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19.8.25

diario di bordo n 142 anno III Dalla Barbagia all’Interpol per collegare le polizie europee ., Alghero, una biblioteca tra i gatti e i ginepri sulla spiaggia di Maria Pia., L’uomo in fiamme

 
 nuova   sardegna   1\8\8\2025

 L’avventura professionale dell’esperto di reti e sicurezza informatica, Gianstefano Monni. Dalla Corte internazionale dell’Aia a Lione
Dalla Barbagia all’Interpol per collegare le polizie europee

                                      di Valeria Gianoglio






Nuoro «Cosa faccio di lavoro? Roba di computer». Quando deve spiegare a una delle tante affettuose “tziedde” nuoresi poco avvezze alle moderne tecnologie, come guadagni da vivere, in genere, Gianstefano Monni e la sua autoironia, decidono di tagliare corto. Ma in realtà, nel mezzo di un curriculum sterminato, il suo attuale incarico e professione potrebbe, tutto sommato, essere riassunto in pochi termini: da due anni, infatti, dirige il gruppo di ingegneri dei sistemi informativi dell’Interpol, nella sede centrale di Lione. Unico nuorese tra tutti i 1272 dipendenti tra la Francia e Singapore, con solo un altro sardo a far parte del gruppone. «In sostanza – spiega – progetto soluzioni per collegare in senso logico le forze di polizia dei 195 Stati membri dell’Interpol. Il team che gestisco si occupa di creare soluzioni per le forze di polizia di tutto il mondo. Ad esempio crea un sistema di condivisione delle informazioni sulle armi rubate, o per condividere le informazioni sui crimini che colpiscono i bambini, per rendere il servizio di law enforcement può efficace, affidabile e veloce». «In poche parole – aggiunge, ridendo – faccio cose, vedo gente».
E non gli manca davvero la voglia di prendersi in giro, insomma, a Gianstefano Monni, come spesso, del resto, succede alle menti più brillanti. Ma la sua storia personale, in realtà, è fatta di esperienze di lavoro serissime, incarichi prestigiosi, e tante esperienze all’estero.
Cinquantadue anni, nuorese di nascita ma genitori dorgalesi – Giacomo e Lucia Fancello – giovinezza trascorsa tra i cortili vicino all’Agrario e le aule del liceo Scientico Fermi. E i primi “incarichi” importanti nel mondo del digitale e dei pc – come confermano i suoi amici di sempre – quando l’allora parroco del Sacro Cuore, don Giovannino Puggioni, gli aveva chiesto una mano per informatizzare l’archivio parrocchiale con tutti i sacramenti impartiti. Poi gli anni di Ingegneria informatica al Politecnico di Torino, e la laurea con una tesi sulle reti “software defined”, prima del ritorno in Sardegna. Ma il rientro nell’Isola, per Gianstefano Monni, è stata solo una parentesi, anche se ricchissima di nuove avventure professionali: dal lavoro di ricercatore al Crs4 di Cagliari all’Ailun di Nuoro.
E ancora consulenze per enti pubblici e aziende, sempre come esperto di digitalizzazione dei processi e nello sviluppo di soluzioni avanzate per la sicurezza delle reti. Una competenza sterminata che nel 2013 lo ha proiettato a un altro incarico prestigioso e a varcare di nuovo i confini dell’Isola: fino alla Corte penale internazionale dell’Aia, dove ha guidato la “migrazione” della rete e dell’intera infrastruttura nella nuova sede. E subito dopo in Irlanda, dove si è occupato sempre della sicurezza delle reti anche per la Zurich insurance. Finisce lì? Manco per niente: perché nel frattempo Gianstefano Monni deposita pure quattro brevetti internazionali legati alla sicurezza informatica, che introducono grosse innovazioni in settori chiave come la gestione intelligente delle politiche di sicurezza di rete.
E infine l’ultima grande sfida, in ordine temporale: l’avventura all’Interpol. Dal 2023 guida l’ufficio di ingegneria, coordina progetti strategici in cybersecurity e non solo: si occupa, insomma, di progettare soluzioni per collegare le forze di polizia di tutti i 195 Stati membri dell’Interpol. Tanti anni di lavoro per i quali ha lasciato l’adorata Sardegna e insieme alla moglie Maria Francesca Pau e a due bei gattoni lo ha fatto come scelta precisa e per diverse ragioni. «Nel 2014 – spiega – in Sardegna avevo raggiunto un punto in cui era impossibile crescere ulteriormente, e lavorare da autonomo nell’Isola era diventato impossibile per molte ragioni. E poi mi aveva chiamato il tribunale internazionale e il caso ha voluto che avessero bisogno proprio delle competenze che avevo acquisito nei due anni precedenti».
E ciò che davvero per lui ha fatto la differenza, nel lavoro all’estero, sta nel fatto «che se non ti piace quello fai puoi sempre cambiare. Ogni ruolo che ho assunto era quello che in Italia sarebbe stato un contratto a tempo indeterminato, ma la voglia di crescere e laroutine mi hanno sempre spinto a cercare, e accettare, ruoli diversi e ripartire in contesti completamente diversi».
«Della Sardegna? – dice – mi manca tutto o quasi, ma la Sardegna sta sempre lì. Non siamo alberi, ma le radici sono sempre quelle e ce le portiamo dietro ovunque. Sono dentro di noi e il legame lo senti ancora più forte quando sei lontano. Ma, detto questo, soprattutto in certe professioni e per certe opportunità devi comunque imparare a convivere col fatto che se vuoi avere certe occasioni devi uscire e accettare le sfide. Poi, se ci sono i voli, puoi sempre tornare. In Sardegna bisognerebbe garantire a tutti e per tutti che restare, partire o tornare, siano scelte fatte liberamente, e non imposte perché non hai alternative».


Alghero, una biblioteca tra i gatti e i ginepri sulla spiaggia di Maria Pia
di Luca Fiori


Inviato ad Alghero Il sentiero di sabbia affonda sotto i piedi, il profumo dei ginepri si mescola alla salsedine. Poi, all’improvviso, tra le ombre lunghe della pineta, appare una scritta azzurra in inglese: “Beach Library”. Due parole semplici, che raccontano una magia. Dietro, il mare di Maria Pia ad Alghero, una tavolozza di azzurri che sfuma nell’orizzonte verso Capo Caccia, e qualche gatto che sonnecchia pigramente tra le radici contorte degli alberi, dove ha trovato casa una colonia felina. È qui che il tempo sembra rallentare, per lasciare spazio a un rito antico, quasi dimenticato: sfogliare un libro o un quotidiano. Quindici anni fa, Stefano Filippi ha deciso che la spiaggia poteva diventare un salotto letterario.



Cinquantacinque anni, nato ad Alghero, socio dello stabilimento balneare “Hermeu”, racconta la sua idea davanti ai libri che ha raccolto in tutti questi anni e sistemato con criterio negli scaffali in legno. Alle sue spalle il mare che si muove lento e un bagnino - maglietta rossa e radiolina in mano - controlla con attenzione i bambini sul bagnasciuga. «Sono trent’anni che lavoro tra gli ombrelloni, ma un giorno mi sono chiesto: perché non portare i libri qui, dove la gente viene per staccare la spina?». E così, sotto il più grande ginepro della pineta, ha montato delle mensole e le ha riempite di storie. Romanzi, saggi, fiabe, thriller nordici e libri per bambini. In italiano, ma anche in francese, inglese, tedesco.
«Prendi un libro, leggilo, riportalo o scambialo con un altro. Nessuna regola, nessun pagamento, solo il piacere di leggere», dice, mentre un alito di vento fa frusciare le pagine dei quotidiani come ali leggere. La scena è da cartolina viva: gli ombrelloni arancioni punteggiano la spiaggia, il mare disegna riflessi di luce, i gatti si stiracchiano al sole e catturano lo sguardo dei turisti. E tra le risate dei bambini e il rumore delle onde, c’è il silenzio raccolto di chi legge sotto l’ombrellone. «Il bello è la sorpresa negli occhi degli
stranieri – racconta Stefano – non se l’aspettano. Per loro è una novità assoluta vedere una biblioteca sulla sabbia».
Poi ride: «Sai qual è la cosa più fotografata insieme al mare? La scritta Beach Library». E non ci sono solo libri. Sugli scaffali, accanto alle riviste colorate e i cruciverba, ci sono i quotidiani. «Il più richiesto? La Nuova Sardegna, senza dubbio», sorride Stefano. A confermarlo è Marcello Pizzi, turista romano, abbronzato e sorridente, che si autodefinisce di un’altra epoca. «Io i quotidiani li compro ancora. Sono un nostalgico di un’altra epoca – spiega – per me il giornale è carta, odore d’inchiostro, trovarlo qui in spiaggia è una vera comodità». In prima fila tra i clienti di Stefano: algheresi e sassaresi, molti dei quali sono “fidelizzati”.
«Ci sono persone che conosco da una vita – spiega – e a loro so che devo conservare ogni giorno una copia del quotidiano. «La lettura della Nuova Sardegna sul lettino in estate non può mancare – spiega Carmelo Carta – la leggo dalla prima all’ultima pagina. In spiaggia, sotto l’ombrellone – sorride il pensionato – il piacere della lettura è maggiore». Giuseppe Fiori e Giacomo Usai confermano: «Il giornale lo compriamo tutti i giorni e la comodità di trovarlo qui a due passi dal mare è impagabile». Intanto i gatti si acciambellano tra la sabbia e le radici e le pagine si aprono e chiudono sotto gli ombrelloni colorati. Tra i libri e i quotidiani, la “Beach Library” è diventata un punto di riferimento. Qui non si sfoglia solo un romanzo o La Nuova Sardegna, si riscopre il piacere di leggere anche in vacanza, davanti a un mare che toglie il fiato e Capo Caccia sullo sfondo.
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L’uomo in fiamme
Celestino Tabasso  unione  sarda  19\8\2025

Nel lessico perbenista dell'informazione scrivere in un titolo che Tizio “è morto” suona un po' forte: si preferisce la formula “Addio Tizio”, se era arcinoto, altrimenti si annuncia compuntamente che Tizio “si è spento”. Eppure sull'88enne Ronnie Rondell Jr quasi tutti hanno titolato che è morto. Non era così celebre da meritare un Addio e sarebbe stato ridicolo annunciare che si è spento: era quello avvolto dalle fiamme che stringe la mano a un altro signore, il suo collega stuntman Danny Rogers, sulla copertina di “Wish you were here” dei Pink Floyd. Rondell, spiegava domenica il Post, dovette mettersi in posa quindici volte, sempre con pochi secondi a disposizione perché la tuta ignifuga che indossava sotto i vestiti poteva reggere fino a un certo punto. Oggi per confezionare un'immagine del genere basterebbe dare qualche istruzione all'intelligenza artificiale, non servirebbero nemmeno il tempo e la cura artigiana necessari fino all'altro ieri per provarci con photoshop. Figurarsi rischiare la pelle e giocarsi un baffo e un sopracciglio come accadde a Rondell. Però quell'immagine ha una poesia stralunata che il digitale, ancora così pacchiano nel suo iperrealismo grafico, non raggiunge. E a costo di fare sciovinismo analogico e anagrafico, va detto anche che un altro disco come “Wish you were here” lo aspettiamo da cinquant'anni.

15.3.24

lo sterco del diavolo...ehm...il denaro non ha confini etnici Rapina choc in un gioielleria di Brescia: il leader della banda è un fotomodello frequentatore delle passerelle milanesi

Oltre  a titolo del post  penso che  ,  lo stesso   vale     pe r tutti a prescindere  dall'appartenenenza  etnica  , che    chi  tropo   vuole  nulla  stringe  . Capisco e  posso  comprendere   , ma  non  giustifico  , che  tu    venga  in italia ed  delinqui  per  vivere . Ma  quando  :  non sei  sfruttato     cioè devi pagare  i  il debito a  chi   ha  fatto venire ,  non  hai lavoro  ,   ecc .  ma  hai  un lavoro  che  ti permette  di vivere   dignitosamente  o  anche  bene    come  il  caso in questione   allora  sei  una  💩


  da  https://www.msn.com/it-it/channel/source/Leggo/



Sono stati arrestati tre rapinatori ritenuti responsabili di due rapine violente e a mano armata avvenute a Brescia in un compro oro di via Orzinuovi a inizio gennaio e all'interno di una gioielleria sotto i portici in pieno centro di due settimane fa. Il leader della banda criminale è un fotomodello di 22 anni di origini senegalesi, che ha sfilato sulle passerelle milanesi per i più grandi marchi di moda.Stando a quanto emerso dalle indagini, la banda, composta da giovanissimi, commetteva le rapine per poter fare poi una vita di lusso tra potenti auto e cene nei migliori ristoranti.

Gli arrestati: Sylla il modello era il capo banda

Il fotomodello si faceva chiamare “Sylla”. «Faccio il modello a Milano», diceva nelle telefonate intercettate dagli investigatori.  Sul suo profilo social, e nella sua abitazione di Mazzano, nel Bresciano, sono state trovate le foto colori e in bianco e nero, mentre indossa le ultime collezioni uomo nei defilé, prova i capi e il portamento nel backstage con tanto di fotografo, si prepara nei camerini professionali di un mondo che conosceva. Origini senegalesi, ha appena 22 anni. E per gli inquirenti sarebbe stato proprio lui, la sera del 23 febbraio scorso, a mettere a segno la rapina violenta alla gioielleria «I gioielli di Rossana» sotto i portici di via X Giornate insieme a un complice albanese di 26 anni (l’unico incensurato). In cella sono finiti in tre: c’è anche un 27enne di origini marocchine nato in Italia, anche lui di casa a Mazzano. Due i colpi che vengono loro contestati: quello in gioielleria e al compro oro «Oro in euro» del 10 gennaio scorso, in via Orzinuovi, sempre in città. Tutti e tre avevano un alto tenore di vita, dalle auto ai ristoranti di lusso. 

Banda sgominata grazie ai filmati di videosorveglianza

Filmati di videosorveglianza sono stati fondamentali per dare un volto alla banda di rapinatori, che tra gennaio e febbraio, ha colpito un compro oro e una gioielleria a Brescia.Grazie alle immagini carabinieri e polizia sono risaliti ai presunti membri. I tre uomini, che stavano preparando un altro colpo, sono stati fermati a Mazzano e portati in carcere.

Spinto il titolare del negozio e picchiato il figlio

Nel video del 23 febbraio si vede una donna uscire dalla gioielleria. Fuori, sotto i portici del centro, aspettano due uomini vestiti da rider a bordo di monopattini e con il casco. Approfittano della porta aperta e fanno irruzione in negozio. Spingono la titolare e picchiano il figlio, e dopo aver sparato un colpo a salve, scappano con 300mila euro di refurtiva. Il 10 gennaio i rapinatori avevano usato i passamontagna per camuffarsi. Sempre con la pistola in pugno avevano portato a termine il colpo.

Oltre ai tre fermati ci sono sette indagati

Oltre ai tre fermati ci sono altri sette indagati. Tra loro la donna, indagata per concorso in rapina. La complice, secondo le ricostruzioni, si fingeva cliente, entrava in negozio e così apriva la strada ai rapinatori.  Gli altri sei sono indagati per ricettazione. Le  forze dell'ordine durante le perquisizioni nella case degli indagati,  tutti residenti nel bresciano, hanno recuperato parte della refurtiva: orologi e gioielli.Le rapine avevano creato allarme tra i negozianti. La titolare della gioielleria Renata Dini aveva incontrato il questore. Dopo gli arresti, ha raccontato, ha ritrovato la serenità.

Le parole del prefetto di Brescia

«Sono particolarmente felice del risultato di questa operazione di Polizia e carabinieri avvenuto in tempi rapidi. Erano fatti che hanno preoccupato molto la comunità bresciana Lo Stato ha risposto», ha detto il prefetto di Brescia, Maria Rosaria Laganà, introducendo la conferenza stampa sugli arresti. «Abbiamo dato una risposta concreta - ha aggiunto -, al di là delle rassicurazioni, a chi opera nel centro di Brescia.Dopo la rapina in gioielleria si era diffusa la paura».

6.1.23

Il ritorno a Pozzomaggiore della principessa D’Avalos Antonella Nughes morta a Napoli e sepolta nel suo paese

  da  la nuova   Sardegna  del 4\1\2023
 Sassari
La voce rimbalza dalle chat fino alle antiche vie del paese. La principessa è tornatadalle chat fino alle antiche vie del paese. La principessa è tornata, ma stavolta è per sempre. Lontana da Napoli e dai fasti incantati di quasi tutta una vita: Antonella Nughes Serra, nata nel 1937 tra le morbide colline del Meilogu, riposa ora nel cimitero della sua Pozzomaggiore. È insomma tornata da dove era partita quando era ancora una ragazzina dai modi gentili e raffinati in cerca di fortuna.
Antonella Nughes Serra nel suo palazzo di Napoli
 immortalata dal fotografo americano Slim Aarons

Chi non conosceva la sua storia, in paese, ha sgranato gli occhi e si è subito fiondato alla ricerca di informazioni da leggere e condividere con gli altri. Perché Antonella Nughes Serra, scomparsa nei giorni di Natale, era la moglie del principe e musicista napoletano Francesco D’Avalos, il discendente di una antichissima famiglia aristocratica di origine spagnola diramatasi anche in Italia prima ancora della
A sinistra il compositore Francesco D’Avalos,
marito di Antonella Nughes Serra,

scoperta dell’America. E così anche lei, Antonia Angela per tutti Antonella, poteva fregiarsi del titolo di principessa D’Avalos e anche di quello di dama di giustizia dell’Ordine costantiniano di San Giorgio. Memorabili le sue amicizie e leggendari i suoi ricevimenti. Si dice che una volta, nel suo vecchio e caro palazzo nel centro di Napoli, ospitò addirittura Elisabetta, regina madre del Regno Unito, che era arrivata in Italia insieme alla figlia Margaret.
La storia di Antonella Nughes Serra, morta pochi giorni fa a 85 anni, ricorda molto le fiabe che si raccontavano soprattutto una volta. Nata a Pozzomaggiore il 24 ottobre del 1937, terza di cinque figli, lasciò la Sardegna poco più che bambina per lavorare al servizio di facoltose famiglie. Bella e affascinante, girò l’Italia e poi l’Europa e proprio in Inghilterra avrebbe quindi conosciuto il suo futuro marito, il principe Francesco D’Avalos. Nato a Napoli nel 1930 e morto nel 2014 sempre nella città campana, l’aristocratico, erede di una delle famiglie più potenti del defunto Regno delle due Sicilie e tra le altre cose legato anche ai reali inglesi, di professione faceva il compositore e il direttore d’orchestra. Antonella Nughes Serra e Francesco D’Avalos si sposarono così a Londra il 6 novembre del 1970 e dalla loro unione, un anno più tardi, nacque Andrea, oggi l’ultimo erede della famiglia D’Avalos.
La storia di Antonella Nughes Serra, morta pochi giorni fa a 85 anni, ricorda molto le fiabe che si raccontavano soprattutto una volta. Nata a Pozzomaggiore il 24 ottobre del 1937, terza di cinque figli, lasciò la Sardegna poco più che bambina per lavorare al servizio di facoltose famiglie. Bella e affascinante, girò l’Italia e poi l’Europa e proprio in Inghilterra avrebbe quindi conosciuto il suo futuro marito, il principe Francesco D’Avalos. Nato a Napoli nel 1930 e morto nel 2014 sempre nella città campana, l’aristocratico, erede di una delle famiglie più potenti del defunto Regno delle due Sicilie e tra le altre cose legato anche ai reali inglesi, di professione faceva il compositore e il direttore d’orchestra. Antonella Nughes Serra e Francesco D’Avalos si sposarono così a Londra il 6 novembre del 1970 e dalla loro unione, un anno più tardi, nacque Andrea, oggi l’ultimo erede della famiglia D’Avalos.
Ricordo in paese Antonella Nughes Serra passò molti anni della sua vita a Napoli, senza però mai dimenticare le sue origini. Spesso tornava infatti a Pozzomaggiore per incontrare parenti e amici. Ritorni, i suoi, che non passavano certo inosservati. «Io me la ricordo – racconta Mariano Soro, il sindaco di Pozzomaggiore –. Ero piccolo quando rientrava in paese per venire a trovare la sua famiglia, ma ricordo bene che tutti noi rimanevamo colpiti dalla sua bellezza e da quei suoi modi così eleganti, gentili e composti. Ma devo dire che era una donna comunque molto umile e quando tornava a Pozzomaggiore non arrivava certo in carrozza. In tanti mi hanno raccontato che l’umiltà era proprio un elemento caratterizzante del suo modo di essere». Vita a Palazzo A Napoli la principessa arrivata da Pozzomaggiore abitava nel palazzo D’Avalos, in via Dei Mille, quasi ai piedi del Vomero. Qui Antonella Nughes Serra teneva importanti ricevimenti e sempre qui fu anche immortalata dal famoso fotografo americano Slim Aarons, uno che nel corso della sua lunga carriera ha puntato il suo obiettivo verso numerose stelle del jet-set di allora. Un palazzo cinquecentesco ricco di ricordi e di storie formidabili – ospitò addirittura le riprese di un documentario firmato da Werner Herzog –, ma anche un posto che per Antonella Nughes Serra è stato negli ultimi tempi fonte di grandi dispiaceri. Pochi anni fa, dopo la morte di Francesco, la principessa D’Avalos e il figlio Andrea hanno infatti dovuto subire un doloroso sfratto per via di alcune vicende giudiziarie, come ha più volte raccontato il Corriere del Mezzogiorno. Ultimo viaggio Scomparsa nei giorni di Natale, il suo funerale è stato celebrato con grande riservatezza a Napoli nella chiesa della Concezione al Chiatamone, chiamata anche delle Crocelle. Poi il trasferimento della salma in Sardegna, fino a Pozzomaggiore, dove la principessa D’Avalos aveva chiesto di essere sepolta. Un’ultima cerimonia che si è svolta poche ore prima della fine del 2022, anche in questo caso in silenzio e lontano da ogni clamore. «So che era molto legata alle sue origini – aggiunge ancora il sindaco Mariano Soro –. Per questo ha scelto di farsi seppellire qui, nonostante mancasse da Pozzomaggiore da moltissimi anni». Una cerimonia ristretta della quale in paese si è naturalmente parlato. «Beh, quella di Antonella Nughes Serra è una storia sicuramente bella e ricca di fascino – prosegue il primo cittadino –. Girò il mondo, ebbe a che fare con tantissime persone, tra l’altro molto importanti, e so che fu anche una donna tanto amata e molto rispettata. Nei giorni scorsi siamo stati avvisati della sua sepoltura a Pozzomaggiore e siamo stati ben felici di accoglierla, rispettando la volontà della riservatezza». A dire addio alla principessa Antonella, con un messaggio di cordoglio comparso sul sito dell’Ordine costantiniano di San Giorgio, anche Carlo di Borbone delle Due Sicilie.
In altre parole, uno dei pretendenti al trono del vecchio regno del Meridione che cessò di esistere nel 1861 con l’unità d’Italia.

30.3.17

Da lavapiatti a co-proprietario di uno dei ristoranti top È la storia di Ali Sonko, 62 anni; da 34 abita in Danimarca




Da lavapiatti a co-proprietario di uno dei ristoranti top


Fonte: Twitter


Per ben 4 anni è stato insignito della corona di ristorante migliore del mondo dalla rivista Restaurant, il marchio Noma è tra i più famosi al mondo. Il ristorante stellato Michelin stavolta fa parlare di per una bella storia: l’azienda ora vede come co-proprietario un lavapiatti immigrato.
 dal suo   twitter

Si chiama Ali Sonko è originario del Gambia e lavora nella cucina di Noma sin dal 2003, anno della sua apertura. “Si tratta di uno dei momenti più belli da quanto il Noma ha aperto”, ha spiegato René Redzepi su Facebook. “Ali è una vera risorsa, è sempre sorridente, nonostante si prenda cura di ben 12 figli”.Ali ha 62 anni e da 34 abita in Danimarca. “Non riesco a descrivere a parole quanto sia felice di lavorare al Noma”, ha raccontato durante il party di addio al locale (l’azienda abbandona la storica location nel quartiere di Christianshavn per riaprire come urban farm). “Qui ci sono le persone migliori con cui lavorare e sono molto amico di tutti. Mi portano tutti un gran rispetto e sono sempre pronti ad aiutarmi”.

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto al  centro    )  considerato il primo tatuat...