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27.10.22

"Grazie all’affido sono riuscito a lasciare il campo rom": la vita nuova del giovane Rambo un anima salva di de andrè


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 de  andrè  aveva  ragione 

A otto anni è finito in una comunità, poi in una nuova famiglia. Ieri l'ultimo esame in Scienze dell'educazione: "Ho una moglie, un figlio, un lavoro: aiuto i ragazzini a liberarsi come me". Ieri la maggioranza di centrodestra in Piemonte ha votato la legge "Allontanamento zero" che privilegia le famiglie d'origine ostacolando affidi e adozioni


"Partiamo dal mio nome. Mi chiamo Rambo. Rambo Bologna Halilovic. Sono rom e sono nato 34 anni fa in Italia. Sono stato fino a sette anni nel campo di strada dell'Arrivore, a Torino, quando poi è successa una cosa che tra i rom non è accettabile: i miei genitori si sono separati e questo è stato l'inizio di tutto" . Rambo - che ieri ha superato l'ultimo esame a Scienze dell'educazione, lavora già da anni nelle comunità, si è sposato e ha un figlio piccolo - racconta le sue tante vite, prima e dopo quel giorno in cui la madre, intorno agli otto anni, gli ha detto "Andiamo da Michela", che era l'assistente sociale.





Rambo ha protestato ma la donna non ha ceduto e si sono ritrovati in un ufficio dei servizi sociali, "lo stesso in cui vent'anni dopo mi sono trovato a lavorare come educatore. Non può essere una coincidenza" . Neanche un saluto da sua madre. "Mi ha detto 'giavtar', che vuol dire 'vado via', una cosa che vuol dire tutto. Lei è uscita e io sono rimasto lì con l'assistente sociale. Ero un po' triste, mi sentivo liberato per tutto quello che avevo vissuto ma un po' preoccupato per quello che mi sarebbe da allora in poi".
Quella sera Rambo viene accompagnato in una comunità a Torino, dove resta un paio d'anni. Poi arriverà un affido da parte di una coppia di torinesi, che alcuni anni fa si è trasformato in un'adozione. Al suo cognome si è aggiunto anche quello della coppia che gli ha cambiato la vita. "Li ho sempre chiamati per nome, usavo 'mamma' e 'papà' solo quando facevo il ruffiano per avere qualcosa - sorride - . Ma socialmente erano i miei genitori, alla gente li presentavo come mia madre e mio padre, non li ho mai chiamati affidatari".





Sono passati 25 anni e il bilancio della sua esperienza "è positivo". Lo spiega bene nel giorno in cui la maggioranza di centrodestra della Regione Piemonte ha votato la legge sull' "allontanamento zero" che che privilegia le famiglie d'origine ostacolando affidi e adozioni. "Non sarebbe servito dare soldi ai miei familiari d'origine, a me sarebbero arrivate le briciole. E lo vedo anche da educatore: non dico che un contributo non allenti le tensioni di chi fa fatica a pagare l'affitto, ma ci sono situazioni in cui, di 500 euro, 300 vanno nelle slot machine e 200 nell'alcool". E anche misure più blande dell'allontanamento "a volte possono essere utili, ma non sempre. Io ho seguito l'affido diurno di alcuni ragazzi rom: con me imparavano le tabelline, ma quando io non c'ero seguivano altri che andavano a rubare".
Otto figli: questa era la famiglia di Rambo. "Una sorellina è morta piccola, quattro sono stati dati in adozione e non so che fine abbiano fatto, mia sorella grande è stata in comunità ma non si è trovata bene e a 16 anni è tornata al campo e si è sposata. Mio fratello è stato dato in affido e io ho fatto un po' di comunità e un po' di affido: chi vuole sapere di diritto, basta che studi la mia famiglia". Lo racconta ridendo Rambo, ma non è stato sempre facile. "Quando sono andato in comunità i primi tempi si organizzavano visite in luogo neutro con i miei, che però non si presentavano. Ero triste e arrabbiato e quando tempo dopo mi hanno cercato non volevo più saperne".


In comunità c'erano tante storie simili alla sua. "Io prima di arrivare lì ero andato non più di dieci volte a scuola. In comunità ho avuto insegnanti che mi seguivano, andavo in piscina. Avevo educatori meravigliosi che ora sono miei colleghi. Posso dire che tra tutti i ragazzi che c'erano lì, nessuno aveva voglia di tornare a casa". Poi un giorno è arrivata la proposta di un affidamento. "Per la prima volta avevo un armadio tutto mio, non dovevo dividere lo spazio con nessuno. E poi la casa aveva il giardino, avevo la mia bici, lo skate, facevo aikido e canottaggio. Cosa pensavo? Che mi era andata di culo!". Anche se Rambo restava sempre il rom: "Da qualcuno venivo trattato con razzismo, da altri con curiosità per la mia cultura. Ma io ne vado fiero, mi piace essere diverso".





C'è stato un momento, dopo i vent'anni, in cui ha pensato che forse quella vita era stata solo una bella parentesi. "Volevo essere indipendente, ho salutato i miei e sono andato a vivere al campo in una roulotte con mia sorella e mio cognato. Stavo anche per sposarmi con una ragazza che mi piaceva, la sua famiglia era d'accordo. Ma era quello che volevo davvero? Una sera dico a tutti che non mi sposo più. Nasce una rissa nel cuore della notte e alle tre del mattino torno a casa dai miei nuovi genitori con la maglietta strappata. Di lì in poi sono arrivati il lavoro, l'università, ho conosciuto mia moglie e ho avuto un figlio. A volte la mia vita sembra un film".

  de  andre  aveva ragione


28.6.18

Modena, «Sì ho votato Salvini, ma ora ho paura» Dea Debarre, sinta italiana, vive in città e teme un’escalation: «Invocano le camere a gas, schedare una razza è atroce >>



Tutti abbiamo Delle paure ma solo pochi sanno e riescono a gestirle senza buttarle addosso a gli altri. Ė sulle diversità che dobbiamo costruire il futuro. Infatti , riprendo quandi detto ptrecedente leggi o rileggi oltre  la  stroria  riportata  sotto  anche il precedente   post : la difesa dea razza : rom \ sinti li chiamano razza maledetta
Cosi faccio chiarezza ,, a chi avesse ancora dubbi sul mio modo di pensare su tali argomenti , e rispondo a chi mi dice : << (....)Prendere provvedimenti come si vuole fare non vuol dire generalizzare, ma credimi bisogna farlo x difendere noi tutti ma anche quelli di loro immigrati o zingari o chi che sia che si comportano bene e hanno diritto ad essere accolti tra di noi ...ma c'è troppa ingiustizia e gente di malafede incontrollata ..bisogna dare manforte a chi ha coraggio di fare tutto questo (...) ., ecc  >>



Modena, «Sì ho votato Salvini, ma ora ho paura»

Dea Debarre, sinta italiana, vive in città e teme un’escalation:  Invocano le camere a gas, schedare una razza è atroce»



MODENA. 
 Debarre, un cognome piuttosto noto in città e nella provincia. Una famiglia allargata e simbolo dei luna park itineranti, una famiglia italiana, ma sinti. Dea Debarre ha 36 anni, 4 figli, un marito che lavora. Vive in una casa popolare di via Terranova, sogna di poter tornare in una microarea “perché quel senso di libertà ce l’hai dentro”.Ci ospita a casa sua, ci accoglie con una tavola imbandita e poi inizia a parlare. Lo fa mentre il telefono continua a squillare con le notifiche dei social network: li tiene monitorati, controlla pagine facebook in cui si incita all’odio razziale verso i nomadi, in cui si invocano le camere a gas e il napalm. La paura c’è sia per le conseguenze che il “suo” popolo potrebbe subire, ma anche per quel flebile equilibrio sociale che negli ultimi anni si è instaurato. «Non so cosa potrebbe accadere - dice - se due gruppi di giovani si dovessero sfidare. Vale anche per Modena: non vorrei scattassero delle provocazioni legate alle idee del ministro».
Dea, lei ha votato Salvini ?«Sì».
E adesso, dopo il progetto di censire i nomadi.«Sono dalla parte del ministro, è partito molto bene con la strategia sugli sbarchi, ma mi aspetterei più coerenza per quanto il discorso sui nomadi italiani. È vero che tra noi c’è chi sbaglia e si comporta male, ma è anche vero che tra i nomadi italiani ci sono famiglie e persone per bene, che pagano utenze, le tasse e lavorano onestamente. Il pregiudizio e la discriminazione sono figli dell’ignoranza, si tratta di razzismo. E tutto dettato sempre dalla mala informazione. Tra l’altro è arrivato il momento di finirla con la confusione tra rom e nomadi italiani»
Proviamo a fare chiarezza
«I nomadi italiani sono qui da generazioni. Noi siamo sinti, la stragrande maggioranza è sinti, i rom sono altro. Siamo più stanziali noi, ormai, rispetto a tante famiglie italiane che vivono nelle case e magari in estate prendono il camper e vanno in giro».
Ma adesso cosa teme?
«Ho paura. Il progetto di Salvini ha acceso gli animi, leggo di gente che invoca le camere a gas per gli “zingari”, che vorrebbero sterminarli. Così è complicato vivere. Non posso dimenticare i blitz della Uno Bianca in cui ho perso alcuni familiari. È stato uno choc per chi, come noi, ritiene le forze dell’ordine il simbolo dello Stato. Non vorrei che qualche persona perdesse la testa, sentendosi legittimato all’odio»
.Lei ha il codice fiscale?«Certo, guardi (mostra il suo curriculum lavorativo, ndr)»
.Ed è registrata all’anagrafe?
«Ovvio».
Quindi è già conosciuta allo Stato italiano?
«Come tutti coloro che vivono nella legalità o che sono cresciuti o nati in Italia. L’idea della schedatura di una razza è atroce. Cosa diversa è sapere chi arriva, ma senza distinzioni di etnia o altri fattori personali».
Cosa sogna?
«Non sono né quattro mura né una roulotte a cambiare lo stile di vita di una persona. Ognuno ha diritto di vivere come meglio crede e di pagare ciò che c’è da pagare. In questa casa mi sento rinchiusa, il mio animo è libero, non lo si cambia. Mi sento una sinta, non rinnego il mio sangue. Ci sono sinti che vorrebbero una casa, io vorrei una microarea, spero che il Comune possa indicarmene una da acquistare e farmi trasferire con la famiglia. Lo sapete vero che nelle microaree tutte le utenze le pagano i residenti? Ormai qualcosa è cambiato anche in noi, l’inclusione, la conoscenza, l’integrazione si sta realizzando».


17.4.17

eroi , alternative agli smartphone e alla tecnologia , la morte fa parte della vita dichiarazioni di un ragazzo prima di morire di leucemia ed altre storie

come il proverbio \ dettpo : << ti devo dare due notizie , inizio da prima da quella bella o da quella cattiva ' >> ho scelto d'iniziare , a prescindere dal titolo da quella buona

N.B
Ora  sia  della prima   che della seconda   storia      Le  avrei   riportate  tutte  ma  bisogna  sapere  scegliere    ed  io ho fatto  . comunque  ecco  gli url     delle   gallerie fotografiche in questione

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/04/14/foto/ischia_la_romantica_sfida_della_libraia_bimbi_giocate_con_gli_aerei_di_carta_-162996317/


Ischia, la romantica sfida della libraia: “Bimbi, giocate con gli aerei di carta”

Poesia e voli, rigorosamente di carta. Nel grazioso angolo di via Marina, a Forio, sull’isola d’Ischia, va in scena una gara di aerei di carta. La poesia di un gioco senza tempo, che qui si rinnova grazie all’iniziativa di una libraia, Barbara Pierini, che con la sua “Libereria” chiama a raccolta i bimbi dell’isola. La locandina fa il giro dei social, i genitori ci credono: contro la tirannia degli smartphone, abbracciando la primavera di Ischia. La libraia, che è anche arbitro, precisa sorridendo: “Chi non soffia sulla punta ha poche speranze di vittoria”. Iscrizione rigorosamente gratuita, per partecipare bisogna essere bambini. Qualche adulto ci prova, la libraia annuisce. I fogli si piegano, la fantasia corre. Poi è una questione di tecnica. E di fantasia. Tre i parametri valutati: la distanza percorsa, la permanenza in volo dell’areo di carta e la qualità delle piroette. Qualche aereo finisce sulle aiuole fiorite, la parabola di qualchedun' altro termina sui balconi colorati che affacciano sul vicolo. Sorrisi, applausi, la carta che si scopre rediviva nell’era degli smartphone e della tecnologia. “Qui non c’è spazio per i videogame”, sorride la libraia. Alle premiazioni, foto di rito e appuntamento alla prossima. Vincono tutti, naturalmente. (testo pasquale raicaldo - foto licia punzo)


http://www.repubblica.it/esteri/2017/04/16/foto/autobomba_ad_aleppo_la_disperazione_del_fotografo_eroe_in_ginocchio_dopo_l_attacco_suicida-163150676/1/?ref=fbpr#1

  Autobomba ad Aleppo, la disperazione del fotografo eroe: in ginocchio dopo l'attacco suicida

E' a terra, in lacrime, con la macchina fotografica in mano. Una fotocamera che doveva documentare l'arrivo ad Aleppo di civili in fuga da Foua e Kefraya, due villaggi siriani controllati da ribelli islamisti e gruppi terroristi. Abd Alkader Habak, nel giorno dell'attacco suicida che ha causato la morte di almeno 126 persone, si è ritrovato invece a salvare vite. Poco dopo l'esplosione, con altri colleghi presenti sul posto, ha messo da parte la fotocamera e ha provato a trascinare via dalle fiamme bambini e adulti. Il suo coraggio e il suo dolore, testimoniati dagli scatti di altre persone presenti sul posto, sono diventati immediatamente un simbolo della strage di Rashideen del 14 aprile, condivisi migliaia di volte su Twitter e Facebook. Nello scatto originale, accanto ad Abd Alkader Habak, c'è il corpo di un bambino ucciso dalla bomba (che abbiamo deciso di non mostrare, ndr). Sul suo profilo Twitter il fotografo, dopo l'attentato, ha scritto: "Quello che io e i miei colleghi abbiamo fatto dovrebbe ispirare l'umanità e tutti coloro che hanno contribuito a uccidere i bambini di Khan Sheikhan".

concludo  due    storie  la prima  triste   ma   piena di vita  e  di speranza  \   accettazione della  morte    la  seconda  allegra e spensierata     una  vita  on the road

  
Prima di morire pubblica il suo ultimo saluto su Instagram. Le parole di questo ragazzo vi commuoveranno


Chi ha conosciuto Pablo Ráez di Marbella, sa che era una persona speciale, piena di vita e di sogni. Il ragazzo, spagnolo, il 26 marzo del 2015, ad appena 18 anni, ha scoperto di avere una malattia terribile: la leucemia. Era un giovane atleta e questa scoperta gli ha sconvolto letteralmente la vita. Per evitare il peggio, ha dovuto sottoporsi a cicli di chemioterapia e a un paio di trapianti di midollo osseo.Ormai passava più tempo in ospedale che a casa o a scuola. Per lui la speranza si riaccese quando l’ultimo trapianto di midollo osseo si rivelò di successo: il cancro era in remissione. Forse avrebbe potuto riprendere in mano la sua vita e progettare un futuro con la sua ragazza, Andrea. Ma anche questa speranza, nei mesi si è rivelata vana.
Solo dieci mesi dopo, la leucemia è tornata. Il midollo osseo del suo papà non aveva funzionato. Trovare un donatore era molto difficile. Pablo non voleva arrendersi, così con la poca forza che gli rimaneva, lanciò una campagna sui social media – #retounmillón – con lo scopo di raccogliere in tutta la Spagna un milione di donatori. Il suo obiettivo era quello di informare la gente sull’importanza di donare. Ecco quali sono state le sue parole: “Sarebbe triste morire solo perché non ho trovato il midollo compatibile. Chiunque potrebbe aumentare le mie possibilità di sopravvivere”.
Ha condiviso ogni giorno la sua quotidianità con la rete, per sensibilizzare il maggior numero di persone a quest’atto di solidarietà. Grazie a questa campagna, il numero dei donatori di midollo osseo in Spagna è cresciuto del 1.000%. Ormai era stato soprannominato, il “gladiatore”. I suoi follower su Instagram, più di mezzo milione, lo sostenevano tutti i giorni. Nell’ottobre del 2016, erano arrivate delle buone notizie: c’era un donatore compatibile.
 Solo dieci mesi dopo, la leucemia è tornata. Il midollo osseo del suo papà non aveva funzionato. Trovare un donatore era molto difficile. Pablo non voleva arrendersi, così con la poca forza che gli rimaneva, lanciò una campagna sui social media – #retounmillón – con lo scopo di raccogliere in tutta la Spagna un milione di donatori. Il suo obiettivo era quello di informare la gente sull’importanza di donare. Ecco quali sono state le sue parole: “Sarebbe triste morire solo perché non ho trovato il midollo compatibile. Chiunque potrebbe aumentare le mie possibilità di sopravvivere”.xHa condiviso ogni giorno la sua quotidianità con la rete, per sensibilizzare il maggior numero di persone a quest’atto di solidarietà. Grazie a questa campagna, il numero dei donatori di midollo osseo in Spagna è cresciuto del 1.000%. Ormai era stato soprannominato, il “gladiatore”. I suoi follower su Instagram, più di mezzo milione, lo sostenevano tutti i giorni. Nell’ottobre del 2016, erano arrivate delle buone notizie: c’era un donatore compati
Ecco cosa scrive sui social in questo momento assai positivo della sua vita: “Mi hanno chiesto dove trovassi la forza, la voglia di vivere e come riuscissi comunque a sorridere nonostante la situazione tragica. Ma io non ho paura della morte, mi sento libero. Quando smetti di aver paura sei libero, ed è allora che trovi la forza”.

Purtroppo, non è andato come sperava. Il destino aveva in serbo altro per lui. Dopo il secondo trapianto inutile, le speranze erano ridotte al minimo. Ma ha, fino all’ultimo giorno, trovato il coraggio per affrontare le sfide e non buttarsi giù. Lo scorso 25 febbraio 2017, a soli 20 anni, Pablo si è spento. Ecco cosa ha scritto su Instagram qualche giorno prima di morire:
“Ho pensato a qualcosa che vorrei condividere con voi. Viviamo in una società dove si lavora, si guadagna denaro e tutto è regolato dal tempo. Quindi viviamo per il tempo. Viviamo schiavi di un sistema basato sulla burocrazia. Il pianeta si sta deteriorando poco a poco e siamo noi che lo stiamo distruggendo: i poli si stanno sciogliendo, continuiamo a costruire con noncuranza, causiamo le guerre, uccidiamo altra gente e facciamo di tutto per portare questo mondo verso la fine. Lo facciamo per i soldi.
Non siamo felici di quello che abbiamo, vorremmo sempre di più. Dovremmo vivere più semplicemente, e in un sistema che si prenda cura delle persone e del nostro pianeta meraviglioso. Dovremmo essere più felici e accorgerci di quello che stiamo facendo per questo mondo. Dovremmo capire cosa è veramente importante. C’è bisogno di più amore, più sorrisi, abbracci e pace. Proviamo ad essere la migliore versione di noi stessi. Proviamo ad essere riconoscenti alla vita perché ci dona ogni giorno il lusso di svegliarci. Siamole riconoscenti”.
Il 28 febbraio, Pablo avrebbe dovuto ricevere una medaglia al valore dalla città di Marbella. Purtroppo, non è riuscito in tempo a riceverla. Ecco come concludeva il commovente post: “La morte fa parte della vita, ecco perché non dovrebbe essere temuta ma abbracciata”.

Andrea, la fidanzata, della quale Pablo aveva chiesto la mano qualche mese fa, ha ripubblicato questo scatto che i due avevano fatto qualche mese prima. Lei è rimasta sempre al suo fianco, durante questo travagliato cammino. Pablo aveva dedicato alla sua amata ragazza delle parole molto belle:
“Ti amo Andrea e non amo solo te, ma anche la vita e vivere al massimo. Non importa quello che mi succederà, sarà comunque un dono della vita. Grazie alla vita e a te, Andrea”.
Anche se è stata molto breve la sua vita, nessuno si dimenticherà di lui e di quello che ha lasciato al mondo intero.



Milano, mollo tutto e vado a vivere in camper: Pier e Amelia da 5 anni nomadi felici


Pierluigi Galliano e Amelia Barbotti sono marito e moglie. Cinque anni fa hanno deciso di licenziarsi, di vendere casa, mobili, auto per girare il mondo in camper. Hanno lasciato Milano e l'Italia per andare all'avventura. Lui lavorava come cameraman a Mediaset, lei come impiegata in un'azienda di rubinetteria. "Non mettiamo mai piede in un ristorante, gestiamo con oculatezza i risparmi di 50 anni di lavoro in due, non frequentiamo le aree di sosta a pagamento". Pentiti? "Nemmeno per sogno: siamo nomadi felici"

Video di Francesco Gilioli




emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...