unione sarda del 20\9\2025
A Serrenti la tradizione diventa identità da tramandare. Luigia Madau, a 81 anni, ha realizzato interamente il ricamo per lo scialle del costume sardo di sua nipote Sara, dopo aver frequentato il corso organizzato dall’associazione culturale Sa Grutta Niedda. L’idea di contribuire con le proprie mani alla realizzazione di un pezzo fondamentale dell’abito tradizionale della nipote era già nell’aria quando sua figlia Fatima, vedendo l’annuncio del corso, decide di iscriverla a sorpresa per permetterle di perfezionare un’arte che ha iniziato a mettere in pratica già dalla tenera età. «Io sono originaria di Ozieri – racconta Luigia – e all’epoca c’erano ancora moltissime sarte che ricamavano, ho iniziato a dieci anni, ho imparato da mia mamma e dalle altre sarte che permettevano a noi bambine di osservarle all’opera e di collaborare con delle piccole mansioni, come togliere le imbastiture. Da allora non ho mai smesso, mi sono sempre adoperata nella realizzazione degli abitini per i miei figli e in altri piccoli lavori». Per portare a termine lo scialle è stato necessario quasi un anno di lavoro, a cui ha contribuito anche la nipote Sara. «Quando ho visto nonna alle prese con le frange – dice Sara Mallocci – ho voluto provare anche io. Grazie ai consigli di maestra Marinella, sono riuscita a realizzarle e ad applicarle tutte, completando così il lavoro». Un impegno assiduo, che l’ha tenuta incollata alla sedia dalle tre alle sei ore al giorno per oltre un mese, consentendole di ultimare lo scialle prima del rientro a scuola. È un legame dalle radici profonde quello che unisce Sara alla tradizione della Sardegna. «Avevo 13 mesi quando ho sfilato per la prima volta con il costume sardo, da allora non ho mai smesso – dice Sara – tengo moltissimo a ogni parte del costume, che indosso sempre con orgoglio, e a tutto ciò che appartiene alla cultura sarda».
Non sono tanti i ragazzi che condividono la passione di Sara: «Qualcuno mi dice che spendo soldi inutilmente per il costume sardo, che non ne vale la pena perché probabilmente quando sarò più grande smetterò di usarlo». Ma per l’associazione Sa Grutta Niedda, la sua dedizione è un esempio prezioso. «Il lavoro di Luigia e Sara dovrebbe essere di ispirazione per tanti altri giovani – dice Anna Maria Pezza, presidente dell’associazione – perché solo così la tradizione ha qualche possibilità di sopravvivere». «È una tradizione ricca di simboli, colori ed eleganza. Durante i corsi i partecipanti imparano i gesti lenti e precisi del ricamo. Ho iniziato a insegnare proprio perché credo sia fondamentale tramandare quest’arte», commenta l'nsegnante del corso Marinella Serra, di Villanovaforru.
-----
nuova sardegna 19\9\2025
nuova sardegna 19 e 20 \09\2025
un ottima idea antispreco quella di mettere in vendita pacchi smarriti e forse non reclamati . tanto sarebbero finiti al macero con spreco di risorse ed inquinamento inutile per smaltirli
e
-----------
nuova sardegna online 20 settembre 2025 14:07
Antichi mestieriCalzoleria Budroni, ogni scarpa una storia da oltre 50 anni: «I lavori top secret per Clooney...»A Olbia la bottega gestita da padre e figli: «La soddisfazione? Quando ci commissionano riparazioni dal resto d’Italia perché non ci sono botteghe così altrove»
di Carolina Bastiani
Olbia «Ho scoperto che Babbo Natale non esiste dalle scarpe». E questo già la dice lunga sulla passione che regna nella Calzoleria al civico 9 di via Cesare Battisti a Olbia, a Sa Rughe, il vecchio quartiere dei pescatori.Protagonista dell’aneddoto uno dei figli di Paolo Budroni, titolare dell’attività dal 1983 e calzolaio da oltre 50 anni, che a 9 anni ha capito guardando le scarpe che quello travestito da Babbo Natale era un amico del padre. Sì, perché Mirko Budroni, classe 1995, il pallino ce l’ha da sempre ed è lì che gli cade subito l’occhio. Per questo, insieme al fratello minore Edoardo che condivide la sua stessa passione, ha deciso di mandare avanti l’attività di famiglia, dove lavora anche la madre Menica Sanna.È una vera e propria bottega la Calzoleria Paolo Budroni, di quelle ormai rare anche in Italia, dove l’artigianalità si respira insieme al profumo della pelle. Si lavora su misura con macchinari all’avanguardia e prodotti di qualità e al cliente si spiega ogni fase della lavorazione e della riparazione.E mentre la vicina via Redipuglia cambiava aspetto, la Calzoleria si adattava ai tempi, continuando a dare dignità all’antica arte manuale, che richiede tempo, preparazione e grande cura per i dettagli. Così oggi, insieme a scarpe in cuoio, borse e cinture, si riparano e si creano anche le sneakers. E, tra la vetrina social e quella del negozio, con una tappa in tv, il lavoro non manca. A sinistra dell’ingresso, un po’ nascosto da un bancone moderno, c’è ancora il piccolo banchetto di legno dove Paolo Budroni, a 14 anni, ha iniziato a imparare il mestiere in una bottega del centro. «In mezzo c’era il maestro e intorno noi apprendisti. Ne abbiamo presi di rimproveri, ci divertivamo a piantare nel legno le semenze», racconta divertito mentre indica i buchi lasciati dai chiodini, ma ricorda bene anche la severità delle punizioni, così come le prime paghette.«Mi sono rimaste impresse, prendevo 4.500 lire a settimana e la prima mancetta è stata di 500». Quinto di 8 figli, al mestiere è stato spinto dalla madre. Paolo, però, i suoi di figli non ha voluto condizionarli. «Come genitore sono molto orgoglioso della loro scelta, ma non li ho invogliati io. Loro venivano d’estate a giocare e piano piano si sono appassionati». Mirko ha studiato all’Accademia Riaci di Firenze, dove ha appreso l’intero processo di creazione delle calzature, mentre Edoardo ha girato per il mondo, ultima tappa Australia. «Sono tornato perché la Sardegna ha un cordone ombelicale che tira a sé – dice – ma anche perché la passione per il mestiere era forte. In Australia queste realtà non esistono, ma aver imparato l’inglese è stato utile e ora possiamo spiegare bene il lavoro anche agli stranieri».Il rapporto con il cliente alla Calzoleria Budroni è fondamentale. «Il lavoro va raccontato in tutte le sue fasi. Il contatto diretto non si può perdere». I clienti sono soprattutto locali, ma ci sono anche tanti turisti. «La più grande soddisfazione – dice Paolo – è quando da Milano, per esempio, arrivano per darci un lavoro che altrove non sono riusciti a far fare». E tra i clienti d’eccezione anche George Clooney, che nel 2018 ha girato in Gallura Catch-22.i hanno contattato per sistemare i costumi di scena come i giubbotti degli anni ‘40 – ricorda Paolo –. Era tutto top secret, abbiamo lavorato a serrande abbassate». E sempre dal 2018 alla calzoleria, oltre alle riparazioni che rimangono l’attività principale, è iniziata la produzione propria di calzature. «Lavoriamo su commissione – dice Mirko –. Lo scopo è mantenere il nostro marchio e l’artigianalità, che richiede il giusto tempo e grande qualità. E cerchiamo di garantirla col lavoro di squadra e l’aggiornamento continuo». Tutti fanno tutto, ma ognuno è specializzato in qualcosa. Edoardo si occupa di riparazione sneakers e colorazione, Menica del restauro di borse e giubbotti vintage. «Ciò che conta – conclude Mirko – è mettere insieme le visioni e l’esperienza di ognuno per arrivare al miglior risultato possibile».Un modo di lavorare apprezzato dalla Lm Professional, importante azienda nel settore dei prodotti per la cura delle scarpe e del pellame, che nel 2024 ha scelto la Calzoleria Budroni come esempio di eccellenza insieme ad altre 12 botteghe italiane.------





