A Repubblica denuncia: "Nel 2017 non è stato invitato, ma poi sono arrivate le scuse". E attacca: "La Fondazione Falcone gli ha mancato di rispetto"
24 MAGGIO 2022 ALLE 11:52
"Che il primo 23 maggio senza Alfonso Giordano non venga neanche ricordato, io non lo posso perdonare a nessuno”. C’è amarezza, se non rabbia nelle parole di Stefano Giordano, il figlio del giudice Alfonso, negli anni Ottanta l’unico magistrato ad accettare di presiedere la Corte d’assise del Maxiprocesso. Di fatto, l’uomo che ha messo la firma sulla condanna della Cupola di Cosa Nostra. Se n’è andato nel luglio scorso, a 91 anni “e io non riesco a capire come sia possibile che nessuno lo abbia ricordato né a me, né alla mia famiglia interessa a partecipare a fiere e passerelle, ma il lavoro di mio padre doveva essere ricordato” dice il figlio a Repubblica. Anche lui veste la toga, ma da avvocato che fra i suoi clienti annovera anche l’ex numero due del Sisde, Bruno Contrada.
“Caro Papà, oggi nella fiera delle passerelle nessuno ti ha ricordato, né ha fatto il tuo nome. Nessuno della tua famiglia è stato invitato, come se il maxiprocesso si fosse fatto da solo" aveva scritto l’avvocato Giordano su facebook, condividendo la sua delusione sui social. Ma a Repubblica specifica “non è la prima volta che ci si dimentica di mio padre. Mi dispiace dirlo, ma per l’ennesima volta la Fondazione Falcone gli ha mancato di rispetto. Nel 2017 non era stato invitato alla manifestazione, ma al termine della giornata arrivò un comunicato di scuse che derubricava tutto a mero errore. Adesso sono obbligato a pensare che non sia così”. Del resto, spiega, “quell’anno, anche l’allora presidente del Senato, Pietro Grasso, quell’anno è a lungo intervenuto sul Maxi, senza mai citare mio padre nonostante davanti a lui scorressero le immagini dell’epoca”. E poi, aggiunge che anche i silenzi pesano. “Qualche mese fa, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Palermo aveva proposto al presidente della Corte d’Appello, Matteo Frasca, di intitolare l’aula bunker a mio padre. Ma nessuno ci ha mai risposto. Eppure il ruolo avuto da mio padre viene riconosciuto da tutti”
29.9.21
Il regista Maresco: "La coscienza antimafia è solo retorica e fiction, in Sicilia ha vinto l'apatia" di Mario Di Caro
"Abbiamo perduto l'occasione quando si è presentata: negli anni Novanta esisteva la possibilità di un colpo d'ala. Oggi non percepisco più una mobilitazione, un impegno, un senso. A Palermo vedo solo un moltiplicarsi di locali per la movida, vedo una vitalità infelice"
Con il suo film 'Belluscone' ha sbattuto in faccia che la coscienza antimafia dopo le stragi del '92 non è mai penetrata nel ventre delle periferie palermitane mentre, con 'La mafia non è più quella di una volta', ha preso di mira il rito di cortei e raduni per gli anniversari di Capaci e via D'Amelio. Il regista palermitano Franco Maresco ha affrontato la mafiosità che si respira in alcune strade di Palermo e non si stupisce se, dalle più recenti intercettazioni degli investigatori, viene fuori il divieto di un boss di Ciaculli, arrestato nel luglio scorso, a un'amica che voleva mandare la figlia alla manifestazione per Falcone e Borsellino. Testimonianza che i due magistrati uccisi danno fastidio anche da morti."Oggi le intercettazioni fanno ascoltare quello che non si vede e non si sente, ma questi discorsi di mafiosi io li ho sentiti con le mie orecchie andando in giro per i quartieri e per le periferie - dice Maresco - quando ancora non c'erano i social e non c'era youtube. Sentivo il disprezzo verso i carabinieri, l'odio verso i giudici ammazzati, quello che viene fuori oggi non è una novità. C'è semmai una desensibilizzazione da parte dell'opinione pubblica, c'è assuefazione, apatia totale, tutto è ridotto al rango di fiction, l'antimafia ridotta alla sua banalizzazione".
Ma come? Il veto del boss dice che le manifestazioni antimafia se non altro infastidiscono Cosa nostra...
"Se mi chiedi se servono le manifestazioni dell'antimafia come le fiaccolate rispondo che condivido il pensiero di Letizia Battaglia che esprime nel mio film La mafia non è più quella di una volta: 'Sembra la sagra della porchetta'. Questa spettacolarizzazione dell'antimafia era già in atto negli anni Novanta, Falcone era ancora vivo quando Costanzo e Santoro facevano la trasmissione assieme. Falcone diceva che la mafia è un fenomeno umano e come tale prima o poi finirà: io credo che quello che verrà dopo sarà persino più terrificante, dopo Cosa nostra verrà fuori qualcosa apparentemente legale, quello che vediamo oggi è qualcosa di folclorico, è colore, è quello che vedevamo nei film di Damiano Damiani. Per esempio il padrino che fece tatuare a un picciotto il volto di Falcone per diventare un insospettabile. Quando intervistati il giudice del maxiprocesso Alfonso Giordano per il nostro film Come inguaiammo il cinema italiano, alla domanda 'cosa rimane del maxiprocesso?' mi rispose 'certo, la mentalità mafiosa è difficile da estirpare'. Oggi c'è l'apatia, l'indifferenza".
Vuol dire che l'ondata di rabbia del dopo-stragi è finita?
"Qui a Palermo abbiamo avuto la reazione alle stragi con i lenzuoli, poi c'è stata la primavera orlandiana e subito dopo la conquista della Sicilia da parte di Forza Italia: persino l'ex presidente del coordinamento antimafia, Carmine Mancuso, finì col volersi candidare con Forza Italia. Credo che abbiamo perduto l'occasione quando si è presentata: negli anni Novanta esisteva la possibilità di un colpo d'ala. Oggi non percepisco più nella città una mobilitazione, un impegno, un senso, vedo solo un moltiplicarsi di locali per la movida, vedo una vitalità infelice".
In 'Belluscone' i giovani della città borghese intervistati non sapevano, o fingevano di non sapere, a cosa fosse legato il 23 maggio...
"Ecco, i fatti dimostrano che le fiaccolate per la memoria non servono L'ho dimostrato nei miei film realizzati negli ultimi dieci anni, in particolare in Belluscone, dove raccontavo che non solo nelle periferie ma anche nei contesti borghesi si trova la stessa omertà, la stessa indifferenza, la stessa smemoratezza riguardo a Cosa nostra. Quasi dieci anni dopo le stragi del '92, nel 2001, all'indomani delle elezioni che videro trionfare in Sicilia Berlusconi e Forza Italia con l'indegno 61 a 0, Vincenzo Consolo in una intervista rilasciata a Repubblica definiva i siciliani 'un popolo di servi'. Furono parole dure le sue, che provocarono accese reazioni tra i lettori, ma nella sostanza aveva ragione, quel risultato elettorale confermava il trionfo del clientelismo e della corruzione. Era ancora valida la tesi della irredimibilità della Sicilia sostenuta da Sciascia molti anni prima. A che cosa erano servite, dunque, le fiaccolate in memoria dei martiri uccisi dalla mafia? Quale presa di coscienza collettiva avevano determinato? Io ricordo solo slogan e le passarelle di tanti professionisti dell'antimafia, alcuni finiti in seguito perfino in galera. No, le fiaccolate non servono perché non determinano azione, non smuovono assolutamente lo stato delle cose che rimane, nella sostanza, quello di sempre".
Maresco, possibile che la Sicilia non sia andato avanti di un centimetro in questi trent'anni dopo le stragi?
"Trentacinque anni fa nasceva Cinico Tv e oggi posso permettermi di affermare che nessuno ha rappresentato e ridicolizzato la mafia come abbiamo fatto io e Ciprì in quegli anni, quando di Cosa Nostra ancora si moriva e senza internet e i social gli intellettualoni palermitani nella quasi totalità tacevano vigliaccamente. per paura o perché stavano nel libro paga della politica mafiosa".