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22.4.21

Gemma, da vittima a poliziotta a Londra: "Ho fatto arrestare il mio stupratore" e l'hastag #Ilgiornodopo lo stupro sono andata a scuola”: la storia di Eva dal canto @alias_cwalpole la risposta a Grillo e company

 per   rispondere  ai grillini  e company   che    sono scandalizzati perchè   la  presunta ( metto presunta  perchè ancora  l'inchiesta  è   aperta  )  vittima  ha denunciato solo dopo  8 giorni  e non subito    riporto qui  due  storie   esemplari    che  hanno avuto il coraggio di parlarne  ( la prima )., far  arrestare  visto  che   era  latitante    ed  ha  dovuto essere  estradato da  Santo Domingo  il suo  carnefice   ( la seconda )  vi lascio un po'  di ripasso per  chi lo conosce    non guasterebbe    con  quest'articolo della   Prof.ssa Alessandra Graziottin  Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano: << Perché le donne non denunciano lo stupro >>


Adesso incominciamo .
La  prima    da   https://www.fanpage.it/ 21 APRILE 2021  16:46   

                         di Gaia Martignetti

è una risposta a Beppe Grillo



 Eva Dal Canto (@alias_cwalpole)

 Eva ha 29 anni e a 17 anni ha subito uno stupro. Una violenza che ha impiegato anni per riconoscere. Dopo il video diffuso da Beppe Grillo in cui difende il figlio Ciro, accusato di aver stuprato una ragazza insieme ad altri, ha destato diverso scalpore un concetto: che la ragazza che accusa Ciro Grillo abbia sporto denuncia solo 8 giorni dopo. Senza entrare nel merito di una vicenda che dovrà essere chiarita dalla magistratura, Eva, di getto ha deciso di lanciare un hashtag, “#ilgiornodopo” per spiegare che non sempre si è consapevoli, non immediatamente, di aver subito uno stupro. Ha così deciso di raccontare la sua storia a Fanpage.it, nella speranza che molte persone possano sentirsi meno sole affrontano il proprio “giorno dopo”.
IL giorno dopo uno stupro si cerca di dimenticare, perché sempre più spesso si pensa di avere delle colpe, delle responsabilità. Il giorno dopo uno stupro, non tutte hanno la forza e la consapevolezza di denunciare immediatamente quanto accaduto. Parte da qui la battaglia a suon di hashtag lanciata da Eva Del Canto, giovane 29enne di origini toscane che ha trovato casa a Manchester. Parte da un frase, pronunciata da Beppe Grillo, Garante del Movimento 5 Stelle che ha condiviso sulla sua pagina social un video in cui difende il figlio, accusato insieme ad altri di stupro. Un'accusa che dovrà essere verificata dalla magistratura ovviamente, ma che ha destato in molte ragazze una perplessità, per una frase pronunciata proprio da Beppe Grillo: «Perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kite surf e dopo 8 giorni fa la denuncia vi è sembrato strano! Bene vi è sembrato strano, è strano!».
Grillo si riferisce alla tempistica con cui, colei che si dichiara vittima di violenza sessuale ha denunciato i presunti stupratori. E proprio sulla tempistica, sul cosiddetto "giorno dopo" Eva Del Canto ha deciso di condividere la sua storia.
   
 «Il giorno dopo può essere il giorno dopo nell'immediato, può essere immediatamente la mattina dopo. Io mi alzo, mi lavo e vado a fare kite surf. O può essere il giorno dopo inteso come un arco temporale più lungo, tanti giorni dopo. Il giorno dopo è il momento in cui comincia la sopravvivenza. Io ho ricevuto moltissimi messaggi da altre sopravvissute che mi hanno ringraziata, perché loro non riuscivano a verbalizzare ciò che ho detto anche io, persone sopravvissute agli abusi dei loro padri, dei loro zii, dei loro fidanzati di persone che conoscevano e che oggi hanno detto finalmente
è successo anche a me ti ringrazio per averlo detto». Tutto è partito da un post su Instagram che la giovane ha condiviso e che in molte hanno rilanciato con l'hashtag #ilgiornodopo.
Eva ha poi raccontato a Fanpage.it la sua storia, di come a 17 anni non fosse consapevole di aver subito uno stupro, di essere riuscita a riconoscersi come "sopravvissuta" solo dopo un percorso psichiatrico che continua ancora oggi. "Io non ho denunciato perché non non pensavo di doverlo fare, non pensavo di essere una vittima, pensavo di essere ugualmente responsabile. Adesso so che non ho più niente di cui vergognarmi e se c'è una cosa che ho imparato utilizzando i social, o confrontandomi con altre persone è che abbiamo tutti un potenziale di dolore che non riusciamo a esprimere, finché qualcun altro non lo esprime per noi». Immediate le risposte di altre ragazze che hanno postato la propria esperienza con l'hashtag #ilgiornodopo. Un modo non per rispondere a una frase, ma per sentirsi meno sole. E chiedere a chi in quel momento guarda una semplice foto, dietro cui si nasconde una storia difficile "e tu, cosa hai fatto il giorno dopo ?".

La seconda  è presa da repubblica  de 22\4\2021 

Gemma, da vittima a poliziotta a Londra: "Ho fatto arrestare il mio stupratore" 

                                di Romina Marceca    

"Andai in caserma 3 mesi dopo gli abusi. Lui mi minacciava: era il patrigno della mia migliore amica". Sei mesi fa la scoperta del profilo Facebook dell'uomo che abusò di lei. "Alle donne dico: denunciate quando arriva il vostro tempo"

Gemma per quindici anni ha custodito nel silenzio tutto il suo dolore. "È arrivato il momento di liberarmi del mio passato. E l'unico modo per farlo è raccontare finalmente la mia storia a viso aperto". Gemma a 16 anni è stata una delle vittime di Luciano Scibilia, il bidello pedofilo di Monterosi, in provincia di Viterbo, che nel 2006 venne accusato da circa venti minorenni.
Si professava pranoterapeuta e stuprava le ragazzine. Scibilia è stato estradato dalla Repubblica Dominicana quattro giorni fa. Era latitante da almeno due anni. Una volta in Italia è stato arrestato perché ritenuto uno dei 19 sex offenders più pericolosi e inserito nella lista di Europol. Deve scontare una condanna definitiva a 5 anni e 2 mesi. "Quando decisi di denunciare andai alla questura di Viterbo. Ero una ragazzina. Avevo avuto il coraggio di dirlo ai miei genitori solo tre mesi dopo i ripetuti abusi. Lui mi minacciava e non trovavo la forza di parlare a mia mamma, non riuscivo nemmeno ad avvicinarmi a mio papà. Ero terrorizzata. È difficile da spiegare. Quello era il patrigno di una delle mie migliori amiche, in quella casa avevo trascorso tanti pomeriggi", ricorda Gemma.
da repubblica  
"Sono nel Safeguarding department, quello che si occupa di abusi tra le mura domestiche e di violenza sulle donne. Tutto torna e quelle vittime che hanno vissuto il mio incubo le accompagno in tutto il percorso di denuncia. Minacce e violenze non finiranno mai. Sono reati che ci sono da secoli. È un cancro della società che va curato e sconfitto", spiega.
Per Gemma andò diversamente in quel maledetto 2006: "Quando mi presentai in polizia avevo chiesto di parlare con una donna ma ho dovuto ricostruire tutto a due uomini. In ospedale venni visitata da un medico, avevo chiesto la possibilità di incontrare una dottoressa. In cinque abbiamo testimoniato al processo, le altre sono state annientate dalla paura". 
Nel 2007 l'arresto di Scibilia. "Ho pianto per tutta la giornata quel 5 giugno. Mi sono chiusa nella mia camera e ho cominciato a urlare, mi sono sentita liberata. Tutti i miei amici sono venuti a casa per confortarmi. Ma a Monterosi, dopo la denuncia, ero sotto il bersaglio di voci, sguardi, pettegolezzi. Insomma, sembrava che invece di essere la vittima ero la carnefice". Per fortuna adesso non è più così. "C'è più supporto per le donne", ne è convinta.
Negli anni del processo Gemma e le altre si sono presentate a ogni udienza: "Era un tormento, lui non era mai in aula. C'erano rinvii continui e noi vittime eravamo stremate". Fino a quando Gemma ha deposto al processo. "Anche questa fase è stata sfiancante ma sono sempre stata forte. Non c'era nemmeno un paravento. L'aula era aperta, c'erano i giornalisti. Lui era lì stavolta".
La sua voce si è incrinata nei primi minuti, poi Gemma è andata spedita nella ricostruzione della sua adolescenza spezzata. "Quegli occhi puntati su di me, però, me li sogno ancora", ricorda. Alla fine del processo, di Scibilia non si seppe più nulla.
"Avevamo chiesto e scritto in denuncia, come vittime, di essere informate sulle indagini. Ma non abbiamo avuto mai alcun sospetto che lui fosse latitante, sapevamo che era residente a Roma. Da poliziotta ho consultato la lista dei ricercati in diverse occasioni e lui non c'era. Negli anni più volte ho chiamato la polizia italiana per sapere che fine avesse fatto quell'uomo ma non sono mai stata ricontattata", racconta Gemma, 31 anni tra qualche settimana. Sei mesi fa, una ricerca fatale su Google.
"Ho inserito il suo nome, non credevo ai miei occhi. Quell'uomo aveva un profilo Facebook. Ma come era possibile? - è ancora incredula Gemma - Ho inviato una mail alla polizia con il link del suo profilo, ero preoccupata. Da lì sono partite le indagini che lo hanno incastrato, come apprendo dai giornali. Ma nessuno mi ha convocata. Mi faccio una domanda che resta senza risposta: e se fossi andata in vacanza a Santo Domingo?".
In questi giorni è scoppiata la polemica per le dichiarazioni di Beppe Grillo arrivate all'indomani dell'arresto del figlio per violenza sessuale. Gemma le ha lette, quelle parole le hanno fatto male.
In questi giorni è scoppiata la polemica per le dichiarazioni di Beppe Grillo arrivate all'indomani dell'arresto del figlio per violenza sessuale. Gemma le ha lette, quelle parole le hanno fatto male ."Quelle dichiarazioni sono assurde, chi per sua fortuna non è stata vittima di abusi non ha il diritto di parlare. Il giorno dopo essere stata violentata sono andata a scuola come se nulla fosse, ai miei genitori ho detto tutto dopo tre mesi", si sfoga Gemma.
E aggiunge: "Alle donne dico di non sentirsi mai in colpa, purtroppo con la violenza subìta ci conviveranno ogni giorno. Non c'è un tempo per denunciare, lo farete quando sarà arrivato il vostro tempo. Nessuno vi giudicherà nelle forze dell'ordine, noi lavoriamo sui fatti. Ma ci vuole empatia e sostegno per le vittime. Quello degli abusi non è un problema solo delle donne ma di tutti quanti".
Ora che lui è in carcere in Italia cosa prova Gemma? "Questo arresto è frutto del mio impegno. Cinque anni e due mesi di carcere sono veramente nulla rispetto a quello che ci portiamo dentro noi vittime. Il nostro prezzo è questo?", si chiede. In sentenza ci sono 190 mila euro di risarcimenti per le vittime di Scibilia. "Quelli sono soldi sporchi e non li voglio. Se solo dovessi ritirarli, li darei in beneficenza".

18.4.20

Le storie di chi ha vissuto, e superato, la malattia del coronavirus nei paesi della prima zona rossa, tra Codogno e Lodi

dedicato  a  chi   soffre (  e  gli capisco  )  a stare chiuso o a non oter  fare la vita  di prima  e vuole ritornare ala normalità  ma sopratutto  a chi    coltiva  teorie complottiste  e menate  varie  .  soprattutto la leggetevi la testimonianza di chi diceva  sono fake news  e poi  s'è ammalato  


da repubblica  del 17\4\2020


I racconti   "Noi, guariti dal virus ora abbiamo paura anche dell’aria"

                                    di Brunella Giovara


Allora, si guarisce. Il medico ti dice «sei negativo, vai a casa e non pensare a cose brutte». Ma non si guarisce mai, da queste parti serviranno molti psicologi perché le cose tornino al loro posto. Intanto si prende il sole in cortile, come fa Andrea Facchini, ufficialmente guarito, immune dal virus, donatore di plasma. Ma Andrea riceve in giardino. Dice «non so quando uscirò da qui. Non sono ancora tranquillo". Il fisioterapista Facchini vive a Chignolo Po, anche qui la grande malattia ha colpito duro, e andando da Milano a Pavia, ma anche verso Lodi, si vedono solo tir e furgoni impazziti che devono consegnare d’urgenza, i paesi sono sbarrati, le campane battono a morto a tutte le ore.
Nel caldo di questo cortile, Andrea racconta di essere stato dimesso il 19 marzo. Uno dei primi ad
ammalarsi - giocava a calcio con l’amico Mattia, - anche detto paziente numero 1 - uno dei primi guariti. Abbraccia il cane Neve «che mi ha tanto aiutato perché mi ha fatto giocare, e sorridere», anche la moglie Emanuela è speciale, gli ha tenuto la mano per giorni e notti, «le gambe mi tremavano, avevo gli occhi fuori dalle orbite, non dormivo». Prima c’è stata la quarantena, solo. Ma se dovesse dire quando è davvero guarito, questo è successo solo 10 giorni fa, finite le crisi di panico «sono tornato l’Andrea di prima».
E andando avanti verso Sant’Angelo Lodigiano, lungo la provinciale c’è silenzio e un caldo da estate, e si arriva alla villetta a schiera di Domenico Bellani, consulente finanziario di 57 anni. Una strada vuota, mascherine e guanti appesi al sole, un bucato normale. Bellani non esce e non apre la finestra: «Ho paura dell’aria, non si sa mai». All’inizio pensava «il virus è una bufala per fare crollare i mercati». Ieri stava dietro il vetro, con la mascherina «che non tolgo mai. Vivo al piano di sopra, la famiglia sotto. Non voglio rischiare, il vento mi fa paura. Sono anche diventato tachicardico ». I primi tre giorni «seduto su una poltrona in un atrio senza finestre, quanti eravamo in quei giorni? Non lo so, tanti. Era il Policlinico di Pavia, il telefono non prendeva, ero solo». Vive di brutti ricordi, «una donna anziana seduta accanto a me», poi spostata su una barella, poi morta, messa in un sacco nero, il braccialetto che aveva al polso staccato dal polso e attaccato al sacco. «Un signore di 63 anni, nudo a parte il pannolone, e con il casco in testa, poi sedato perché cercava di strapparselo ». Passerà? «Ho bisogno di tempo. Ma fino a metà maggio non esco, ho deciso così».
Al Policlinico di Pavia c’è Francesco Falaschi, 54 anni, dirigente medico di primo livello. Partito il 23 per Codogno con due colleghi, «il primario Scanzi era rimasto solo, bisognava aiutarlo». Dopo sei giorni è tornato nel suo reparto perché i pazienti dalla zona rossa venivano mandati qui «e ricordo una notte, un’ondata di malati, e ho ben presente il momento, non mi sono protetto abbastanza», era stanco anzi stravolto, basta poco, ci si infetta. In clausura a casa, «mia moglie mi lasciava il piatto fuori della porta. Solo con il mio saturimetro, pensavo, vabbè, non sono grave». Ma un medico ha altre risorse, «siamo abituati all’incertezza, diverso e per una persona che non ha mai avuto o visto una malattia grave», non ha mai visto morire qualcuno, il trauma è enorme. Falaschi sta seduto nel suo studio, ci si arriva dopo giri e ascensori per evitare i reparti Covid, poi si entra ma sembra un deposito, ci sono scatole di camici e di maschere Decathlon, «chiuso in casa, mi sono fatto venire delle idee, "facciamo un appello, se ci regalano delle maschere da sub per l’emergenza", ne sono arrivate fin troppe, adesso abbiamo costruito le valvole nel nostro laboratorio 3D», serviranno per l’ondata prevista a giugno, «Poi ho lanciato la sottoscrizione per i monitor, ho raccolto 120mila euro…». «La gente ti chiede garanzie, ma come dice Clint Eastwood, se vuoi una garanzia è meglio che ti compri un tostapane ». Non è cinismo, è che «loro sanno che il peggioramento porta alla morte, quasi sempre. Ti chiedono se gli esami vanno meglio, ma tra adulti ci si dice la verità» e così Falaschi è andato verso la guarigione, e poi verso il reparto Covid. E cosa si può dire a un anziano, quando anche lui si rende conto che «ogni battito cardiaco è regalato", dice Falaschi.
Michelangelo Scutellà, 97 anni, in quarantena «nella sua stanza, io nella mia», dice la figlia Grazia. L’ha scampata dopo due settimane all’ospedale di Asola. «Sta meglio, ma non sta ancora bene", e così Mario Scrigna, 84, contagiato in ospedale a Codogno. Il figlio Massimo dice «era un comunista, sempre stato di quella fede, ora ho trovato l’altra fede, prega molto, segue le messe in televisione».
«Io penso sempre ai morti, è la cosa che mi angoscia. Sono tornata a casa e ho chiesto dei vicini», l’elenco di infetti e morti era lungo, così Paola Pirillo ieri è tornata nella casa di riposo di Maleo dove fa l’impiegata, e «ho contato quelli che non ci sono più, una ventina su 120». Come si guarisce da tutto questo? «Io sono ancora incredula, come quando il medico di Cremona mi ha detto "la ricovero negli infettivi". Ero sbalordita. Non ho mai dormito, avevo paura», e quando il marito è andato a prenderla, non l’ha riconosciuta. «Avevo la maschera, ero stravolta, ho detto "sono io", mi ha fatto salire dietro e mi ha portata a casa», a Corno Giovine, provincia di Lodi, dove accoglie gli ospiti sotto il portico, In casa no.



Il diciottenne guarito Mattia: "Ora sono nato una seconda volta"

Ha superato la sua battaglia Mattia, 18 anni, dimesso ieri dall’ospedale di Cremona, dove è stato il malato di coronavirus più giovane. Al fianco mamma Ombretta, i medici e gli infermieri che lo hanno
"adottato".
«Vado avanti con la consapevolezza di essere maturato, sono nato per la seconda volta». Dopo 25 giorni tra terapia intensiva e reparto fino a diventare negativo, dice: «Dopo il risveglio, in rianimazione ho pensato: "dove sono? Cosa faccio qua?"

complottismo e fake news perchè la gente ci crede

  come  anticipato  nella  chiusura  del  post  precedente  : <<   le  paure  ed  i  dubbi  inutili  , insieme al  complottismo e  dis...