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26.1.25

27 gennaio 2025 i maistream parla solo dei lager \ campi di concentramento nazisti ma tace sui quelli italiani del #regimefascista prima e poi della #Rsi #repubblicasociale

  concludo   i miie  post     sulla settimana    della memoria  parland  dei  campi di concentramento italiani    . Lo so     che  le  news  sono prese   da wikipedia  ma    per una serrie  di  problematiche  varie non ho  molto tempo  per  scrivere  direttamente

campi di concentramento della Repubblica Sociale Italiana furono la rete di campi di prigionia e di transito attraverso cui tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 operò il

la  risiera  di san  saba  ( Trieste  )

meccanismo dell'Olocausto in Italia, finalizzato alla deportazione degli ebrei nei campi di sterminio, in primo luogo Auschwitz. La preesistente rete di campi per l'internamento civile nell'Italia fascista, istituiti tra il 1940 e il 1943 per la detenzione e il confino degli ebrei "stranieri" o antifascisti, fu parzialmente riadattata a servire al nuovo scopo di sterminio di tutti gli ebrei residenti nella Repubblica Sociale Italiana.

Prima dell'8 settembre 1943 operava nell'Italia fascista una fitta rete di campi per l'internamento civile degli ebrei "stranieri", antifascisti e di altri gruppi etnici considerati "non-italiani". Per quanto, soprattutto nei confronti degli slavi, si verificassero in alcuni campi delle condizioni di vita disumane, che portarono alla morte per stenti di migliaia di prigionieri, agli ebrei furono riservate condizioni di vita migliori. Agli internati ebrei era infatti concessa una certa libertà di movimento e autonomia organizzativa, e la possibilità di ricevere aiuti e assistenza dall'esterno, soprattutto attraverso la DELASEM. Il trattamento fu simile a quello di una prigionia, e non fu affiancato da violenze antisemite fisiche o morali aggiuntive. Soprattutto, essi non furono soggetti a deportazione.[1]

Tutto questo cambiò radicalmente dopo gli avvenimenti dell'8 settembre 1943, con l'avvio anche in Italia della "soluzione finale della questione ebraica", con il supporto congiunto delle truppe di occupazione tedesca e delle forze di polizia della neonata Repubblica Sociale Italiana. I campi di internamento civile dell'Italia meridionale, in primo luogo Ferramonti e Campagna, furono liberati dagli Alleati e agli ebrei ivi rimasti furono così risparmiati gli orrori dell'Olocausto.[2] Ben altra fu la situazione degli ebrei (italiani e "stranieri") nel Centro e Nord Italia, ora ugualmente soggetti a deportazione e sterminio.

Dopo i primi arresti e deportazioni compiuti direttamente dalle truppe di occupazione tedesche, dal 30 novembre 1943 anche le autorità di polizia e le milizie della Repubblica Sociale furono mobilitate per l'arresto di tutti gli ebrei, il loro internamento e la confisca dei loro beni.[3]

Così prescriveva l'ordine firmato dal Capo della Polizia Tullio Tamburini:[4]

(1) Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni mobili e immobili devono essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell’interesse della Repubblica Sociale italiana, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche.
(2) Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in applicazione delle leggi razziali vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana, debbono essere sottoposti a speciale vigilanza dagli organi di polizia.
(3) Siano pertanto concentrati gli ebrei in campi di concentramento provinciali, in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati.

Allo scopo di radunare gli ebrei arrestati furono istituiti 31 campi di concentramento provinciali, dove potessero essere raccolti gli ebrei del luogo, spesso riutilizzando senza soluzione di continuità le strutture di alcuni campi per l'internamento civile creati negli anni precedenti. Da questi campi, gli ebrei (imprigionati assieme ai prigionieri politici antifascisti) erano trasferiti alle strutture gestite direttamente dalla truppe tedesche: il Campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo, il Campo di Fossoli, la Risiera di San Sabba e il Campo di transito di Bolzano. Da lì partivano i trasporti per i campi di concentramento e di sterminio in Germania e Polonia.

Il sistema dei campi provinciali non dette i risultati sperati dai fascisti, di fronte alla pronta dispersione degli ebrei in clandestinità e all'atteggiamento omertoso (se non solidale) di gran parte della popolazione italiana. I campi rimasero sottoutilizzati, tanto che la maggior parte di essi fu presto chiusa. Le operazioni di polizia per la cattura degli ebrei continuarono con accanimento, ma ci si appoggiò prevalentemente al sistema carcerario, da cui i prigionieri erano trasferiti a Fossoli e deportati. Complessivamente, i tedeschi deportarono (prevalentemente ad Auschwitz) 8.564 ebrei dall’Italia e dalle zone occupate dagli italiani in Francia e nelle isole di Rodi e di Kos; degli oltre ottomila deportati, solo 1.009 fecero ritorno.[5]

I campi della Repubblica Sociale Italiana

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Campi di concentramento e transito gestiti dalle autorità tedesche

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Campi di concentramento provinciali istituiti dalla Repubblica Sociale Italiana

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Della maggior parte dei campi di concentramento provinciali gestiti dalla Repubblica Sociale Italiana non restano che scarse tracce, nonostante in anni recenti si sia provveduto a collocare in alcuni di essi lapidi e monumenti che ne ricordino l'esistenza. I quattro campi gestiti direttamente dalla truppe tedesche invece sono a tutt'oggi più conosciuti come luoghi della memoria.[8]

  1. ^ Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce. L'internamento civile nell'Italia fascista, 1940-1943 (Einaudi: Torino, 2004).
  2. ^ Elisabeth Bettina, It Happened in Italy: Untold Stories of How the People of Italy Defied the Horrors of the Holocaust. Nashville: Thomas Nelson, 2009.
  3. ^ Susan Zuccotti, L'Olocausto in Italia, TEA, 1995 (ed. originale: The Italians and the Holocaust: Persecution, Rescue, and Survival. New York: Basic Books, 1987).
  4. ^ CDEC.
  5. ^ "L'Italia", Enciclopedia dell'Olocausto.
  6. ^ Alessandra Fontanesi, Il campo di concentramento di Reggio Emilia, in Ricerche Storiche, vol. 54, n. 130, ISTORECO Reggio Emilia, 2020, pp. 18-23.
  7. ^ I campi fascisti: Spotorno.
  8. ^ Andrea Ugolini e Francesco Delizia, Strappati all'oblio. Strategie per la conservazione di un luogo di memoria del secondo Novecento: l'ex Campo di Fossoli, Firenze: Altralinea, 2017.

Bibliografia

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  • Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino, 1972.
  • Susan Zuccotti, L’olocausto in Italia, Tea storica, 1995.
  • Liliana Picciotto, L'alba ci colse come un tradimento: gli ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944, Milano: Mondadori, 2010.
  • Tristano Matta, Il Lager di San Sabba. Dall'occupazione nazista al processo di Trieste, Trieste: Beit casa editrice, 2013, ISBN 978-88-95324-30-2.
  • (EN) Alexis Herr, The Holocaust and Compensated Compliance in Italy: Fossoli di Carpi, 1942-1952. Houndmills, Basingstoke, Hampshire; New York, NY: Palgrave Macmillan, 2016.

Voci correlate

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  poi ci sono   anche     quelli nella  ex  jugoslavia     che durano  poco    e che  furono   una  delle principai cause  della reazione  al crollo  del fascismo     che   porto    alle  prime  foibe   cioè  quelle    avvenute  fra  luglio   e  settembre   del   1943  


Il campo di concentramento di Arbe fu creato dal comando della Seconda Armata italiana nel luglio del 1942 ad Arbe, nel Carnaro, ed ospitò complessivamente tra i 10.000 e 15.000 internati tra slovenicroati ed ebrei diventando il più esteso e popolato campo di concentramento italiano per slavi[1][2] raggiungendo i 21.000 internati nel dicembre 1942[3]. Il campo si caratterizzò per la durezza del trattamento riservato agli internati di etnia slava[1], dei quali un gran numero perì di stenti e malattie. Per converso, oltre 3.500 ebrei fuggiti dagli ustascia croati e ivi internati dal Regio Esercito italiano evitarono grazie a questo la deportazione.[4][5][6].

Bambini internati ad Arbe

Secondo lo storico Tone Ferenc la necessità di allestire un grande campo di concentramento sull'isola di Arbe si era già fatta sentire nel maggio 1942 a seguito della saturazione dei campi di LauranaBuccari e Porto Re[7]. Nell'estate 1942, per far fronte alla necessità di provvedere all'internamento dei numerosi rastrellati nel corso delle operazioni estive in Slovenia, le autorità militari italiane della Seconda Armata costruirono in gran fretta ad Arbe[2][8] (più esattamente nella località di Campora), un campo di concentramento per i civili slavi delle zone occupate della Slovenia in cui furono internati anche alcuni civili della vicina Venezia Giulia.

Inizialmente era prevista la costruzione di quattro settori distinti, ma all'arrivo dei primi internati erano pronte solamente le baracche di servizio ed erano disponibili soltanto un migliaio di tende militari da sei posti[1][7]. Il primo gruppo di internati giunse ad Arbe il 28 giugno 1942 ed era composto da 198 sloveni provenienti da Lubiana mentre un secondo gruppo di 243 arrivò il 31 agosto[1] Complessivamente furono portati ad Arbe 27 gruppi di internati di cui il più cospicuo fu di 1194 persone giunte il 6 agosto[1]. Dei quattro campi inizialmente immaginati ne furono realizzati solo tre. Nel 1° e nel 3° furono inseriti i "repressivi" (soprattutto sloveni), mentre nel 2° furono inseriti i "protettivi" (soprattutto ebrei)[1].

Con l'arrivo della stagione autunnale la situazione nei campi divenne più difficile, soprattutto in quelli in cui erano reclusi i "repressivi" dove le piogge provocarono più volte il riversamento del liquame delle latrine del campo e la notte del 29 ottobre 1942 una violenta tempesta distrusse quattrocento tende e provocò l'annegamento di alcuni bambini[9]. Si iniziarono quindi a costruire le prime baracche di legno[2][7] ma per la lentezza dei lavori molti internati trascorsero comunque l'inverno al freddo dentro le tende[1]. Nel novembre 1942 il numero di internati diminuì come riporta Capogreco per la partenza di parte degli internati per altri campi di concentramento, soprattutto di donne e bambini destinati al campo di Gonars[7].

L'internamento repressivo degli slavi

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Internato nel campo di Arbe.

Complessivamente ad Arbe furono internati circa 10.000 civili[10], tra cui vecchi, donne e bambini di famiglie sospettate di collaborare con il movimento partigiano ma anche residenti in aree sgombrate per esigenze belliche[8]. La cifra non comprende coloro che sono passati in transito verso altri campi, nei territori occupati o nel Regno d'Italia.

PeriodoUominiDonneBambiniTotale internati
27 luglio-31 luglio 19421.061111531.225
1º agosto-15 agosto 19423.99201.0295.021
16 agosto-31 agosto 19425.3331.0761.2097.618
1º settembre-15 settembre 19426.7871.5631.2969.646
16 settembre-30 settembre 19427.3271.8041.39210.523
1º ottobre-15 ottobre 19427.3871.8541.39210.633
16 ottobre-31 ottobre 19427.2061.9911.42210.619
1º novembre-15 novembre 19427.2072.0621.46310.732
16 novembre-27 novembre 19426.6471.5609269.133
Fonte: Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo, ed. Bollati Boringhieri, Torino 2003
Internati morti nel campo di concentramento di Arbe. Fonte: Rabski zbornik, 1953.[11]

A causa della precarietà in cui versava il campo ancora dall'estate del 1942, l'inverno fu molto duro per gli internati che avevano come unico riparo delle tende e spesso erano privi di vestiario adeguato[8]. A questo si aggiunsero episodi di brutalità da parte del comandante del campo, il colonnello dei carabinieri Vincenzo Cuiuli[12], il quale, nonostante ciò violasse le norme italiane, faceva incatenare a dei pali gli internati in punizione[13]. L'alimentazione insufficiente rese gli internati particolarmente deperiti e soggetti a diverse malattie, tra cui le infezioni intestinali che provocarono un tasso di mortalità molto alto[7][13][14][15]. Secondo alcuni ricercatori ciò rispondeva ad una precisa politica volta a mantenere sotto controllo gli internati[16].

Nel novembre del 1942 il vescovo di Lubiana Gregorij Rožman si era già recato presso papa Pio XII per chiedergli di intervenire per evitare che il campo di Arbe diventasse un "campo di morte"[17]. La Croce Rossa jugoslava il 10 dicembre 1942 denunciò la scarsezza alimentare dei campi gestiti dagli italiani in Jugoslavia con particolar riferimento a quello di Arbe[18]. Pertanto il Vaticano intervenne presso le autorità italiane affinché si provvedesse alla liberazione della maggior parte delle donne e dei bambini[14]. Il generale Mario Roatta inviò al campo il generale Giuseppe Gianni che relazionò evidenziando l'alto tasso di mortalità, ma attribuendolo alle precarie condizioni fisiche degli internati in gran parte anziani[17]. Ciononostante tutti i bambini e quasi tutte le donne furono evacuati verso altri campi in Italia[17]. Il generale Umberto Giglio ancora il 19 gennaio 1943 scrisse un resoconto sulla situazione interna del campo in cui segnalò la necessità di migliorare le condizioni fisiche degli internati pur attribuendo la causa del grave deperimento fisico alle "privazioni precedenti all'arresto sia al trauma psichico dell'arresto stesso ed alle aggressioni da parte dei ribelli subite durante il viaggio di trasferimento"[7]. A partire da gennaio 1943 le condizioni migliorarono sensibilmente con la costruzione di baracche in muratura e il miglioramento delle razioni alimentari[14].

Il vescovo della diocesi di Veglia, Josip Srebrnič, il 5 agosto 1943 riferì a papa Pio XII che "secondo i testimoni, che avevano partecipato alle sepolture, il numero dei morti avrebbe superato le 3500 unità"[19] (tra cui circa 100 bambini di età inferiore ai 10 anni[20]). Le fonti slovene stimano che al suo interno avrebbero perso la vita circa 1400 internati slavi tra cui anche donne e bambini[21] Gli storici sloveni e croati, quali Tone FerencIvan Kovačić e Božidar Jezernik, indicano in un numero compreso tra i 1447 e i 1167 i decessi avvenuti al campo[22] e secondo James Walston[23] e Carlo Spartaco Capogreco[19], il tasso di mortalità annuo nel campo di concentramento di Arbe superava il tasso di mortalità medio nel Campo di concentramento di Buchenwald (che era il 15%).

L'internamento protettivo degli ebrei

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Il settore del campo destinato agli internati "protetti"

Nell'area occupata dall'Italia si trovavano alcune centinaia di ebrei concentrati soprattutto nella città di Mostar e lungo la costa cui si aggiunsero migliaia di profughi in fuga dallo Stato Indipendente di Croazia per sfuggire ai massacri commessi dagli ustascia[5][24] e dai territori occupati dai tedeschi[25]. Tranne una parte respinta alla frontiera di Fiume gli ebrei furono accolti nella Dalmazia annessa dall'Italia[5] e la protezione fu estesa anche a quelli che si trovavano nelle zone occupate dalle truppe italiane in Croazia[25] i quali pur sottoposti a vigilanza continuarono a vivere liberamente[26]. Alla fine del 1942 la situazione si rese più complicata quando alle richieste croate di ottenere gli ebrei presenti nei territori occupati italiani si aggiunsero anche le pressioni tedesche[26][27].

Baracca adibita al lavoro dei calzolai

La tragedia che avrebbe colpito gli ebrei in caso di consegna inizialmente solo ipotizzata fece sì che il Regio Esercito escogitasse pretesti e oppose una serie di rinvii per non procedere ad alcuna consegna degli ebrei internati anche ad Arbe[5], poi dal novembre 1942 la situazione fu più chiara e non consegnare gli internati divenne prioritario[28]. Si ipotizzò in un primo tempo di internare gli ebrei in locande e alberghi dismessi nella città di Grado, poi si preferì la soluzione del campo di Arbe dove fu allestita appositamente un'area[29] in cui furono fatti confluire complessivamente gli oltre 3.500 nuovi internati[30][31][32]. Qui vissero in una condizione sicuramente migliore degli internati slavi potendo ricevere visite esterne e svolgere attività ricreativa[29]. Le autorità militari e civili che operavano in Jugoslavia nel frattempo avevano esercitato pressioni su Mussolini che revocò le precedenti disposizioni e dispose che tutti gli ebrei sarebbero invece rimasti internati in territorio sotto giurisdizione italiana e per ovviare alle richieste del governo croato di ottenere la consegna degli ebrei con passaporto croato di avviare per costoro le pratiche per rinunciare alla cittadinanza[33]. Insieme ai numerosi ebrei furono internati ad Arbe a scopo "protettivo" anche molti serbi sfuggiti alle persecuzioni croate[5].

Ancora nell'agosto 1943 le autorità italiane si preoccuparono dell'incolumità degli internati ebrei immaginando, in caso di ritirata delle truppe italiane, di mantenere un presidio armato affinché gli internati protettivi non cadessero "in mani straniere"[29].

Secondo Michele Sarfatti, Coordinatore delle attività della fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, 200 ebrei circa furono trasferiti da Arbe a Trieste e avviati alla deportazione da parte dei tedeschi ."Senza considerare i circa 200 ebrei trasferiti dall’isola di Arbe a Trieste e lì «unificati» a quelli rastrellati nella penisola, durante l’intero periodo vennero deportati dall’Italia 7400-7600 ebrei".(LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI IN ITALIA DALLE LEGGI RAZZIALI ALLA DEPORTAZIONE).

La chiusura del campo

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Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 il campo fu temporaneamente occupato dalle forze partigiane di Tito. Gli internati ebrei - liberati - raggiunsero in massima parte la terraferma. Di costoro circa 240 giovani atti alle armi furono radunati in un battaglione ebraico[34] che combatté nell'EPLJ contro l'Asse; 200 persone rimasero sull'isola e furono catturate dai tedeschi durante la successiva occupazione nazista; infine, circa 200 persone raggiunsero via mare l'Italia[35]. Il comandante del campo, colonnello Vincenzo Cujuli dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 rimase di presidio al campo in base all'ordine giuntogli dal comando della seconda armata di collaborare con i partigiani jugoslavi[36]. Preso prigioniero dai partigiani secondo alcune fonti fu seviziato e ucciso[36], mentre secondo altre sarebbe morto suicida in prigionia[37].

Negli anni cinquanta, fu eretto un monumento ad opera dell'architetto sloveno Edvard Ravnikar.

Lo Stato italiano

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Dal 1945 ad oggi nessun rappresentante dello Stato italiano è mai andato in visita al campo di Arbe e nessuna parola di scusa è mai stata pronunciata in forma istituzionale. [38][39][40]

  1. ^ Salta a:a b c d e f g Gianni Oliva, p. 131.
  2. ^ Salta a:a b c Gobetti, Alleati del nemico, p. 87.
  3. ^ Ferenc, su resistenza.univr.itURL consultato l'11 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 18 maggio 2015).
  4. ^ Renzo De Felice a proposito della vicenda degli ebrei internati ad Arbe, su Rosso e Nero, p. 161,
  5. ^ Salta a:a b c d e Marina Cattaruzza, p. 214.
  6. ^ Gianni Oliva, p. 131, 271 secondo Gianni Oliva.
  7. ^ Salta a:a b c d e f I CAMPI FASCISTI - Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò
  8. ^ Salta a:a b c Marina Cattaruzza, p. 230.
  9. ^ Gianni Oliva, pp. 131-132.
  10. ^ Rossi & Giusti, p. 62 Secondo il generale Mario Roatta sarebbero stati al massimo 10552.
  11. ^ Rabski zbornik, 1953.
  12. ^ Gobetti, Alleati del nemico, p. 88.
  13. ^ Salta a:a b Gianni Oliva, p. 132.
  14. ^ Salta a:a b c Marina Cattaruzza, p. 231.
  15. ^ Gobetti, Alleati del nemico, p. 88: "Tuttavia la privazione della libertà, la fame, le malattie connesse con la denutrizione e le pessime condizioni igieniche, concorrono a portare alla morte un notevole numero di persone.".
  16. ^ Gobetti, Alleati del nemico, pp. 88-89.
  17. ^ Salta a:a b c Gianni Oliva, p. 133.
  18. ^ Rossi & Giusti, p. 486.
  19. ^ Salta a:a b Cresciani, Gianfranco (2004), Italian Historical Society Journal, Vol.12, No.2, p.7
  20. ^ Italijanska koncentracijska taborišča za slovence med 2. svetovno vojno, Božidar Jezernik, Revija Borec - Društvo za preučevanje zgodovine, literaure in antropologije, Lubiana 1997, ISSN 0006-7725.
  21. ^ Rossi & Giusti, p. 62.
  22. ^ Rossi & Giusti, p. 486: Riportati nel saggio di Capogreco: Tone Ferenc parla di 1435 decessi, per Ivan Kovacic 1447, mentre per Bozidar Jezernik 1167.
  23. ^ James Walston (1997) History and Memory of the Italian Concentration CampsHistorical Journal, 40.
  24. ^ "(...) nell'agosto-settembre 1941, per fermare la violenza antiebraica e stroncare gli eccidi in corso fra serbi e croati, l'Esercito italiano assunse provvisoriamente il controllo di una nuova zona ceduta dalla Croazia di Pavelic. (...) Mentre Mussolini per non sfidare apertamente i tedeschi si opponeva all'ipotesi di un trasferimento dei rifugiati in Italia, in gran parte ebrei stranieri formalmente impediti all'ingresso nella penisola da una legge del 1939, nel 1942, fu finalmente escogitata la formula che avrebbe permesso di sfuggire alle pretese dell'alleato pur senza affrontarlo in un rifiuto diretto. I circa 3000 ebrei croati e stranieri (...) dal mese di ottobre (furono) internati in appositi campi (...) allo scopo di tacitare le accuse tedesche di spionaggio a favore del nemico, sarebbero stati sottoposti ad un lungo e laborioso censimento (...). La tattica temporeggiatrice funzionò fino al febbraio 1943 (...) quando Mussolini cedette alle richieste di trasferire gli ebrei a Trieste dove sarebbero stati prelevati dai tedeschi, autorizzando però i suoi generali a trovare nuovi pretesti per il rinvio. (...) nel marzo 1943 si decise di concentrare tutti i rifugiati in un campo dipendente dalla II Armata nell'isola dalmata di Arbe, (...) cioè in un territorio sottoposto alla sovranità italiana, al sicuro da qualsivoglia insidioso tentativo di colpo di mano". Anna Millo, L'Italia e la protezione degli ebrei, in L'occupazione italiana della Iugoslavia, Le Lettere, 2009, pp. 367 e 367.
  25. ^ Salta a:a b Gobetti, Alleati del nemico, p. 129.
  26. ^ Salta a:a b Gobetti, Alleati del nemico, p. 130.
  27. ^ Jonathan Steinberg, p. 81.
  28. ^ Jonathan Steinberg, p. 85:"La documentazione suggerisce che da quel momento, all'inizio del novembre 1942, le autorità italiane del ministero degli Esteri e le forze armate seppero di non dover consegnare quelle migliaia di ebrei".
  29. ^ Salta a:a b c Gobetti, Alleati del nemico, p. 131.
  30. ^ 3.577 secondo un elenco fornito da Jasa Romano, Jevreji u logoru na Rabu i njihovo uklucivanje u Narodnooslobodilacki rat, in: Zbornik 1973 n. 2 p. 70
  31. ^ Marina Cattaruzza, p. 214 circa 4000 secondo la storica Marina Cattaruzza.
  32. ^ Gobetti, Alleati del nemico, p. 131 3577 anche secondo Igor Gobetti.
  33. ^ Jonathan Steinberg, p. 92: Appunto per il gabinetto AP, firmato dal generale Vittorio Castellani "Il Duce ha disposto:1)che detti ebrei vengano mantenuti tutti in campi di concentramento; 2) che si proceda intanto, oltre che a determinare la pertinenza dei singoli internati, a raccogliere -in analogia alle richieste contenute nella soprariferita proposta del Governo croato- le istanze che gli interessati stessi volessero liberamente presentare per rinunciare alla cittadinanza croata ed alla proprietà di ogni bene immobile posseduto in Croazia".
  34. ^ Per una foto del reparto si veda http://emperors-clothes.com/croatia/rab.jpg
  35. ^ Menachem Shelah, Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra Esercito Italiano e gli ebrei in Dalmazia (1941-1943), USSME, 1991, pp. 156-168.
  36. ^ Salta a:a b I CAMPI FASCISTI - Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò
  37. ^ Anton Vratuša, Dalle catene alla libertà - La "Rabska brigada", una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista, Kappa Vu, 2011, ISBN 978-88-89808-627
  38. ^ internazionale.ithttps://www.internazionale.it/notizie/nicoletta-bourbaki/2017/02/10/foibe.
  39. ^ linkiesta.ithttps://www.linkiesta.it/2012/07/rab-la-auschwitz-dimenticata-dagli-italiani/.
  40. ^ lastampa.ithttps://www.lastampa.it/cultura/2017/02/23/news/isola-di-arbe-la-memoria-rimossa-del-lager-italiano-in-jugoslavia-1.34654133/.

Bibliografia

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  • Carlo Spartaco Capogreco, "I campi del duce", Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino, 2004. ISBN 88-06-16781-2
  • Marina CattaruzzaL'Italia e il confine orientale, Il Mulino, 2007, Bologna
  • Alessandra KersevanLager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943, Udine, Editore Nutrimenti, 2008.
  • Anna Millo, L'Italia e la protezione degli ebrei, in: L'occupazione italiana della Iugoslavia, Le Lettere, 2009
  • Gianni Oliva, "Si ammazza troppo poco", Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, 2006, ISBN 88-04-55129-1
  • Jasa Romano, Jevreji u logoru na Rabu i njihovo uklucivanje u Narodnooslobodilacki rat, in: Zbornik, 1973 n. 2
  • Elena Aga Rossi e Maria Teresa GiustiUna guerra a parte, Il Mulino, Bologna, 2011
  • Menachem Shelah, Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra Esercito Italiano e gli ebrei in Dalmazia (1941-1943), USSME, 1991
  • Jonathan SteinbergTutto o niente l'Asse e gli Ebrei nei territori occupati 1941-1943, Mursia, 1997, Milano
  • Eric Gobetti, Alleati del nemico. L'occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Laterza, 2013
 e

Il campo di concentramento di Gonars è stato un campo di concentramento realizzato dal regime fascista nell'autunno del 1941 presso Gonars, in provincia di Udine, e utilizzato per internare i civili rastrellati nei territori occupati dall'esercito italiano nell'allora Jugoslavia.

La struttura

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Il campo di Gonars, costruito appena fuori dall'omonimo abitato in un terreno lungo la Napoleonica, era costituito da due recinti distinti a circa un chilometro uno dall'altro, il campo A e il campo B, il quale a sua volta era diviso in tre settori, Alfa, Beta e Gamma. Era circondato da un alto filo spinato, con torrette di guardia con mitragliatrici e potenti fari che lo illuminavano a giorno.

La costruzione

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Il campo era stato costruito nell'autunno del 1941 in previsione dell'arrivo di prigionieri di guerra russi, ma non fu mai utilizzato per questo scopo.[2] Nella primavera del 1942 invece fu destinato all'internamento dei civili all'interno della “Provincia di Lubiana”, rastrellati dall'esercito italiano in applicazione della Circolare 3C del generale Roatta, comandante della 2ª Armata, nella quale si stabilivano le misure repressive da attuare nei territori occupati e annessi dall'Italia.[3][4]

Primo utilizzo: la repressione degli oppositori

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Le due massime autorità civili e militari della Provincia di Lubiana, l'Alto Commissario Emilio Grazioli e il generale Mario Robotti, comandante dell'XI Corpo d'armata, attuarono le misure repressive: così ci furono fucilazioni di ostaggi, incendi di villaggi e deportazioni di popolazioni intere. Nella notte tra il 22 e il 23 febbraio del 1942 la città di Lubiana fu circondata interamente da filo spinato, tutti i maschi adulti furono arrestati, sottoposti a controlli e la gran parte di essi fu destinata all'internamento. In breve anche le altre città della "provincia" subirono la stessa sorte.[3]

Gli arrestati furono portati nel campo di concentramento di Gonars, dove nell'estate del 1942 erano presenti già più di 6000 internati, ben oltre le possibilità ricettive del campo, che era allestito per meno di 3000 persone.[5] A causa del sovraffollamento, delle precarie condizioni igieniche e della cattiva alimentazione, ben presto si diffusero varie malattie, come la dissenteria, che cominciarono a mietere le prime vittime.[6][7]

In questo primo periodo nel campo si trovarono concentrati intellettuali, insegnanti, studenti, operai e artigiani; quindi tutti coloro che erano considerati potenziali oppositori e tra essi c'erano anche molti artisti che alla detenzione nel campo hanno dedicato molte delle loro opere. Sotto pseudonimo erano internati anche esponenti del Fronte di Liberazione sloveno, che sarebbero poi diventati dirigenti della Resistenza jugoslava.[6] Alcuni di essi nell'agosto del 1942 organizzarono una fuga dal campo, scavando una lunga galleria sotto la baracca XXII.[8] Dopo la fuga, la gran parte degli internati fu trasferita in altri campi che nel frattempo erano stati istituiti in Italia, in particolare a Monigo, a Chiesanuova e a Renicci nonché a Visco, in provincia di Udine, a pochi chilometri da Gonars.[2]

Seconda fase: la bonifica etnica

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I nomi di alcune delle vittime di Gonars scolpiti nel monumento alla memoria

Il campo di Gonars si riempì ben presto di un nuovo tipo di internati: uomini, donne, vecchi e bambini rastrellati dai paesi del Gorski Kotar, la regione montuosa a nord-est di Fiume, e prima deportati a Kampor, nell'isola di Arbe. Qui nel luglio del 1942 il generale Mario Roatta aveva predisposto l'istituzione di un immenso campo di concentramento, destinato ad essere una delle tappe della "bonifica etnica"[9][10][11][12] programmata dal regime nei territori jugoslavi occupati. Nell'estate del 1942 furono internati ad Arbe oltre 10.000 sloveni e croati, in condizioni di vita spaventose, in tende logore, senza servizi igienici né cucine. Infatti i campi di concentramento per jugoslavi erano organizzati dai comandanti dell'esercito italiano secondo il principio espresso dal generale Gastone Gambara: "Campo di concentramento non è campo di ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo".[6]

Ben presto la mortalità ad Arbe raggiunse livelli altissimi e il generale Roatta decise di trasferire donne, vecchi e bambini a Gonars, dove, nell'autunno-inverno 1942-43, arrivarono migliaia di persone in condizioni di debilitazione estrema. Così, nonostante l'impegno umano di alcuni degli ufficiali e soldati del contingente di guardia, come il medico Mario Cordaro, nel campo di Gonars oltre 500 persone morirono di fame e di malattie. Almeno 70 erano bambini di meno di un anno, nati e morti in campo di concentramento. Dopo l'otto settembre del 1943 il campo venne occupato dalle truppe tedesche che costruirono in fretta e furia (grazie all'Organizzazione Todt e ai prigionieri) un raccordo ferroviario che dalla località Friulana Gas di Basiliano (linea ferroviaria Udine-Venezia) raggiunse il lager con ben tre ponti provvisori militari sul fiume Cormor. Il campo fu demolito e chiuso con la liberazione da parte degli Alleati.

La chiusura

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Come tutti gli altri campi italiani per internati jugoslavi, il campo di Gonars funzionò fino al settembre del 1943, quando, con la capitolazione dell'esercito italiano, il contingente di guardia fuggì e gli internati furono lasciati liberi di andarsene.[13]

Nei mesi successivi il campo fu occupato dalle truppe tedesche e destinato a tutti i prigionieri rastrellati nel Friuli come campo di transito.

Alla fine della guerra, la popolazione di Gonars smantellò il campo utilizzando i materiali per altre costruzioni, come l'asilo infantile, e così oggi delle strutture del campo non rimane più nulla.

Nel 1943 il campo venne raccordato al Bivio Mortegliano sulla ferrovia Basiliano-Udine attualmente denominato Raccordo Friulana Gas.

Stele commemorativa slovena che celebra le vittime del campo di concentramento di Gonars

Nel dopoguerra l'Ufficio Storico dello Stato maggiore dell'Esercito italiano con la lettera del 17/10/1959 prot. 7732/063[14] ha descritto il campo di concentramento di Gonars in modo molto diverso rispetto alle testimonianze degli ex internati.[15] Inoltre, secondo l'Esercito non risulta siano stati internati nel campo anche cittadini italiani, fatto smentito dalla morte proprio di un cittadino italiano di lingua slovena, residente a Trieste.[16]

A memoria di questo campo di concentramento, per iniziativa delle autorità jugoslave nel dicembre 1973 lo scultore serbo Miodrag Živković dell'Accademia di Arti Applicate di Belgrado, realizzò un sacrario nel cimitero cittadino dove in due cripte furono trasferiti i resti di 453 cittadini sloveni e croati internati e morti nel campo di concentramento di Gonars.[17]

Nel 1993 in occasione del cinquantesimo anniversario dalla chiusura del campo (1943) il Comune di Gonars ha finanziato la pubblicazione di un libro a cura della prof.ssa Nadja Pahor Verri sul campo intitolato "Oltre il filo: storia del campo di internamento di Gonars, 1941-1943". In esso venne ricordata anche la figura del professor Mario Cordaro, ufficiale medico del campo e noto per la sua umanità nei confronti degli internati. Nel 1996 è stata pubblicata una seconda edizione del libro.

Nel 2003 in occasione del sessantesimo anniversario dalla chiusura del campo, il Comune di Gonars ha commissionato alla ricercatrice storica Alessandra Kersevan un nuovo libro sulla storia del campo, intitolato "Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943", più volte ristampato, che approfondisce alcuni temi del libro precedente.[18]

Nel 2005 il Comune di Gonars, nell'ambito del progetto "The Gonars Memorial" finanziato dalla Commissione europea, ha promosso il documentario intitolato "The Gonars Memorial - Gonars 1942-1943: il simbolo della memoria italiana perduta", realizzato da Alessandra Kersevan e Stefano Raspa.

Alla fine del 2009 è stato anche inaugurato a cura del Comune di Gonars il Parco della Memoria nel luogo dove sorgeva il campo, con le riproduzioni delle opere fatte dagli internati.

Nel 2011 il regista Dorino Minigutti ha girato un film sulla storia dei bambini internati nel campo, intitolato "Oltre il Filo", sottotitolato in italianoinglesesloveno e in croato.

Ogni anno il Comune di Gonars organizza nel Giorno della Memoria e nel Giorno della Commemorazione dei defunti delle cerimonie commemorative per ricordare quanti perirono nel campo. A queste cerimonie partecipano anche autorità provenienti dalla Slovenia e dalla Croazia.

Internati celebri

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Nikolaj Pirnat

Filmografia

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  • The Gonars Memorial - Gonars 1942-1943: il simbolo della memoria italiana perduta (Gonars: the symbol of Italian lost memory), Comune di Gonars, Alessandra Kersevan e Stefano Raspa, Udine, 2005.
  • Oltre il Filo (Over the Line - Onstran žice - Iza žice)Dorino Minigutti, Udine, 2011.[19]
  • Strah ostane (Fear Remains - La paura rimane), RTV Slovenia, Ljubljana, 2014. Documentario in sloveno sottotitolato in inglese
  1. ^ Gonars Concentration Camp, su europeanmemories.net.
  2. ^ Salta a:a b Anonimo, La memoria in affitto | ANPI, su www.anpi.itURL consultato il 21 maggio 2024.
  3. ^ Salta a:a b Lager in Friuli, su www.carnialibera1944.itURL consultato il 21 maggio 2024.
  4. ^ Storia del campo fascista di Gonars (UD), incontro con Alessandra Kersevan per il percorso Memoria 2024 | I.I.S. "Janello Torriani", su www.iistorriani.itURL consultato il 21 maggio 2024.
  5. ^ I CAMPI FASCISTI - Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò, su campifascisti.itURL consultato il 21 maggio 2024.
  6. ^ Salta a:a b c CAMPO DI GONARS, su MemoriaeURL consultato il 21 maggio 2024.
  7. ^ I CAMPI FASCISTI - Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò, su campifascisti.itURL consultato il 21 maggio 2024.
  8. ^ I CAMPI FASCISTI - Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò, su campifascisti.itURL consultato il 21 maggio 2024.
  9. ^ Comune di Gonars, il campo di concentramento 1942-1943, su comune.gonars.ud.itURL consultato il 27 agosto 2021.
  10. ^ Alessandra Kersevan, Un campo di concentramento fascista: Gonars 1942-1943, Comune, 2003, ISBN 978-88-89808-70-2.
  11. ^ Nadja Pahor Verri, Oltre il filo: storia del campo di internamento di Gonars, 1941-1943, 1993.
  12. ^ The Gonars Memorial - Gonars 1942-1943: il simbolo della memoria italiana perduta, 2005.
  13. ^ I CAMPI FASCISTI - Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò, su campifascisti.itURL consultato il 21 maggio 2024.
  14. ^ Stato maggiore dell'Esercito italiano, Campo di concentramento di Gonars, su drive.google.comURL consultato il 3 novembre 2021.
  15. ^ The Gonars Memorial. Gonars 1942-1943. Il simbolo della memoria italiana perduta - 2005, su youtube.comURL consultato il 3 novembre 2021.
  16. ^ Comune di Trieste, Koler Francesco, su drive.google.comURL consultato il 3 novembre 2021.
  17. ^ Sito, su www.comune.gonars.ud.itURL consultato il 21 maggio 2024.
  18. ^ Alessandra Kersevan, Un campo di concentramento fascista: Gonars 1942-1943, Comune, 2003, ISBN 978-88-89808-70-2URL consultato il 21 maggio 2024.
  19. ^ Anonimo, Il lager dei bambini sloveni e croati di Gonars | ANPI, su www.anpi.itURL consultato il 21 maggio 2024.

Bibliografia

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  • 1943-1973 Trent'anni dopo, Comune di Gonars, Udine, STAU, 1973, IT\ICCU\LO1\0626752.
  • Spomen – Kosturnica, Gonars, Beograd, Stampa Zavod za kartografiju Geokarta, 1973.
  • Ivan BratkoTeleskop (Telescopio), Ljubljana, Mladinska knjiga, 1974.
  • Jože Martinčič, Beg iz Gonarsa (Fuga da Gonars), Ljubljana, Zalożba Borec, 1978.
  • Božidar JezernikBoj za obstanek (Lotta per la sopravvivenza), Ljubljana, Zalożba Borec, 1983.
  • Nadja Pahor Verri, Oltre il filo: storia del campo di internamento di Gonars, 1941-1943, Udine, Comune di Gonars, Arti Grafiche Friulane, 1993.
  • Carlo Spartaco CapogrecoUna storia rimossa dell'Italia fascista. L'internamento dei civili jugoslavi (1941-1943), Studi Storici Anno 42, No. 1 (Gen. - Mar., 2001).
  • Costantino Di Sante, I campi di concentramento in Italia dall'internamento alla deportazione, 1940-1945, Milano, FrancoAngeli, 2001, ISBN 9788846426932.
  • Alessandra KersevanUn campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943, Udine, Kappa Vu, 2003. ISBN 9788889808702
  • AA.VV.I campi di concentramento per internati jugoslavi nell'Italia fascista : i campi di Gonars e Visco : atti del convegno Palmanova, 29.11.2003, Udine, Kappa Vu, 2004.
  • Carlo Spartaco CapogrecoI campi del Duce. L'internamento civile nell'Italia fascista (1940-1943), Torino, Einaudi, 2004. ISBN 9788806243166
  • Boris M. Gombač, Dario Mattiussi, La deportazione dei civili sloveni e croati nei campi di concentramento italiani: 1942-1943. I campi del confine orientale, Gradisca d’Isonzo, Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale “L. Gasparini“, 2004.
  • Alessandra KersevanLager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943, Roma, Nutrimenti, 2008. ISBN 9788888389943
  • Metka Gombač, Boris M. Gombač, Dario Mattiussi, Quando morì mio padre. Disegni e testimonianze di bambini dai campi di concentramento del confine orientale (1942-1943), Gradisca d’Isonzo, Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale “L. Gasparini“, 2008.
  • Amedeo Osti GuerrazziL'esercito italiano in Slovenia, 1941-1943. Strategie di repressione antipartigiana, Viella, 2011. ISBN 9788883344978
  • Boris M. Gombač, Metka Gombač, Trpljenje otrok v vojni, Sedemdeset let po zaprtju italijanskih taborišč (La sofferenza dei bambini in guerra, a settant'anni dalla chiusura dei campi italiani), Ljubljana, Mladinska knjiga, 2013. ISBN 9789610129301
  • Paola Bristot, Album 1942-1943. I disegni del campo di concentramento di Gonars, in collezione Cordaro, Udine, Gaspari Editore, 2016, ISBN 9788875414641.
  • Metka Gombač, Boris M. Gombač, Dario Mattiussi, Dietro il cortile di casa. La deportazione dei civili sloveni nei campi di concentramento italiani al confine orientale, Gradisca d’Isonzo, Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale “L. Gasparini“, 2016.
  • Manca Juvan, Varuhi žlice (Guardians of the Spoon) - Album fotografico, Ljubljana, Založba ZRC Publishing, 2016. ISBN 9789612549206
  • Davide ToffoloL'inverno d'Italia, Coconino Press, 2017, ISBN 9788876183645.
  • Irene Bolzon, I campi di concentramento fascisti, Diacronie [Online], N° 35, 3, 2018.
  • Francesca Ciroi e Annalisa Schiffo, Memorie della nostra gente. Il campo di concentramento fascista per internati jugoslavi di Gonars (1942-1943), Udine, LaNuovaBase Editrice, 2018, ISBN 9788863290905.
  • Encyclopedia of Camps and Ghettos, 1933 - 1945, volume III, Gonars, pagg. 432, 433. Indiana University Press, 2018, a cura dell'United States Holocaust Memorial Museum


 

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