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20.9.25

diario di bordo n 148 bis anno III Ottantenne di Guspini dona il fegato e salva un’altra vita., chiara vigo la mia arte non è in vendita le madri devono insegnare a figli la bellezza dei mestieri .,negata la cremazione al marito di irene cristinzio scomparsa ad orosei nel 2013 serve l'autorizzazione del coniuge ., io erore ragazzino della tragedia del doner aereo cadut a genova nel 1999


unione  sarda  20  settembre  2025 





Una donna di 80 anni, deceduta per emorragia cerebrale, ha salvato la vita a un’altra persona. Il prelievo del fegato è avvenuto nei giorni scorsi all’ospedale Nostra Signora della Mercede di Lanusei su Bruna Caria, una signora originaria di Guspini, ma trapiantata a Tortolì, della quale, nelle ore precedenti, era stata accertata la morte cerebrale.
In seguito a un malore, sabato scorso, la donna è stata trasportata al Pronto soccorso e ricoverata in Rianimazione. Le sue condizioni, già disperate sin dai primi istanti del ricovero, sono progressivamente peggiorate, fino a quando il personale sanitario, con un’équipe di specialisti arrivati anche da altri presidi, non ha dichiarato la morte cerebrale.
Dall’accertamento è iniziato il periodo di osservazione e poi si è attivata la rete regionale dei trapianti. In breve tempo si è svolto il processo di idoneità e di allocazione dell’organo, destinato a una persona che, grazie alla volontà di donazione, avrà un’esistenza migliore. Un gesto d’amore molto sentito all’interno del nucleo familiare: sia la donna quando era in vita, sia i figli hanno mostrato una particolare attenzione e sensibilità verso gli altri.


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 nuova  sardegfna  19\9\2025







unione sarda del 19\9\2025






31.8.25

Le inossidabili cricche delle panchine I nonnini della città e i ritrovi all’aperto: «I centri anziani non fanno per noi»

Chi lo ha detto  che i punti di aggregazione   siano solo  i centri per gli anziani .Basta anche una  panchina   o  una  piazza  . Almeno     nella mia  regione la  sardegna  e  nel  sud    è  cosi vai in piazza  o nei parchi     e  vedi    tali   cose tutti i giorni   

unione  sarda  31\8\2025 


Selargius.
Se c’è una certezza è che basta camminare per le vie di Selargius per incontrarli riuniti in gruppetti nelle solite strade. «Quando non ci saremo vorrà dire che saremo morti», dicono in coro.
I gruppi
Sono gli anziani “ribelli” della città, dai 60 ai 101 anni, che snobbano i centri dedicati («troppa gente e tutti che litigano») e che preferiscono invece le panchine e i gradini. Estate e inverno non fa differenza: in via Manin c’è da una parte la cricca della panchina, dall’altra quella della serranda, che si uniscono a seconda di antipatie e simpatie.Più avanti in via San Martino c’è la postazione estiva, a destra dove c’è l’ombra, e quella invernale, a sinistra, dove c’è il sole. E poi a Si ‘e Boi ci sono quelli che giocano a pinella liberi e senza costrizioni e orari da rispettare.
Le storie
In via Manin si arriva presto. Alle 9 la panchina è già piena. «È un bel posto e c’è fresco» dice Lucio Vacca 73 anni, «abito qui vicino, scendo di casa e faccio quattro chiacchiere. Io non vado ai centri comunali, perché dovrei rinchiudermi? Qui si sta bene all’aria aperta». Nella compagnia della panchina c’è anche Mario Ledda, 91 anni: «Sono l’anziano della comitativa», racconta, «sono anche nonno ma ogni tanto vengo qui a trascorrere un’oretta e vado d’accordo con tutti. Nei centri comunali c’è troppa gente e un biliardo che è sempre occupato». Dall’altra parte, nella cricca della serranda, ecco Renato Pala 78 anni: «Noi di solito ci incontriamo la mattina. Prendo il caffè e poi eccomi qui. Quanto arriva il sole, che problema c’è? Prendo la seggiola che ho in macchina e mi siedo all’ombra».
Chiacchiere e amicizie
Nel ritrovo estivo di via San Martino c’è Tiziano Cocco 87 anni: «Tra noi c’è anche un signore di 101 anni che oggi non è venuto» racconta, «qui ci troviamo bene, si chiacchiera, si legge il giornale. È vent’anni che non vado nei centri comunali perché ci sono troppi gruppetti, si litiga, qui si sta meglio».Il rito del giornalePiù avanti Giuseppe Orrù 79 anni legge la sua copia dell’Unione Sarda. «Il primo appuntamento è in edicola a comprare il giornale» racconta, «poi vengo qui dai miei amici e commentiamo le notizie. Trascorriamo qualche ora e stiamo bene». Franco Putzolu 72 anni conferma: «Col caldo che fa, qui prendiamo il fresco. Ci siamo tutti i giorni. Se non ci trovate allora vuol dire che siamo morti. Cosa ci facciamo nei centri comunali? Qui vediamo la gente passare, chi fa la spesa e commentiamo, guardiamo. E stiamo bene».

19.8.25

IL MIO OSSERVATORIO (6520). Piccolo racconto domenicale di Mario Guerini

 

Abbiamo molto da imparare dagli anziani .  Ecco un esempio tratto  dal web 

  da  Mario Guerrini
IL MIO OSSERVATORIO (6520). Piccolo racconto domenicale. Lei compare ogni santa mattina. Qui a Bonaria, residenziale quartiere cagliaritano. Ha sempre, immancabilmente, un libro con sé. È una distinta signora novantenne. Dall'aria colta. Ora che la stagione lo consente, si siede in uno dei tavolini esterni, sul marciapiede, del "Cafè de buena aria". Per il rito mattutino della colazione. Trascorre il tempo, solitaria, leggendo il libro. E lo fa con quella che appare come una insaziabile sete di sapere e di conoscere. Che non si placa, nonostante la sua età, splendidamente e signorilmente portata. Per questo mi ha molto incuriosito. È affabile. Mi ha spiegato che il libro è da sempre il suo compagno di viaggio, nella quotidianità. A casa ha circa 3 mila 500 volumi. Una immensità. Lei si chiama Mirella Varone. È milanese di


origine. Il cognome è quello acquisito dal marito napoletano. Che non è più. Lei è ormai una figura familiare per chi frequenta quella zona di via Milano. "Vengo in questo bar perché è come quelli di un tempo", mi dice. "Ci si incontra, ci si conosce, si parla. E Michele (il titolare) e le sue ragazze offrono un servizio eccellente. Sempre sorridenti e premurosi". Un incontro pieno di garbo, quello con Mirella Varone. Ma fugace. Perché io in compagnia di Luna, la mia compagna a 4 zampe, durante la prima uscita della giornata. Sono stato attratto dalla forza intellettuale che esprime questa donna, con la applicazione alla lettura. Alla sua età matura di novantenne. Mirella Varone è una straordinaria enciclopedia vivente. In una Società in cui la tecnologia sembrerebbe inconciliabile, ma non è così, per fortuna, con le pagine di un libro. Buona domenica. Mario Guerrini.

3.5.25

Sofia, Erika e Cristina: noi, caregiver familiari dimenticate

Storia di Francesco Riccardi
 • 9 ora/e 
avvenire.it  tramite ms.it 
Il caregiver familiare è la persona - più spesso la madre, in altri casi il padre, uno dei fratelli o un figlio - che si prende cura gratuitamente a tempo pieno di una persona malata o con disabilità grave, in molti casi decidendo anche per lei. Da anni si discute di una legge che preveda alcune tutele per questa figura senza che però si sia arrivati a un risultato.
La prima definizione di caregiver risale alla legge di bilancio del 2018, e dopo che nella scorsa
legislatura un tentativo di iniziativa legislativa non è andato a buon fine, in quella attuale sono state depositate alla Camera diverse proposte di legge sia di maggioranza sia dell’opposizione. I ministeri della Disabilità e quello del Lavoro dopo aver riunito un tavolo tecnico e audito una serie di esperti nel corso del 2024, nel febbraio di quest’anno hanno illustrato al Consiglio dei ministri e in commissione Affari sociali della Camera le linee guida per un disegno di legge appunto di iniziativa governativa. I nodi da sciogliere, però, sono ancora diversi. A cominciare dal requisito o meno della convivenza, la disciplina delle tutele e dei sostegni da prevedere, la loro graduazione in ragione del grado di impegno, le misure per la conciliazione tra lavoro e assistenza.
«Eravamo lì ad ascoltare i lavori della commissione Affari sociali della Camera, dopo l’audizione della ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, e intanto ci scorrevano nella mente gli impegni della giornata, delle nostre vite di caregiver familiari di figli con una disabilità intellettivo relazionale e del neuro sviluppo. Ripensavamo alle cure quotidiane e alle battaglie per ottenere servizi adeguati, al rapporto con i sanitari e con il mondo della scuola, alle lotte contro i muri della burocrazia e quelli dei pregiudizi delle persone. Avvertivamo sulle nostre spalle la fatica quotidiana, la solitudine, le rinunce, il lavoro abbandonato, la dipendenza economica e il peso della responsabilità di operare – ogni giorno – le scelte sulla vita dei nostri figli, che non saranno mai autonomi. Ecco, mentre ci scorrevano nella mente queste immagini, ascoltavamo discorsi che non avevano corrispondenza con tutti i nostri pensieri. Eppure, si discuteva di una legge proprio per i caregiver familiari, per noi».
Sofia Donato, Erika Coppelli e Cristina Finazzi sono tre caregiver familiari, madri di ragazzi con disabilità intellettiva, e rappresentanti rispettivamente del gruppo nazionale “Caregiver familiari comma 255”, il “Tortellante”, “Comitato uniti per l’autismo”. Sono anche tre dei quattro esperti nominati dalla ministra per le Disabilità al “Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari”. E ora sono, diciamo così, un po’ stufe di sentire chiacchiere e di constatare come il dibattito rischi di deragliare prima ancora di arrivare a una prima stazione: mettere a punto un testo di legge base da discutere in Parlamento, dopo anni di tentativi andati a vuoto (vedi box sotto). Perché si confondono i soggetti e i piani di intervento. Perché si rischia di finire a regolamentare l’amore per un figlio anziché riconoscere un ruolo sociale specifico, di fissare dei diritti-doveri nei rapporti interfamiliari anziché tutelare e dare opportunità alle persone. Per tutto ciò, adesso, queste tre donne hanno deciso di prendere posizione pubblicamente.
L’entusiasmo iniziale per la convocazione al tavolo e il lavoro di analisi svolto durante il 2024, infatti, ha lasciato presto spazio alla frustrazione. «Anzitutto – spiegano - per la mancanza di un equilibrio numerico tra le rappresentanze dei caregiver familiari e quelle delle persone con disabilità e di coloro che fanno della rappresentanza una professione, non vivono in prima persona il ruolo di caregiver». Di qui alcune differenze di vedute e soprattutto la difficoltà nel far comprendere la specificità del ruolo del caregiver familiare convivente rispetto al bisogno assistenziale della persona con disabilità. Spesso, infatti, «chi è abituato a difendere i diritti delle persone con disabilità non riesce a considerare il caregiver familiare nella sua individualità e nell’importanza del ruolo sociale che si assume». Il familiare convivente che si prende cura di un figlio o un fratello con disabilità intellettivo relazionale e del neuro sviluppo, infatti, si trova spesso nella condizione di aver dovuto ridurre drasticamente o abbandonare del tutto l’attività lavorativa per la necessità di una presenza continua a fianco del proprio caro, con la conseguenza di una dipendenza economica non desiderata e di fatto la negazione di una vita adulta “autonoma”. «Perché nessuno sceglie di assumere questo ruolo, ti ci trovi catapultata – racconta Sofia Donato -. E spesso fin dal primo momento è necessario assumersi la responsabilità non solo delle cure quotidiane, ma di costruire e sostenere la vita della persona con disabilità. Con tutto il carico di complessità, stanchezza, solitudine quotidiana che questo comporta. Pensi che dovrai occuparti della vita di tuo figlio per 20, 30, 50 anni o fino alla fine. Combatti ogni giorno e in quello stesso giorno pensi a quando tu non ci sarai più, hai paura per il futuro di tuo figlio. Eppure non cedi, non puoi cedere, devi affrontare ogni imprevisto e sostenere una vita sotto continuo “ricatto affettivo”, con la consapevolezza che dalla tua lucidità di caregiver – che si aggiunge a tutti gli altri ruoli che ognuno ricopre nella propria vita - dipende la gestione quotidiana di un figlio e di fatto dell’intera famiglia». Un compito eccezionalmente gravoso nel caso dei nuclei monogenitoriali o monoparentali.
Anche per questo nella legge che si vorrebbe portare finalmente all’esame del Parlamento per le tre esperte è fondamentale che «il riconoscimento del caregiver familiare convivente non venga confuso con i bisogni della persona con disabilità. Così come l’assistenza fisica o infermieristica dovrebbe essere erogata attraverso i servizi preposti, la legge non dovrebbe monetizzare la solidarietà familiare né delegare, o meglio scaricare sul caregiver le carenze dei servizi pubblici».

Sofia Donato, Erika Coppelli e Cristina Finazzi si battono da anni per un cambio di paradigma culturale che riconosca il loro ruolo sociale svolto dai caregiver familiari conviventi e la loro titolarità di diritti soggettivi propri. «Non chiedo assistenza in più per mio figlio come forma di sollievo per me, né voglio che, come già accade in diverse Regioni, il familiare sia costretto a firmare il Pai (Progetto Assistenziale Individualizzato) della persona con disabilità assumendosi specifici compiti quotidiani, affinché vengano riconosciuti i diritti basilari a chi sconta delle disabilità – spiega ancora Sofia Donato -. No, vorrei invece che si riconoscesse che la disabilità intellettivo relazionale e del neuro sviluppo non è un problema solo mio, ma una questione sociale di tutta la comunità. Al di là dell’amore per un figlio o un fratello, che non si regola certo per legge o con un contratto. E quindi riconoscere il ruolo che noi caregiver familiari svolgiamo nella società accanto a persone che si trovano in una condizione di vita irreversibile».
Di qui due richieste sostanziali: la prima quella di avere un riconoscimento economico appunto per il ruolo svolto, individuando bene la platea dei beneficiari, con particolare attenzione a chi è comunque impossibilitato a lavorare. La seconda un affiancamento formativo e un collocamento mirato che possa favorire un’attività esterna alla famiglia, per avere l’opportunità di lavorare e godere di una maggiore indipendenza economica. «Altre previsioni, come i prepensionamenti per chi da adulto si trova a dover accudire genitori con forte decadimento cognitivo o gravi patologie, oppure la previsione di contributi figurativi e il sostegno psicologico possono essere utili ma vengono dopo, non sono la priorità», conclude Sofia Donato.
Complessivamente, in Italia, sono 7 milioni le persone che si prendono cura di un familiare, con differenti gradi di impegno in termini di tempo e risorse personali. Occorre individuare bene le diverse platee e mirare adeguatamente interventi e tutele, compito tutt’altro che facile. Ma una cosa è certa: non si può più ignorare il ruolo che i caregiver familiari svolgono e le scelte nei loro riguardi si sono fatte urgenti.

2.4.24

amore con #Alzheimer



Quest'uomo ha ottant'anni e insiste per accompagnare la moglie ovunque vadano. Quando le ho chiesto: "Perché tua moglie va in giro distratta, come se non conoscesse nessuno?
"Ha risposto: "Perché ha l'Alzheimer. ”
Così ho chiesto: "Tua moglie si preoccuperebbe se la lasciassi andare o se ti lasciassi?" "
Lui rispose: "Lei non si ricorda di me. " Non sa più chi sono, sono più di due anni che non mi conoscie. "
Sorpreso, ho detto: "Sì ok... anche se così, la accompagni ancora tutti i giorni anche se lei non ti conosce? ".
Il vecchio sorrise e mi guardò negli occhi. Poi mi disse: «Lei non sa chi sono io, ma io so chi è Lei... è l'amore della mia vita" . ❤️".

11.8.23

Benita di © Daniela Tuscano

IL condominio ha i mattoni a vista, cupi, tristi. Ma in questo scorcio d'estate dànno una piacevole sensazione d'ombra. Benita è la donna alla finestra, la prima. Si affaccia direttamente sul viale, una zanzariera la separa dal mondo. Protezione che reclude: "Sono qui in

prigione", si lamenta dopo avermi fermata per
strada. Cerco d'intravedere l'interno, forse un corrimano, ma non è una casa di riposo e lei ne possiede le chiavi. Indossa lo stesso scialle di certe mie remote zie, un occhio è semichiuso, l'altro emana una luce azzurrina che si espande sulla pelle, fresca e sottile. In altre età Benita doveva esser stata affascinante. Altre vite l'hanno vista a Forte dei Marmi, di dov'è originaria e che rimpiange, con quello sguardo dei vecchi indistinto ma vero, contenente le spume del Tirreno, lunghe passeggiate, abiti di percalle, automobili da corsa, ammiratori e persino quel nome così duro e rivelatore. Illusione di padre - ne sono sicura, lo scelse lui -, e poi il matrimonio, il figlio "lavoratore di qua e di là", un nipote in Brasile ora ventenne e mai conosciuto, "mi ha promesso che viene, viene, ma non arriva mai". A Benita oggi resta la sponda sul viale e il dialogo con una sconosciuta, che appena la tocchi va di fretta, poi concede un attimo di tempo (da piccola, invece, coi vecchi parlava per ore), poi si prende un bacetto dalla zanzariera, e sente la frescura di quelle mani da bimba antica, rinverdite d'innocenza. La famiglia e i parenti non salvano dalla solitudine, nelle vite mediane c'è troppo, e ti spogli pian piano, da dentro. Ma sei ancora al mondo, assetata d'un futuro grande quanto una noce, e ti affacci a una labile speranza. Forse domani quella sconosciuta passerà, e verrà a trovarti. Te l'ha promesso.



© Daniela Tuscano

23.7.23

usiamoli finchè ci servono e poi buttiamoli via la storia di M.L un anziana abbandonata dai familiari di daniela tuscano

 

Hanno detto che era stanca, depressa, umiliata per un fisico che non rispondeva più, che sentiva inutile. Non per un fatto estetico. La decadenza la tormentava perché le avrebbe impedito di dedicare alle figlie, ai nipoti il tempo e l'energia che desiderava. Questo hanno detto e forse è vero, M. L., come tutte le nonne e le donne, era stata educata così: a pensare agli altri e non a sé stessa, a pensare sé stessa in rapporto agli altri. Soprattutto alla famiglia. Ma la famiglia non c'era il 20 luglio, antivigilia della festa dei nonni. Le figlie, i nipoti erano appena partiti in vacanza e lei, M. L., smarrita da tempo, doveva improvvisamente fare i conti con la propria in-utilità. Quegli anni gratuiti, gli anni della vigoria e del dono, gli anni delle estati in Liguria, dove le voci garrule dei bimbi al mare restituiscono una breve infanzia, quegli anni erano diventati un ricordo crudele e scialato. Inutile anch'esso, perché M. L. era rimasta lì, involontaria stilita, come una vecchia misantropa, in un silenzio senza storia.E in silenzio è volata giù, dalla finestra spalancata che ha gridato per lei. Non è stata una caduta accidentale. È scesa per esserci ancora, fra l'erba verde, presso gli alberi da frutto. Una tomba "antica", ché tutti ormai non lasciamo che cenere, e le nostre case sono sarcofaghi dei quali non rispettiamo la sacertà. È scesa perché era finita, perché finita si sentiva, perché finita non voleva finire. Nessuno conosce il guazzabuglio del cuore umano, a nessuno è lecito giudicare. Ma le tombe mute dei vecchi, come il disonore delle salme degli anziani ospiti della Rsa milanese, morti in un rogo e abbandonati anche durante le esequie, sono l'accusa concreta, starei per dire vivente, dei nostri anni ingrati. La lezione del covid non ci ha resi migliori. In questi anni "che mai non fur vivi" seppelliamo anzitempo gli anziani "in-utili", precludendoci così il futuro.

19.6.23

un vecchio e un giovane in una banca tra passato e presente di Roberta Brocciacia

 dal  gruppo  fb  Madre Terra e amici di ❤  di  Roberta Broccia

 


Ho passato un'ora in banca con mio padre, perché ha dovuto
trasferire dei soldi.
Non ho resistito a me stessa
e ho chiesto...
- Papà, perché non attiviamo il tuo
internet banking?
- Perché dovrei farlo? Ha chiesto...
- Beh, allora non dovrai passare
un'ora qui per cose come
il trasferimento.
Puoi anche fare la spesa online.
Sarà tutto così facile! ′
Ero così entusiasta di farlo entrare
nel mondo del Net Banking.
Mi ha chiesto: se lo faccio, non dovrò
uscire di casa...?
- Sì, sì ho detto. Gli ho detto come
anche gli alimentari possono essere
consegnati a porta ora e come
Amazon consegna tutto!
La sua risposta mi ha lasciato
la lingua legata.
Mi ha detto:
“da quando sono entrato in questa
banca oggi, ho incontrato quattro
miei amici, ho chiacchierato un po'
con lo staff che ormai mi conosce
molto bene.
Sai che sono solo...
questa è l'azienda di cui ho bisogno.
Mi piace prepararmi e venire in banca.
Ho abbastanza tempo,
è il tocco fisico che desidero."
"Due anni fa mi sono ammalato,
il proprietario del negozio da cui
compro frutti, è venuto a trovarmi
e si è seduto vicino al mio capezzale
e ha pianto.
Quando tua madre è caduta giù
qualche giorno fa mentre faceva
la passeggiata mattutina,
il nostro fruttivendolo locale
l'ha vista e ha subito preso la sua
macchina per portarla a casa
di corsa, perché lui sa dove vivo."
- Avrei quel tocco ′′umano′′
se tutto diventasse online?
Perché dovrei volere che tutto
mi venga consegnato e che mi
costringa a interagire solo
con il mio computer?
Mi piace conoscere la persona
con cui ho a che fare e non solo
il venditore.
Crea legami di relazioni.
Anche Amazon consegna tutto questo?"
La tecnologia non è vita...
Trascorri del tempo con le persone.l
Non con i dispositivi.

19.4.22

miserie umane : Disabili fatti scendere dal treno, Trenitalia: per far posto a turisti ., Anziano aggredito e buttato in un cassonetto: ragazzi postano il video su Tik Tok

Sono troppo triste ed indignato da non riuscire a trovare nessuna parola di sdegno per commentare sifatti avvenimenti E poi per parafrasare una famosa battuta televisiva : due parole sono poche e una troppo . a voi i fatto incresciosi

 27  ragazzi disabili ed i loro accompagnatori non sono riusciti a salire sul treno che da Genova doveva riportarli a Milano, nonostante avessero anche i posti a sedere prenotati.A nulla è servito l'intervento del personale di Trenitalia e perfino della Polizia ferroviaria; i passeggeri non hanno voluto abbandonare i posti
indebitamente occupati (oltretutto segnalati con dei cartelli).
Trenitalia è stata costretta ad allestire un pullman dedicato per poter riportare i ragazzi a casa.Diritti cancellati con la forza, persone umiliate con l'arroganza e la strafottenza dell'inciviltà. Un comportamento disumano ed ingiustificabile. Lascia perplessi l'atteggiamento remissivo delle autorità presenti sul posto. Lo Stato non può permettere che i diritti vengano schiacciati dalla forza.Situazione incredibilmente vergognosa. C'è da dire la versione di Trenitalia fa pena ed è un arrampicarsi sugli specchi : << Noi abbiamo fatto il possibile, abbiamo organizzato un pullman, fornendo un kit di assistenza per mangiare e bere e per tutti ci sarà il rimborso integrale del biglietto>>, questa la versione ufficiale   delle  ferrovie  a commento di quanto avvenuto nella stazione di Genova Piazza Principe dove un gruppo di disabili ha trovato i propri posti (prenotati in anticipo) occupati da un gruppo di turisti i quali li hanno obbligati a scendere e andare a Milano in pullman. << I turisti erano tutti italiani - prosegue Trenitalia -, erano di ritorno dalle vacanze di Pasqua e avevano il regolare biglietto per quel treno, ma avrebbero potuto proseguire il viaggio restando in piedi>>. Ma l'associazione Haccade interviene sulla vicenda: <<Non è colpa di chi non si è alzato ma di chi non ha garantito il servizio".Sempe secondo La ricostruzione secondo Trenitalia - Trenitalia >>aveva riservato sulla prima vettura del treno regionale 3075 Albenga-Milano i posti necessari a far viaggiare da Genova a Milano una comitiva di persone con disabilità, 27 persone e 3 accompagnatori. Sul treno, arrivato a Genova Piazza Principe, in ritardo per un precedente atto vandalico, che aveva costretto a cambiare tipo di convoglio a Savona, sono saliti numerosi viaggiatori occupando tutti i posti, compresi quelli tenuti e rimasti fino a Genova liberi per la comitiva. A quel punto il personale di assistenza alla clientela è salito a bordo per invitare le persone a liberare quei posti. Dopo circa venti minuti, nell'impossibilità di persuadere i clienti e permettere alla comitiva di viaggiare seduta e in maniera confortevole, com'era previsto, Trenitalia ha individuato una soluzione alternativa, utilizzando un pullman". E' questa la ricostruzione di Trenitalia di quanto avvenuto nella stazione di Genova Piazza Principe, fornita dalla stessa azienda ferroviaria.
La replica dell'associazione Haccade: <<Una narrazione agghiacciante di Trenitalia" - "La responsabilità di quanto successo non è di chi non si è alzato, ma di chi non ha garantito il servizio>>: lo ha detto Giulia Boniardi, responsabile di Haccade, l'associazione con cui viaggiavano i 25 disabili che non sono riusciti a salire sul treno e sono dovuti tornare in pullman a Milano. <<Stanno mettendo le persone una contro l'altra - ha detto all'agenzia Ansa -, è una narrazione agghiacciante, il focus è la mancata tutela di un diritto, quello di viaggiare, il messaggio - sottolinea Boniardi - non è 'poveri disabili trattati male>>.
ha   ragione    Lorenzo  Tosa  : <<   [....] Ma, per quanto incredibile, la cosa più sconvolgente non è nemmeno questa. La cosa più sconvolgente è che il personale di Trenitalia e della Polfer intervenuto, invece di far alzare e sloggiare i turisti seduta stante, magari anche con una equa multa, hanno fatto scendere i 27 disabili e li hanno trasferiti su un pullman diretto in Lombardia. Oltre il danno, la beffa. La resa totale dello Stato di fronte all’inciviltà, alla legge della giungla, alla barbarie.C’è solo da augurarsi che qualcuno risponda di tutto questo. Gli incivili ma anche chi all‘inciviltà si piega (invece di perseguirla), diventandone inconsapevolmente complice.>>

il secondo    fattto  è l'Episodio di violenza in provincia di Napoli, dove un anziano è stato aggredito, sollevato e buttato in un cassonetto da un gruppo di ragazzi che, divertiti, commentano e riprendono la scena con grosse risate per poi postare il video su Tik Tok. Le forze dell’ordine stanno indagando per rintracciare la vittima e gli aggressori.
Anziano aggredito video tik tok© Fornito da Notizie.it Anziano aggredito video tik tok

Diventato in breve tempo virale sui social, il filmato mostra la comitiva circondare l’anziano, forse uscito per buttare la spazzatura, e bloccarlo mentre tenta di divincolarsi. Tra le risate di amici e amiche presenti, i ragazzi sono riusciti a sollevarlo prepotentemente e a gettarlo in un cassonetto dei rifiuti per poi allontanarsi dal luogo del misfatto. In evidenti difficoltà, l’uomo ha provato a chiedere a gesti di essere aiutato ad uscire ma i giovani hanno continuato a filmarlo divertiti prima di andarsene.
Borrelli: “Grave imbarbarimento dei costumi”
Francesco Emilio Borrelli, consigliere regionale dei Verdi, è intervenuto sulla vicenda parlando di un video vergognoso che ha già provveduto ad inviare alle autorità. “Si è raggiunta una tale sottocultura e un così grave imbarbarimento dei costumi che si fa fatica a pensare da dove cominciare per rimediare a un tale disastro sociale“, ha aggiunto. Le forze dell’ordine, acquisito il materiale, sono ora al lavoro per identificare i protagonisti della vicenda.



4.6.19

noi e loro quello che noi siamo loro erano e quello che noi saremo loro sono . passaggio di generazione

 di cosa  stiamo parlando
Anche  i vecchi meritano  rispetto ed  hanno molto  da insegnarci    come la  storia   di cui   di "Zio " 97 anni e non sentirli: immerso in un mare di colori, continua   a lavorare  nel suo negozio di stoffe, a Tempio Pausania  di cui  ho parlato in un post precedente

Infatti   è  grazie  a  loro che  si  hanno iniziative  come  queste  



E  poi non  dimentichiamo che   quello che   noi siamo  loro  erano  e  quello   che   noi  saremo   loro  sono

6.7.16

.Si laurea a 82 anni per amore della moglie Carmelo Toscano aveva finito gli esami già nel 1974 e ieri ha presentato a Sociologia la sua tesi sul capitalismo in agonia


Lo so che molti di voi ,  come non biasimarli , mi diranno   :   è che  palle   è già il terzo articolo    che riporti su argomenti   simili  in queste due settimane  ;  ma stasi diventando vecchio.;  non sapevo che t'interessassi    d  tematiche   da  giornali rosa  e  tipo  harmony  ; ...  ecc  . 

Ma   se   leggete  questa storia   fino in fondo  , prima di sparare  cazzate    a  random   capirete  che tale  vicenda   non puo' essere  in modo riduttivo in quadrata   in tali categorie  


Si laurea a 82 anni per amore della moglie

Carmelo Toscano aveva finito gli esami già nel 1974 e ieri ha presentato a Sociologia la sua tesi sul capitalismo in agonia 
                             di Giorgio Dal Bosco






Non solo, ma questa è una pagina tenerissima di un libro rosa dove, tuttavia, di realismo non manca niente. Non manca l'ambizione di lei «desidero essere la moglie di un dottore» e nemmeno la smorfia di assenso di lui che, prima, sbuffa un «vabbè, mi arrendo, mi laureo» e, poi, le sussurra un « sono contento di ...accontentarti». Questa, in maniera stringata, è la storia di Carmelo Toscano, nato nel 1934, siciliano di Lentini, bolognese d'adozione, ragioniere, sposato con Antonietta, venuto a Trento nel 1968 ad iscriversi alla già quasi famosa Sociologia.
La sua, professionalmente, è una vita tutta dentro “Timo” e Sip, rispettivamente “nonna” (emiliana) e madre di Telecom, fino al pensionamento nel 1987. Con la passione, oltre a quella del contestatore che presagiva come la tecnologia si sarebbe fagocitata centinaia di migliaia di posti di lavoro, una grande passione – si diceva - per tutto ciò che è “sociale”, in particolare per una diversa modalità dell'organizzazione del lavoro che avrebbe dovuto ubbidire all'imperativo «far lavorare meno ore per far lavorare tutti».
Carmelo si è sempre messo di buzzo buono anche in questo almanaccando sistemi organizzativi migliori. Quella tesi dal titolo «Capitalismo in agonia», scritta quando aveva 38 anni, intanto , però rimaneva lì in casa tra gli scaffali come un impolverato album di foto di famiglia. Antonietta la moglie, - come sussurra la figlia Alessandra «moglie sì, ma con un'espressione più intima io definisco meglio una compagna di vita, una donna che ha condiviso con il marito ogni decisione e ogni grande o piccola emozione» - ha covato per qualche tempo un segreto desiderio.
Lo covava, forse, anche tra un gorgheggio e l'altro, tra un'opera e l'altra, cantando come soprano lirico al Teatro Comunale di Bologna. Poi, l'anno scorso Carmelo si è trovato tra le mani quel fascicolo «Capitalismo in agonia» che ha portato , non si sa mai, alla casa editrice Pendragon che subito ha pubblicato l'opera in due volumi. Involontariamente Carmelo ha così dato il “la” alla sua laurea. Sì, perché la moglie Antonietta e la figlia Alessandra come due carbonare hanno tramato nell'ombra.
Qualche telefonata a sociologia, qualche distinguo e infine la certezza di una cosa importante: il laureando, all'epoca dell'ultimo esame, per motivi tutti suoi e non per eventuali ripensamenti sulla eventualità di laurearsi, si era fatto certificare dall'Università di aver superato tutti gli esami. E questo attestato che gli ha permesso di laurearsi a distanza di 42 anni.
Così per Carmelo è arrivata la “bomba”: la richiesta della moglie, ossia, la preghiera di andare a Trento, discutere la tesi già pubblicata. La “carboneria” di madre e figlia aveva vinto. D'altra parte 60 anni di matrimonio vissuti senza tentennamenti e con un grande dolore, supportandosi (attenzione, non sopportandosi) vicendevolmente dovevano essere festeggiati.
Ecco, appunto, supportandosi. Sì, perché quando Carmelo, allora già impiegato alla Sip, aveva deciso di iscriversi a Sociologia, la moglie aveva apprezzato e stimolato l'iniziativa anche se lo studio avrebbe distolto Carmelo, almeno parzialmente, dal ruolo di grande padre e di bravo marito.

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