Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
23.1.24
perchè il 27 gennaio , cioè il giorno della memoria non DOVREBBE ESSERE solo una giornata pulicoscienza
27.10.22
"Grazie all’affido sono riuscito a lasciare il campo rom": la vita nuova del giovane Rambo un anima salva di de andrè
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- Via libera in Piemonte a "Allontanamento zero", la legge contro gli affidi: la destra esulta in aula di Mariachiara Giacosa 26 Ottobre 2022
de andrè aveva ragione
A otto anni è finito in una comunità, poi in una nuova famiglia. Ieri l'ultimo esame in Scienze dell'educazione: "Ho una moglie, un figlio, un lavoro: aiuto i ragazzini a liberarsi come me". Ieri la maggioranza di centrodestra in Piemonte ha votato la legge "Allontanamento zero" che privilegia le famiglie d'origine ostacolando affidi e adozioni
"Partiamo dal mio nome. Mi chiamo Rambo. Rambo Bologna Halilovic. Sono rom e sono nato 34 anni fa in Italia. Sono stato fino a sette anni nel campo di strada dell'Arrivore, a Torino, quando poi è successa una cosa che tra i rom non è accettabile: i miei genitori si sono separati e questo è stato l'inizio di tutto" . Rambo - che ieri ha superato l'ultimo esame a Scienze dell'educazione, lavora già da anni nelle comunità, si è sposato e ha un figlio piccolo - racconta le sue tante vite, prima e dopo quel giorno in cui la madre, intorno agli otto anni, gli ha detto "Andiamo da Michela", che era l'assistente sociale.
Rambo ha protestato ma la donna non ha ceduto e si sono ritrovati in un ufficio dei servizi sociali, "lo stesso in cui vent'anni dopo mi sono trovato a lavorare come educatore. Non può essere una coincidenza" . Neanche un saluto da sua madre. "Mi ha detto 'giavtar', che vuol dire 'vado via', una cosa che vuol dire tutto. Lei è uscita e io sono rimasto lì con l'assistente sociale. Ero un po' triste, mi sentivo liberato per tutto quello che avevo vissuto ma un po' preoccupato per quello che mi sarebbe da allora in poi".
Quella sera Rambo viene accompagnato in una comunità a Torino, dove resta un paio d'anni. Poi arriverà un affido da parte di una coppia di torinesi, che alcuni anni fa si è trasformato in un'adozione. Al suo cognome si è aggiunto anche quello della coppia che gli ha cambiato la vita. "Li ho sempre chiamati per nome, usavo 'mamma' e 'papà' solo quando facevo il ruffiano per avere qualcosa - sorride - . Ma socialmente erano i miei genitori, alla gente li presentavo come mia madre e mio padre, non li ho mai chiamati affidatari".
Sono passati 25 anni e il bilancio della sua esperienza "è positivo". Lo spiega bene nel giorno in cui la maggioranza di centrodestra della Regione Piemonte ha votato la legge sull' "allontanamento zero" che che privilegia le famiglie d'origine ostacolando affidi e adozioni. "Non sarebbe servito dare soldi ai miei familiari d'origine, a me sarebbero arrivate le briciole. E lo vedo anche da educatore: non dico che un contributo non allenti le tensioni di chi fa fatica a pagare l'affitto, ma ci sono situazioni in cui, di 500 euro, 300 vanno nelle slot machine e 200 nell'alcool". E anche misure più blande dell'allontanamento "a volte possono essere utili, ma non sempre. Io ho seguito l'affido diurno di alcuni ragazzi rom: con me imparavano le tabelline, ma quando io non c'ero seguivano altri che andavano a rubare".
Otto figli: questa era la famiglia di Rambo. "Una sorellina è morta piccola, quattro sono stati dati in adozione e non so che fine abbiano fatto, mia sorella grande è stata in comunità ma non si è trovata bene e a 16 anni è tornata al campo e si è sposata. Mio fratello è stato dato in affido e io ho fatto un po' di comunità e un po' di affido: chi vuole sapere di diritto, basta che studi la mia famiglia". Lo racconta ridendo Rambo, ma non è stato sempre facile. "Quando sono andato in comunità i primi tempi si organizzavano visite in luogo neutro con i miei, che però non si presentavano. Ero triste e arrabbiato e quando tempo dopo mi hanno cercato non volevo più saperne".
In comunità c'erano tante storie simili alla sua. "Io prima di arrivare lì ero andato non più di dieci volte a scuola. In comunità ho avuto insegnanti che mi seguivano, andavo in piscina. Avevo educatori meravigliosi che ora sono miei colleghi. Posso dire che tra tutti i ragazzi che c'erano lì, nessuno aveva voglia di tornare a casa". Poi un giorno è arrivata la proposta di un affidamento. "Per la prima volta avevo un armadio tutto mio, non dovevo dividere lo spazio con nessuno. E poi la casa aveva il giardino, avevo la mia bici, lo skate, facevo aikido e canottaggio. Cosa pensavo? Che mi era andata di culo!". Anche se Rambo restava sempre il rom: "Da qualcuno venivo trattato con razzismo, da altri con curiosità per la mia cultura. Ma io ne vado fiero, mi piace essere diverso".
C'è stato un momento, dopo i vent'anni, in cui ha pensato che forse quella vita era stata solo una bella parentesi. "Volevo essere indipendente, ho salutato i miei e sono andato a vivere al campo in una roulotte con mia sorella e mio cognato. Stavo anche per sposarmi con una ragazza che mi piaceva, la sua famiglia era d'accordo. Ma era quello che volevo davvero? Una sera dico a tutti che non mi sposo più. Nasce una rissa nel cuore della notte e alle tre del mattino torno a casa dai miei nuovi genitori con la maglietta strappata. Di lì in poi sono arrivati il lavoro, l'università, ho conosciuto mia moglie e ho avuto un figlio. A volte la mia vita sembra un film".
15.9.22
la polizia dello stato italiano dovrebbe garantire la tranquillità il caso Hasib Omerovic di primavalle
delle brave ed rispettabilissime persone , da coloro che dovrebbero tutelarci e garantire la legalità . Come Giustamente fa notare il gruppoMa che solerzia le FDO! Se le donne vanno in caserma a denunciare - anche più volte - finiscono comunque [ per essere sminuite derise , insultate , le i documenti che portano diffusi in rete o scambiate sui cellulari fra gli stessi che dovrebbero raccogliere la denuncia e tutelarti ] e i disagi aumentano morte ammazzate, però basta un post su un gruppo Facebook di quartiere (forse “Sei di Primavalle se…” gruppo privato con circa 2400 iscrizioni) per far scattare un controllo preventivo. Viene il dubbio che la chiacchiera di quartiere che coinvolge una persona ROM, quindi percepita come straniera, venga presa più seriamente di quanto accada appunto alle donne che si presentano in Commissariato magari anche col referto di Pronto Soccorso, così come le denunce per aggressioni a sfondo omofobico non vengono registrate come tali, andando a incidere sul procedimento ma anche sui dati OSCAD. (...)
9.5.21
Una cabina telefonica come casa, Iasmina salvata dagli abitanti del suo quartiere
REPUBBLICA 9\5\2021
A Mirafiori Sud, periferia di Torino. Per due settimane una donna rom ha dormito in un metro quadrato
Chiedeva l'elemosina Iasmina, un volto diventato familiare tra i torinesi che frequentano il mercato di via Cesare Pavese, quartiere Mirafiori Sud, ultimo lembo di città tra la vecchia fabbrica e le campagne che sfiorano l'autostrada. Chiedeva l'elemosina e se ne andava. Dove chissà. E il giorno dopo tornava. Una routine che a un certo punto si è interrotta e gli abitanti del rione l'hanno vista, a sessant'anni, che si sistemava per la notte dentro una vecchia cabina telefonica caduta in disuso. Per due settimane ha creato in quel metro quadrato protetto da quattro vetri il suo giaciglio. In molti l'hanno avvicinata, hanno raccolto il suo racconto di donna rom, con una situazione personale complicata, che aveva avuto dissidi con la propria famiglia e che per quel motivo non tornava al campo.
"Guarda che stanotte mi sono affacciato dal balcone e alle quattro era ancora dentro la cabina", è stata la telefonata che un residente ha fatto a Vincenzo Camarda, coordinatore della terza commissione della circoscrizione 2, che si occupa di politiche sociali e integrazione. "Il nostro quartiere è ricco di sentinelle che si preoccupano di ciò che accade sul territorio e che vogliono risolvere i problemi, non rimuoverli. Ed è su queste basi che si è creata una rete di aiuto che funziona", spiega Camarda. Oltre alla circoscrizione, sono intervenuti anche i servizi sociali. Iasmina all'inizio rifiutava qualunque aiuto: "Non ho bisogno di niente", diceva. Ma la gente del mercato non riusciva a voltarsi dall'altra parte: "Fa male alla nostra coscienza, come un fatto che vorremo non vedere e non sapere, ma la povertà è qui, non sono numeri, dobbiamo avvicinarla", si è fatta avanti una donna del quartiere. Sono arrivati anche i volontari della Boa urbana, ma Iasmina non si è fatta agganciare e non ha accettato l'invito ad andare in un dormitorio. Eppure la gente del quartiere non si è rassegnata: "Nessuno ha la capacità magica di risolvere all'istante problemi, soprattutto come in questo caso, sono anni che la signora è in difficoltà, ci vuole fiducia", ha raccontato un residente. Non è stato facile, ma alla fine Iasmina è stata aiutata a riprendere in mano la sua vita, a riappacificarsi con la famiglia ed è tornata ad avere un tetto sotto cui dormire. "Quando le persone si mettono insieme, aprono piccoli spiragli di luce", è la lezione di Fabrizio Floris, docente universitario esperto di integrazione e migrazioni, che ha seguito da vicino il caso di Iasmina.
4.10.19
capita che gli zingari violentemente osteggiati e maltrattati possano integrarsi benissimo e diventare simbolo di una città . il caso di Pamela diventata uno dei simboli di Olbia
da www.galluraoggi.it
Si è spenta Pamela, la storica “zingara” diventata uno dei simboli di Olbia
Si è spenta questa notte, nel campo di Sa Corroncedda di Olbia, una delle figure più note tra gli “zingari” di Olbia. Aveva quasi 62 anni Pamela, ma come osservano in molti è come se avesse vissuto per oltre un secolo.
Pamela ha rappresentato, volendo o non volendo, una parte dell’immagine di Olbia. Quella degli anni della crescita sfrenata della città, delle grandi trasformazioni e delle molte contraddizioni. Impossibile non notarla quando all’esterno dei supermercati ti avvicinava chiedendoti l’obolo.
Ti augurava buona fortuna e negli ultimi anni non aveva nemmeno più bisogno di ricordarti che doveva “mangiare” o che servivano per i suoi “numerosi figli”. Pamela era Pamela. Punto.
E anche se, in base al regolamento del campo nomadi, non avrebbe dovuto chiedere l’elemosina, per lei era spesso un’eccezione tollerata. Era arrivata giovanissima a Olbia dalla Serbia e si era subito ambientata. Di lei si racconta che abbia almeno dieci figli.
Per capire l’importanza simbolica che ha rappresentato per Olbia, basti ricordare la sua foto, insieme al famoso vigile urbano Tottoi Sanciu, nel calendario comunale dato alle stampe sulla fine degli anni Novanta. Nella notte Pamela è morta. Come tradizione, la sua salma sarà ora riportata in Serbia per la sepoltura.
se non vi bene .... vostri io continuerò lo stesso chi vuole seguirmi mi segue chi non mi vuole seguire peggio per lui concludo con questa citazione musicale talmente nota e stra nota ed usata nei miei post ( se non la ricordate , capita man mano che s'invecchia 😎😜😁, o non la conoscete trovate qui il testo )
Ma s'io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, forse farei lo stesso,mi piace far canzoni e bere vino, mi piace far casino, poi sono nato fessoe quindi tiro avanti e non mi svesto dei panni che son solito portare:ho tante cose ancora da raccontare per chi vuole ascoltare e a culo tutto il resto!alla prossima
5.4.19
#torremaura #casapound #rom Comodo dire di non essere fascisti quando ti comporti come loro .
Comodo dire di non essere fascisti quando ti comporti come loro . Appoggiando o restando indifferente davanti al loro becero gesto ( quello di gettare e calpestare il pane ) o il gridare come pappagalli vergognosi slogan fatti di pregiudizi e stereotipi . E poi usare come giustificazione a tali beceri comportamenti il disagio di cui effettivamente si é vittime.Accusatemi pure di generalizzare ,ma una rondine non fa primavera ( il ragazzo che ha saputo opporsi ai malpancisti di casapound ) .
3.4.19
eppure dicono che Casa Pound non è fascista il caso di Roma, protesta a Torre Maura: calpestano i panini destinati ai rom accolti nel quartiere
Roma, protesta a Torre Maura: calpestano i panini destinati ai rom accolti nel quartiere
questa invece è il resenìconto di https://corrieredisiena.corr.it/ 03.04.2019 - 14:30 che riporta questa a genzia di (askanews)
Il gesto di disprezzo e rabbia è ripreso da una diretta Facebook di Mauro Antonini, responsabile per il Lazio di CasaPound.
"Guardate la popolazione, è indignata, si sono rotti le p... , gli stanno già apparecchiando la tavola. Qui la gente non li vuole, la misura è colma, Torre Maura non è un quartiere razzista, è un quartiere che ha sempre tollerato"
Il trasferimento dei nomadi, fra cui 33 bambini, era iniziato ieri pomeriggio. Diversi residenti del quartiere hanno iniziato a manifestare in strada chiedendo alla Polizia municipale di sospendere le operazioni. Inizialmente una trentina, con il passare delle ore sono diventati circa 300, controllati dal Reparto mobile della polizia.
"Questa merda qua stasera deve uscire. Dove cazzo sta la Raggi?", dice una residente infuriata.
Nella notte un vertice nel Municipio VI ha deciso di sospendere il trasferimento dei rom e CasaPound ha subito gridato alla vittoria. La sindaca Raggi ha commentato così il giorno dopo:
"Non possiamo cedere all'odio razziale, non possiamo cedere contro chi continua a fomentare questo clima e continua a parlare alla pancia delle persone, e mi riferisco a CasaPound e Forza Nuova"
se proprio volevoano fare una protesta per fare situazione potevano distruire quel pane hai bisognosi , visto che sono quelli che gridano #primagliitaliani anzi che sprecarlo e rovinarlo cosi dimenticandosi cheda https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/calpestare-pane-calpestare-umanit
[....] quel pane. Il gesto del calpestare il pane, come fosse immondizia: «Così non mangerete». A Roma, Italia. Un Paese in cui molti hanno ancora la memoria del pane come cosa sacra, che, se avanza, non si butta, mai: si riutilizza, e magari le briciole vanno ai passeri, sui davanzali, ma non nei rifiuti.cosi facendo dunque perdono quel bricciolo di ragione e comprensione .
Il pane non si butta: quasi tutti abbiamo ancora il ricordo di nonni e madri che bruscamente proibivano, nello sparecchiare la tavola, che si sprecasse il pane. Come se ci fosse in quello spreco un disprezzo del lavoro degli uomini, e una irrisione della fame; e quasi una tacita bestemmia. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, recita il Padre Nostro, e pure in una troppo ampia dimenticanza della fede cristiana rimane fra noi ancora, almeno negli adulti, e in non pochissimi giovani, la consapevolezza che il pane non è un cibo come gli altri, che il pane è cosa da trattare con religioso rispetto.
Per questo le immagini da Roma colpiscono come un pugno. Minacce aggravate da odio razziale, è l’ipotesi su cui indaga la Procura, mentre il ministro dell’Interno condanna l’accaduto, misurando come raramente accade le parole, senza eccessiva indignazione, e intanto promette per la fine del suo mandato «zero campi rom» – giacché ogni occasione è buona per questa continua, sfinente campagna elettorale. Ma al di là delle parole di giudici o ministri è la faccia segnata di quella madre rom accerchiata a restarci in mente, è quel pane che dei poveri hanno calpestato, l’altra sera a Torre Maura, perché non andasse a dei più poveri di loro. Un segno di imbarbarimento in questa Capitale sporca e trasandata.
Splendida in ogni pietra del passato, e così degradata nelle periferie dell’oggi: quasi che si fosse perso il senso del vivere insieme. Su questo malessere ormai di vecchia data soffia ora un vento che gonfia la rabbia e l’intolleranza. L’humus perfetto per promettere «ordine». Non avendo a cuore né gli inquilini degli scalcinati palazzi di Torre Maura, né tantomeno quei settanta scacciati, ma solo un proprio disegno di potere. E quanti, attorno, che applaudono. Il pane calpestato come l’icona, allora, di uno smarrimento di vita, di una smemoratezza di radici e speranze comuni.
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Video di Gino Esposito.
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