di Maria Vittoria Dettoto di Cronache Dalla Sardegna
Ieri a seguito della vittoria di Jasmine Paolini ho scritto che la sua vittoria, purtroppo, non ha lo stesso valore di quella di un uomo e che avrebbe avuto un rilievo diverso se avesse fosse stato un uomo e avesse praticato il calcio.
E lo ribadisco. Partiamo dal montepremi vinto dalla Paolini con la vittoria di ieri pari a 877.390 euro. Che potrebbe salire a quota 1.030.640 se dovesse vincere nel doppio con Sara Errani.Jannik Sinner invece se dovesse vincere oggi contro Carlos Alcaraz otterrebbe un montepremi di 985.030, ovvero
oltre 100.000 euro in più rispetto a quello percepto per la vittoria nello stesso torneo dalla Paolini. Sinner ha già guadagnato per aver meritato l'accesso alla finale di stasera 523.870 euro. Al netto di emolumenti vari e premi degli sponsor, naturalmente per entrambi.Vi pare giusta questa disparita' di trattamento? A me no. Perché una donna anche in un torneo tennistico, come in qualsiasi lavoro svolto, a parita' di mansions deve essere pagata meno di un uomo? Quale sarebbe in questo caso la motivazione?O lo sforzo fisico, gli allenamenti, la passione di una donna per lo sport, quello di una campionessa mondiale come la Paolini non meritano la stessa ricompensa di un altrettanto campione come Sinner? Per me si.E non è questione di essere femministe. Ma di essere egualitari tra generi. Lo stesso ragionamento l'avrei fatto se al posto della Paolini o Sinner ci fosse stato chiunque altro.Veniamo ora al tipo di sport giocato, ovvero il tennis, che negli ultimi anni anche grazie proprio a Sinner ed alla Paolini ha avuto un grande richiamo mediatico. Ma parliamoci chiaro. Se la Paolini o Sinner vincono gli internazionali di tennis, nessuno scende in piazza a festeggiare come quando la Nazionale italiana di calcio vince un Europeo o un mondiale. Siamo tutti contenti della vittoria, certo. Che dopo due giorni passera' nel dimenticatoio o se ne ricorderanno solo gli addetti ai lavori. Quando in realtà ogni prestazione sportiva di massimo livello, di qualsiasi sport, andrebbe valorizzata allo stesso modo. Nel calcio come nel tennis o nella boxe o nel canottaggio o nella danza. Solo per citarne alcuni. Poi ognuno/a di voi può essere o meno d'accordo con il mio pensiero, ma purtroppo questa è ancora oggi la realtà dei fatti.
oltre 100.000 euro in più rispetto a quello percepto per la vittoria nello stesso torneo dalla Paolini. Sinner ha già guadagnato per aver meritato l'accesso alla finale di stasera 523.870 euro. Al netto di emolumenti vari e premi degli sponsor, naturalmente per entrambi.Vi pare giusta questa disparita' di trattamento? A me no. Perché una donna anche in un torneo tennistico, come in qualsiasi lavoro svolto, a parita' di mansions deve essere pagata meno di un uomo? Quale sarebbe in questo caso la motivazione?O lo sforzo fisico, gli allenamenti, la passione di una donna per lo sport, quello di una campionessa mondiale come la Paolini non meritano la stessa ricompensa di un altrettanto campione come Sinner? Per me si.E non è questione di essere femministe. Ma di essere egualitari tra generi. Lo stesso ragionamento l'avrei fatto se al posto della Paolini o Sinner ci fosse stato chiunque altro.Veniamo ora al tipo di sport giocato, ovvero il tennis, che negli ultimi anni anche grazie proprio a Sinner ed alla Paolini ha avuto un grande richiamo mediatico. Ma parliamoci chiaro. Se la Paolini o Sinner vincono gli internazionali di tennis, nessuno scende in piazza a festeggiare come quando la Nazionale italiana di calcio vince un Europeo o un mondiale. Siamo tutti contenti della vittoria, certo. Che dopo due giorni passera' nel dimenticatoio o se ne ricorderanno solo gli addetti ai lavori. Quando in realtà ogni prestazione sportiva di massimo livello, di qualsiasi sport, andrebbe valorizzata allo stesso modo. Nel calcio come nel tennis o nella boxe o nel canottaggio o nella danza. Solo per citarne alcuni. Poi ognuno/a di voi può essere o meno d'accordo con il mio pensiero, ma purtroppo questa è ancora oggi la realtà dei fatti.
Infatti
Jasmine Paolini ha appena vinto gli Internazionali d’Italia!!!!Davanti a un pubblico fantastico e al Presidente della Repubblica Mattarella.Dopo un torneo clamoroso per resistenza, tenacia, dedizione, testa ma anche colpi e variazioni che ha fatto impazzire tutte le avversarie.Non succedeva da 40 anni!È il secondo 1000 in carriera. E da lunedì Jas tornerà numero 4 al mondo, eguagliando il suo best ranking.
Non c’è solo Sinner. Questa è anche l’era di Jasmine Paolini.
------
come educare i bambini al rispetto e a un rapporto non tossicoe non violento da
Oggi in classe ho portato due mele.Entrambe belle, rosse, lucide. A vederle così, nessuna differenza.Ma solo io sapevo che una delle due era stata fatta cadere più volte prima della lezione.
L’avevo raccolta con cura, senza romperla all’esterno. Era ancora perfetta… almeno in apparenza.Abbiamo osservato insieme le due mele. I bambini le descrivevano:
“Sembrano uguali”,
“Sono buone”,
“Mi viene voglia di mangiarle”.
Poi ho fatto qualcosa di insolito.Ho preso la mela che avevo fatto cadere e ho cominciato a parlarle male davanti a tutti.Ho detto che era brutta, che non mi piaceva, che aveva un colore orribile e un picciolo troppo corto.E ho chiesto ai bambini di fare lo stesso:di dirle cose cattive, come se fosse un’altra persona.Alcuni mi hanno guardata con esitazione.Uno ha detto: “Ma è solo una mela…”Ma sono andati avanti:
«Fai schifo»,«Nessuno ti vuole»,«Sembri marcia»,«Non vali niente».
Poi abbiamo preso l’altra mela.Quella che nessuno aveva insultato.E le abbiamo detto solo parole belle: «Sei splendida», «Hai un profumo buonissimo»,«Scommetto che sei dolcissima».
Dopo, le ho tagliate davanti a loro.La mela trattata con amore era fresca, chiara, croccante.Quella insultata… era piena di lividi. Molle. Scura.Era danneggiata dentro, anche se fuori sembrava intatta.E in quel momento, nella classe è calato il silenzio.Nessuno rideva. Nessuno parlava.Gli sguardi erano diversi: avevano capito.Quelle parole che avevamo detto per finta a una mela,sono le stesse che ogni giorno tante persone — e tanti bambini — sentono davvero.Parole che non si vedono.Parole che non lasciano segni sulla pelle…Ma che lasciano lividi dentro.Ho raccontato ai bambini che anche a me, solo qualche giorno fa, qualcuno ha detto qualcosa che mi ha fatto male.Eppure sorridevo, sembravo serena. Nessuno se ne è accorto.Ma dentro mi sentivo come quella mela: rotta. Ammaccata. Ferita in silenzio.La verità è che le parole possono fare più male di uno schiaffo.E spesso quel dolore resta. Anche quando gli altri non lo vedono.Per questo dobbiamo insegnare ai nostri figli — e a noi stessi —che ogni parola ha un peso.Che si può ferire anche con una frase detta per gioco.Che la gentilezza non è debolezza: è forza, coraggio, scelta.E voglio raccontarvi una cosa che mi ha colpita più di tutto:mentre gli altri insultavano la mela,una bambina si è rifiutata.Ha detto: “Io non voglio dire cose brutte. Anche se è solo una mela”.Quel piccolo gesto vale più di mille lezioni.Le parole possono costruire ponti.O scavare ferite.Possono sollevare.O distruggere.E il loro effetto spesso resta per molto, molto tempo.La lingua non ha ossa,ma può spezzare un cuore.Scegliamo le parole con cura.Usiamole per amare, non per ferire.Per accogliere, non per escludere.Per guarire, non per distruggere.Che i nostri figli crescano imparando il valore del rispetto,della gentilezza, dell’empatia.Perché dietro ogni sorriso, potrebbe nascondersi una mela ammaccata.E noi possiamo fare la differenza.
---
nuova sardegna 18\5\2025
Sassari
Non c’è solo una Sardegna che vede partire i suoi talenti ma un’isola in cui chi decide di rimanere o di ritornare nella propria terra costruisce reti e crea opportunità condivise di sviluppo. Un esempio è rappresentato da Federico Esu. Dopo anni all’estero ha deciso di ritornare ma non si è limitato a quello. Ha fondato “Itaca”, un podcast che raccoglie storie
«Le connessioni che abbiamo creato e che continuiamo a coltivare stanno dimostrando che esiste un capitale umano attivo, intraprendente e pieno di visione, che sceglie di vivere in Sardegna non per nostalgia, ma per convinzione. Perché crede che proprio qui, nella nostra isola, si possano fare le cose. E si possano fare bene. Mettere in rete tutte queste persone significa creare un ecosistema di fiducia e collaborazione. Un contesto in cui chi arriva trova accoglienza, chi torna – come è stato anche il mio caso – trova alleati, e chi resta non si sente più l’unico rimasto. Così la Sardegna può tornare ad essere fertile: non solo bella, ma viva di idee, relazioni, progetti, possibilità. Solo così può tornare ad attrarre persone, energie e anche nuove nascite».Questa rete si propone come una risposta concreta alla crisi demografica: non basta attirare nuovi residenti con incentivi o slogan. Serve costruire relazioni, occasioni di incontro, condizioni abitative e lavorative degne. Serve far sentire le persone parte di qualcosa.«Stiamo vedendo nascere progetti proprio dagli incontri, dal programma di mentoring, dagli eventi che organizziamo in tutta la Sardegna ma anche online. E si stanno creando le precondizioni per collaborare in modo sistemico, tra territori, discipline e generazioni. In un contesto insulare come quello sardo, dove l’isolamento è spesso duplice – fisico e simbolico – il “fare rete” è una forma di riattivazione culturale, economica ed emotiva. È come smuovere il terreno per far emergere tutto ciò».I risultati raggiunti fino ad oggi sono tangibili e in progressiva crescita. Dalle tante interviste del podcast “Itaca” sono nate nuove storie di ritorno o arrivo. Dalle connessioni di “Nodi” sono emersi progetti imprenditoriali, iniziative condivise, scambi tra professionisti e realtà locali. Il programma di mentoring sta facilitando transizioni, integrazioni, nuovi inizi. Tutto questo in modo organico ma con metodo, cura, ascolto e visione.«La nostra forza è nelle persone, e nella capacità di metterle nella giusta connessione», aggiunge Federico Esu.
Avete già instaurato un rapporto e una collaborazione con le istituzioni regionali ?
«Più che fare richieste, ci interessa costruire un dialogo continuo e costruttivo, tra pari, tra professionisti, amministratori, realtà del terzo settore e stakeholder privati. È un processo che stiamo già vivendo: sempre più spesso con “Nodi” ci troviamo a collaborare con attori pubblici e privati, come è accaduto pochi giorni fa a Laconi, durante un incontro internazionale tra spazi creativi europei, dove erano presenti anche CRENoS, l’Assessorato all’Industria e la Presidenza della Regione Sardegna. Questi momenti dimostrano che c’è un terreno fertile per collaborazioni trasversali e che, lavorando insieme, possiamo individuare modalità più agili e accessibili per sostenere chi vuole restare, tornare o arrivare in Sardegna. Facilitare l’avvio di nuove attività, ridurre le complessità burocratiche e mettere in campo strumenti più flessibili può contribuire in modo concreto a rendere l’isola più attrattiva per nuove energie, competenze e progettualità. Non si tratta di puntare il dito contro nessuno, ma di riconoscere che solo con una visione condivisa e relazionale possiamo affrontare sfide complesse come quella demografica e sociale».
Alla domanda sulla visione demografica per i prossimi 10-15 anni, Esu risponde con chiarezza: «Immagino una Sardegna che non si definisca più per ciò che perde, ma per ciò che decide di generare. Non mi piace la parola 'trattenere': dà un’idea di costrizione. Meglio pensare a un’isola che attira, perché offre qualità della vita, relazioni, spazi rigenerati, opportunità di contribuire. Una Sardegna che riabita i paesi in modo intelligente, con servizi, infrastrutture digitali, spazi di comunità, che riconosce i “nuovi sardi” – anche se nati altrove – come parte attiva del tessuto sociale. Che sostiene l’autoimprenditorialità diffusa, e valorizza i tanti sardi nel mondo come alleati dello sviluppo locale, non solo come nostalgici da evocare a fasi alterne».Con i progetti di “Itaca” e di “Nodi” Federico Esu vuole quindi cercare di disegnare un’altra mappa della Sardegna, fatta non solo di luoghi, ma di legami. Una visione complessiva nella quale la demografia non è solo una curva da invertire, ma un invito a immaginare nuove rotte e nuovi approdi per chi rimane, per chi ritorna e per chi decide di arrivare nell’isola.
con questo è tutto alla prossima sempre che Dio lo voghlia e i carabinieri lo permettano



