  parlo anch'io scusandomi   per  non averne parlato  nel mio pot  precedente  ,   delle  cause  del silenzio (  salvo pochi  coraggiosi   e   del Msi  in chiave  anticomunista  )  dal 1954  ad 1996\2004 . Un ragionamento sulla tragedia degli italiani del confine nordorientale non è completo se non affronta il problema della rimozione: a fronte della gravità dei dati numerici (diecimila morti e oltre trecentomila profughi), perché per tanto tempo le vicende del confine nordorientale sono risultate «indicibili» e   scomode ? La risposta  ,   come  dice Lo scrittore friulano Carlo Sgorlon (1930-2009)    di   cui  dal  oggi  10 febbraio     troviamo   in edicola con il «Corriere della Sera» e il settimanale «Oggi»il romanzo di Carlo Sgorlon [ foto  a  sinistra    ] «La foiba grande» , in vendita al prezzo di 9,90   euro più il costo della testata a cui è allegato il volume.

Lo scrittore friulano
Carlo Sgorlon (1930-2009)

 Il libro di Sgorlon, riproposto in occasione del Giorno del Ricordo, rimane in edicola per un mese. 


Originariamente venne pubblicato nel 1992 da Mondadori e si chiude con una postfazione dello storico Gianni Oliva, anche rinvia a tre silenzi, diversamente motivati. Il primo è un silenzio internazionale. Nel 1948, quando Stalin rompe i rapporti con la Jugoslavia e condanna la politica del maresciallo Tito con l’accusa di deviazionismo, l’Occidente comincia a guardare al governo di Belgrado come ad un interlocutore prezioso e avvia il processo di attrazione della Jugoslavia nel proprio campo: Tito, che entrerà nell’immaginario collettivo non più come comunista ma come leader dei «Paesi non allineati», sembra un’opportunità preziosa per aprire una breccia    nella rigidità del blocco sovietico. La prima regola della diplomazia vuole che un interlocutore non sia messo in difficoltà con domande imbarazzanti: in questa prospettiva, viene meno l’interesse a fare chiarezza sulle migliaia di italiani scomparsi nella primavera del 1945 e sulle ragioni per cui centinaia di migliaia di giuliani abbandonano l’Istria e la Dalmazia.Il secondo è un silenzio di partito. Il Pci di Togliatti non ha alcun interesse a parlare di una vicenda che evidenzia le contraddizioni tra la sua nuova collocazione come partito nazionale e la sua tradizionale vocazione internazionalista, con una politica estera subordinata alle strategie di Mosca. Affrontare il tema delle foibe significherebbe ricordare le ambiguità rispetto ai progetti annessionisti jugoslavi e la sostanziale subalternità del Pci alle scelte di Belgrado.La stessa   cosa  anche se    sul versante   opposto ,   ma  soprattutto   per  evitare  di perdere  voti a  destra    La  Dc   rinuncia    a  chiedere  alla  Jugoslavia   i nomi  degli assasini  Comunisti   in cambio del siulenzio di Tito   sugli assasini   Fascisti   del periodo  1940\1943  . Ma Il silenzio più forte è però legato alla ricostruzione della memoria nazionale. L’Italia esce dalla Seconda guerra mondiale come un Paese sconfitto, che ha contribuito a scatenare le ostilità accanto alla Germania e al Giappone e che è stata travolta senza appello sul campo di battaglia. La conferenza di pace di Parigi ne è la conferma e la mutilazione di territorio sul confine nordorientale è il prezzo pagato alla guerra persa. A fronte di questa realtà, la «nuova» Italia del 1945 si sforza invece di autorappresentarsi come Paese vincitore e utilizza l’esperienza della Resistenza partigiana come alibi per assolversi dalle proprie responsabilità e per cancellare in un colpo il periodo 1922-43. Si tratta per  alcuni  di una rivisitazione in chiave assolutoria che giova alla classe dirigente antifascista, perché attraverso la delegittimazione del fascismo (cui si attribuisce la colpa esclusiva della guerra perduta) essa legittima se stessa come unica rappresentante della nazione; Ma  nel contempo, si tratta di una operazione che evita di fare i conti con il passato e di domandarsi chi e quanti sono stati «corresponsabili» delle scelte del regime.In questa prospettiva nascono i silenzi, le negazioni, le pagine indicibili della storia: «indicibili» sono i prigionieri di guerra, immagine vivente della sconfitta; «indicibili» sono criminali di guerra italiani; «indicibile» è la politica di occupazione del 1940-43, quando il Regio esercito ha combattuto accanto al nazismo; «indicibili», soprattutto, sono le foibe e l’esodo, perché nessun Paese vincitore subisce, dopo la fine della guerra, il ridimensionamento del proprio territorio, né la strage di migliaia di cittadini, né la fuga di centinaia di migliaia di altri. Gli infoibati e i profughi escono così per decenni dalla coscienza collettiva della nazione, per sopravvivere solo:  in quella regionale della Venezia Giulia  , in quella privata delle famiglie dei profughi  , Nel Msi   in  chiave  anti comunista  

non so  cos'altro dire   se  non rimandarvi  ai link    riportarti all'interno   del  mio precedente  post  di cui  riporto qui il  link   prima  citato  




 

4.2.22

Perché ogni anno si litiga sulle foibe La ciclica discussione sulle violenze sul confine orientale italiano nella Seconda guerra mondiale è caratterizzata da una grande aggressività, e poca storia o un uso strumentale \ ideologico d'essa



Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente della Slovenia Borut Pahor a Basovizza (ANSA/Francesco Ammendola/Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)



l 10 febbraio di ogni anno, in Italia, è il “Giorno del ricordo” dedicato ai morti sul confine orientale d’Italia e al cosiddetto “esodo” italiano alla fine della Seconda guerra mondiale: un pezzo di storia nazionale a cui ci si riferisce spesso come “le foibe”. E ogni anno, nei giorni immediatamente precedenti e successivi, ci sono polemiche e scontri a vari livelli, dalla politica ai social network, caratterizzati spesso da una notevole aggressività delle argomentazioni, che nella maggior parte dei casi non riguardano tanto le ricostruzioni dei fatti – in massima parte condivise – quanto il giusto valore storico e le responsabilità morali da attribuire alle foibe, e all’opportunità dei paragoni con gli altri eccidi del Novecento.

Le foibe di cui si parla, letteralmente, sono delle cavità naturali molto profonde tipiche dei territori al confine tra Italia, Slovenia e Croazia. Il termine “foiba” deriva dal friulano, derivato a sua volta dal latino fovea, che significa fossa: si usa per indicare delle grandi conche nel terreno, al cui fondo di solito si formano quelli che vengono definiti inghiottitoi, cioè una voragine a forma di pozzo verticale nel terreno attraverso la quale defluiscono le acque che si accumulano nella conca. Ma nel linguaggio corrente, con “foibe” si indicano i massacri di civili e soldati italiani avvenuti alla fine e subito dopo la Seconda guerra mondiale nei territori sul confine orientale italiano, compiuti in larga parte dai partigiani jugoslavi.
La discussione sulle foibe si è polarizzata sempre di più negli ultimi anni a causa dello spazio e del consenso acquisiti dalla destra radicale rispetto al passato, e ha assunto connotazioni politiche che rendono difficile – leggendo i report giornalistici – comprendere cosa sia avvenuto davvero tra il 1943 e il 1945 in Istria, in Dalmazia e nella Venezia Giulia, i territori al confine tra Italia ed ex Jugoslavia. A questo si aggiunge una conoscenza diffusamente superficiale del contesto storico e sociale che caratterizzava quei territori e le persone che li abitavano all’epoca e li avevano abitati nei decenni precedenti.
Il cosiddetto confine orientale, chiamato anche regione dell’Alto Adriatico, è un territorio in cui per secoli si sono incrociate e sovrapposte culture diverse, principalmente quella germanica, quella slava e quella italiana. Le identità culturali delle persone che abitavano in queste regioni erano (e in parte sono ancora) complesse, legate all’appartenenza locale e non nazionale. Era così soprattutto in passato, quando le nazioni ancora non esistevano nella forma in cui siamo abituati a intenderle oggi.
Dopo essere stati sotto il dominio dell’Impero Romano, della Repubblica di Venezia e dell’Impero
Austro-Ungarico, nel 1918 una parte consistente di questi territori – l’Istria e una parte di quella che oggi è la Slovenia – passò sotto il dominio italiano, in conseguenza del trattato di pace della Prima guerra mondiale. Nei territori annessi, i governi italiani e in particolare il regime fascista iniziarono un’estesa opera di assimilazione culturale, spesso usando la forza e la violenza per italianizzare i popoli e negare la loro appartenenza a culture diverse da quella italiana. Per questo motivo molte persone del Nord-Est italiano ancora oggi hanno il cognome italianizzato che termina in “ich” al posto dello slavo “ić”, e alcune città slovene sono conosciute da noi con il loro nome in italiano (per esempio San Pietro del Carso).
Questa italianizzazione forzata e in generale l’occupazione italiana creò una tensione che poi si acuì durante la Seconda guerra mondiale, in particolare a partire dal 1941, quando l’esercito nazista tedesco invase la Jugoslavia. A seguito dell’occupazione, una parte ancora più ampia di territorio sul fronte orientale passò sotto il controllo dell’Italia fascista. Nel frattempo, già dal 1941, aveva cominciato a formarsi la Resistenza jugoslava guidata dai comunisti del maresciallo Josip Broz, soprannominato Tito, che puntava a riconquistare i territori controllati dagli italiani e a riunire i popoli slavi in un’unica federazione. Tra il 1941 e il 1943 la tensione che si era accumulata negli anni precedenti 

sfociò in una lunga serie di violenze tra i partigiani slavi e gli occupanti italiani.
Era un periodo in cui le violenze efferate erano continue, in cui omicidi, esecuzioni sommarie e deportazioni erano il risultato della guerra in corso. L’occupazione fascista cercò di reprimere la Resistenza jugoslava con ogni mezzo, seguendo uno schema codificato da una nota del generale Mario Roatta, comandante delle truppe stanziate nei territori occupati. I villaggi venivano distrutti, le donne, gli anziani e i bambini erano internati nei campi di prigionia, e gli uomini partigiani venivano fucilati.
È in questo contesto di prolungata violenza che sul confine orientale si venne a conoscenza della firma della resa italiana, annunciata l’8 settembre 1943. La Resistenza jugoslava prese coraggio e si rafforzò grazie a nuove adesioni. Nelle settimane successive all’armistizio si crearono un clima di rabbia e un desiderio di vendetta che portarono a continue violenze e regolamenti di conti. I partigiani slavi in Istria decisero di ordinare l’arresto di centinaia di rappresentanti o collaboratori dell’ex regime, che vennero processati sommariamente e fucilati. I loro corpi furono poi gettati nelle foibe intorno a Pisino, in Istria.

                                 La scoperta di una fossa comune in Friuli Venezia Giulia (ARCHIVIO/ANSA)

È stato calcolato che le persone uccise in questa circostanza furono circa duecento. Se a questo numero si aggiungono tutti gli scomparsi e i morti in circostanze a oggi sconosciute ma attribuibili a quelle ritorsioni, si arriva a circa 400-500 morti, una stima condivisa da quasi tutti gli storici che si sono occupati di questo tema.
Nel 1945 ci furono poi altre uccisioni commemorate a loro volta nel “Giorno del ricordo”, in una fase della guerra e in un contesto però assai diversi: a fine aprile la Germania nazista era ormai quasi del tutto sconfitta e il clima da resa dei conti era ancora più intenso rispetto all’autunno del 1943. Nell’Alto Adriatico i partigiani slavi capirono che bisognava muoversi il più velocemente possibile verso ovest per poter avanzare più pretese sui territori al momento delle trattative, e quindi l’esercito jugoslavo arrivò a Trieste già il primo maggio.
In questa fase Tito non era più a capo di una Resistenza in difficoltà, ma di uno stato vero e proprio, con un governo e un esercito (sarebbe poi stato presidente della Repubblica jugoslava fino alla sua morte nel 1980). Per consolidare il governo e il regime comunista che sarebbe nato di lì a poco, quindi, decise di procedere con una serie di arresti tra collaborazionisti del nazismo, ex fascisti e oppositori politici, o presunti tali: circa 10mila in tutto. Di questi, circa un migliaio furono uccisi dall’esercito comunista jugoslavo e gettati nelle cosiddette “foibe giuliane”, nella Venezia Giulia.
Secondo una stima per eccesso, anche questa condivisa dalla maggior parte degli storici, in quest’altra fase gli italiani uccisi furono tra i tremila e i quattromila. Molti di questi non morirono nelle foibe, ma nei campi di prigionia dove le condizioni di vita erano ai limiti della sopravvivenza. Vennero uccise o imprigionate anche persone che non erano esplicitamente legate al regime fascista, ma che erano sospettate di essere potenziali oppositori politici del regime di Tito.
Negli stessi mesi praticamente in tutta Europa erano in corso violenze e ritorsioni simili a quelle dell’Alto Adriatico, sospinte dalla sconfitta della Germania nazista e dal desiderio di vendetta. Le stragi jugoslave del 1943 e del 1945 non ebbero come movente principale un accanimento specifico nei confronti degli italiani in quanto tali, e gli storici ritengono che non sia il caso di parlare di “pulizia etnica”. Molte delle persone uccise avevano un’identità mista o non erano italiane (erano per esempio tedeschi o collaborazionisti sloveni), e gli ordini delle autorità slave erano chiari: «epurare non sulla base della nazionalità, ma del fascismo».
La connotazione di queste violenze era quindi soprattutto politica e ideologica, risultato di anni di occupazione straniera da parte dei regimi italiano e tedesco, entrambi con un’ispirazione politica diametralmente opposta rispetto a quella della nascente Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.

        Manifestazione organizzata da Casa Pound a Torino il 10 febbraio 2020 (ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)

I tentativi di contestualizzare gli eccidi delle foibe, nelle discussioni contemporanee, vengono spesso accusati di attenuare o addirittura di negare la gravità di quello che accadde. È tendenzialmente la posizione di chi, da destra o da estrema destra, sostiene che le foibe non siano abbastanza ricordate. Ogni anno avanzano accuse simili partiti come Fratelli d’Italia e la Lega, ma anche movimenti più estremisti come Forza Nuova e CasaPound, che in queste occasioni organizzano con frequenza proteste, manifestazioni e incontri.
Uno degli argomenti più utilizzati è che esisterebbe la volontà di oscurare e mettere a margine il racconto delle violenze sul confine orientale. Alle vicende del confine orientale sono stati dedicati in realtà una gran quantità di incontri, approfondimenti, cerimonie ufficiali, fiction e film della Rai. Tutte le occasioni pubbliche di riconoscimento e racconto delle foibe, però, sono avvenute di recente, perché per decenni, dopo la guerra, c’è stata una grande ritrosia degli ambienti politici e culturali di sinistra a raccontare pubblicamente le vicende del confine orientale, per un’indulgenza in parte storica e in parte ideologica nei confronti di atrocità ritenute il risultato di quelle che le avevano precedute, e per evitare di fornire argomenti alla destra.
Dopo la fine della Guerra Fredda e la scomparsa del Partito Comunista Italiano, questa ritrosia diminuì e infatti il “Giorno del ricordo” venne introdotto solo nel 2004, quando era in carica il secondo governo Berlusconi, di centrodestra. In parte, la commemorazione fu istituita nel tentativo implicito e a volte esplicito – poco storico, molto politico – di “compensare” la festa del 25 aprile, quella della liberazione dal nazifascismo, e la Giornata della memoria, che si celebra il 27 gennaio di ogni anno per ricordare i sei milioni di ebrei morti nell’Olocausto e gli altri milioni di persone sterminate dalla Germania nazista e dagli alleati, compresa l’Italia fascista.
Per il “Giorno del ricordo” fu scelta la data simbolica del 10 febbraio, giorno in cui nel 1947 fu firmato il trattato di pace con cui l’Istria e una parte della Venezia Giulia divennero parte dell’ex Jugoslavia. La maggior parte dei firmatari della legge erano parlamentari di Forza Italia e di Alleanza Nazionale, il partito erede della tradizione neofascista del Movimento Sociale Italiano. Ma fu votata e condivisa da quasi tutti i partiti in Parlamento, dalla Lega ai Democratici di sinistra, con l’eccezione di Rifondazione comunista.
   il resto  lo sapete già  .
come dicevo nel post sull'altra giornata rompi ( quella nel 27 gennaio \ giornata della memoria ) 😥 si dovrebbe ricordare /celebrare senza retorica e ideologia . ma se per la prima è un po' più facile e qualcuno riesce anche a realizzarlo con la giornata del ricordo / 10 febbraio è più difficile . visto il complesso periodo storico sia pre foibe sua post foibe in cui quella zona si è venuta a trovare in cui si sono svolte tali vicende ed il silenzio pubblico tranne che per gli specialisti e poche persone coraggiose che più o meno graziosamente affrontavano tale argomento fino all'istituzione della giornata del 10 febbraio .





9.3.21

Se è lo Stato a riscrivere la storia Il caso del consiglio regionale del Veneto taglia i fondi agli studiosi che non si adeguano alle cifre “ufficiali” delle vittime delle foibe.

  chi mi  sfotte perchè   parlo al di fuori della settimana     del giorno  del ricordo  [il 10 febbraio ]   e chi   continua   , nonostante lo  abbia spiegato più  volte  , a dirmi  come spunti sul  10 febbraio ma  lo ricordi  .  Lo invito  a  leggersi questo articolo . 


 DI SIMONETTA FIORI   da repubblica.it

Se è lo Stato a riscrivere la storia

Il consiglio regionale del Veneto taglia i fondi agli studiosi che non si adeguano alle cifre “ufficiali” delle vittime delle foibe. Chi mette in dubbio che fossero 12 mila è considerato “negazionista”
Può esistere una verità storica di Stato sancita da un organo legislativo ? Nell'anno che celebra Orwell, è toccato assistere a una riproposizione in piccolo del suo "Ministero della Verità", che riscrive la cronaca e la storia secondo i dettami di chi governa. È accaduto il 24 febbraio scorso in Veneto, dove il consiglio
regionale ha approvato una mozione con cui si chiede alla giunta di sospendere "ogni tipo di contributo a favore di quelle associazioni che si macchiano di riduzionismo o di negazionismo nei confronti delle foibe e dell'esodo istriano, fiumano e dalmata". E per chi fosse tentato di avanzare dubbi sulla nozione di "riduzionismo" o "negazionismo", lo stesso documento provvede a fornire il parametro attraverso il quale misurare ed escludere gli studiosi reprobi, ossia le cifre degli infoibati (12 mila) e degli italiani costretti all'esodo (350 mila) cui ci si deve attenere. E provvede a indicare anche l'interpretazione esatta di quegli accadimenti, definiti con le categorie precise di "pulizia etnica" e di "genocidio", tanto da richiamare il reato penale previsto dalla legge contro i negatori della Shoah.
Chi non si adegua alla verità storica decretata dai cinque consiglieri veneti firmatari della mozione - per la massima parte Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia - non è degno dei fondi pubblici per la ricerca. Ed è assimilabile ai negazionisti dell'Olocausto. Il che significa - a guardare bene le cose - che il meglio della storiografia italiana rischia di finire sul banco degli imputati.
Modellato a ricalco di un'analoga mozione approvata nel 2019 in Friuli Venezia Giulia, il documento ha provocato l'indignazione degli Istituti per lo studio della Resistenza - i più colpiti dal provvedimento - e dei più bei nomi degli studi storici, i quali hanno inviato ieri una lettera al presidente Mattarella per richiamare la sua attenzione su quella che si configura come "una tendenza pericolosa di manipolazione politica della storia". Un rischio gravissimo "per la libertà di ricerca, per il libero dibattito scientifico, e più in generale per la libertà di espressione nel nostro Paese", si legge nell'appello preparato da tre professori che operano a Padova - Filippo Focardi, Giulia Albanese e Carlo Fumian - e firmato da cinque società storiche, 49 istituti per la Resistenza e oltre duecento studiosi tra i quali Carlo Ginzburg, Mario Isnenghi, Andrea Giardina, Gia Caglioti, Enzo Traverso, Giovanni De Luna, Nicola Labanca, Simon Levi Sullam.
A parte il metodo assai discutibile - fissare a priori i risultati di un'investigazione che deve restare aperta - l'aggravante consiste nel contrasto tra le cifre indicate dai consiglieri veneti - con relativa interpretazione storiografica ("pulizia etnica" e "genocidio") - e gli esiti delle ricerche storiche più attendibili. "È inaccettabile che si pretenda di imporre una sorta di incontrovertibile verità di Stato. E la si imponga su basi storiografiche del tutto infondate", protesta Filippo Focardi, direttore scientifico dell'Istituto Parri che raccoglie la rete degli istituti per lo studio della Resistenza. "La mozione mette sotto accusa un testo come il Vademecum per il Giorno del Ricordo, frutto del lavoro dell'Istituto storico della Resistenza del Friuli Venezia Giulia. Chi ne ha guidato la ricerca, Raoul Pupo, è uno dei massimi esperti dell'argomento. Possiamo accettare che Pupo venga accostato di fatto a negazionisti antisemiti come David Irving o Robert Faurisson?".
L'aspetto paradossale della vicenda è che Raoul Pupo è stato uno dei primi studiosi a far luce sulle foibe, rompendo un lungo silenzio dettato non solo dagli imbarazzi a sinistra - era difficile rovesciare il mito resistenziale dei partigiani jugoslavi - ma anche dalla diplomazia internazionale che induceva i governanti italiani ad avere un occhio di riguardo verso Tito dopo la rottura con Stalin (lo ammise apertamente nel 2005 Giulio Andreotti, ricordando la lezione di De Gasperi: "Guardare sempre avanti e mai indietro"). Fin dagli anni Ottanta, Pupo e i suoi collaboratori hanno lavorato nell'ombra, negletti dalla politica e dall'editoria che fatalmente segue le mode mediatiche. Come si sente oggi nei panni del negazionista? "Mi dispiace non per me, ma perché un organo legislativo dello Stato si sia lasciato trascinare in una china pericolosa, dando un'immagine deformata di quello che è stato un vero dramma. Non capiscono che è proprio alterando la rappresentazione di una tragedia che si finisce per fare il gioco dei negazionisti". I negazionisti ci sono ma isolati, voci periferiche che non hanno influenza nel dibattito o fiammate di qualche singola sezione dell'Anpi o di qualche centro sociale che contesta gli spettacoli di Simone Cristicchi. Non è negazionista la ricerca storica che approda a risultati diversi rispetto a quelli rivendicati dalla destra nazionalista e riportati nella mozione. "Gli italiani infoibati dai partigiani di Tito nel 1943 e nel 1945 non furono probabilmente più di cinquemila", ragiona Pupo. "E quelli cacciati dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia non potevano essere 350 mila, come indica la mozione veneta, perché un censimento del 1936-39 calcola nelle terre dell'esodo 270 mila italiani. Perché storpiare i numeri? Si pensa forse di dare più peso a una tragedia che già con cifre minori non perde nulla della sua gravità ?".
Gli italiani espulsi furono tra i 250 mila e i 270 mila ma il fatto significativo - insiste lo studioso - è che fu costretto all'esodo il gruppo italiano quasi nella sua interezza: è questo che conta, non le cifre. Gli pare poi una follia parlare di "pulizia etnica". "La nazionalità italiana era un'appartenenza politica e culturale, non un fatto di sangue. E, pur nella loro terribilità, le uccisioni non sono assimilabili a un genocidio".
Ma perché oggi riattizzare l'incendio intorno a vicende sulle quali negli ultimi anni è stata elaborata una memoria pacificata, condivisa dalle diverse parti allora in conflitto? "A una memoria europea riconciliata", rileva Guido Crainz, "hanno contribuito l'allora presidente Giorgio Napolitano e più di recente Mattarella, artefice del viaggio a Trieste insieme al presidente sloveno Borut Pahor. Quella di oggi mi sembra un'offensiva fuori stagione, ma pericolosa, da parte di Fratelli d'Italia e di una destra ancora più estrema che le sta al fianco". Nella campagna mossa dai consiglieri veneti, anche Raoul Pupo vede "il tentativo di riappropriazione di quella storia da parte di una destra nazionalistica che si erge a tutrice di una memoria esclusiva". In linea con il vento sovranista che spira in Europa.
Un aspetto non secondario della vicenda riguarda l'accostamento improprio delle foibe alla Shoah, con il richiamo alla legge che punisce i negatori dello sterminio degli ebrei. "È un caso di Holocaustdistortion", dice Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione Cdec e membro italiano dell'International Holocaust Remembrance Alliance che combatte gli abusi pubblici del termine. "Siamo in presenza non solo di un discutibile paragone tra Olocausto e foibe ma anche del richiamo strumentale a una legge che è stata pensata per colpire i negatori della Shoah".
Ma che cosa pensa il governatore Luca Zaia di una mozione che dà voce alla destra nazionalista? Sollecitato a intervenire sul tema, preferisce declinare l'offerta. I suoi collaboratori spiegano che la mozione riguarda il consiglio regionale, non la giunta da lui presieduta. In realtà si tratta di un pronunciamento politico che coinvolge anche la giunta e che comunque interpella il presidente della Regione. Che il suo silenzio voglia dire che non se ne farà niente? Ora gli studiosi si appellano a Mattarella, per evitare che la mozione veneta con il precedente friulano possa aprire la strada a "inaccettabili abusi interpretativi, a scopo di censura, da parte di corpi politici e amministrativi". Il "Ministero della Verità" deve restare confinato dentro le pagine di 1984. E dentro un'esperienza storica che non può essere d'esempio per chi vive in democrazia, a prescindere dalla geografia politica d'appartenenza.

Qui  non si vuole  negare  o  mettere   a  tacere  la storia    e  le  vicende  di chi   ha subito  tali indicibili  violenze   e la sradicalizzazione   dalla  propria terra  natia  . Ma  di  difendere la  ricerca  storica .  Infatti  anche  uno  dei primi storici  Raul Pupo  che ha  rotto  il  silenzio su tale eventi potrebbe  venire  accusato di negazionismo  in base  a tale legge  ,   vuol  dire  che  tale  legge  si tratta  di propaganda  .
Non  ha  tutti i  torti    Marcellus85 quando   commenta  l'articolo   : << sì, come esisteva una sedicente
sinistra che negava l'esistenza delle foibe e sputava addosso agli esodati istriani. Siamo sopravvissuti ai pericolosi citrulli di allora, speriamo di sopravvivere anche a quelli di oggi, che anche se vestono la casacca avversaria sono della medesima infelice razza umana >>
Il "Ministero della Verità" deve restare confinato dentro le pagine di 1984  d'Orwell . ..dice giustamente Simonetta Fiori. Invece , assistiamo quotidianamente su certi quotidiani , alcuni  di questi "organo ufficiale" di quel "MINISTERO" anche nel nome che per quel giornale rappresenta un ossimoro eclatante ad una completa mistificazione di quello che succede ed è successo ..una competa manipolazione dei dati e degli eventi. Le destre nazionaliste, xenofobe , razziste sono questo ..come cento anni fa : solo propaganda e menzogna , niente studio niente ricerca storiografica seria . Il mio timore (terrore) è che che queste destre ora in auge di consensi ci portino alla fine della pace perchè nei loro alfabeti esistono solo le parole "odio" e "guerra" da sempre

23.1.21

27 gennaio e 10 febbraio sfatiamo la vulgata che non ricordare in modo ufficiale voglia per forza dire dire negare o giustificare tali bruttezze

  Poichè  le  due    giornate  ( anche se   si dovrebbe parlare  di settimane   )  " rompi  " sono    vicine  e   spesso  , sic  ,  vengono celebrate  insieme  ho  deciso  di  portarmi avanti  🤣😃 e  di  bloccare  per    evitare  che  finisca     come in chiedi alla  polvere  di  J.fante  o   perso  fra  la  cronologia  internet  ,  un post  sul   10m febbraio    e    del perchè  lo celebro   .

Dopo  questo  spiegone  veniamo  al post  

 Anche se  sono  critico   verso  il  10 febbraio ricordo  tale   evento   e  cerco  di sfatare  la  vulgata   come    che  e cercar di capire cosa accadde nell'Adriatico in quegli anni e  farsi un idea   diversa   da  quella  ufficiale   non vuol dire necessariamente  giustificarla o    negarla  .La cristallizzazione istituzionalizzata   delle  memoria    delle  vicende   delle  foibe  in una ricorrenza nata a qualche anno dall'istituzione del Giorno della Memoria contiene in sé un'irrisolvibile contraddittorietà. Il 10 febbraio l'Italia si ferma a ricordare una comunità sradicata dal proprio territorio e accolta a fatica nel seno della nazione. Lo fa in una data che è al tempo stesso l'inizio della fine per gli italiani adriatici e l'imposizione di un trattato come vinti per l'intero Paese. Agli occhi degli italiani, digiuni dalla Storia e dalla conoscenza delle terre di confine, il ricordo diventa rivendicazione, in continuità diretta, geografica e politica, con il mito  della “vittoria mutilata”. L'iter per l'istituzione della ricorrenza, al tempo stesso, ne marca il senso politico. “Colonizzata” dalla destra post-fascista, accettata dalla sinistra post-comunista in nome della “memoria condivisa” - lo scotto da pagare per la consunzione dell'utopia – questa data “dialoga” con il Giorno della Memoria, quasi fosse contrapposta allo sterminio nazi-fascista. "Pareggiare la storia", equilibrare le morti, presentarsi come vittime dimenticando deliberatamente d'essere stati carnefici. L'uso politico della storia strumentalizza la tragedia d'una comunità, acuendo le divergenze, impedendo la comprensione. Ma  soprattutto  

Non è ancora uscito, ma il libro "E allora le foibe?" suscita già polemiche. Gobetti: "Sul tema si è imposta verità ufficiale fatta di stereotipi e luoghi comuni"

Lo storico Eric Gobetti è stato nuovamente al centro di attacchi da parte dei giornali e delle organizzazioni di destra per un libro che uscirà il 14 gennaio, intitolato "E allora le foibe?". Non è la prima volta che il suo lavoro di ricerca viene criticato perché in contrasto con la narrazione dominante sulle vicende del confine orientale. "Sul tema si è imposta una verità ufficiale fatta di stereotipi e luoghi comuni. Chi la mette in discussione è tacciato di negazionismo"


Infatti    concordo  con    quanto  dice  qui    su  https://www.ildolomiti.it/societa/2020 Raul Pupo uno  degli storici  citati   dai  "  seguaci  "    del  10  febbraio ufficiale  . 

 


Professor Pupo, cosa avvenne nel confine orientale negli anni della Seconda guerra mondiale e cosa si celebra nella ricorrenza del Giorno del Ricordo? 

È un periodo lungo quello che si ricorda nella celebrazione del Giorno del Ricordo, così come diversi sono i fenomeni al centro di questa ricorrenza. Si parte con gli infoibamenti, un'espressione in cui è forte la tendenza a semplificare e all'uso pubblico della storia. Si indicano le stragi avvenute a ondate nell'autunno '43 e nella primavera/estate del '45. Si ricorda poi l'esodo, un fenomeno lungo cominciato con lo sfollamento di Zara nel 1943 e concluso nel 1956. Vi sono poi le altre vicende del confine orientale, per cui si va indietro all'occupazione italiana. Complessivamente nel Giorno del Ricordo si commemora il collasso dell'italianità adriatica, di un intero gruppo nazionale, che per il 90% decise d'emigrare. I numeri precisi non si conoscono, si parla di alcune migliaia di scomparsi, tra i 3000 e i 5000, e di 300mila esuli. Sul tema, Italia, Slovenia e Croazia diedero vita a commissioni d'esperti, che si conclusero nel caso italo-sloveno mentre è rimasta in sonno quella italo-croata. Alla pubblicazione in Slovenia, in Italia non corrispose una pubblica comunicazione. Il Ministro degli Esteri, comunque, lo ha lasciato a disposizione degli studiosi. Su questo “collasso” vi è poi stato il tentativo di colonizzazione da parte della destra, un uso politico che si è inserito sullo spirito originario della legge di recupero e valorizzazione di una memoria per lungo tempo rimossa dalla scena pubblica. 

Uso politico della storia e semplificazioni nel linguaggio segnano questa ricorrenza. Non è forse l'accento sulla memoria a determinarne la problematicità? 

Sulle vicende di giuliani, istriani e dalmati ha operato per lungo tempo una generale amnesia, a partire dal dopoguerra. Per gli esuli e i parenti degli scomparsi è rimasta una ferita. Il Giorno del Ricordo agisce in questo senso su un lutto non elaborato, recuperato e valorizzato, come detto, ma su cui poi si è prepotentemente inserito un uso politico. L'utilizzo di un linguaggio banalizzante e semplificatorio ne è l'esempio. Si parla tanto di foibe perché impattano maggiormente sull'opinione pubblica, ma nella categoria di infoibati si comprendono anche persone uccise in altri modi o scomparse. Si parla di pulizia etnica, ma se fosse stata davvero una pulizia etnica ci sarebbero attualmente in quei territori circa 100mila italiani. Infatti quando parliamo di italiani in questi territori ci riferiamo a italiani d'elezione, non a italiani etnici. Paradossalmente “pulizia etnica” è un termine riduzionista, una semplificazione che finisce per essere un boomerang per chi la fa. Si guardino i cognomi degli esuli, ci si renderà conto di questo concetto. Con l'istituzione della legge il racconto di queste storie è delegato alle associazioni di profughi, variegate al proprio interno, alla rete degli istituti della Resistenza e agli enti locali. È chiaro che in quest'ultimo caso le maggioranze politiche influiscono in modo più o meno evidente. La problematicità delle iniziative, d'altronde, si ritrova proprio nell'accento che si fa sulla memoria. Nella caccia ai testimoni, sempre di meno, si mettono in difficoltà queste persone. Non si può, in aggiunta, far spiegare da un figlio di un infoibato come funzionano le stragi. Bisognerebbe che ci fosse sempre uno storico o un esperto accanto al testimone, perché va bene quando la memoria fa memoria, ma quando la memoria fa la storia è un disastro. 

Tutti gli anni, a margine del Giorno del Ricordo, il dibattito pubblico viene percorso da opposte prese di posizione che negano o ingigantiscono il fenomeno degli infoibamenti. Quanto e perché è problematica questa ricorrenza?

La scelta del 10 febbraio è tutta politica. Nello spirito delle associazioni dei profughi è una data che segna l'inizio della tragedia, una data simbolicamente molto forte. Dal punto di vista storico, però, è estremamente problematica. Il governo italiano è oggetto del Trattato di pace, l'Italia è un Paese sconfitto e sul banco degli imputati. C'è inoltre il grosso limite d'essere vicini al Giorno della Memoria, segno che tra alcuni proponenti ci fosse l'idea di metterli sullo stesso piano. È una data infelice, se ne deduce, ma non era facile trovarne un'altra. Le ricorrenze si pongono spesso all'incrocio tra due fenomeni: la ricerca dei testimoni e il vittimismo come esaltazione della vittima. Queste due ricorrenze ne sono il simbolo. Riguardo ai diversi atteggiamenti nei confronti dei fenomeni al centro di questa ricorrenza, nel mio libro del 2003 ("Foibe", scritto con Roberto Spazzali) vengono avanzate alcune categorie come quelle di “negazionista” e “riduzionista”. Categorie scivolosissime da usare con attenzione, visto che il negazionismo è un reato punito per legge, e che rischiano d'essere utilizzate per ogni critica. C'è un grosso equivoco, a mio giudizio, e consiste nel fatto che cercar di capire cosa accadde nell'Adriatico in quegli anni non vuol dire giustificare.

  

lo ricordo oltre a quanto  ho già detto precedentemente  nei post  preparatori  [  I II  ]  a  tali  giornate   perchè : 1) combatto l'uso strumentale  e politico      di  tali  complesse  e dolorose  vicende  ., 2) perchè  essendo  La memoria, come un fiume carsico, percorre le profondità della terra prima di ritornare alla luce. E quando lo fa, spesso, è prorompente. La memoria degli italiani adriatici, silenziata e rimossa nell'Italia del dopoguerra - lacerata dalla guerra civile, ferita da vent'anni di regime, spaccata politicamente e socialmente dalla Guerra fredda - è esempio significativo. ed  io    sono cresciuto   con  ciò . Da  un lato  mio nonno e  i miei  prozii paterni    che   coltivavano  la  vulgata   come  eccidi    comunisti    sulle  foibe      e  mio padre  e mio  zio     che la contrastavano  . 3)   perchè ancora    non si è  fatto  i conti  con il nostro passato   dimenticando che siamo stati "noi"   ad  averle  innescate   e  poi   tacerle    ed  ora  usarle  strumentalmente   Ma  soprattutto   

Smontare la narrazione ufficiale e i miti cristallizzati attorno alle complesse vicende del confine orientale diviene così di decisiva importanza per la memoria pubblica del nostro Paese. “Ai problemi complessi vanno date risposte complesse – conclude – se non creassimo dunque un Olimpo di martiri, con date e così via, avremo un Paese più libero e democratico”.  (   Eric Gobetti    su https://www.ildolomiti.it/societa/2021  ,  di cui  ho citato  sopra  l'incipit  , per   l'articolo   integrale  qui 

al prossimo 10  febbraio  


12.2.20

Lo storico Gobetti: “Foibe, media e istituzioni ripetono slogan e fake news dei neofascista ovvero qui! 10 febbraio, il giorno del falso ricordo

 A chi legge solo i titoli  o da titolo decide se proseguire o meno nella lettura  non fatevi ingannare dal titolo perché criticare una giornata ricordo non vuol necessariamente che si dimentichi o non se ne debba parlare .
Inizialmente volevo usare tale  post   per l'anno prossimo, ma visto che come succede le giornate della memoria  /ricordo diventano settimane  trascinandosi dietro contrapposizioni ideologiche  da guerra fredda  e incidenti diplomatici con i vicini Croati e Sloveni ( vedere il post   sotto )  , cambio la programmazione e metto oggi . E con questo post chiudo per quest'anno l'argomento #10febbraio #giornodelricordo #foibe .  Dopo questa precisazione  iniziamo .




Ogni    febbraio  è  la stessa  storia   tutti gli storici o persone comuni  appassionate  di  storia    e di quel periodo     che propongono    ricerca storica  seria o quanto meno    slegata    da  quella  retorica  ed  ufficiale      vengono    tacciate  di  riduzionismo  e  di negazionismo  anche   quando  non lo è  oppure  minacciate

 da  https://www.globalist.it/storia/2020/02/08/

Lo storico Gobetti: “Foibe, media e istituzioni ripetono slogan e fake news dei neofascisti”

Lunedì 10 è il Giorno del ricordo: “La destra attacca ogni storico che fa ricerca seria e non ci sono reazioni. Si preferiscono le notizie create dal fascismo e dal nazismo e si occultano i crimini italiani”
Recupero di corpi nella foiba di Monrupino. Fonte: Wikipedia

Recupero di corpi nella foiba di Monrupino. Fonte: Wikipedia


di Chiara Zanini

Come sempre da quando nel 2004 è stato istituito il 10 febbraio come Giorno del ricordo per conservare la memoria delle vittime delle foibe, gruppi di estrema destra tentano di ostacolare le iniziative volte a ripristinare la verità storica. In questi giorni è toccato allo storico Eric Gobetti, invitato a tenere una lezione in una circoscrizione di Torino. L'abbiamo intervistato.

Dottor Gobetti, Lei è uno storico, tra i massimi conoscitori della Storia della Jugoslavia. Perché e in che modo è stata contestata la sua presenza ad un'iniziativa pubblica nella sua Torino?
Due gruppi neofascisti, Casa Pound e un altro legato a Fratelli d'Italia, il cui leader torinese è attualmente in prigione per voto di scambio mafioso con la 'Ndrangheta, mi hanno accusato di “negazionismo” delle foibe. Hanno minacciato di impedire un mio intervento in un convegno pubblico presso una sala della circoscrizione. L'incontro si è tenuto lo stesso grazie alla solidarietà di centinaia di persone che sono accorse per dare il loro sostegno e ascoltare la lezione.

L'attacco che ha subito è grave, ma cosa comporta più in generale occuparsi, da storico, di ricostruire la verità sulle foibe, in un periodo in cui molti ormai parlano solo per slogan e manipolano la realtà?
Ormai qualunque storico si occupi in maniera seria del tema viene tacciato di negazionismo, o quantomeno di “riduzionismo”. Quello che è successo a me, avviene ogni anno a febbraio a quasi tutti i miei colleghi. Il problema non è la destra neofascista, ma il fatto che i loro slogan, le loro cifre, sono le stesse ripetute dai media e dai rappresentanti istituzionali, anche quelli non di destra. Si tratta ormai di una sorta di “verità di stato” intoccabile, che trae origine dalla propaganda fascista e nazista. Per questo i neofascisti si sentono autorizzati ad agire con questa violenza intimidatoria: non temono reazioni istituzionali, perché sanno che le istituzioni difendono la “loro” storia, non i risultati della ricerca scientifica, basati sui fatti e sulle fonti.

Sta per pubblicare un libro proprio sulla storia delle foibe, edito da Laterza. Cosa c'è di vero e cosa di falso nel dibattito legato al cosiddetto Giorno del ricordo? Qual è il negazionismo che dovrebbe preoccuparci?
Il libro ha un'impostazione volta a smentire le numerose fake news storiche sul tema delle foibe e dell'esodo. Sono molte e complesse: dalla descrizione di una terra “italiana da sempre” (perché appartenuta all'Impero romano 2000 anni fa!) alla pulizia etnica, dalla volontà di sterminio contro persone “uccise solo perché italiane” all'espulsione forzata, fino alla “congiura del silenzio” che sarebbe stata propria della sinistra comunista. Ma l'aspetto più grave è la totale dimenticanza dei crimini commessi dal fascismo e dall'esercito italiano in quei territori nei 25 anni precedenti. Su questo, sì, esiste un totale oblio, voluto da tutti gli schieramenti politici.

Pensa di agire per via legale?
Non credo ci siano gli estremi, purtroppo. L'accusa di “negazionismo” è infamante e lesiva della mia dignità e della mia professionalità, ma temo che sia difficile ottenere giustizia in sede legale. Per quanto riguarda poi le violente ingiurie sui social network, purtroppo già lo scorso anni i carabinieri mi avevano sconsigliato di sporgere querela, sostenendo che non fosse possibile individuare con certezza gli autori delle ingiurie. Ci sto pensando, ma per ora temo non ci sia abbastanza protezione legale rispetto a questo tipo di offese e minacce.

Ci sono Comuni che per questa ricorrenza hanno scelto di proiettare il film Rosso Istria. Lei l'ha visto? Cosa ne pensa?
Questo film rappresenta una evoluzione in peggio del precedente “Il cuore nel pozzo”. Contribuisce enormemente a diffondere paura e odio attraverso un immaginario razzista e una costruzione del racconto ben poco attinente alla realtà. Ma quello che più conta è che gli eroi di questo film, le vittime con cui lo spettatore è chiamato a identificarsi, sono tutti fascisti conclamati, che appaiono in camicia nera, inneggiano al duce e attendono la liberazione da parte dei nazisti. Questa è la parte più veritiera del film (naturalmente riguardo a quelle specifiche vittime raffigurate, ovvero la famiglia di Norma Cossetto, non a tutti gli infoibati), ma contribuisce a trasmettere l'idea che il comunismo non sia solo assimilabile al fascismo (come ha recentemente sostenuto anche in via ufficiale, il parlamento europeo), ma sia assai peggio. Insomma, questo è un film co-prodotto dalla Rai, ma sembra un film di propaganda nazista, con tutti quei bei soldati tedeschi che arrivano a liberare le vittime innocenti del comunismo!

Anche lei ha utilizzato il cinema come strumento di divulgazione per raccontare la storia attraverso due documentari e ha lavorato anche per la Rai. Lo farà ancora?
La realizzazione dei miei due documentari (Sarajevo Rewind e Partizani) è stata una meravigliosa avventura, ma si è rivelata anche un'impresa improba. Fare documentari indipendenti in Italia è pressoché impossibile. Per quanto riguarda la Rai, mi piacerebbe avere l'opportunità di collaborare ancora, ma da qualche anno non sono più stato contattato e temo che le accuse infamanti di cui sono oggetto abbiano un ruolo. Vedremo. Io sarei ben contento di poter affrontare in televisione alcuni dei tanti temi di cui mi sono occupati in questi anni.

Infatti  ,   anche  se  non ne  condivido  la  linea politica    , troppo     settario   e  chiuso nel  passato  ,    ha  ragione  

RIZZO (PC): «SU FOIBE CONTINUE FALSIFICAZIONI. L’ANPI SBAGLIA A DISSOCIARSI».

08 Febbraio 2019   da   https://ilpartitocomunista.it/2019/02/08/
                                « Sulla vicenda delle foibe ormai è impossibile esprimere in Italia un giudizio legato alla verità storica e alla contestualizzazione degli eventi. Chiunque affermi il vero, e cioè che quello che è avvenuto non puo’ definirsi genocidio, nè pulizia etnica, e soprattutto che le vittime non erano nell’ordine nè delle centinaia di migliaia nè dei milioni come arrivano ad affermare settori di destra, viene tacciato di negazionismo. Sbaglia l’ANPI a dissociarsi da serie iniziative di storici che mirano a contrastare con il rigore della ricerca questo mare di propaganda» Così Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista. «Sulle vicende del confine orientale è stata costruita una narrazione che ha stravolto la realtà, che non fa i conti con le responsabilità dell’Italia fascista, alimenta il mito del “buon italiano”, utile alla propaganda nazionalista anche per l’oggi. Una cosa sono episodi di giustizia sommaria e rappresaglie, per quanto brutali, pero assai comuni durante la guerra, e nella maggior parte in risposta ai crimini perpetrati dalla colonizzazione fascista. Altro è quello che la propaganda revisionista afferma oggi a reti unificate. La costruzione della memoria collettiva è demandata a sceneggiati privi di reale riscontro storico come quello che andrà in onda sulla Rai questa sera. Si parla di ricerca della “memoria condivisa” ma in realtà si nobilita la falsificazione. La sinistra che ha appoggiato questa tendenza, è corresponsabile tanto quanto la destra, anzi forse di più. Al contrario – conclude Rizzo – difendere la verità storica significa evitare che narrazioni tossiche influenzino il senso comune, costruendo il terreno per nuove campagne belliciste che si profilano all’orizzonte e che nulla hanno a che fare con l’interesse dei popoli, a partire da quello italiano ».






e dal discorso di quest'anno del presidente della repubblica Sergio Mattarella che messaggio come questa strofa : « Monsieur le Président / Je vais vous fais une lettre / Que vous lirez peut-être / Si vous avez le temps [ ... qui il resto del testo e la storia ] » di Le Déserteur ('il disertore') è Boris Vian ( 1920-1959 ) di trovate sotto il discorso con mie osservazioni che ha causato malumori nel governo sloveno che hanno storto il naso al fatto sul termine pulizia etnica e per il fatto che che nel discorso non c'è una chiara condanna dei crimini fascisti.
  in neretto \  corsivo    le  mie  obbiezioni

Il "giorno del Ricordo", istituito con larghissima maggioranza dal Parlamento nel 2004, contribuisce a farci rivivere una pagina tragica della nostra storia recente, per molti anni ignorata, rimossa o addirittura negata: le terribili sofferenze che gli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia furono costretti a subire sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi. Queste terre, con i loro abitanti, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, conobbero la triste e dura sorte di passare, senza interruzioni, dalla dittatura del nazifascismo a quella del comunismo.

nessun     riferimento, se non un  po'   ambiguo   : « Queste terre, con i loro abitanti, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, conobbero la triste e dura sorte di passare, senza interruzioni, dalla dittatura del nazifascismo a quella del comunismo »  ed  tendente  a mettere    sullo stesso piano le  due   dittature  ,    alla   situazione precedente   e  alle    brutture del regime  fascista     e  la  sua    "pulizia    etnica"  (    messo  fra    virgolette  di proposito   ,  per   essere  cercato nei motori di ricerca   con più efficacia preferisco    il   termine    usato    dallo storico Raul Pupo“semplificazione nazionale ) o italianizzazione forzata . Si tenta di dare la colpa delle foibe ad uno solo dei protagonisti ovvero i comunisti . Infatti lo storico storico Angelo d'Orsi    scrive  sulle  pagine  de  il manifesto del 11     febbraio   riportata  qui   dal blog   l'antidiplomatico : «  ( ..... )  ha usato ancora una espressione storicamente errata, politicamente pericolosa, moralmente inaccettabile: «pulizia etnica». Ella, signor Presidente, è caduto nella trappola della equiparazione del grande, spaventoso crimine, il genocidio della Shoah, con gli avvenimenti al Confine Orientale, tra Italia e Jugoslavia, fra il 1941 e il 1948, grosso modo. Non pretendo che abbia letto il mio precedente intervento sulle pagine del Manifesto, del 9 febbraio, ma un’occhiata, se avesse un minuto di tempo, mi permetto di suggerirle di dare a quell’articolo. Nel Suo discorso Ella ha precisamente ribaltato il mio argomentare, che poneva in guardia dall’uso scorretto del termine "negazionismo", che si riferisce, propriamente, alle ideologie che negano Auschwitz, ossia sostengono che mai è esistita una volontà sterminazionista e genocidaria nel nazismo. (  ....) »
quest’ultima scatenò, in quelle regioni di confine, una persecuzione contro gli italiani, mascherata talvolta da rappresaglia per le angherie fasciste, ma che si risolse in vera e propria pulizia etnica, che colpì in modo feroce e generalizzato una popolazione inerme e incolpevole.
 non   si  differenzia    e  non distingue  bene  tra  :   la  prima  fase  delle    foibe    cioè   quella   del 1943    che     fu un misto   fra    reazione  popolare incontrollata  e   il  gruppo  comunista .  E la  seconda  quella  a  guerra  finita  1945  solo quella  comunista 

La persecuzione, gli eccidi efferati di massa – culminati, ma non esauriti, nella cupa tragedia delle Foibe - l’esodo forzato degli italiani dell’Istria della Venezia Giulia e della Dalmazia fanno parte a pieno titolo della storia del nostro Paese e dell’Europa.Si trattò di una sciagura nazionale alla quale i contemporanei non attribuirono – per superficialità o per calcolo – il dovuto rilievo. Questa penosa circostanza pesò ancor più sulle spalle dei profughi che conobbero nella loro Madrepatria, accanto a grandi solidarietà, anche comportamenti non isolati di incomprensione, indifferenza e persino di odiosa ostilità.
 anche     se  il pensiero  è in chiave  nazionalista    in quanto   le  cause   sono da  ricercare nelle complesse vicende del Confine Orientale  in particolare  ad  incominciare  dal  1940  e  culminata  dalla  strage  ( cosi viene    definita  da  recenti studi ed   analisi di dococumenti    su tali eventi   provenienti  dagli archivi  Inglesi  ed  Americani  ) di  Vergarolla       corrisponde  parzialmente  a    verità 
Si deve soprattutto alla lotta strenua degli esuli e dei loro discendenti se oggi, sia pure con lentezza e fatica, il triste capitolo delle Foibe e dell’esodo è uscito dal cono d’ombra ed è entrato a far parte della storia nazionale, accettata e condivisa. Conquistando, doverosamente, la dignità della memoria.
 parzialmente  vero . In quanto ci si dimentica  che  fu dovuto  :     al dialogo  fra   fini ( ex  Msi  )   ed   Violante (  ex Pci  )    , mi pare  ne  1997\8     un autocritica  sulla    guerra  fredda  e  sul silenzio  delle  foiube  .,   culminata    Nel 2001 con   la relazione della "Commissione storico-culturale italo-slovena", incaricata dal Governo italiano e dal Governo sloveno di mettere a punto un'interpretazione condivisa dei rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956. Di essa facevano parte i massimi studiosi che, sia in Italia sia in Slovenia, si erano occupati del periodo. Nel rapporto si conclude che
«tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra e appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato, in cui confluivano diverse spinte: l'impegno a eliminare soggetti e strutture ricollegabili (anche al di là delle responsabilità personali) al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo e allo stato italiano, assieme a un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell'avvento del regime comunista, e dell'annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato jugoslavo. L'impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l'animosità nazionale e ideologica diffusa nei quadri partigiani.»
   e  poi      con  la  legge negazionista e  riduzionistica   sul  giorno del ricordo  ovvero  la  giornata  del  10 febbraio lo   dice     anche   lo   stesso  Diego fusaro (  lontano anni luce  dal mio modo di pensare  ) 



Esistono ancora piccole sacche di deprecabile negazionismo militante.

 Certo  anche  a  sinistra,  sarebbe  da  stolti  negarlo ed  nasconderlo     c'è  negazionismo  e  sottovalutazione ,  tipo   ne  sono stati uccisi pochi  di  fascisti   (  i  più teneri )       , le  foibe  sono un invenzione della destra  , ne  hanno più ucciso  loro  dagli anni   1920 agli anni  1945  , ecc  .  O  considerare   tutti gli esuli come   fascisti  .  Ma     ce n'è  anche  uno  da lei   , Signor presidente   , fatto passare in secondo  piano   se non addirittura  omesso  che  è  quanto le  rinfaccia  sempre  Angelo d'orsi  : « [...]
Ella, signor Presidente, non senza un palpabile disprezzo, ha parlato di «piccole sacche di deprecabile negazionismo militante», che si ostinerebbero a «negare»: che cosa? La «pulizia etnica» che viene identificata come la somma dei «crimini comunisti» in quelle terre. E lodevolmente, Lei, signor Presidente, invita allo studio della storia. Ma è precisamente ciò che i «negazionisti» nel distorto messaggio che Ella ha tenuto, cercano di fare, e vengono insultati, isolati, quasi cancellati. E mentre giornalisti senza etica e politici in caccia di voti snocciolano cifre fantastiche (1000, 2000, 10.000, 20.000, fino alle 30.000 annunciate da un tg nazionale ieri in apertura…), il paziente lavoro dei ricercatori propone un’altra versione, frutto dello scavo (compreso quello tremendo delle cavità del Carso chiamate “foibe”), dell’accumulo di documenti, delle prove testimoniali verificate.
La storiografia ci dice tutt’altro dalla chiacchiera politico-mediatica: le vittime accertate, ad oggi, furono poco più di 800 (compresi i militari), parecchie delle quali giustiziate, essendosi macchiate di crimini, autentici quanto taciuti, verso le popolazioni locali: nessun generale italiano accusato di crimini di guerra è mai stato punito.
E 400mila civili slavi rastrellati, deportati, torturati e fucilati semplicemente vengono cancellati. Spiace che anche le autorità istituzionali a Lei seconde e terze, abbiano ritenuto di usare espressioni gravi quanto infondate: «Genocidio programmato contro gli italiani», dice la presidente del Senato; «Le atrocità nazifasciste non sono una giustificazione», aggiunge il presidente della Camera.
Spiace soprattutto che le Sue parole abbiano, involontariamente, offerto un formidabile assist ai soliti Salvini [ 
ed  non solo aggiunta  mia  ] – che equipara tout court Shoa e foibe pericolosamente banalizzando l’Olocausto – e Meloni, ai quali non è sembrato vero di poterne approfittare con altri inquietanti anatemi, mentre l’intero schieramento della destra usava con cinica disinvoltura il Suo discorso, Presidente, per berciare contro «i negazionisti» (etichettati senza mezzi termini «comunisti»).[....] »


Ma oggi il vero avversario da battere, più forte e più insidioso, è quello dell’indifferenza, del disinteresse, della noncuranza, che si nutrono spesso della mancata conoscenza della storia e dei suoi eventi. Questi ci insegnano che l’odio la vendetta, la discriminazione, a qualunque titolo esercitati, germinano solo altro odio e violenza.
Alle vittime di quella persecuzione, ai profughi, ai loro discendenti, rivolgo un pensiero commosso e partecipe. La loro angoscia e le loro sofferenze non dovranno essere mai dimenticate. Esse restano un monito perenne contro le ideologie e i regimi totalitari che, in nome della superiorità dello Stato, del partito o di un presunto e malinteso ideale, opprimono i cittadini, schiacciano le minoranze e negano i diritti fondamentali della persona. E ci rafforzano nei nostri propositi di difendere e rafforzare gli istituti della democrazia e di promuovere la pace e la collaborazione internazionale, che si fondano sul dialogo tra gli Stati e l’amicizia tra i popoli.

 vero e  condivisibile   anche  se   cosi  scritto\  detto    sembra   il   motto      democristiano  caramelloso     vogliamoci bene .  Ma  Il Suo discorso, mi consenta  signor Presidente  , insomma, fa un grave torto alla conoscenza storica, che Ella, lodevolmente, incita a perseguire, e genera conflitti che Ella e la legge del 2004 vorrebbero chiudere.



In quelle stesse zone che furono, nella prima metà del Novecento, teatro di guerre e di fosche tragedie, oggi condividiamo, con i nostri vicini di Slovenia e Croazia, pace, amicizia e collaborazione, con il futuro in comune in Europa e nella comunità internazionale ».


  
  visto che   in questo   discorso   non   c'è nessuna  critica   a  gli esponenti  di  politici     che  ogni anno  ( l'ultimo    è     il caso dell'ano scorso  la  figuraccia  di tajani e  salvini     )    ci fanno fare  figuracce  di 💥😷💨😠🗣👄 e 🤬💩  , come  se  non bastassero  quelle  di casa  pound  e  forza  nuova     con  la  Slovenia e  la  Croazia  




emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...