Per spiegare il perchè ho dedicato e dechirò spazio alle paraolimpiadi e a tali storie , lo scoprirete leggendo la storia che segue .
da UltimoUomo 5\9\2024 di Sebastiano Leonida Bianco (foto) Illustrazione di Livia Albanese
Inter-Empoli 4-2
Ogni
volta che passo da San Siro, i miei occhi non possono fare a meno di
cercare l'esagerata imponenza brutalista delle rampe che avvolgono
quello stadio. La vista di quel gioco di spire mi fa tornare in mente
quanto mi impressionò la prima volta che mio padre mi portò a vedere l'Inter al Meazza. Era l’autunno del 1998 e avevo dieci anni.Osservo
quelle rampe anche la sera del 6 maggio 2022, mentre spingo la sedia a
rotelle su cui è seduto mio padre. È la prima volta che io lo porto
in quello stadio: ora, senza di me, non potrebbe né raggiungerlo né
entrarci. Adesso mio padre è un invalido non deambulante, per il
regolamento dello stadio non può più accedervi da solo e in ogni caso
non ne sarebbe in grado.Si tratta di un piccolo esempio di
quell’inversione di responsabilità tra genitore e figlio che può
verificarsi nella fase più tarda della storia di una famiglia, quando un
genitore non riesce più a essere autosufficiente. Una dinamica che
alcune persone interpretano come il nobile compimento del valore
familiare del mutuo aiuto (rappresentato da frasi come «mi prendo cura dei miei genitori perché loro hanno fatto tanto per me»), mentre altre la considerano soltanto uno spauracchio o una sventura (in questo caso, le affermazioni somigliano a un «spero di non ritrovarmi mai a dover accudire i miei genitori»).Quella
sera continuo in sottofondo a rimuginare, come faccio da mesi, la
sensazione autocommiserante d’aver vissuto una vita ingiusta. Mio padre è
stato un artista, uno scultore principalmente, autodidatta e avulso
rispetto al sistema dell’arte contemporanea. La mia storia, come quella
della mia famiglia, non poteva che procedere nel solco delle sue scelte
professionali poco convenzionali e senza compromessi. Ogni contesto di
crescita lascia le sue eredità positive, ma ha anche un prezzo da pagare
che può essere difficile da accettare. Al di là della complessa eredità
psicologica con cui devo fare i conti, non riesco a perdonare a mio
padre il disagio economico che ci ha fatto affrontare: purtroppo in
questo Paese il destino di una persona, la sua possibile realizzazione,
dipende soprattutto dal potere di spesa della famiglia in cui è
cresciuto.Mentre andiamo a vedere assieme Inter-Empoli,
sono consapevole di non essere lì per sdebitarmi con lui, di non essere
mosso da un senso di gratitudine nei suoi confronti.Ma non
è nemmeno la voglia di vedere quella partita dal vivo che mi ha spinto a
organizzare quella serata, anzi. È passata poco più di una settimana da
una sconfitta di Bologna dai contorni tragicomici che ha compromesso la
possibilità di vincere lo scudetto. E sto ancora cercando di capire
perché sono stato così male di fronte a quella delusione sportiva: non
avevo sofferto così tanto neppure il famoso 5 maggio, quando
ero un ragazzino fragile che agognava di vedere per la prima volta uno
scudetto dell’Inter. Ora sono un adulto e dovrei avere gli strumenti
razionali per non abbattermi, ma non riesco a mettere un confine alla
delusione.

Quella
sera inizio a capire che i motivi del mio dolore calcistico
sproporzionato sono intrecciati con i motivi che mi spingono ad essere
lì a San Siro per un Inter-Empoli.Mio padre è stato riconosciuto come invalido in seguito alla diagnosi (nell’autunno del 2018) di un mesotelioma pleurico bifasico,
all’interno di un quadro clinico generale già complicato. Questo tumore
solitamente insorge in seguito all’esposizione a fibre di amianto, cosa
che potrebbe essersi verificata respirando per decenni polvere di
pietra. Non ci fu data un’aspettativa di vita precisa, sapevo solo che
la sopravvivenza media, in questi casi, è di circa 12 mesi. Fare i conti
con la prospettiva concreta della morte di mio padre aveva stravolto
tante cose nella mia vita, compreso il modo in cui leggevo i risultati
della nostra squadra del cuore. La prima volta era successo proprio
quell’anno, con l’eliminazione dell’Inter di Spalletti dai gironi di
Champions: mio papà non vedrà mai più una partita di Champions dell’Inter? Poi la sconfitta in finale di Europa League, dopo il lockdown: mio papà non vedrà più l’Inter vincere un trofeo?
E poi di nuovo, appunto, quella sconfitta a Bologna, che forse
cancellava l’ultima occasione per vedere assieme la seconda stella.Qualsiasi
tifoso riveste i risultati sportivi della sua squadra del cuore con
stratificazioni di significati personali di cui spesso non è neanche
consapevole. Prima di quella partita, alcuni dei fili che mi tenevano
legato all’Inter stavano diventando troppo evidenti per continuare a
ignorarli. Ho voluto portare mio padre allo stadio perché quella
potrebbe essere una delle ultime occasioni, per noi, di vedere assieme
una partita dell’Inter dal vivo.La partita, nel suo
svolgimento, è avvincente. Nei primi minuti cala il gelo sullo stadio
dopo due gol dell’Empoli, ma poi l’Inter rimonta e vince con veemenza.
Nel viaggio di ritorno cerco di far ricordare a mio padre quello che è
successo in campo, o anche semplicemente il fatto che siamo appena stati
a San Siro. Da quando si è ammalato, ha iniziato a lamentare una
stanchezza cronica alla quale ha reagito scegliendo di dormire quasi
tutto il giorno, tutti i giorni, causandogli un evidente decadimento
della memoria. Mentre guido, continuo a stare male, perché so che non
vedrà vincere uno scudetto che non sarebbe neanche riuscito a ricordare.
Gli dico che, se non morirà prima e se lo vorrà, lo porterò di nuovo a
San Siro nella stagione successiva.
Inter-Spezia 3-0
Rispetto
quella promessa appena possibile, il 20 agosto 2022, seconda giornata
di Serie A, prima partita in casa. Il giorno di Ferragosto la mia auto
mi ha lasciato a piedi e ho dovuto chiedere in prestito a mia sorella la
sua per poter portare mio padre allo stadio. La mia famiglia vive a
Pavia da oramai più di vent’anni, una città in cui ci siamo ritrovati
dopo un’infinita serie di vicissitudini e che mio padre, milanese dei
navigli, ha sempre mal sopportato. La sua invalidità ha reso la
trasferta Pavia-Milano decisamente più complicata e avere a disposizione
un’auto è praticamente necessario.L’accredito per la zona
disabili del Meazza si ottiene previa prenotazione: per usufruirne, è
necessario presentarsi davanti all’ingresso 11 almeno mezz’ora prima del
fischio d’inizio, altrimenti il posto non è più garantito. È difficile
calcolare bene i tempi quando si porta un disabile allo stadio: da un
lato c’è la paura di arrivare tardi e perdere il posto, dall’altro il
pensiero iperprotettivo che ti porta a evitare di arrivare troppo in
anticipo, per non tenerlo lì più tempo di quello che è in grado di
sopportare. Il problema non è tanto il viaggio in auto, che il giorno di
una gara dura circa un’ora, ma ciò che bisogna fare prima. Preparare
mio padre a uscire di casa non è semplice, richiede tempo e soprattutto
molte energie.L’Inter garantisce ai disabili anche un
accredito per il posteggio più vicino allo stadio, in via Tesio. Una
volta posteggiato, devo scaricare la sua sedia a rotelle (un pesante
modello economico, neanche concepito per spostamenti di questo tipo) e
farci salire mio padre. A quel punto, si esce dal posteggio e si
attraversa il piazzale fuori dal Meazza, dove si trova la fila dei
paninari e il fiume di tifosi che gli gira attorno. Per non perdere
tempo, gli accompagnatori con le carrozzine tagliano la circolazione
perpendicolarmente, e passano in qualche pertugio in mezzo ai
camioncini. A quel punto si vede il Gate 11.Due ore prima
del fischio di inizio di Inter-Spezia, c’è una lunga fila di carrozzine
davanti a quell’ingresso. L’attesa in coda è parecchio frustrante: anche
se il sole si avvia al tramonto, siamo comunque su una distesa di
asfalto con il caldo di agosto. Intanto, il flusso di tifosi scorre
rapidamente dai tornelli degli altri ingressi, aggiungendo ulteriore
fastidio. Una classica situazione in cui la gente inizia a borbottare,
evocando le ingiustizie italiane.

Il
sistema di accoglienza per i disabili al Meazza è abbastanza macchinoso
e il personale deve impegnarsi molto per cercare di limitare i disagi
dovuti all’inadeguatezza della struttura.L’accesso in
questione ha anch’esso un tornello che, però, è utilizzato soltanto da
una hostess per convalidare i biglietti con gli accrediti. Il disabile e
il suo accompagnatore transitano invece da un cancello a fianco. Il mio
sospetto è che da quei tornelli non potrebbe neanche passarci una
carrozzina e che in realtà siano stati installati – ai tempi del decreto
Pisanu – senza preoccuparsi troppo dell’accessibilità per i tifosi
diversamente abili. Questo ingresso, inoltre, è adiacente a quello per i
tifosi ospiti: una scelta che immagino dettata dall’esigenza di tenere
entrambi gli accessi quanto più vicini al posteggio. Ma se il settore
ospiti è al terzo anello verde, praticamente di fianco all’ingresso
dedicato, l’area per i disabili è al primo anello arancio, cioè
dall’altra parte dello stadio. Immagino che a nessuno sia mai passato in
mente di realizzare la zona invalidi nel più vicino primo anello rosso:
lì, infatti, si trovano i posti migliori della cosiddetta corporate hospitality,
con biglietti venduti a svariate migliaia di euro. I tifosi più
abbienti pagano certe cifre anche per entrare rapidamente allo stadio.
Per arrivare alla zona dedicata ai disabili bisogna, così, girare
attorno all’impianto, tagliando di nuovo i flussi delle persone che
entrano dagli altri ingressi, per avanzare nella zona di deflusso più
compressa, dove lo stadio è incastonato con Via dei Piccolomini.Qui,
i vomitori di accesso alle tribune mostrano il cronico problema di
spazi che affligge l’impianto. Il vomitorio centrale, in cui sono
ricavati dei bagni e uno spazio di ristoro, è quello più sovraffollato:
acquistare qualcosa da mangiare o bere non è semplice in carrozzina e
per metterci una pezza il personale regala due bottigliette d’acqua a
ogni disabile.Arrivati nella zona dedicata agli invalidi,
ci sono alcuni addetti che molto gentilmente accompagnano alla piazzola
assegnata, delle dimensioni di una carrozzina standard (troppo piccola,
quindi, per accogliere una più lunga carrozzina motorizzata). Questi
spazi sono ricavati nella pedana alla base della tribuna, subito dietro
le due file di tabelloni pubblicitari, praticamente all’altezza del
terreno di gioco. Solo una manciata di piazzole è affiancata da piccoli
sedili per gli accompagnatori, e la maggior parte di questi ultimi si
accomoda nel posto immediatamente alle spalle del disabile, nella prima
fila della tribuna.Quella pedana, però, funge anche da
camminamento per gli spettatori di tutta la parte inferiore della
tribuna arancio, sia per il deflusso, sia per accedere ai servizi: a San
Siro l’accompagnatore – la cui presenza è obbligatoria – non può stare
vicino al disabile di cui è responsabile, ma lo controlla da qualche
metro, guardandogli le spalle, separato da un camminamento. Solo il
disordine in occasione dei gol permette agli accompagnatori di
controllare da vicino i disabili senza sentirsi in colpa per aver
intralciato la visuale a chi, seduto nelle file immediatamente dietro,
ha speso qualche centinaio di euro per un biglietto al primo anello.Come
se non bastasse, un grosso cordone – come quelli che associamo alle
passerelle nelle serate di gala – divide in due lo stesso camminamento,
per separare meglio la parte dedicata ai disabili da quella dedicata
agli spostamenti degli spettatori in tribuna. Un divisore che
inevitabilmente separa anche il disabile dal suo accompagnatore, che
così, qualora voglia raggiungere l’invalido, deve inchinarsi per
superarlo.Quando si parla del futuro di San Siro, o degli
eventuali stadi nuovi che Inter e Milan potrebbero costruire, si insiste
spesso su questioni di tipo economico che ruotano attorno alla
distribuzione dei posti e del loro costo: ciò che rende il Meazza
inadeguato ai tempi sarebbe, innanzitutto, la scarsità di posti ad alto
prezzo. Solo recentemente l’amministratore delegato dell’Inter
Alessandro Antonello ha sottolineato che il prossimo stadio dell’Inter
(che sia un San Siro ristrutturato o uno stadio nuovo a Rozzano) dovrà
risolvere il problema dell’accessibilità dei tifosi disabili. Sistemare le criticità della zona invalidi del Meazza rischia di essere un’impresa non facile. Nella presentazione della proposta di ristrutturazione dello studio Arco Associati
(usata dal sindaco Sala per riaprire il discorso sulla
ristrutturazione) è stata inserita una foto del settore invalidi di
Wembley, uno stadio costruito ex novo dopo aver raso al suolo quello
vecchio. Quali potrebbero essere i margini di intervento su
un’architettura come il primo anello di San Siro, che a breve compirà
cent’anni?Non che non siano già stati compiuti sforzi per
migliorare un po’ la situazione. Prima dei lavori di ristrutturazione
per la finale di Champions del 2016, la visibilità dei posti riservati
agli invalidi era praticamente nulla: si è potuto abbassare la vecchia balaustra soltanto grazie a una delega del prefetto.Adesso,
per fortuna, un invalido può andare a San Siro non solo per fare
presenza, ma anche per vedere la partita. Stare così in basso e vicino
al campo rende più faticoso seguire il match, ma è comunque
un’esperienza interessante. Qui si riesce ad avere una reale percezione
di quanto siano stretti gli spazi tra i corpi dei calciatori, di quanto
siano rapidi i momenti in cui devono prendere decisioni e compiere gesti
tecnico-atletici. La sera di Inter-Spezia c’è il ritorno di Lukaku a
San Siro ed è impressionante vedere da vicino la sua imponenza. L’Inter
in generale pare una squadra di uomini enormi e massicci, con un solo
essere umano normale, Dimarco.Quei posti in prima fila, a
cui si accede senza pagare, di fianco a persone che invece hanno speso
parecchio per una esperienza simile, potrebbe essere considerata da
qualcuno ciò che giustifica tutti quei problemi di
accessibilità. O, ancora peggio, può alimentare l’idea, molto italiana,
che tra i disabili ci siano quelli che in gergo giornalistico sono
chiamati furbetti: in questo caso, persone che fanno finta di essere invalide per ottenere dei privilegi.Questo
è un video che i social ripropongono da anni per racimolare un po’ di
indignazione ed engagement. Da quello che vedo, e per quella che è la
mia esperienza personale, quella persona potrebbe essere tranquillamente
un invalido non deambulante in grado di alzarsi da solo da una sedia a
rotelle. Lo dico perché anche mio padre può alzarsi in autonomia, ed è
ancora capace di percorre qualche passo da solo. Non per questo può
camminare senza correre seriamente il rischio di cadere, o può farlo per
più di due metri. Essere invalidi e aver bisogno di assistenza non
significa soltanto non riuscire ad assumere una posizione eretta. La
disabilità è una condizione complessa e questo costringe molte persone a
fare i conti con il sospetto altrui, un sospetto che a volte è anche
istituzionale: per un invalido, riuscire a dimostrare legalmente la
propria condizione, per ottenere determinati benefici, non è affatto
semplice come ingenuamente preferiamo pensare.

Dopo
il fischio finale di Inter-Spezia, rientro nel parcheggio con mio
padre. Un signore scende dalla sua carrozzina, la piega, la ripone
dentro l’auto di fianco alla nostra, claudicante raggiunge il posto del
guidatore, mette in moto e va via.
Inter-Empoli 2-0
Dopo
quell’Inter-Spezia non siamo più riusciti a tornare a San Siro per
molti mesi. La salute di mio padre era peggiorata, tanto che i medici
avevano ipotizzato un nuovo tumore. In quelle condizioni era
praticamente impossibile pensare di portarlo fuori di casa. Soltanto
dopo l’estate del 2023 l’ipotesi di un altro cancro viene scongiurata e
si riesce a curare e migliorare un po’ la sua condizione.
A
novembre mi imbatto per caso nel video di un tifoso disabile del
Venezia che racconta il suo viaggio per andare a vedere una partita al
Penzo. Nel guardarlo non riesco a trattenere la mia commozione.
Questo
mi spinge a chiedere a mio padre se vorrebbe tornare a San Siro. Lui mi
risponde di sì con entusiasmo, ma mia madre mi suggerisce di aspettare
il clima più mite della primavera.
L’occasione si presenta
di nuovo con un Inter-Empoli, il primo aprile di quest’anno, giorno di
Pasquetta. Sono passati quasi due anni da quella prima volta, ed io ho
dipanato qualche filo nel complesso nodo che mi ero ritrovato tra le
mani. Intanto sta succedendo quella cosa che pensavo oramai impossibile,
vedere la conquista della seconda stella assieme a mio papà.
Generalmente
tendiamo a sopravvalutare il ruolo della trasmissione ereditaria del
tifo e a lasciare in ombra i significati che alimentano la fede per una
squadra. Ad esempio, la passione di Peppino Prisco, «il più grande
interista di sempre», era nata senza un legame familiare.
Mio padre non è mai stato grande appassionato di calcio, nonostante
nella sua famiglia fossero un po’ tutti abbonati allo stadio, e quando
io ero bambino non ha fatto nulla per far crescere in me la fede
nerazzurra. Si può dire che eravamo entrambi interisti solo nominalmente,
senza che questa cosa avesse per noi un impatto tangibile. Poi a Milano
arrivò Ronaldo e per entrambi sorse la curiosità verso quello che
sembrava un evento storico. Iniziare a seguire assieme quella
squadra, gradualmente con sempre più attenzione, è ciò che ci ha portato
poi a diventare tifosi: inconsapevolmente avevamo costruito qualcosa di
nostro.Mentre crescevo e mi emancipavo da lui,
guardare una partita dell’Inter assumeva un nuovo significato,
diventando un momento condiviso in periodo in cui le attività e le idee
comuni erano sempre meno.Ecco perché abbiamo visto assieme praticamente tutte le gare della banter era
nerazzurra, nonostante la nostra squadra fosse una fonte continua di
delusioni: si trattava comunque di una sorta di rituale in cui
ricordarsi che, in qualche modo, c’eravamo ancora l’uno per l’altro.La
malattia di mio padre ha inevitabilmente scritto un nuovo capitolo di
questa storia. Affrontandola, ho capito che essere interista avrà per me
un altro senso quando lui non ci sarà più, un senso che probabilmente
ora sto già costruendo, ancora una volta senza rendermene conto.L’Inter
è quindi parte di un bagaglio che mi lega a una persona con cui ho
avuto un rapporto stretto e complesso. Portare allo stadio mio padre non
rientra semplicemente in un gioco di crediti e debiti, un sistema di
doveri incrociati che si invertono nell’evoluzione anagrafica del
rapporto padre-figlio. È, piuttosto, un ulteriore mattoncino in
un’esperienza costruita assieme. È qualcosa che organizzo per noi.La
sera di Pasquetta andare a vedere Inter-Empoli si rivela pure più
complesso delle altre volte. Arriviamo allo stadio all’ultimo secondo,
con Milano che è già stata già spazzata da un violento temporale. I
limiti dell’impianto, questa volta, si mostrano mentre siamo in attesa
di usare l’unico bagno per disabili nelle vicinanze. Non ci sarebbe
neanche lo spazio per mettere in coda una carrozzina, ed è pieno di
gente che passa da tutte le parti. Quando è il nostro turno, un tifoso
normodotato cerca di passarci davanti, e per fermarlo riesco a trovare
un equilibrio tra fermezza ed educazione che non ho mai neanche sfiorato
in tutta la mia vita.Mentre la gara inizia, raggiungo il
posto di mio papà per assicurarmi ancora una volta che sia tutto ok. Mi
accorgo che sta piangendo, ma cerca di tranquillizzarmi, è solo
l’emozione. L’Inter segna dopo pochi minuti grazie alla solita
connessione tra Dimarco e Bastoni, come da prassi mi avvicino nuovamente
e noto che si è commosso ancora. Mi dice che ultimamente è diventato
più sensibile.La partita scorre via poco brillante. A un
certo punto si siede al mio fianco un ragazzo che si trascina una gamba
bloccata da un tutore. Si lamenta che gli hanno impedito di portarsi le
stampelle dentro lo stadio e che lo hanno dirottato lì, anziché fargli
raggiungere il posto che aveva acquistato. Da quello che ho capito, una prassi comune.
Inter-Lazio 1-1
Mio
padre non è l’unico invalido nella mia famiglia. Poco più di due anni
fa è stata diagnosticata a mia madre una forma di SLA che ha costretto
anche lei sulla sedia a rotelle, non senza averle prima procurato
qualche caduta e qualche osso rotto.
Prima di ammalarsi, a
mia madre non importava nulla del calcio e non aveva nemmeno una grande
opinione della passione mia e di mio padre. A lei lo sport piaceva
praticarlo, mentre difficilmente si calava nei panni della semplice
spettatrice. Per una parte importante della sua vita ha giocato a basket
con risultati non banali (a Taranto ha vinto un campionato nazionale
allieve, in seguito, a Varese, ha anche giocato in Serie A), ma l’ho
vista guardare una partita di pallacanestro solo in rarissime occasioni.
Mi sono fatto l’idea che l’attrazione di mia madre per lo sport non
dipendesse tanto dal suo aspetto agonistico, quanto piuttosto dalle sue
dinamiche umane e sociali. Quando racconta i ricordi di quel periodo,
tende sempre a soffermarsi sui momenti in cui si cementava l’amicizia
tra compagne di squadra.Sono stati anzitutto i casi tra
gli sportivi a portare le malattie del motoneurone all’attenzione
pubblica. Un tempo si parlava di morbo di Lou Gehrig, dal nome del primo sportivo famoso che rese celebre queste patologie. Spesso si discute del possibile legame
tra la loro insorgenza e la carriera sportiva, ma allo stato attuale
non possiamo sapere se quest’ultima sia stata la causa della patologia
di mia madre. Di sicuro, però, questa malattia ha cambiato il suo
rapporto con l’essere spettatrice: con la progressiva difficoltà nei
movimenti è aumentato anche l’interesse per le gare in televisione.Questo
si è spontaneamente intrecciato con il rituale interista tra me e mio
padre, che gradualmente ha iniziato a coinvolgerla. Di nuovo, si è
sviluppato quel processo di riempimento di significato di un qualcosa
che, di per sé, potrebbe sembrare addirittura una perdita di tempo.
Seguire una squadra di calcio può essere un piccolo modo in più per
sentirsi legati a qualcuno, e questo emerge soprattutto nei momenti più
difficili di una persona. Immagino sia per questo che ha accolto la mia
idea – maturata dopo la partita contro l’Empoli – di provare a portarla a
San Siro con noi.Per organizzare il tutto ho dovuto
confrontarmi con alcune questioni. Anzitutto trovare un altro
accompagnatore, visto che io ovviamente non posso esserlo per due
persone. La soluzione è stata semplice, e abbiamo chiesto di
accompagnare mia mamma a una grande interista, amica di famiglia, che
l’aveva già aiutata tanto all’inizio della malattia.Il
problema vero, piuttosto, era la prenotazione. Per vedere una partita al
Meazza, un tifoso invalido dell’Inter deve assicurarsi il posto per sé e
per il proprio accompagnatore su un portale dedicato,
a cui deve iscriversi a proprio nome (è necessario utilizzare un
account personale sul sito ufficiale), allegando la documentazione che
attesta l’invalidità civile al 100%. Ogni account può registrare i suoi
possibili accompagnatori in un’apposita lista: nel momento della
prenotazione della gara deve indicare quale tra quelli lo porterà allo
stadio.Nel portale in questione sono arrivati ad essere
iscritti quasi 3000 tifosi disabili e oltre 6000 accompagnatori, a
fronte di circa 250 posti a loro riservati: con questi numeri,
l'assegnazione dei posti non può che essere un problema.Fino alla stagione 2023/24, le prenotazioni per le partite si basavano sul sistema del click day, con tutte le sue classiche criticità.
Le disponibilità si esaurivano con una velocità che poteva competere
con quella dei sold out dei Coldplay e i click day erano fissati pochi
giorni prima di una gara, complicando l’organizzazione dello
spostamento, specialmente per chi non vive a Milano. Probabilmente è per
questo che l'Inter ha deciso di eliminare la giungla del click day
dalla stagione 2024/25: ora è direttamente il sistema ad assegnare
automaticamente i posti dopo aver raccolto tutte le richieste (con una
settimana di anticipo rispetto alla gara), privilegiando chi ancora non è
riuscito ad assistere a un evento.Immagino che sia prassi
comune, per molti invalidi, fornire a qualcun altro i propri dati di
accesso al sito e delegare così la prenotazione. Nel nostro caso, mio
padre è da tempo totalmente incapace di usare un computer o uno
smartphone, mentre mia madre non ha più le mani sufficientemente
funzionanti per prenotarsi con la velocità richiesta.Ora, se
prenotare per un invalido Meazza tramite click day non era semplice,
farlo per due si presentava semplicemente come un’impresa. Non essendo
possibile completare due procedure in successione temporale, infatti, la
mia unica soluzione era provare a farle entrambe in contemporanea. Non
parliamo di un semplice click, ma di mettere le spunte a tutte le
autorizzazioni e selezionare l’accompagnatore dall’elenco, una serie di
piccoli gesti da compiere in una frazione di secondo.Il mio
primo tentativo è stato per Inter-Torino, dal pc, usando due browser
differenti in split screen, ma non sono riuscito a prenotare per nessuno
dei due. A quel punto l’ultima possibilità rimasta era Inter-Lazio del
19 Maggio, il giorno della premiazione, della festa con Ligabue e
Tananai, delle oltre duecentomila richieste per i biglietti.
Una partita inaccessibile. Ma anche il giorno del compleanno di mio
padre: tutto idealmente perfetto, quanto praticamente impossibile.Ho
provato a cercare qualcuno che mi aiutasse, ma alla fine mi sono
ritrovato di nuovo a provarci da solo, disilluso e senza convinzione. Ho
tentato con due dispositivi simultaneamente, il mouse del pc nella mano
destra, lo smartphone nella sinistra, affidandomi alla mia memoria
muscolare come se fosse l’ultra istinto di Dragonball. Ha funzionato.Non
ho ancora capito se sia in qualche modo possibile chiedere due posti
adiacenti per due persone invalide che si conoscono, così che possano
farsi compagnia. Con il click day, i posti erano assegnati uno-due
giorni dopo la prenotazione e non so se questo avvenisse casualmente o
seguendo un qualche tipo di criterio (temporale, alfabetico o altro).
Forse avrei dovuto compilare un qualche form durante la procedura (nella
frenesia del momento non ho nemmeno controllato), o forse avrei dovuto
scrivere una e-mail allo staff. Ho provato a chiedere qualche
informazione all’accesso dello stadio ma non ho ricavato molto. Alla
fine, nella lista delle prenotazioni i miei genitori risultavano come
due estranei e di conseguenza sono stati assegnati loro due posti
abbastanza lontani. Mi domando se con l’abolizione del click day non
diventerà ancora più complicato, per due invalidi amici o parenti,
andare assieme allo stadio. Ammetto che non ho ancora avuto
modo di occuparmi della questione. Di sicuro, sarebbe un po’ triste
scoprire che guardare una partita a San Siro davvero di fianco a un proprio affetto sia, in realtà, un piccolo privilegio per normodotati.Il
giorno di Inter-Lazio, dentro lo stadio, si siede alla mia sinistra una
caregiver che trascorre i primi minuti dalla partita a correggere dei
compiti su un tablet. Si farà coinvolgere solo nel secondo tempo. Suo
figlio, di fianco a mio padre, sembra un grande tifoso. Non ha le mani,
ma riesce a comunque a usare lo smartphone benissimo da solo, e a farsi
dei selfie usando il touchscreen con il naso. Poco prima
dell’intervallo, si siede alla mia destra un signore che tiene con sé
tanti fogli scritti a mano, pieni di quelle che mi sembrano poesie. Ho
sempre provato simpatia per gli estranei che incrocio allo stadio e
credo questo sia dovuto a una sensazione di comunanza nei loro
confronti. Lo percepisco ancora di più quando mi trovo nella zona
dedicata agli invalidi, perché intuisco le possibili storie che queste
persone si portano con sé dentro allo stadio e sento quanto sia
importante per loro quel momento.Quel giorno a San Siro c’è un enorme spettacolo di suoni e colori,
la cui bellezza, però, sta nell’essere espressione del senso che quel
successo sportivo ha per migliaia di persone. Il ventesimo scudetto, la
seconda stella, la vittoria matematica nel derby contro il Milan, sono
tutti simboli di per sé vuoti, che acquistano il loro spessore
riempiendosi di significato grazie alle storie, agli affetti, alla vita
dei tifosi.Sempre più spesso si sentono giornalisti, dirigenti, o anche semplici tifosi che parlano del calcio nei termini di un prodotto di intrattenimento, uno spettacolo che serve a riempire le intercapedini di tempo nelle giornate delle persone (o meglio, dei consumatori), a fornire una forma appagante di distrazione. Le partite, in quest’ottica, sono ridotte a eventi da massimizzare
per competere con l’esperienza altre attività più adrenaliniche (come,
ad esempio, i videogiochi). A mio avviso, le persone che fanno questi
discorsi in realtà partecipano a qualcosa senza neanche rendersi conto
di cosa questo significhi davvero per loro. Mi fanno arrabbiare, ma in
realtà un po’ li capisco, perché da quella confusione ci sono passato
anch’io.Dopo Inter-Lazio, finita la premiazione, io e i miei
conveniamo che è meglio evitare i concerti e iniziare a muovere verso
casa. Sono stato tutto il tempo dietro mio papà e solo uscendo dallo
stadio posso parlare un attimo con mia mamma. Non avevamo messo in conto
i decibel di San Siro: mia madre soffre di otosclerosi, usa
l’apparecchio acustico e ha un rapporto un po’ complicato con i suoni
molto forti, che sente distorti. È un po’ frastornata, quindi aspetto
d’averla riportata a casa prima di chiederle come ha vissuto la sua
prima volta allo stadio. Mi confessa che in realtà si è sentita un po’
sola e che avrebbe voluto averci vicino, ma che comunque si è divertita e
ha pure fatto un po’ di foto e di video. Il giorno dopo noto che li ha
condivisi su Facebook.«Interista?», le commenta un suo cugino. «A forza di stare con due interisti... Solo da poco mi sono appassionata...»