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18.5.25

diario di bordo n 121 anno III . La disparita' di trattamento tra le donne e gli uomini anche agli internazionali di tennis di Roma. ., come educare i bambini d'infanzia in maiera non violenta ed al rispetto., I talenti sardi che restano: Federico ersu «Servono progetti, non idee»

  di  Maria Vittoria Dettoto di Cronache Dalla Sardegna

Ieri a seguito della vittoria di Jasmine Paolini ho scritto che la sua vittoria, purtroppo, non ha lo stesso valore di quella di un uomo e che avrebbe avuto un rilievo diverso se avesse fosse stato un uomo e avesse praticato il calcio. E lo ribadisco. Partiamo dal montepremi vinto dalla Paolini con la vittoria di ieri pari a 877.390 euro. Che potrebbe salire a quota 1.030.640 se dovesse vincere nel doppio con Sara Errani.Jannik Sinner invece se dovesse vincere oggi contro Carlos Alcaraz otterrebbe un montepremi di 985.030, ovvero
oltre 100.000 euro in più rispetto a quello percepto per la vittoria nello stesso torneo dalla Paolini. Sinner ha già guadagnato per aver meritato l'accesso alla finale di stasera 523.870 euro. Al netto di emolumenti vari e premi degli sponsor, naturalmente per entrambi.
Vi pare giusta questa disparita' di trattamento? A me no. Perché una donna anche in un torneo tennistico, come in qualsiasi lavoro svolto, a parita' di mansions deve essere pagata meno di un uomo? Quale sarebbe in questo caso la motivazione?O lo sforzo fisico, gli allenamenti, la passione di una donna per lo sport, quello di una campionessa mondiale come la Paolini non meritano la stessa ricompensa di un altrettanto campione come Sinner? Per me si.E non è questione di essere femministe. Ma di essere egualitari tra generi. Lo
stesso ragionamento l'avrei fatto se al posto della Paolini o Sinner ci fosse stato chiunque altro.
Veniamo ora al tipo di sport giocato, ovvero il tennis, che negli ultimi anni anche grazie proprio a Sinner ed alla Paolini ha avuto un grande richiamo mediatico. Ma parliamoci chiaro. Se la Paolini o Sinner vincono gli internazionali di tennis, nessuno scende in piazza a festeggiare come quando la Nazionale italiana di calcio vince un Europeo o un mondiale. Siamo tutti contenti della vittoria, certo. Che dopo due giorni passera' nel dimenticatoio o se ne ricorderanno solo gli addetti ai lavori. Quando in realtà ogni prestazione sportiva di massimo livello, di qualsiasi sport, andrebbe valorizzata allo stesso modo. Nel calcio come nel tennis o nella boxe o nel canottaggio o nella danza. Solo per citarne alcuni. Poi ognuno/a di voi può essere o meno d'accordo con il mio pensiero, ma purtroppo questa è ancora oggi la realtà dei fatti.

 Infatti  


Jasmine Paolini ha appena vinto gli Internazionali d’Italia!!!!Davanti a un pubblico fantastico e al Presidente della Repubblica Mattarella.Dopo un torneo clamoroso per resistenza, tenacia, dedizione, testa ma anche colpi e variazioni che ha fatto impazzire tutte le avversarie.Non succedeva da 40 anni!È il secondo 1000 in carriera. E da lunedì Jas tornerà numero 4 al mondo, eguagliando il suo best ranking.
Non c’è solo Sinner. Questa è anche l’era di Jasmine Paolini.

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  come  educare i bambini    al  rispetto  e  a un rapporto non  tossicoe  non  violento da


Oggi in classe ho portato due mele.Entrambe belle, rosse, lucide. A vederle così, nessuna
differenza.
Ma solo io sapevo che una delle due era stata fatta cadere più volte prima della lezione.
L’avevo raccolta con cura, senza romperla all’esterno. Era ancora perfetta… almeno in apparenza.Abbiamo osservato insieme le due mele. I bambini le descrivevano:
“Sembrano uguali”,
“Sono buone”,
“Mi viene voglia di mangiarle”.
Poi ho fatto qualcosa di insolito.Ho preso la mela che avevo fatto cadere e ho cominciato a parlarle male davanti a tutti.Ho detto che era brutta, che non mi piaceva, che aveva un colore orribile e un picciolo troppo corto.E ho chiesto ai bambini di fare lo stesso:di dirle cose cattive, come se fosse un’altra persona.Alcuni mi hanno guardata con esitazione.Uno ha detto: “Ma è solo una mela…”Ma sono andati avanti:
«Fai schifo»,«Nessuno ti vuole»,«Sembri marcia»,«Non vali niente».
Poi abbiamo preso l’altra mela.Quella che nessuno aveva insultato.E le abbiamo detto solo parole belle: «Sei splendida», «Hai un profumo buonissimo»,«Scommetto che sei dolcissima». Dopo, le ho tagliate davanti a loro.La mela trattata con amore era fresca, chiara, croccante.Quella insultata… era piena di lividi. Molle. Scura.Era danneggiata dentro, anche se fuori sembrava intatta.E in quel momento, nella classe è calato il silenzio.Nessuno rideva. Nessuno parlava.Gli sguardi erano diversi: avevano capito.Quelle parole che avevamo detto per finta a una mela,sono le stesse che ogni giorno tante persone — e tanti bambini — sentono davvero.Parole che non si vedono.Parole che non lasciano segni sulla pelle…Ma che lasciano lividi dentro.Ho raccontato ai bambini che anche a me, solo qualche giorno fa, qualcuno ha detto qualcosa che mi ha fatto male.Eppure sorridevo, sembravo serena. Nessuno se ne è accorto.Ma dentro mi sentivo come quella mela: rotta. Ammaccata. Ferita in silenzio.La verità è che le parole possono fare più male di uno schiaffo.E spesso quel dolore resta. Anche quando gli altri non lo vedono.Per questo dobbiamo insegnare ai nostri figli — e a noi stessi —che ogni parola ha un peso.Che si può ferire anche con una frase detta per gioco.Che la gentilezza non è debolezza: è forza, coraggio, scelta.E voglio raccontarvi una cosa che mi ha colpita più di tutto:mentre gli altri insultavano la mela,una bambina si è rifiutata.Ha detto: “Io non voglio dire cose brutte. Anche se è solo una mela”.Quel piccolo gesto vale più di mille lezioni.Le parole possono costruire ponti.O scavare ferite.Possono sollevare.O distruggere.E il loro effetto spesso resta per molto, molto tempo.La lingua non ha ossa,ma può spezzare un cuore.Scegliamo le parole con cura.Usiamole per amare, non per ferire.Per accogliere, non per escludere.Per guarire, non per distruggere.Che i nostri figli crescano imparando il valore del rispetto,della gentilezza, dell’empatia.Perché dietro ogni sorriso, potrebbe nascondersi una mela ammaccata.E noi possiamo fare la differenza.

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nuova sardegna 18\5\2025

Sassari 
Non c’è solo una Sardegna che vede partire i suoi talenti ma un’isola in cui chi decide di rimanere o di ritornare nella propria terra costruisce reti e crea opportunità condivise di sviluppo. Un esempio è rappresentato da Federico Esu. Dopo anni all’estero ha deciso di ritornare ma non si è limitato a quello. Ha fondato “Itaca”, un podcast che raccoglie storie

di chi resta, torna, arriva, o parte dalla Sardegna, e “Nodi”, un movimento culturale e un progetto di comunità che connette queste persone tra loro, dando vita a una rete viva, concreta, che supera le etichette e ricompone una nuova geografia umana dell’isola.
«Le connessioni che abbiamo creato e che continuiamo a coltivare stanno dimostrando che esiste un capitale umano attivo, intraprendente e pieno di visione, che sceglie di vivere in Sardegna non per nostalgia, ma per convinzione. Perché crede che proprio qui, nella nostra isola, si possano fare le cose. E si possano fare bene. Mettere in rete tutte queste persone significa creare un ecosistema di fiducia e collaborazione. Un contesto in cui chi arriva trova accoglienza, chi torna – come è stato anche il mio caso – trova alleati, e chi resta non si sente più l’unico rimasto. Così la Sardegna può tornare ad essere fertile: non solo bella, ma viva di idee, relazioni, progetti, possibilità. Solo così può tornare ad attrarre persone, energie e anche nuove nascite».Questa rete si propone come una risposta concreta alla crisi demografica: non basta attirare nuovi residenti con incentivi o slogan. Serve costruire relazioni, occasioni di incontro, condizioni abitative e lavorative degne. Serve far sentire le persone parte di qualcosa.«Stiamo vedendo nascere progetti proprio dagli incontri, dal programma di mentoring, dagli eventi che organizziamo in tutta la Sardegna ma anche online. E si stanno creando le precondizioni per collaborare in modo sistemico, tra territori, discipline e generazioni. In un contesto insulare come quello sardo, dove l’isolamento è spesso duplice – fisico e simbolico – il “fare rete” è una forma di riattivazione culturale, economica ed emotiva. È come smuovere il terreno per far emergere tutto ciò».I risultati raggiunti fino ad oggi sono tangibili e in progressiva crescita. Dalle tante interviste del podcast “Itaca” sono nate nuove storie di ritorno o arrivo. Dalle connessioni di “Nodi” sono emersi progetti imprenditoriali, iniziative condivise, scambi tra professionisti e realtà locali. Il programma di mentoring sta facilitando transizioni, integrazioni, nuovi inizi. Tutto questo in modo organico ma con metodo, cura, ascolto e visione.«La nostra forza è nelle persone, e nella capacità di metterle nella giusta connessione», aggiunge Federico Esu.
Avete già instaurato un rapporto e una collaborazione con le istituzioni regionali ?
«Più che fare richieste, ci interessa costruire un dialogo continuo e costruttivo, tra pari, tra professionisti, amministratori, realtà del terzo settore e stakeholder privati. È un processo che stiamo già vivendo: sempre più spesso con “Nodi” ci troviamo a collaborare con attori pubblici e privati, come è accaduto pochi giorni fa a Laconi, durante un incontro internazionale tra spazi creativi europei, dove erano presenti anche CRENoS, l’Assessorato all’Industria e la Presidenza della Regione Sardegna. Questi momenti dimostrano che c’è un terreno fertile per collaborazioni trasversali e che, lavorando insieme, possiamo individuare modalità più agili e accessibili per sostenere chi vuole restare, tornare o arrivare in Sardegna. Facilitare l’avvio di nuove attività, ridurre le complessità burocratiche e mettere in campo strumenti più flessibili può contribuire in modo concreto a rendere l’isola più attrattiva per nuove energie, competenze e progettualità. Non si tratta di puntare il dito contro nessuno, ma di riconoscere che solo con una visione condivisa e relazionale possiamo affrontare sfide complesse come quella demografica e sociale».
Alla domanda sulla visione demografica per i prossimi 10-15 anni, Esu risponde con chiarezza: «Immagino una Sardegna che non si definisca più per ciò che perde, ma per ciò che decide di generare. Non mi piace la parola 'trattenere': dà un’idea di costrizione. Meglio pensare a un’isola che attira, perché offre qualità della vita, relazioni, spazi rigenerati, opportunità di contribuire. Una Sardegna che riabita i paesi in modo intelligente, con servizi, infrastrutture digitali, spazi di comunità, che riconosce i “nuovi sardi” – anche se nati altrove – come parte attiva del tessuto sociale. Che sostiene l’autoimprenditorialità diffusa, e valorizza i tanti sardi nel mondo come alleati dello sviluppo locale, non solo come nostalgici da evocare a fasi alterne».Con i progetti di “Itaca” e di “Nodi” Federico Esu vuole quindi cercare di disegnare un’altra mappa della Sardegna, fatta non solo di luoghi, ma di legami. Una visione complessiva nella quale la demografia non è solo una curva da invertire, ma un invito a immaginare nuove rotte e nuovi approdi per chi rimane, per chi ritorna e per chi decide di arrivare nell’isola. 

con questo è tutto alla prossima sempre che Dio lo voghlia e i carabinieri lo permettano

23.2.22

Sul Pollino ho imparato a sopravvivere in Alaska., Petali che curano: il prezioso zafferano., Una vita per il flipper, 50 anni di passione vintage.,



Sul Pollino ho imparato a sopravvivere in Alaska
Ha trionfato in tutto il mondo nelle maratone estreme sui ghiacci.   come  riporta  quest  articolo di http://www.abmreport.it/sport/

TERRANOVA DEL POLLINO - La storia di Pasquale La Rocca è quella di un sognatore, innamorato della montagna, dalla quale è stato "generato", che lo ha portato a trionfare in un ambiente ostile e solitario per la maratona invernale tra le più difficili ed estreme che l'uomo possa affrontare. E' lui il trionfatore della Iditasport, la ultramatarona tra le nevi dell'Alaska, sui sentieri della corsa per cani da slitta più famosa al mondo, la Iditarod. In solitaria per 160 miglia, oltre 257 chilometri, tra neve, ghiaccio e vento giorno e notte, a decine di gradi sotto lo zero, con gli sci ai piedi e trainando una slitta. Una impresa epica che lo sportivo di Terranova del Pollino ha compiuto tra laghi e fiumi ghiacciati, senza fermarsi se non poche ore per riscaldarsi, riposare e alimentarsi in uno dei diversi check-point lungo il percorso. Una gara estrema, dove è sufficiente perdere l’orientamento, avere un piccolo imprevisto (anche piccolissimo) per restare all’agghiaccio e rischiare seriamente la pelle. Scelta dei materiali, dispositivi elettronici per l'orientamento, ma anche alimentazione, gestione delle proprie forze e tanta tanta forza di volontà per arrivare al traguardo da primo assoluto. Una traversata infinita che è il risultato anche di tanto allenamento, una grande preparazione fisica e una determinazione eroica hanno commentato i suoi amici. Lo scorso anno stravinse anche in Svezia la Arctic Winter Race Rovaniemi 150, travalichi di molto l’ambito tecnico sportivo. Ciò che regala a tutto il Pollino l'avventura sportiva di Pasquale La Rocca è che le imprese sono alla portata di tutti, basta crederci, stringere i denti, essere pronti con umiltà a continui sacrifici, lavorare giorno e notte. Una storia che qualcuno già spera sia raccontata, come esempio virtuoso del Sud, ai ragazzi delle scuole.

Il suo segreto? Gli allenamenti sulla montagna dove è cresciuto. E dove ha scelto di restare a lavorare





Petali che curano: il prezioso zafferano
 

Lo si conosce per gli usi alimentari, ora in Abruzzo si sperimentano le sua proprietà antinfiammatorie per le malattie croniche intestinali. Sfruttando gli scarti

 
Una vita per il flipper, 50 anni di passione vintage Due generazioni di artigiani milanesi portano avanti un'impresa che resiste al boom delle console.
E si godono la rinascita di un gioco che conserva il suo fascino 

5.8.19

Budoni, dopo 3 anni ritrova l’angelo che le salvò la vita Federica incontra per caso il poliziotto-eroe nel punto in cui rischiò di annegare Marco Antonio Pasin portò fuori dal mare agitato la donna e altre 4 persone



  di cosa  stiamo  parlando 

CAPANNIZZA_WEB

Budoni, poliziotto-eroe salva cinque bagnanti in balìa delle onde

Marco Antonio Pasin, nuorese, si è tuffato più volte. Nel 2005 è stato premiato per il suo coraggio al Quirinale



Leggendo le  notizia  che   trovate    sotto    e  il precedente    mi   viene in mente   una parafrasi    di  una  vecchia  ed  omonima   canzone   degli anni    '60   stessa  spiaggia stesso  mare  🤣😁.  


 la  nuova  sardegna   4\8\2019

Budoni, dopo 3 anni ritrova l’angelo che le salvò la vita

Federica incontra per caso il poliziotto-eroe nel punto in cui rischiò di annegare Marco Antonio Pasin portò fuori dal mare agitato la donna e altre 4 persone

Budoni
Dopo tre anni, nella stessa spiaggia in cui aveva rischiato di annegare, Federica Zedda di Siamanna ha incontrato per caso il suo angelo salvatore. Il fato ha voluto che Marco Antonio Pasin, poliziotto in forza alla stradale di Frosinone ma nuorese di nascita, tornasse nella spiaggia di Sa Capannizza, nel lungomare di Budoni. Un luogo che ricorda bene, perché nell'estate 2016 si era reso protagonista di un salvataggio plurimo a causa di un improvviso cambiamento delle condizioni del mare: cinque persone avevano rischiato di annegare ed erano riuscite a salvarsi proprio per l'eroismo del poliziotto.Dopo aver steso l’asciugamano, Pasini si è trovato di fronte una ragazza che dopo averlo guardato si è avvicinata e tenendo un bimbo per mano gli ha detto: “Ciao, devo di nuovo dirti grazie perché se non fosse stato per te mio figlio non sarebbe venuto al mondo. Se quel giorno non ti fossi tuffato per trarmi in salvo ne io ne lui saremmo qui”. Entrambi si sono poi commossi ricordando quel giorno di luglio del 2016. Una splendida giornata di sole con migliaia di persone ad affollare la spiaggia grande di Budoni, il mare ingrossatosi improvvisamente, aveva però messo in difficoltà tante persone. Marco Antonio, che nel 2005 aveva già ricevuto una medaglia di bronzo dal Quirinale per aver salvato dalle onde un malcapitato, non ci aveva pensato due volte e si era subito tuffato. Prima aveva raggiunto riportato a riva una bimba di sei anni poi subito dopo un sedicenne. Vicino a lui c’era un altro ragazzino in balia delle onde e il poliziotto assieme ad un altro turista coraggioso, Domenico Chiacchio, aveva tratto in salvo anche lui.Ma non era ancora finita perché una donna, proprio Federica, veniva trascinata al largo dalla corrente. Marco Antonio ha continuato a nuotare e non senza difficoltà a causa della stanchezza l’aveva agganciata e riportata a riva. “Abbiamo ricordato insieme quei momenti drammatici”, spiega Marco Antonio che vive con la moglie e i quattro figli a Frosinone ma torna ogni anno in Sardegna per le vacanze.“Quando l’ho raggiunta, le gambe non le sentivo più, ero stremato, la stavo lasciando perché non ce la facevo più: lei mi ha preso il braccio e mi ha implorato. Non lasciarmi, ti prego perché a riva c’è una bambina che mi sta aspettando. Mi sono fatto forza e piano piano, siamo riusciti a guadagnare la riva ma è stata dura davvero. Un emozione unica quindi rivedere Federica – prosegue – lei si è messa a piangere e mi sono commosso anche io, quando lei mi ha detto ti devo ringraziare perché senza di te non sarebbe nato Luca, che ora ha un anno e mezzo, poi mi ha presentato suo figlio”



20.2.19

ha senso oggi parlare di razzismo ed esiste ancora viste le nuove scoperte in ambito genetico che dicono che le razze non esistono ?

per  approfondire



La mia elucubrazione  :   ha senso  oggi parlare  di razzismo  ed esiste  ancora  viste  le  nuove  scoperte   in ambito  genetico    che  dicono che  le razze  non esistono ? che avrebbe dovuto essere il post d'oggi , ma che ho mantenuto nel titolo trova risposta in questo pamphlet ,     di prossima uscita di Don Luigi Ciotti
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anche se  non    condivido   tanto  Don Ciotti   in quanto  mi sembra   appartenente  alla categoria    dei  professionisti  dell'antimafia come li definiva   Leonardo  Sciascia ( 1921-1989   )  in un articolo sul corriere  della sera     che trova  conferma    a  30 anni   di distanza o antimafia  da  salotto  questo caso  ha  ragione.  Infatti  il  problema del razzismo nel mondo - oggi - è strettamente legato all'aumento delle discriminazioni a seguito dei flussi migratori e delle intolleranze nei confronti delle minoranze religiose e sessuali. Le società europee, in particolare, sono attraversate da preoccupanti spinte razziste, di carattere xenofobo, nei confronti soprattutto dei migranti, della popolazione rom e degli omosessuali. Particolarmente gravi sono gli atteggiamenti di discriminazioni nei confronti degli stranieri provenienti della aree più povere del pianeta. Di fronte alle numerose e crescenti miserie, ingiustizie economiche, guerre e corruzione, che lacerano i tanti sud del mondo, migrare rappresenta per milioni di uomini, donne e bambine l’unica strada per cercare di costruirsi un futuro di speranza, pace e dignità. La crescita della presenza di stranieri è vissuta, ma più spesso percepita attraverso i mezzi di comunicazione, da molti cittadini come una minaccia.Pertanto, a fronte di un’apparentemente inarrestabile globalizzazione economica, --- sempre secondo https://www.unimondo.org/Guide/Politica/Xenofobia-e-razzismo/(desc)/show -- si è assistito( e si assiste corsivo mio ) al ritorno di spinte politiche dichiaratamente nazionaliste e xenofobe e al verificarsi di episodi di violenza e di intolleranza verso gli immigrati poveri. Alcuni governi e parlamenti degli stati europei hanno varato leggi sull'immigrazione che spesso entrano in contrasto con le loro costituzioni, con il trattato di Nizza o con le carte dei diritti umani delle Nazioni.Particolarmente complesso è il caso italiano; infatti, l’istituzione nel 1998 dei Centri di permanenza temporanea (CPT) - poi rinominati nel 2008, Centri di identificazione ed espulsione (CIE) - e l’introduzione del reato di clandestinità, approvato all'interno del cosiddetto “pacchetto sicurezza” varato nel 2009 dal governo Berlusconi, hanno sollevato molte critiche da parte di diversi settori della società civile e di molte ong italiane ed internazionali. Per la prima volta nella storia della Repubblica, uomini e donne sono di fatto arrestati e rinchiusi da 2 e 6 mesi solo per essere venute in Italia senza permesso di soggiorno; Medici senza Frontiere e Amnesty International hanno più volte denunciato, nell'ultimo decennio, le condizioni in cui vengono rinchiusi i migranti senza permesso di soggiorno e le violenze operate nei loro confronti da parte delle forze dell’ordine. Inoltre, secondo i rapporti di Amnesty International, accade che molti dei detenuti che hanno la possibilità di denunciare gli abusi di potere decidano di rinunciare ad intraprendere le vie legali mentre si trovano ancora nei Centri per paura di ritorsioni.

24.11.18

seghe mentali e riflessioni varie



Ogni tanto mi vengono in mente delle elucubrazioni \ seghe mentali che dovrebbero essere " lasciate morire " cioè non cisi dovrebbe soffermare sopra e lasciarle libere nel vento . Ma stavolta deciso di bloccarla e di fermarla mettendovela per iscritto .




Da ragazzo , ed ora lo faccio di nuovo , chiedevo cosa è puiù costruttiva l'utopia o l'illusione ?
Come al solito l'altra parte di me , quella che lotta per   eliminarle  , in quanto   da quanto ho  appreso dalla lettura    di  Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita di  Giulio Cesare Giacobbe libro di pubblicato da Ponte alle Grazie nella collana Saggi
Risultati immagini per come seghe mentali

 che solo le più dure vanno eliminate  le  altre  le   sue  può ridurre    e  poi  se   vuoi    eliminarle , mi  dice   :  << ma  che  razza    domande    ti  fai   ? logico  che  sai   analizzi le  due   definzioni  

utopia
/u·to·pì·a/
sostantivo femminile
Quanto costituisce l'oggetto di un'aspirazione ideale non suscettibile di realizzazione pratica.
"è un'u. la perfetta uguaglianza tra gli uomini"
PARTICOLARMENTE
Ideale etico-politico destinato a non realizzarsi sul piano istituzionale, ma avente ugualmente funzione stimolatrice nei riguardi dell'azione politica, nel suo porsi come ipotesi di lavoro o, per via di contrasto, come efficace critica alle istituzioni vigenti.
Origine
Nome coniato da Thomas More nel 1516, con le voci greche ū ‘non’ e tópos ‘luogo’; propr. “luogo che non esiste”
Ulteriori   approffondimenti   https://it.wikipedia.org/wiki/Utopia



illuṡióne
Vocabolario on line
illuṡióne s. f. [dal lat. illusio -onis «ironia» (come figura retorica) e nel lat. tardo «derisione», der. di illudere: v. illudere]. – 1. In genere, ogni errore dei sensi o della mente che falsi la realtà: un remo immerso nell’acqua dà l’i. di esser piegato; il pittore crea con la prospettiva l’i. della profondità; i. dei sensi, della fantasia, dell’immaginazione. In psicologia, ogni percezione della realtà falsata dall’intervento di elementi rappresentativi associati allo stimolo sensoriale così strettamente da essere considerati di natura oggettiva e riferiti all’oggetto che il soggetto crede di percepire (distinta quindi dalla allucinazione, che è invece la percezione di una realtà totalmente inesistente); i. da disattenzione, affettive, ottico-geometriche, dovute rispettivamente a un insufficiente stimolo sensoriale, a particolari stati emotivi, al contrasto tra ciò che si vede e la realtà fisica dell’oggetto (per es., una serie di linee effettivamente parallele che invece appaiono variamente convergenti o divergenti; v. fig. a p. 772). 2. Inganno della mente che consiste nell’attesa di un atto o di un fatto destinato a rimanere irrealizzato, nel concepire speranze vane, nel formarsi un’opinione inesatta (in genere troppo ottimistica o favorevole) su persone o cose, nel dar corpo a ciò che non ha consistenza reale: vivere, pascersi d’illusioni; cullarsi nell’i.; distruggere, dissipare un’i.; non ci facciamo illusioni e guardiamo in faccia la realtà; e seguito da complemento o da prop. oggettiva: vivere nell’i. di un futuro migliore, di poter cambiare il mondo; scròllati di dosso l’i. che siano gli altri a dover pensare a te. 3. ant. Derisione: la i. di Cristo (Cavalca).


hai gia risposta  e sai  già qual  è  quella  costruttica e quedlla distruttiva 
ok  grazie  

Dopo  aver , per  l'emnnessima  volta  ,   sviscerato  questa mia    sega mentale     , ecco altre riflessioni   

  • E' inutile stare  al mondo  e  riflettere  sul  su starsi   se non prendi delle responsabilità
  • quando una cosa ed una persona    non ti da' niente  o  ti  dà solo  negatività lasciala   prima  che   sia  troppo tardi  e  diventa  più complicato  e  difficvile  uscirne   \  liberarsene  
  • le paure  vanno affrontate      cosi fanno meno   paura  
  •  i ricordi    devono  ad  andare  avanti  non bloccarti  facendoti  cadere nella  nostalgia  e  nel rimpianto 
  • non sempre  sei tu a cercare  i guai ma  sono loro  che  cercano te   quindi non  farti venire  problemi  dandoti addosso 
  •  ci sono vittorie  che valgono come una sconfitta





28.5.17

Non sempre , parlare in dialetto significa arretratezza , come affermano i puristi ( fra cui anche i miie genitori 😌😨)


come dicevo dal titolo  questa  storia riportata  da  http://invececoncita.blogautore.repubblica.it/articoli/2017/05/27/ci-stanno-certe-fuosse/ lo  dimostra  

Fra Montaguto, paese irpino di 400 abitanti, e Toronto è nato il primo, almeno che io sappia, telegiornale bilingue che fa (quasi del tutto) a meno della lingua italiana: gli anchormen parlano dialetto irpino e inglese. Può sembrarvi una bizzarrìa, ma nel grande capitolo del “chi va, chi torna, chi resta” il canale on line www.montaguto.com si propone il nobile compito di tenere in contatto la comunità montagutese emigrata molti decenni fa negli Stati Uniti e in Canada e i quattrocento rimasti, e nel frattempo nati o tornati.L’inglese, lingua madre degli irpini di seconda o terza generazione nati in America del Nord, traduce i messaggi in dialetto, e viceversa. Bisnonni e pronipoti comunicano sul web. La vecchia Adelina manda tanti cari saluti da oltreoceano ai paesani, i paesani raccontano agli emigrati i fatti di casa. “Vogliamo mettere, anzi rimettere in contatto gli irpini a distanza”, mi dice Michele Pilla, direttore del giornale on line.Scrive. “In questo piccolo borgo in provincia di Avellino abbiamo sentito il bisogno di raccogliere le testimonianze dei nostri vecchi, di far parlare il paese con chi se ne è andato tanti anni fa, con chi è cresciuto senza mai tornare. Le loro radici e le nostre si intrecciano anche se un oceano le separa”. “’Cerase cerase… ognuno a la casa’”, va  in onda sulla nostra pagina web: insieme a me ci lavorano Francesco Mascolo e l’anchorman Domenico Del Core, da Toronto. Del Core legge le notizie in inglese per tutti i montagutesi che vivono all’estero e non capiscono il dialetto. Così poco a poco lo ritrovano, tornano ad impararlo. Quasi tutti lo hanno sentito in casa dai nonni emigrati, poi lo hanno perduto. D’altra parte anche a chi vive a Montaguto è utile imparare meglio l’inglese, o impararlo daccapo, per comunicare coi congiunti lontani. Videomessaggi, saluti, notizie domestiche e un tg”.Le rubriche s’intitolano “Lu paès”, “Lu tiemp”, “Andò stim”. C’è una fondamentale sezione necrologi. In “Montagutesi abroad” si apprendono notizie di paesani a Boston e si recuperano ritagli di giornale che celebrano la vita e le opere di chi è partito e ha fatto anche solo relativa fortuna. Dal paese partono informazioni sullo stato delle strade (“ci stann certe fuosse che ponno scassà le ruote”), la situazione dei funghi e dei cinghiali. Il pezzo forte è il tg, vale la pena andarlo a cercare su Youtube. Non ha frequenza regolarissima, l’ultimo è di aprile di quest’anno, ma il sito e Facebook sono aggiornati. “In inglese e dialetto diamo notizie di attualità, rubriche di approfondimento, videoselfie, vecchie foto del paese, passeggiate tra i vicoli di Montaguto e la voce dei tanti montagutesi sparsi per il mondo con saluti audio e video”.Un vecchio saluta col detto “Omme se nasce, brigante se more”, sempre attuale. Alla fine resta la strana sensazione di un mondo sospeso fra un tempo remoto e un presente lontano, ma l’Italia dei paesi è tutta così. Ovunque ci sono Montaguto abitate da chi è rimasto, coi pronipoti che tornano a riaprire le case di campo dei nonni e farne, se possono, un resort. Ovunque, dall’Irpinia al Veneto, le comunità divise dall’emigrazione del secolo scorso (e di questo) si rimpiangono, si cercano, si tramandano raccomandazioni. E’ anche un modo per capire meglio, a partire dalle nostre, le migrazioni degli altri.
Infatti a volte  ritornao  

Storie di emigrazione: dagli Usa a Belluno in cerca delle radici


Il viaggio di Christine Cannella, signora americana di origini pontalpine, è partito da un cucchiaino






L'emozione di Christine: dagli Usa a Belluno per trovare le sue radici
Christine Cannella ha realizzato il suo sogno: vedere i luoghi da cui la sua famiglia è partita alla ricerca del "sogno americano". Una storia che affonda le sue radici nel secolo scorso e che oggi, a quasi cent'anni di distanza, è ancora capace di emozionare. Eccola mentre si racconta durante la sua visita al MiM Belluno LEGGI L'ARTICOLO

BELLUNO. Si dice che in ogni racconto, insieme agli altri componenti che ne costituiscono l’ossatura, ci sia sempre un "oggetto magico", ossia quell’elemento che permette al protagonista di tirare le fila e raggiungere l’obiettivo che si è prefissato. Quella di cui parleremo, anziché un racconto o una fiaba, è una storia vera, ma vede comunque la presenza di un oggetto magico, in questo caso un cucchiaino d’argento con impresse decorazioni floreali e la sigla “MB”. Ma per capire bene il ruolo che ha rivestito questo manufatto bisogna partire dall’inizio, raccontando la storia di Christine Cannella Carrara, che da sempre vive negli Stati Uniti, ma le cui origini sono bellunesi, precisamente pontalpine.






Sin da quando era bambina Christine ha nutrito un desiderio: riscoprire le proprie radici. Un sogno che ha realizzato in questi giorni, riuscendo ad arrivare per la prima volta, insieme al marito Marty Carrara, in provincia di Belluno.Martedì, accompagnata dalla guida turistica Paola Bortot, è stata prima all'Archivio storico di Belluno e poi in parrocchia a Cadola. Nel pomeriggio ha visitato il Mim, Museo interattivo delle migrazioni dell'Abm. E lì l’abbiamo intervistata. «Mia nonna, Virginia Bridda, nacque il 29 settembre 1900 a Roncan. Suo papà si chiamava Giovanni», racconta Christine, che non parla italiano, in quanto, come spiega, era considerata dai suoi avi la "lingua degli adulti".



«Mio nonno, Antonio Viel, era nato invece il 9 dicembre 1891 a Quantin, da Luigi e Maria Luigia Viel». Antonio emigrò in Florida il 28 maggio del 1909, a 17 anni. Poi si spostò a Cresson, in Pennsylvania, dove andò a lavorare in una miniera di carbone. «Mia nonna inizialmente rimase a Ponte nelle Alpi», dice ancora Christine. «Dalle ricerche fatte in parrocchia a Cadola ho trovato il certificato di battesimo di mio nonno e quello di matrimonio con Virginia: si sposarono il 14 febbraio del 1920, proprio a Cadola. Il 28 dicembre dello stesso anno nasceva il loro primo figlio, Luigi Giovanni».Nel 1930 Antonio si spostò a Edison, in New Jersey, dove iniziò a lavorare per la Johnson & Johnson e stabilì lì la sua famiglia. «Antonio e Virginia misero poi in piedi un locale, "Viel's Tavern"», continua Christine. «Dopo la morte del nonno, mia nonna, che ho sempre chiamato "Nonni", continuò l'attività. Con lei anche mio padre e mia madre, Carmen Charles Cannella e Maria Eliza Viel, e mia zia Florence Emma. Personalmente ero molto attaccata a nonna Virginia e il mio compito da bambina era preparare i tavoli. Un giorno ho trovato un cucchiaino d’argento. Per me era bellissimo e ho chiesto alla nonna di chi fosse: mi rispose che apparteneva a sua madre. Anni dopo scoprii che le iniziali "MB" erano quelle della mia bisnonna, Maria Antonia Bortot. Quel cucchiaino per me fu come un mistero, una favola, la "scarpina di Cenerentola". Ed è proprio in quel momento che è iniziato il mio sogno di scoprire le origini della mia famiglia».



Un desiderio che è cresciuto nel tempo e che si è concretizzato due anni fa quando, tramite i social network, Christine ha contattato Nick Simcock, volto noto a Belluno, chiedendogli aiuto: «Gli ho scritto dicendogli che mi ponevo l'obiettivo di realizzare il mio sogno per il mio sessantesimo compleanno». Compleanno che "cade" proprio quest'anno e Christine e si è fatta questo grande regalo: arrivare a Belluno. «L’emozione che sto provando è indescrivibile», mette in risalto. «Per me è un miracolo che si realizza». Ieri pomeriggio il suo viaggio ha visto come tappa Quantin, con la visita al cimitero, dove è ancora sepolto il bisnonno Luigi. «Tra l’altro, quello che fino a poco tempo fa era l’orologio del campanile di Quantin era stato donato da mia nonna alla morte del marito», ricorda Christine. «Allora aveva commissionato alla una ditta di Cadola di realizzare e installare quest’orologio». Ieri Christine e il marito Marty hanno incontrato il parroco, don Giorgio Aresi, che per l’occasione ha anche celebrato una messa, seguita da un rinfresco alla vecchia latteria del paese.



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