di Marco Tosarello pubblicato il
Alcuni tweet dei giorni scorsi, a firma del cantante Scialpi, che invitavano a moderare alcuni atteggiamenti provocatori durante i Pride, hanno da un lato scatenato il risentimento da parte degli attivisti organizzatori e di molti partecipanti, dall’altro hanno invece aperto un serio dibattito sull’argomento. La decisione dell’artista è scaturita da un episodio omofobico di cui è stato recentemente vittima a Roma, il 28 marzo scorso. «Un ragazzo camminando per strada mi ha riconosciuto e ha detto “frocio” – racconta l’artista – sputandomi addosso».
I tweet di Scialpi sul Gay Pride
Combattere i nostri diritti senza culi al vento ma seri nelle sedi opportune #gaypride per fare un passo avanti
Credo che la gente si faccia meno pippe di quante ce ne facciamo noi (#gay) #gaypride
Fallo vedere alle coppie LGBT che vogliono dare il cognome ai propri figli e ancora non possono.
E’ arrivata l’ora di essere più moderati per ottenere più diritti.
Addio viva il #gaypride e viva il #culoalvento
Pride Online ha voluto approfondire la vicenda ascoltando dalla viva voce del cantante e del suo compagno, il manager Roberto Blasi, con cui è unito in matrimonio dal 2015, le ragioni di questi tweet, destinati sicuramente a dividere la comunità Lgbti sull’argomento, tra sostenitori di chi vuole un Pride più morigerato e oppositori che rivendicato a tutti gli effetti la libertà di espressione.
Ma prima facciamo un passo indietro, ripercorrendo le tappe dell’impegno pubblico del cantante sul tema dell’omosessualità. Il loro matrimonio, celebrato negli Usa – in Italia all’epoca non era ancora consentito – destò molto scalpore e l’evento guadagnò la copertina del settimanale Chi: «Non siamo più una coppia di fidanzati, siamo una famiglia . È importante per una persona poterlo dire, con fierezza e con amore e trovare così il proprio posto nel mondo. È una battaglia che abbiamo combattuto e, ufficializzando la nostra unione, abbiamo vinto, almeno lo spero. Abbiamo superato i pregiudizi e ci siamo esposti dal punto di vista mediatico», raccontò Scialpi in quel numero della rivista diretta da Alfonso Signorini. Negli Usa, grattacieli alle spalle, il cantante scriveva: «Non confuso ma felice!». Il 31 agosto di quell’anno con l’hashtag #viaggiodinozze. scattò un selfie in aeroporto a New York con la didascalia che recitava: «Oggi torniamo da marito e marito».
Come abbiamo detto, nel 2015 il ddl Cirinnà era ancora in discussione in Parlamento: «Il nostro atteggiamento è stato ancora più forte perché ha anticipato l’approvazione della legge in Italia. Abbiamo osato dunque sfidare tutti quei politici italiani proprio perché volevamo che la legge entrasse in discussione alla Camera».
Al rientro in Italia la coppia partecipò al reality “Pechino Express“, l’adventure show di Raidue che li vide protagonisti lungo le strade del Sudamerica.
«L’orgoglio di essere gay per contrapporsi alla polizia che picchiava. Occorre riprendere il vero spirito del Pride quando andarono in scena le prime parate dell’orgoglio omosessuale che si sono poi svolte in molte città del mondo per rivendicare rispetto e diritti. Ricordando, soprattutto ai più giovani, quel 1969 a New York, con i moti dello Stonewall Inn e quel codice penale dello stato di New York, che puniva i gestori di locali che servivano persone gay visto come favoreggiamento dell’omosessualità, descritta come un crimine contro la natura. Le retate della polizia erano frequenti e i gestori finivano spesso al commissariato di polizia per violazione delle leggi dello Stato.
Ma prima facciamo un passo indietro, ripercorrendo le tappe dell’impegno pubblico del cantante sul tema dell’omosessualità. Il loro matrimonio, celebrato negli Usa – in Italia all’epoca non era ancora consentito – destò molto scalpore e l’evento guadagnò la copertina del settimanale Chi: «Non siamo più una coppia di fidanzati, siamo una famiglia . È importante per una persona poterlo dire, con fierezza e con amore e trovare così il proprio posto nel mondo. È una battaglia che abbiamo combattuto e, ufficializzando la nostra unione, abbiamo vinto, almeno lo spero. Abbiamo superato i pregiudizi e ci siamo esposti dal punto di vista mediatico», raccontò Scialpi in quel numero della rivista diretta da Alfonso Signorini. Negli Usa, grattacieli alle spalle, il cantante scriveva: «Non confuso ma felice!». Il 31 agosto di quell’anno con l’hashtag #viaggiodinozze. scattò un selfie in aeroporto a New York con la didascalia che recitava: «Oggi torniamo da marito e marito».
Come abbiamo detto, nel 2015 il ddl Cirinnà era ancora in discussione in Parlamento: «Il nostro atteggiamento è stato ancora più forte perché ha anticipato l’approvazione della legge in Italia. Abbiamo osato dunque sfidare tutti quei politici italiani proprio perché volevamo che la legge entrasse in discussione alla Camera».
Al rientro in Italia la coppia partecipò al reality “Pechino Express“, l’adventure show di Raidue che li vide protagonisti lungo le strade del Sudamerica.
«L’orgoglio di essere gay per contrapporsi alla polizia che picchiava. Occorre riprendere il vero spirito del Pride quando andarono in scena le prime parate dell’orgoglio omosessuale che si sono poi svolte in molte città del mondo per rivendicare rispetto e diritti. Ricordando, soprattutto ai più giovani, quel 1969 a New York, con i moti dello Stonewall Inn e quel codice penale dello stato di New York, che puniva i gestori di locali che servivano persone gay visto come favoreggiamento dell’omosessualità, descritta come un crimine contro la natura. Le retate della polizia erano frequenti e i gestori finivano spesso al commissariato di polizia per violazione delle leggi dello Stato.
Dire che occorre essere più moderati al Gay Pride non significa attaccare la manifestazione, che resta assolutamente importante perché il senso è proprio quello di rievocare e onorare quel 28 giugno 1969, quando i frequentatori dei locali, le drag queen e i giovani della zona reagirono con la forza all’ennesimo raid della polizia e segnarono l’inizio della mobilitazione politica per il riconoscimento dei diritti dei gay. Significa dire che occorre alzare l’asticella qualitativa sul Gay Pride, in termini di comunicazione.
Non mi sembra di affermare una eresia né tantomeno voler sminuire il significato di questa parata così importante per i motivi che ho ricordato. Credo che combattere per i diritti con i culi al vento, prima ancora di averli conquistati questi diritti, possa rappresentare un autogol. Prima raggiungiamo gli obiettivi concreti, poi lasciamo spazio alle provocazioni, culi al vento compresi. Questa dei diritti è una partita troppo importante e, usando ancora una metafora calcistica, dovremmo essere più astuti usando una tattica diversa per le nostre rivendicazioni.
Sono sicuro che ormai quelli con i cosiddetti culi al vento sono una minoranza, perché al corteo sfilano associazioni impegnate quotidianamente sul territorio contro discriminazioni e violenze o le famiglie arcobaleno che sostengono i figli omosessuali e i genitori nel percorso di accettazione, ma quella minoranza è presa di mira dai media che fanno a gara a pubblicare foto e immagini destinate poi a incidere negativamente sulla credibilità della manifestazione e ad essere strumentalizzate dai poteri forti con le classiche didascalie e commenti alla foto di uno che ha una bandiera rainbow nel proprio culo: “Ma voi dareste vostro figlio in mano a uno così?”.
L’immagine della shampista, per rendere l’idea, che quando stacca dal lavoro corre al Gay Pride per indossare abiti provocatori, è ormai obsoleta e ha rotto, scusate il termine, le palle a tanti gay che vogliono costruire il proprio percorso di vita rivendicando i diritti in altro modo. Il Pride in Italia deve un po’ emanciparsi e non essere solo radicato al concetto di esprimere la propria libertà sessuale, ma orientato a raggiungere dei risultati importantissimi nella società civile che ancora sono lontani, dalla legge contro l’omofobia e quella delle adozioni”.
Vi faccio un esempio pratico: la manifestazione Svegliati Italia, dove io e Roberto abbiamo partecipato con grande entusiasmo e il nostro bacio immortalato dai giornali, è stato un bel messaggio alla società per non discriminare l’amore, è stata una mobilitazione esemplare dove tante persone si sono ritrovate nella piazza testimoniando con grande civiltà la propria identità sessuale per avere il giusto riconoscimento e il posto che merita in questa società. Queste sono le manifestazioni intelligenti che servono a dare forza, credibilità e rispetto a tutta la comunità Lgbti.
Credo difficile che restiamo credibili se restiamo ancorati alle vecchie modalità se vogliamo essere ascoltati e accolti. Poi ognuno agisca di propria coscienza e vada al Pride come meglio crede, ma mostrare al mondo l’omosessualità nel massimo della volgarità, con una bandiera conficcata nel culo, non mi pare un aiuto concreto a chi sta facendo un percorso di accettazione, famiglie comprese di figli omosessuali, con il rischio di rovinare il certosino lavoro di associazioni che ogni giorno si battono per i diritti di tutti. Non è la bandiera nel culo il simbolo della battaglia del movimento Lgbti nel contrasto alle discriminazioni e del riconoscimento pieno dei diritti».
Questa è l’opinione di uno come Scialpi che, per rivendicare con orgoglio il diritto all’amore e all’unione same-sex, ha messo a repentaglio anche la propria carriera: «Non ci ho rimesso solamente il lavoro, ma soprattutto ci ho messo la faccia, cosa che non ci ha messo mai nessuno in Italia rispetto a chi dice che ci sta vicino “con il cuore”».
Non mi sembra di affermare una eresia né tantomeno voler sminuire il significato di questa parata così importante per i motivi che ho ricordato. Credo che combattere per i diritti con i culi al vento, prima ancora di averli conquistati questi diritti, possa rappresentare un autogol. Prima raggiungiamo gli obiettivi concreti, poi lasciamo spazio alle provocazioni, culi al vento compresi. Questa dei diritti è una partita troppo importante e, usando ancora una metafora calcistica, dovremmo essere più astuti usando una tattica diversa per le nostre rivendicazioni.
Sono sicuro che ormai quelli con i cosiddetti culi al vento sono una minoranza, perché al corteo sfilano associazioni impegnate quotidianamente sul territorio contro discriminazioni e violenze o le famiglie arcobaleno che sostengono i figli omosessuali e i genitori nel percorso di accettazione, ma quella minoranza è presa di mira dai media che fanno a gara a pubblicare foto e immagini destinate poi a incidere negativamente sulla credibilità della manifestazione e ad essere strumentalizzate dai poteri forti con le classiche didascalie e commenti alla foto di uno che ha una bandiera rainbow nel proprio culo: “Ma voi dareste vostro figlio in mano a uno così?”.
L’immagine della shampista, per rendere l’idea, che quando stacca dal lavoro corre al Gay Pride per indossare abiti provocatori, è ormai obsoleta e ha rotto, scusate il termine, le palle a tanti gay che vogliono costruire il proprio percorso di vita rivendicando i diritti in altro modo. Il Pride in Italia deve un po’ emanciparsi e non essere solo radicato al concetto di esprimere la propria libertà sessuale, ma orientato a raggiungere dei risultati importantissimi nella società civile che ancora sono lontani, dalla legge contro l’omofobia e quella delle adozioni”.
Vi faccio un esempio pratico: la manifestazione Svegliati Italia, dove io e Roberto abbiamo partecipato con grande entusiasmo e il nostro bacio immortalato dai giornali, è stato un bel messaggio alla società per non discriminare l’amore, è stata una mobilitazione esemplare dove tante persone si sono ritrovate nella piazza testimoniando con grande civiltà la propria identità sessuale per avere il giusto riconoscimento e il posto che merita in questa società. Queste sono le manifestazioni intelligenti che servono a dare forza, credibilità e rispetto a tutta la comunità Lgbti.
Credo difficile che restiamo credibili se restiamo ancorati alle vecchie modalità se vogliamo essere ascoltati e accolti. Poi ognuno agisca di propria coscienza e vada al Pride come meglio crede, ma mostrare al mondo l’omosessualità nel massimo della volgarità, con una bandiera conficcata nel culo, non mi pare un aiuto concreto a chi sta facendo un percorso di accettazione, famiglie comprese di figli omosessuali, con il rischio di rovinare il certosino lavoro di associazioni che ogni giorno si battono per i diritti di tutti. Non è la bandiera nel culo il simbolo della battaglia del movimento Lgbti nel contrasto alle discriminazioni e del riconoscimento pieno dei diritti».
Questa è l’opinione di uno come Scialpi che, per rivendicare con orgoglio il diritto all’amore e all’unione same-sex, ha messo a repentaglio anche la propria carriera: «Non ci ho rimesso solamente il lavoro, ma soprattutto ci ho messo la faccia, cosa che non ci ha messo mai nessuno in Italia rispetto a chi dice che ci sta vicino “con il cuore”».