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20.9.21

Storia di Stefano e Marco: il loro destino si incrocia grazie a Ebola e Covid. il primo lo salva dall'ebola il secondo dal covid


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Storia di Stefano e Marco: il loro destino si incrocia grazie a Ebola e Covid
                                        di Fiammetta Cupellaro
                                       repubblica  20\9\2021 
i diue amici  insieme  
 
Stefano Marongiu fu curato per Ebola allo Spallanzani. Dove cinque anni dopo ha ritrovato Marco, il colonnello del C 130 malato di Covid che gli salvò la vita portandolo in aereo da Sassari a Roma



Marco salva la vita a Stefano e 5 anni dopo è Stefano a salvare Marco. E' una storia di destini incrociati quella che ha per protagonisti due uomini sopravvissuti, uno all'Ebola e l'altro al Covid-19. Come in un patto non scritto, ognuno dei due deve la vita all'altro. Due virus li hanno uniti per sempre.
Stefano Marongiu, infermiere sassarese di 37 anni, nel 2015 venne contagiato dal virus dell'Ebola e l'unico che accettò la sfida di portarlo in salvo in aereo fu il colonnello medico Marco Lastilla, che insieme al pilota puntò dritto sull'ospedale Spallanzani di Roma, evitandogli una morte sicura. Cinque anni dopo è Marco ad entrare proprio allo Spallanzani in gravi condizioni a causa di Covid-19. E ad accoglierlo è Stefano, l'uomo che gli è rimasto riconoscente per sempre e lo ha curato per ventinove giorni restandogli sempre accanto. Stefano che è a capo delle Usca-R, l'Unità speciale di continuità assistenziale della Regione Lazio che riunisce circa 800 infermieri, coordinate dall'Istituto di malattie Infettive Spallanzani e che è stato insignito dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con l'Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
E' maggio del 2015 quando Stefano Marongiu, in quel momento in servizio al 118 di Cagliari, si sente male. E' appena rientrato da una missione in Sierra Leone dove ha prestato servizio come volontario di Emergency. Tra i suoi pazienti in Africa anche una donna cinquantenne che proprio il giorno prima della sua partenza per l'Italia si presenta negli ambulatori con una febbre emorragica. Il referto non lascia spazio a dubbi: la donna è stata contagiata dal virus dell'Ebola ed è lui ad averla presa in carico al suo arrivo. Una malattia che Stefano conosce bene visto che la Sierra Leone è uno degli stati in cui l'epidemia è estesa. Per questo motivo, quando i primi sintomi del contagio, febbre alta e malesseri simili all'influenza, cominciano a manifestarsi lui sa subito cosa fare. Si autoisola nella sua casa e avvisa le autorità sanitarie.
stefano  con la moglie 


La progressione dell'infezione è rapida e la gestione di questa malattia è estremamente complicata, in quanto non esiste una terapia antivirale specifica e nemmeno un vaccino. Ricoverato d'urgenza all'ospedale di Sassari, le analisi confermano: "E' Ebola", ma per avere qualche possibilità di salvezza l'infermiere deve essere subito trasferito a Roma, all'istituto nazionale malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, l'unica struttura in Italia dove c'è un team di medici in grado di affrontare una situazione così grave e complessa.
Scatta immediatamente l'operazione di trasferimento sanitario aereo da Sassari a Roma, ma le procedure
Marco Lastilla 
sono delicate, visto che il trasporto di pazienti infettivi, se effettuato con procedure comuni, espone al rischio della diffusione del contagio e anche il personale deve essere altamente qualificato. Marco Lastilla, colonnello medico dell'Aeroutica militare, accetta la sfida e vola in Sardegna. A bordo di un C130 viene caricarata la barella per il biocontenimento con a bordo l'operatore di Emergency le cui condizioni continuano a peggiorare. Ricoverato allo Spallanzani, 29 giorni più tardi, l'infermiere viene dichiarato guarito. Ma il destino cambia ancora la sua vita e quando i colleghi dell'ospedale romano, vista la sua esperienza con Emergency, gli chiedono di restare a collaborare non ha dubbi: rimane a Roma e ritrova Roberta Chiappini, capotecnico di Microbiologia, la donna che diventerà sua moglie, conosciuta in Sierra Leone, anche lei inviata in Africa dal suo ospedale, partita appena un mese prima di Stefano.
Entrambi in prima linea contro il Covid-19 allo Spallanzani, Stefano e Claudia un giorno all'inizio di dicembre 2020 ricevono la telefonata del colonnello Marco Lastilla, ora cinquantenne, con cui in questi cinque anni sono rimasti in contatto. Dal 2015 tra i due uomini si è infatti stabilito un legame di amicizia profonda. Il militare confida all'amico di non sentirsi bene e un tampone svelerà che è stato contagiato da Sars-CoV2. Qualche giorno dopo le condizioni di Marco Lastilla peggiorano e viene ricoverato proprio allo Spallanzani. A quel punto la vita di Stefano e Marco si incrociano di nuovo, ma le parti sono invertite: è il militare che lo ha assistito su quel C130 ad aver bisogno delle cure di Stefano che, per tutto il ricovero dell'uomo che gli ha salvato la vita mettendo a rischio la sua, gli rimane accanto. Le condizioni del colonnello, tra l'altro, sono serie, non viene intubato ma ha avuto il bisogno del casco, la maschera full face per la ventilazione forzata. E siccome i numeri in qualche modo ci aiutano ad intepretare la realtà, Marco lascia l'ospedale Spallanzani dopo un ricovero di 29 giorni. Lo stesso periodo che è servito al suo amico per guarire cinque anni prima dal virus dell'Ebola. "Le storie nascono da un numero infinito di elementi le cui combinazioni si moltiplicano a miliardo di miliardi", scriveva Italo Calvino nel suo Castello dei Destini Incrociati.

 unione  sarda 
  21 marzo 2021 alle 11:37 aggiornato il 24 marzo 2021 alle 10:48
                           Nicola Pinna

Dall'Ebola al Covid, i due amici che si salvano a vicenda   Straordinario intreccio di vicende umane tra la vita e la morte


Forse non sono solo coincidenze. Sarebbero troppe, tutte casuali, per poter credere che questa storia sia vera per davvero. E invece non c'è finzione, neppure un briciolo, in questo intreccio di vicende umane che si svolgono costantemente al confine tra la vita e la morte
All'incubo di non farcela si contrappongono altre forze: quella dell'amore e della solidarietà, un'amicizia casuale che poi diventa inossidabile e tanta, tantissima, tenacia da eroi. I protagonisti sono tre e nel bel mezzo della loro serena quotidianità fanno la comparsa improvvisa due nemici che in qualche modo si assomigliano molto: uno persino più spietato dell'altro. Il primo si chiama Ebola, il secondo Covid19. I vincitori di questa sfida che sembra eterna, e che alla fine va avanti per cinque lunghissimi anni, si chiamano Stefano, Roberta e Marco. Storie diverse, incontri casuali e battaglie comuni.


                    Nel 2015 l'infermiere di Sassari viene trasportato allo Spallanzani (foto concessa)

Stefano di cognome fa Marongiu: nasce e cresce a Sassari, è un soccorritore con la divisa del 118 e nel 2015 si ritrova in Sierra Leone, in un ospedale di Emergency, dove finisce per essere contagiato dall'Ebola. È il primo italiano a fare i conti col contagio che rischia di essere globale ma che poi per fortuna viene fermato prima che diventi pandemia. Roberta è una collega che Stefano conosce in Africa, che ritrova nell'ospedale di Roma mentre combatte la sua sfida contro il virus e che finisce per diventare sua moglie.
Il terzo, che però stavolta non è un incomodo, è Marco Lastilla, un colonnello medico dell'Aeronautica militare che per salvare Stefano sfida a viso aperto l'incubo della contaminazione: traporta da Alghero allo Spallanzani l'infermiere sardo e poi sparisce, quasi nascosto, tra gli angeli in divisa che ogni giorno si mettono in volo per soccorrere chi in ospedale ci può arrivare soltanto in aereo perché il tempo di salire in ambulanza non c'è più. Il cerchio di una storia che sembra un romanzo si chiude quando a terrorizzare il pianeta compare il Covid e il colonnello Lastilla fa i conti con la fame d'aria e si ritrova sotto un casco della terapia intensiva. I pesi della vita in questo caso si riequilibrano e nella strada che porta fuori dall'ospedale, nel percorso per ritrovare la normalità e il sorriso, il medico diventato paziente incontra un volto noto: quello di Stefano Marongiu, l'infermiere che aveva salvato e che stavolta ricambia il favore. Con la stessa generosità e la stessa tenacia. Finché non è il momento del lieto fine. Ci si potrebbe soffermare sui sentimenti e si potrebbero approfondire le emozioni di quella che è diventata una famiglia allargata, ma bastano i fatti a rendere stupefacente questa vicenda.
Gli incastri dei tempi e dei luoghi, le insidie delle malattie e le speranze ritrovate in reparto. Perché quando Stefano Marongiu era a casa, con la febbre, rinchiuso in un appartamento della periferia di Sassari, quasi nessuno sapeva come curarlo. I medici dello Spallanzani sì: specialisti all'altezza della fama di centro d'eccellenza che l'ospedale romano ha costruito in giro per il mondo. Ma la Sardegna è lontana e c'è poco tempo da perdere. E nel solito gioco che si fa duro, pure stavolta, scendono in campo gli equipaggi dell'Aeronautica militare: piloti che non perdono tempo e che non hanno paura. Sempre pronti, in una piccola base dell'aeroporto di Ciampino o nel grande hub per C130 di Pisa, in attesa di decollare per correre in soccorso a chiunque abbia bisogno. Quasi ogni giorno sono loro a correre da un capo all'altro dell'Italia, e spesso all'estero, per salvare bambini nati con patologie rare o persone con scarsissime aspettative di salvarsi. Il miracolo si compie quasi sempre. E si ripete il giorno che Stefano Marongiu non sa neanche a quale santo votarsi. A bordo dell'aereo che atterra in Sardegna per portarlo a Roma c'è un colonnello col camice di cui nessuno racconta il nome: si chiama Marco Lastilla e una volta compiuta la missione del giorno ritorna alle incombenze quotidiane di un ufficiale medico. "Mi ero addestrato a salvare un paziente anche in condizioni particolari come quelle di chi è affetto da una malattia altamente contagiosa - racconta oggi il colonello - Dietro la tuta e la maschera ero pronto anche quel giorno che andai a prendere Stefano in quel di Sassari. Le sue condizioni erano critiche da dover prendere una decisione in tempi rapidi. E quella che presi su la giusta". Di quella missione si parla per giorni sui giornali, perché l'infermiere sassarese è il primo italiano colpito dall'Ebola e perché la barella di "biocontenimento" dell'Aeronautica è uno dei pochi esempi al mondo. Si spera serva a poco, si sfrutta durante le esercitazioni e si rivela preziosa con l'invasione del Covid. "Per Marco - ricorda l'infermiere sassarese - ero semplicemente uno sconosciuto: uno sconosciuto che stava male e che lui aveva giurato di salvare ad ogni costo". "Il giorno che ho salvato Stefano - si commuove il colonnello Lastilla - sentivo che non dovevo lasciarlo e dopo cinque anni ho capito che era lui che non doveva lasciarmi. E infatti mi aspettava per prendersi cura di me. Il bene va e ritorna". Tra il 2015 e il 2020 quasi si ci dimentica di quel dramma evitato e della disavventura di Stefano Marongiu. Al quale la vita cambia comunque. Perché durante il periodo di ricovero ritrova Roberta: l'infermiera conosciuta in Sierra Leone che lavora proprio allo Spallanzani e che assiste l'agonizzante compagno di avventure africane. Dalle cure all'amore il passo è breve e così i due si ritrovano dallo stesso reparto allo stesso tempo: marito e moglie, uniti da una storia che di per sé sarebbe già da copertina
L'ultimo capitolo è quello che si apre con la pandemia scatenata dal coronavirus. A beccarsi il Covid è quel dottore in divisa che Stefano e Roberta non avevano mai perso di vista. Le cose pure stavolta sembra che non accadano per caso e così Marco Lastilla viene ricoverato nel reparto in cui lavora proprio Stefano Marongiu, che nel frattempo ha lasciato il 118 di Sassari e si è trasferito a Roma. Ovviamente allo Spallanzani: un luogo in cui si sconfiggono le malattie e dove soprattutto si alimenta la vita. Stefano Marongiu non è arrivato in ritardo: "Marco aveva bisogno di me e io non potevo tirarmi indietro. Ogni sera che andavo in ospedale ripetevamo il nostro rituale, quello di radergli la barba. Un gesto semplice che assicurava maggiore tenuta alla maschera dell'ossigeno ma anche un modo, almeno per me, di potergli stare più vicino. La mattina che mi ha chiamato e mi ha detto di essersi fatto la barba da solo ho realizzato di aver finalmente ritrovato un amico"

8.3.15

L'uomo più veloce della Sierra Leone e promessa dell'atletica internazionale, Jimmy Thoronka, fugge dall'ebola ma viene arrestato a Londra perchè clandestino


in sottofondo Clandestino - Manu Chao   interpretato da  Fiorella Mannoia

da   repubblica  del 7\3\2015
Dall'ebola al carcere: la corsa più lunga di Jimmy
L'uomo più veloce della Sierra Leone e promessa dell'atletica internazionale, Jimmy Thoronka, è stato arrestato a Londra, non essendo più in possesso del visto di soggiorno. Aveva deciso di non tornare in patria dopo che il virus aveva sterminato la sua famiglia. Ora la macchina della solidarietà si è messa in moto per lui dal nostro corrispondente

                                       ENRICO FRANCESCHINI


Quella che aveva prima dei Commonwealth Games gliela stava portando via l'Ebola. Durante i Giochi dell'estate scorsa, Jimmy Thoronka, 20 anni, specialista dei 100 metri piani (il suo tempo migliore: 10 secondi e 58), ha scoperto che prima suo zio, poi i suoi genitori adottivi, quindi i suoi fratellastri, in pratica tutta la sua famiglia, erano stati uccisi dal virus. Era la seconda famiglia che una delle tragedie abbattutesi sul suo paese gli hanno portato via: i suoi genitori naturali sono morti nella guerra civile che ha infestato la Sierra Leone tra il 1991 e il 2000, uccidendo più di 50 mila persone e facendo centinaia di miglia di feriti e di profughi. L'adozione gli aveva dato nuovi papà e mamma, e nuove speranze. A scuola si erano accorti che correva veloce. La locale federazione di atletica leggera si è occupata di lui. Uscito dall'adolescenza si è rapidamente affermato come l'atleta migliore nazionale negli sprint. Ha vinto medaglie ai campionati africani, nel 2013 ha ricevuto il premio dell'associazione giornalisti sportivi africani come migliore atleta maschio dell'intero continente e l'anno scorso è stato inserito nella squadra della Sierra Leone per i Giochi del Commonwealth, le "Olimpiadi" dei paesi dell'ex-impero britannico, che rappresentano nazioni con un totale di 2 miliardi di abitanti. Alla cerimonia di inaugurazione a Glasgow è stato lui a portare la bandiera del suo paese sfilando davanti alla regina Elisabetta. All'epoca, Ebola aveva fatto solo poche decine di morti in Sierra Leone. Ma poi la crisi sanitaria è degenerata (fino ad oggi le vittime sono state 3500). Quando Jimmy ha appreso che la sua famiglia adottiva era stata spazzata via dal virus, gli è parso che gli crollasse il mondo addosso  -  per la seconda volta. Ai Giochi il suo rendimento è stato inferiore alle aspettative. Il timore di rientrare in patria e non trovare nessuno ad attenderlo, neanche nella federazione atletica, che come molte altre strutture della Sierra Leone è allo sbando da quando infuria la malattia, insieme alla preoccupazione di venire a sua volta contagiato, lo ha convinto a prendere una drastica decisione: restare illegalmente nel Regno Unito. Non è stato l'unico membro della squadra del suo paese a scomparire nel nulla al termine dei Giochi: chi lo ha fatto per paura dell'Ebola, chi per cercare un futuro migliore di quello che può offrire un povero paese dell'Africa equatoriale. Alla stazione degli autobus di Glasgow, qualcuno gli ha rubato la borsa dove aveva documenti e un po' di soldi. E' riuscito a farsi regalare il denaro per prendere un biglietto per Leicester, dove aveva un conoscente della Sierra Leone, con il quale ha vissuto per un po'. Ma poi l'amico gli ha chiesto di andarsene. Così è arrivato in qualche modo fino a Londra. Ha sopravvissuto di elemosina, mangiando patatine fritte, dormendo nei parchi e sotto i ponti, lavandosi nei gabinetti pubblici. Quando la polizia lo ha fermato un paio di giorni fa, riferisce il Guardian che gli dedica stamane una pagina, era in condizioni "emaciate". Dice da Freetown, capitale del suo paese, il presidente della federazione di atletica leggera: "E' un atleta con enorme potenziale. Potrebbe diventare uno dei centometristi più veloci del mondo, ma avrebbe bisogno di uno sponsor che lo aiutasse a mantenersi ed allenarsi. Ha sicuramente più chances di farcela in Inghilterra che a casa propria". Bisogna vedere se le autorità gli daranno asilo o lo rispediranno in Africa come immigrato clandestino. Intanto però è partita una colletta per aiutarlo. L'ha lanciata sul web uno studente dell'università di Cambridge, Richard Dent, che sta facendo un dottorato su come i social network possono aiutare le persone colpite dalla miseria o da una crisi nazionale di qualche genere. In due ore, il sito gofundme. com/helpjimmyt ha raccolto 1300 sterline, circa 2000 euro. L'ultima corsa di Jimmy Thoronka è cominciata. Vediamo come finira'

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