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29.3.25

un cavallo al funerale del padrone il fantino Carlo Uleri un giovane di 53 anni

   a  chi  come  Rizzi  dice  che  noi sardi   maltrattiamo  gli  animali    ecco la   risposta  


IL 13 marzo Ai funerali del fantino  Carlo Uleri un giovane di 53 anni, è deceduto improvvisamente   due giorni  prima  ha  " partecipato   " anche    il suo amatissimo cavallo dandogli il suo ultimo saluto, dimostra per l'ennesima volta il grande amore del popolo sardo verso i propri animali, che non sono considerati come strumenti per fare soldi o da lavoro, ma veri e propri componenti della famiglia.E non parlo di cani o gatti, che

peraltro da qualche pseudo amante degli animali vengono relegati in appartamenti da venti metri quadri e li' costretti a passare la loro vita, per la maggior parte della giornata in solitudine e a mangiare crocchette preconfeziomate perché il proprio padrone al rientro dal lavoro neanche gli prepara da mangiare.
Per poi essere abbandonati in canali, gattili o peggio per strada al momento delle vacanze dei loro padroni. Costretti a fare i loro escrementi su traverse di plastica perché i propri padroni hanno fatica a portarli fuori casa.In Sardegna da millenni si allevano cavalli, asini, pecore, capre, maiali trattati meglio dei cani e gatti di cui sopra. Allevati con cura dai loro padroni, dandogli i migliori pascoli o le scuderie meglio attrezzate. Diventano membri della famiglia a tutti gli effetti ed i loro padroni rinunciano a feste, ferie e vacanze pur di non abbandonarli. E vivono in libertà, in paesaggi bellissimi, al caldo d'inverno e al fresco in estate.Guarda caso della vicenda del cavallo ai funerali di Uleri sinora non aveva parlato nessuno. Perché è più facile parlare delle pecore o dei polli ammazzati e darci degli assassini, screditarci a livello nazionale, piuttosto che evidenziare come ci comportiamo realmente noi con gli animali, ovvero come la famiglia Uleri che ha scelto di fare di quel cavallo un simbolo non solo dell'amore della propria famiglia. Ma anche un simbolo di riscatto di un'intera isola, del quale tutti noi dovremmo essere grati. Ma allora qualcuno\a mi dirà : ma allora la sartiglia , l'ardia ecc cosa sono    è  amore   per  gli animali   ?
Sono delle tradizioni equestri ma non solo come si può leggere da colllegamenti internet riportati , dove da quel che mi risulta , rispetto ai : alle corride , circhi , agli ipodromi i cavalli non vengono maltratti o drogati ma c'è un rapporto ancestrale  fra uomo e cavallo dove non viene sfruttatato per il divertimento umano.

14.2.25

Volley, calcio e un anello al dito: Anna e Giovanni scelgono l’isola. antonello e silvia un amore nato alle poste

   non sempre  san valentino fa  rima  con cretino .   Ma  contiene    delle storie  d'amore   particolari       come queste  due  che  propongo oggi  .  Entrambe  dalla  nuova  sardegna  la  prima  nuova  sardegna  del 7\2\202025


Vivevano a Legnano, vengono arruolati da due squadre sarde e si sposano


Sassari. Condividono già un pallone e una rete, ma il modo in cui li usano è tutt’altra storia. Lei schiaffeggia il pallone sopra la rete, lui fa di tutto per impedirgli di entrarci dentro. Lei lo scaglia con forza, lui lo trattiene. Differenze di mestiere, piccoli dettagli di due mondi diversi, che però stanno per unirsi in qualcosa di ben più grande: un anello al dito.
Ma facciamo un passo indietro. Ma andiamo per ordine. Lei si chiama Anna Aliberti, classe 1996, originaria di Boves, in provincia di Cuneo, di professione pallavolista, e gioca nel ruolo di centrale nella Capo d'Orso Palau di B1 (un ritorno per lei, dato che ci era già stata dal 2020 al 2022) dopo numerose esperienze nella terza serie nazionale, ed una anche in A2 nel 2017/18 proprio con Cuneo. Lui invece risponde al nome di Giovanni Russo (1992, Chieti), e fa il calciatore, per la precisione il portiere, nella stagione in corso nei ranghi del Tempio in Eccellenza, dopo una lunga carriera che l'ha portato a viaggiare praticamente per tutto lo stivale, da Messina a Trento, con diverse presenze anche in serie C e nella nazionale under 20.
Ora hanno deciso di sposarsi, e c'è già una data precisa: 18 luglio 2026. E qui la cosa si fa interessante. Perché è stata proprio la decisione di Anna nell'estate scorsa di tornare a giocare a Palau a convincere Giovanni a cambiare tutto e seguirla. L'anno scorso vivevano insieme a Legnano, poiché lei giocava in città e lui invece nella Trevigliese. Da buoni sportivi Anna e Giovanni si sono conosciuti in palestra, esattamente ad una partita di pallavolo in cui lei giocava, e lui aveva accompagnato un amico ad assistere alla gara della della sua compagna Martina. «E' stato un colpo di fulmine – spiega Giovanni – anche perché io ero già fidanzato». Ma, come ammette Anna «Era decisamente un bel tipo, di quelli che non passano certo inosservati».
La svolta arriva come detto in estate. Legnano dopo aver ottenuto la promozione in A2 decide di non iscriversi al campionato, così Anna fa una scelta importante, quella di tornare alla Capo d'Orso, dove, riconosce, aveva lasciato un pezzetto di cuore. Così stavolta non riesce a dire di no alla nuova chiamata della direttrice sportiva della società gallurese Antonella Frediani.
«Ce lo siamo sempre detti – racconta lei – se uno dei due riceve un'offerta interessante non ci dobbiamo sentire bloccati. Non ci devono essere rimpianti. Poi si vede insieme come risolvere il tutto. Siamo abituati a ragionare. D'altra parte sappiamo cosa vuol dire fare la vita dello sportivo. Io gioco il sabato, lui la domenica. I week end sono sempre off limits, non esistono mai svaghi. Lo sappiamo e non ci lamentiamo».
Il campionato di pallavolo inizia il 12 ottobre, proprio contro il Legnano, in palestra a Palau c'è la famiglia Aliberti al completo, e anche Giovanni. Che decide che la distanza adesso è eccessiva. Così pochi giorni dopo trova l'accordo con il Tempio e prende l'aereo verso la Sardegna per continuare la vita insieme, nella cittadina che si affaccia sull'arcipelago di La Maddalena.
«Siamo a due passi dal mare - dicono a una voce – meglio non ci poteva andare. In Sardegna si sta bene, il ritmo è decisamente più calmo e piacevole che vicino a Milano».
La stagione agonistica sta riservando a entrambi belle soddisfazioni. La Capo d'Orso Palau è infatti in piena corsa per la qualificazione ai playoff promozione, un obiettivo che insegue anche il Tempio in Eccellenza. «Io ho vinto una coppa Italia di categoria» dice Giovanni, e Anna ammette «Quella gliela invidio un pochino». «Puoi ancora vincerla – risponde lui - non sei così vecchia».

la  seconda dalla nuova   del 12\2\2024  

 .Mi scuso se  è  direttamente    tramite   foto  ,  ma non  ho  voiglia  e tempo  d'estrapolare  il testo dal  pdf  



20.1.25

quando l'altruismo diventa eroismo la storia di buondestino lutzu che preferi morie anzichè far cadere un aereo su una scuola

 ringrazio   Gianni Solinas del  gruppo  fb  sei  di tempio  se  .....   . per  avermi  riportato   e  ricordato la  storia     di Buon  destino Lutzu    ( foto  sotto a  centro  )   



Esperto del gruppo
Persona super attiva
 15 gennaio alle ore 17:18 
*** Un grave incidente di qualche anno fa***. Il 14 dicembre 1960 muore in un incidente aereo nei pressi di Villafranca di Verona il giovanissimo ufficiale d'aviazione Buondestino Lutzu, tempiese non ancora venticinquenne. Durante un volo d'addestramento con il caccia 84-F un improvviso inconveniente gli fa temere che l'aereo possa andare a schiantarsi contro una grossa fabbrica e disattendendo l' ordine della torre di controllo rinuncia ad azionare il dispositivo di sicurezza che lo avrebbe sicuramente salvato e opta per una lunga virata che porta il suo aereo in aperta campagna. Muore sul colpo vittima di un altruismo che sfiora l'eroismo. La sua scomparsa suscitò in città un enorme commozione!

13.1.25

INCHIESTA mafia ed eloico sardo 3 puntata Vento di infiltrazioni, intercettazioni & pizzini Guerra di ‘ndrangheta per la spartizione dei trasporti, coinvolta l’impresa delle notti nel porto di Oristano

  

puntate  precedenti 
 https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2025/01/ndrangheta-storie-pericolose-di.html





CRONACA SARDEGNA  INCHIESTA  3  puntata  

unione    sarda  13 gennaio 2025 alle 14:10

 
                                            Mauro  Pili 

Vento di infiltrazioni, intercettazioni & pizzini Guerra di ‘ndrangheta per la spartizione dei trasporti, coinvolta l’impresa delle notti nel porto di OristanoLe parole sono testuali, strappate ai muri di cemento armato blindato in una cella arsa dal caldo afoso del carcere di Opera, estrema periferia sud di Milano. Lì, in quel camminamento d’aria, non soffia nemmeno un filo di vento. Pareti grigio-topo, destinate a togliere il respiro anche all’ultimo dei boss, quello più cruento della storia di mafia. Le microspie ambientali lo assediano, come se gli avessero conficcato un microchip sottocutaneo. Registrano ogni respiro nel quartier generale dei capimafia confinati nella periferia della Padania. È il 30 agosto del 2013.
Capo dei capi
Chi striscia i piedi in quel quadrante apparentemente d’aria è nientemeno che il Capo dei capi, «la belva», quel Salvatore Totò Riina, capace di schiacciare un pulsante maledetto con l’inpunt di un “pizzino”. Le stragi di Capaci e via D’Amelio, quelle che uccidono Falcone e Borsellino, sono l’epitaffio della sua carriera criminale. In quel “passeggio” lo ascoltano in molti: c’è Alberto Lorusso, compagno di passi nel bunker di Opera e soprattutto loro, le cimici digitali. È il Padrino in persona che racconta del “picciotto” che in molti immaginano come suo erede: Matteo Messina Denaro, il figlio di «Zuù Cicciu». Parla colorito e non usa il bon ton per descrivere il suo allievo-traditore, Messina Denaro, colui che si era ribellato agli ordini del Capo dei capi.
Pali della luce
Nel passeggio-confessionale Riina racconta: «Questo qua, (Matteo Messina Denaro n.d.r.) questo figlio che lo dà a me per farne.., per farne quello che doveva fare, è stato quattro cinque anni con me, andava bene. Minchia… , poi si è messo la pala della luce, la pala della luce in tutti i posti pale ‘e luce. Ed è finita.., ed è finita! Ed è finita! È finita la luce…». È il passaggio più violento del distacco tra il Capo dei Capi e il suo successore mai riconosciuto. Tradimento senza appello, scolpito sull’altare più alto, quello del "disonore” dei Capimafia. Quelle “pale ‘e luce” nient’altro sono che pale eoliche, le stesse che hanno rimpiazzato il business di mafia in ogni nuova “terra promessa”, Sardegna compresa.
La svolta eolica
È duplice il tradimento che la “Belva” rimprovera a Matteo Messina Denaro: essersi messo in contrasto con altri “uomini d’onore” e perseguire affari che esulano totalmente dalla storia criminale della mafia. A “U‘Siccu”, il nome in codice di Denaro, Riina non gli perdona di essersi buttato a capofitto sull’affare eolico trasformando “Cosa Nostra” in una Società per azioni per vento e affari. A verbalizzare e tradurre le parole di Riina è Salvatore Bonferraro, sostituto commissario di polizia: «Riina aveva confidato al suo compagno di detenzione la propria disillusione per il comportamento tenuto dal Matteo Messina Denaro il quale, pur avendo delle ottime “qualità criminali”, essendo stato “istruito” proprio dal Riina non aveva interamente messo a frutto gli insegnamenti ricevuti, preferendo dedicarsi al settore eolico (“pali della luce"), restandosene al sicuro all'estero con la fidanzata».
Vento sul maxi processo
I verbali del maxi processo Stato-Mafia hanno un capitolo tutto dedicato al vento: «Il signor Messina a cui faceva (Riina) riferimento era sicuramente Messina Denaro Matteo. La vicenda a cui si riferiva era legata alle pale eoliche. Lui in quel periodo, sia il Messina Denaro, unitamente a Vito Nicastri, soprannominato il re dell’eolico in Sicilia, si stavano interessando della zona in special modo del trapanese, per mettere dell’eolico. E quindi la vicenda a cui si riferivano era proprio questa delle pale eoliche, e il soggetto appunto era Messina Denaro Matteo».
Elettricista di M. Denaro
L’uomo dell’antimafia circoscrive fatti, uomini e stati d’animo: «In questa circostanza il Riina era molto adirato, anche nei confronti di Messina Denaro Matteo, perché lui in quel momento, ecco, a dire di Riina si stava impegnando principalmente in attività economiche… eolico…». Il pubblico ministero non lascia la presa: «C’era un tale Nicastri in qualità di prestanome nel settore dell’eolico?». L’ispettore è categorico: «Sì, è stato arrestato in qualità di prestanome di Matteo Messina Denaro». È un cambio radicale del paradigma mafioso: l’addio alla stagione stragista di Riina, il tradimento del codice di Cosa Nostra e, soprattutto, la svolta eolica, la nuova frontiera degli affari di U’Siccu. È sul vento, da Trapani a Ploaghe, nel nord dell’Isola di Sardegna, che gli affari di mafia si moltiplicano nel nome di Cosa Nostra. Quello di Matteo Messina Denaro è il primo vero sbarco eolico-criminale nella terra dei Nuraghi, ritenuta erroneamente inespugnabile.
Ciancimino a Is Arenas
Le sequenze di mafia e le infiltrazioni, poi, si moltiplicano da nord a sud dell’Isola: dai denari di Vito Ciancimino, scovati nel 2009 nelle pieghe delle società offshore pronte a gestire lo sbarco eolico, sventato, nel mare della costa oristanese, davanti a S’Archittu sino al rischio di possibili infiltrazioni all’interno della «Eolo Tempio Pausania srl per la ritenuta comunanza di interessi tra questa e Vito Nicastri, contiguo ad ambienti mafiosi». Gli uomini della Dia avevano accertato che in precedenza «il socio unico della Eolo Tempio Pausania di Verona risultava essere un’impresa con sede all’estero».Da Tempio a Barumini
Per i magistrati altro non era che «un complesso intreccio di vicende societarie, facenti capo a Veronagest e riconducibili in ultima analisi alla stessa figura del Nicastri». Un pericolo infiltrazioni inquietante capace di sbarcare sino alla Reggia Nuragica di Barumini. È nei progetti eolici che la vorrebbero circondare, infatti, che compaiono nomi altisonanti legati a questa storia.
Volo pesante
Il tutto riconducibile agli atti della Procura antimafia di Palermo dai quali emerge un volo su un jet privato per Tunisi con a bordo una compagnia “pesante”: Gioacchino Lo Presti di Alcamo (indagato tra le altre cose per aver favorito la latitanza di Alessandro Gambino), dello stesso Vito Nicastri e Filippo Inzerillo. Con loro anche l’uomo che risulta essere coinvolto nei progetti eolici da piazzare davanti alla Reggia nuragica di Barumini.
Allarme rosso
Storie inquietanti che da sole dissolvono l’idea di una terra inespugnabile, capace di respingere ogni incursione criminale. Così non è stato, così non è. Lo raccontano i fatti, le prove, le inchieste delle Procure e i processi. Tutte ragioni che dovrebbero indurre ad alzare, senza tergiversare un solo attimo, il livello di attenzione e di allarme, considerato che l’Isola è letteralmente sotto attacco. Quei progetti per innalzare in Sardegna 3.000 pale eoliche terrestri, trasformando la terra dei Nuraghi in un’immensa zona industriale, dovrebbero già di per sè imporre monitoraggi serrati e senza omissioni.
“Circo” eolico
A partire da quanto avviene da mesi nelle strade sarde, divelte senza regole, chiuse e protette dallo Stato per far passare le colonne marcianti del grande “circo” del vento. Lo abbiamo scritto nelle precedenti puntate: mezzi ciclopi carichi di gigantesche pale eoliche scortati dagli apparati statali, ma dichiaratamente, e scandalosamente, senza autorizzazioni multiple come si evince dai documenti allegati nei provvedimenti di chiusura delle strade. Identificazione senza appello per chiunque tenti di manifestare la propria contrarietà allo sfregio dell’Isola, ma silenzi strabici per chi, venuto da oltre Tirreno, imperversa senza un minimo controllo alla guida di quei bisonti eolici della strada.

Indignazione
E non può non destare quantomeno sorpresa, se non indignazione, il fatto che si stesse facendo passare nel silenzio assoluto la storia recente della ditta venuta da lontano chiamata a svolgere i trasporti delle pale per il parco eolico di Santu Miali alle pendici del Monte Linas, nel territorio di Villacidro, e di Domusnovas, davanti al Marganai.
Carte processuali
In migliaia di pagine processuali, comprese le sentenze della Cassazione di questi ultimi mesi, si possono leggere stralci giudiziari da far rabbrividire: «Per come emerso, all’epoca dei fatti, Di Palma Riccardo, insieme al defunto fratello Antonio, amministrava La Molisana Trasporti S.r.l. (la società che gestisce i trasporti delle pale per Villacidro e Domusnovas n.d.r.), svolgendo un ruolo operativo, che ne implicava la frequente presenza nei cantieri e la pragmatica gestione dell'attività di trasporti. La sua responsabilità, in termini di compartecipazione morale agli atti estorsivi e di illecita concorrenza posti materialmente in essere da Evalto e da Trapasso (Giovanni, capo del clan n.d.r.) nei confronti di Runco Carlo, emerge dalla serrata serie di intercettazioni, di epoca antecedente, contemporanea e successiva a quanto occorso, che lo ha visto co-protagonista, insieme all'Evalto, delle vicende per cui è causa, tanto che egli viene menzionato quale sostanziale "referente" dell'affare anche nelle conversazioni intercorse tra Evalto ed il fratello Antonio».
Accordi con ‘ndrine
I giudici lo scrivono espressamente: «Da quanto si evince, infatti, le strategie illecite di Evalto per dare concreta esecuzione a quanto deciso dagli "ingegneri" (il nomignolo dei boss) e per imporsi quale competitor nell'ambito dei trasporti del Parco Eolico Vestas, aggirando norme, rapporti contrattuali in essere ed in generale qualsivoglia tipo di ostacolo, venivano concordate con Di Palma Riccardo…».
Matrimonio per pochi
La sentenza del Tribunale di Crotone racconta e conferma: «Sulla perfetta conoscenza da parte del Di Palma dell'appartenenza di Evalto alla 'ndrina Mancuso e del rapporto di quest'ultimo con "l'ingegnere di Cutro", Trapasso Giovanni, non vi possono essere dubbi, in quanto in numerose delle conversazioni, sopra citate e riportate, l'Evalto faceva riferimento ad incontri avuti con entrambi gli "ingegneri" ed alle direttive ed indicazioni ricevute da costoro. Non bisogna, altresì, trascurare - ad ulteriore conferma dello stretto legame Evalto-Di Palma-cosche 'ndranghetiste - in primo luogo, che Evalto Giuseppe e Di Palma Riccardo, in data 16.06.2012, si recavano insieme, con l'auto aziendale intestata a La Molisana S.r.l. al matrimonio di Trapasso Leonardo, figlio dell'ingegnere", evento a cui certo non era invitato chiunque, ma solo persone vicine al Trapasso». Ora, con il silenzio di molti, la “Molisana Trasporti srl” trasporta, con la scorta dello Stato, le pale eoliche in terra sarda.

8.8.24

Diario di bordo n 70 anno II «La Sardegna è la mia terra»: la parola alla pastora 23enne Beatrice Marcia ., Un'indagine sulla condizione femminile: discriminazioni politiche, sociali e religiose le foto della yemenita Boushra Almutawakel e dell' iraniana Shadi Ghadiriandi., La Tornanza: il movimento culturale che sfida lo spopolamento del Sud Italia., esitudine , La Tornanza.


«La Sardegna è la mia terra»: la parola alla pastora 23enne Beatrice Marcia
Figlia di genitori sardi, vive in Toscana, dove fa la pastora. La Sardegna? la sua terra, senza se e senza ma. «La Sardegna è una terra che ho nel sangue, amo tutto ciò che la riguardi... quest’Isola è tutto per me. I miei genitori – nonostante siano in Toscana da molto tempo – hanno sempre cercato di mettere un po’ di Sardegna in tutto ciò che fanno, io infatti mi ritengo sarda al 100% e ne vado super fiera.»
«La Sardegna è una terra che ho nel sangue, amo tutto ciò che la riguardi: le tradizioni, i suoi profumi, la mia gente… quest’Isola è tutto per me. Ci tengo anche a dire che i miei genitori – nonostante siano in Toscana da molto tempo – hanno sempre cercato di mettere un po’ di Sardegna in tutto ciò che fanno, io infatti mi ritengo sarda al 100% e ne vado super fiera. Poi, come si fa a non amarla? È la terra più bella al mondo, dove non manca niente, i paesaggi, l’ospitalità delle persone, le infinite tradizioni. In più, mi ha trasmesso il più bel lavoro del mondo.»
Beatrice Marcia, 23 anni, abita nel Casentino, in un piccolo borgo, ma i suoi genitori sono sardi doc: la mamma è nata e cresciuta nell’Isola, mentre il padre è figlio di emigrati sardi arrivati in Toscana negli anni Sessanta.
Molto legata alle sue origini e alla sua terra, la Sardegna, Beatrice – insieme ai suoi genitori – è una pastora. E porta avanti questo mestiere con fierezza.
«Ho studiato come segretaria d’azienda, ma all’età di 16 anni ho lasciato la scuola perché la mia passione per la pastorizia ero molto più forte e il mio cuore mi ha portato a seguire quella strada» racconta. «Adesso, anche se ho solo 23 anni, mi sento molto realizzata. Certo, i sogni da realizzare nel cassetto sono molti, quello più importante è sicuramente ingrandire l’azienda e riuscir a portare avanti tutto ciò con orgoglio.»
In azienda la 23enne si occupa degli animali insieme al babbo e della parte casearia insieme alla mamma.
«La mattina ci svegliamo presto, portiamo in gregge al pascolo, torniamo e mungiamo a mano. Finita la 
fase della mungitura, portiamo il latte in caseificio e lo lavoriamo subito, trasformiamo il latte a crudo e come la mungitura anche il formaggio viene fatto a mano… la sera procediamo allo stesso modo. Aiuto mia mamma anche con le vendite, con i clienti: abbiamo infatti anche la vendita diretta.»
La pastora, un mestiere che, prima prettamente maschile, si sta – finalmente – diffondendo anche tra le donne: «Sono contenta che adesso le ragazze che fanno questo mestiere siano molte, questo significa che questo mestiere non andrà a morire. Però ho osservato che, da quando ho mostrato sui social la mia quotidianità con i miei animali, molte più ragazze non hanno avuto più paura dei pregiudizi delle persone e si sono mostrate per quello che sono e per quello che fanno. Sapere che siamo molte mi riempie il cuore di gioia… ma poi: sono una più bella dell’altra, viva le donne sempre!»
Lei la pastorizia ce l’ha nel cuore, del resto fa parte della quarta generazione.
«Mio babbo è stato molto bravo a tramandarmi tutto ciò. Basta dire che mia mamma, per farmi fare i compiti, mi minacciava: se non li avessi fatti, non mi avrebbe fatta andare con babbo dalle pecore. L’amore per questo mestiere è nato fin da subito, forse anche perché ci sono cresciuta: per me è stato tutto abbastanza naturale e normale. Il sogno che ho avuto fin da piccola che era quello di avere un caseificio, un marchio tutto nostro, così nel 2019 dopo tanti sacrifici ci siamo riusciti: il nostro caseificio è la mia vita, è tutto ciò che ho.»
La soluzione?
«Dovrebbe cambiare il commercio italiano, cioè non far esportare latte estero, ma dare valore al nostro latte. Per quanto riguarda il commercio dei prodotti caseari, dovrebbero essere più tutelate le piccole aziende che producono il proprio prodotto in modo sano, senza essere calpestate dalle grandi industrie e dalle grandi catene commerciali. Tutto ciò porterà a lungo andare alla chiusura delle piccole aziende e l’agricoltura diventerà industria: come tutti noi sappiamo l’industria tende a fare quantità e meno qualità.»
Ma Beatrice non molla, nonostante le difficoltà ha una tempra di ferro, granitica, sarda.
«Non ritengo che il mio lavoro sia pesante, è vero che non esiste un giorno di festa senza aver pensato prima a sistemare gli animali, ma quando scegli di fare questa vita è perché loro sono la tua vita. Il nostro non è un mestiere ma uno stile di vita, la libertà che ti dà questo mestiere è talmente grande che è impagabile, le soddisfazioni che ti dà non danno peso a nessuno sacrificio. A volte mi rendo conto che non faccio la stessa vita dei giovani della mia età, ma a me non interessa perché la mia felicità e la mia giovinezza la voglio vivere così, piena di valori e sacrifici che mi porteranno ad avere una vita piena di obbiettivi da portare a termine.»
https://ihaveavoice.it/
Un'indagine sulla condizione femminile: discriminazioni politiche, sociali e religiose.
Boushra Almutawakel è la prima donna fotografa riconosciuta in Yemen, con le sue foto, indaga sulla condizione femminile nei paesi islamici, mettendo in risalto la discriminazioni politiche, sociali e religiose che subiscono.
La donna è di proprietà dell’uomo che è il suo guardiano e padrone, mentre lei non ha alcuna autonomia legale. Infatti, vale metà in materia di testimonianza legale perché non è riconosciuta come persona con piena capacità giuridica in tribunale. Inoltre, la testimonianza di una sola donna non è presa sul serio se non è sostenuta da quella di un uomo.
Il 60% delle donne è analfabeta, contro il 25% degli uomini. La violenza domestica non è reato, e il tasso di mortalità per il parto è altissima. Le donne non possono uscire di casa, senza il permesso, nemmeno in caso di emergenza o per motivi di salute, e nei casi rarissimi in cui escono lo possono fare solo se accompagnate dal guardiano e coperte completamente dal velo. Sono relegate in cucina insieme alla servitù, e il loro compito è meramente riproduttivo, in quanto la loro maggiore funzione è quella di sfornare figli in quantità.
Il matrimonio infantile è accettato e incentivato, e non è raro che bambine di otto o dieci anni sposino uomini di 28 o 30 anni: il 52% delle ragazze è venduto prima dei 18 anni, il 14% sotto i 15, di cui oltre la metà intorno agli 8 anni, soprattutto in zone tribali e arretrate del Nord-Ovest.



Ma, come chiarisce la 23enne, non sempre è tutto rose e fiori.
«Ci sono anche delle piccole difficoltà, nel nostro mestiere. A volte non tutti i mesi le cose vanno bene in ambito economico, perché comunque ci sono dei periodi in cui ci sono solo uscite: il cambiamento climatico ci rende le cose difficili. Essendo in Toscana abbiamo problemi con la predazione, come gli attacchi dei lupi, e un’altra parte molto complicata è anche la troppa burocrazia, le troppe regole e i troppi limiti da rispettare.»

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La scomparsa della donna. La fotografa yemenita Boushra Almutawakel ( la  prima )  e quella dell'Irania Shadi Ghadirian (  la  second  ) parlano della condizione femminile nei paesi islamici.
La condizione della donna nello Yemen


Shadi Ghadirian è una fotografa iraniana che scatta fotografie che esasperano i costumi della sua cultura iraniana e gli stereotipi arcaici che pone sulle donne contemporanee
In Iran le donne possono contrarre il matrimonio già a 13 anni, anche prima della pubertà se c’è il permesso del tutore.Non sono libere di sposarsi con chi vogliono, senza rischiare di andare incontro al delitto d’onore.Non hanno il diritto di cantare, se non in un pubblico esclusivamente di sole donne, di ballare, di recarsi negli stadi (eccetto per le partite della nazionale).Non possono ricevere un’eredità adeguata.Non possono vestirsi come vogliono, ma hanno l’obbligo di indossare l’hijab.Non possono viaggiare all’estero da sole, se sposate, e hanno bisogno del permesso del marito.Non possono esercitare la carica di Presidente della Repubblica.Non possono condurre la bicicletta.L’età di una donna è di 9 anni per essere considerata penalmente responsabile (per i maschi 15). È prevista la pena di morte per l’adulterio tramite lapidazione. Spesso avviene anche se vengono stuprate.106 donne sono state impiccate nel 2018 e nel 2019, ma i dati dichiarati probabilmente sono per inferiori a quelli reali.Non esiste un numero ufficiale di femminicidi per “violazioni delle norme islamiche o delle consuetudini sociali”.Il 66 % delle donne sposate che hanno partecipato ad una indagine aveva subito violenza domestica almeno una volta nella vita, un numero probabilmente sottostimato rispetto ai casi reali.40 milioni di donne vivono in Iran.40 milioni di donne i cui diritti più basilari vengono quotidianamente calpestati.Queste donne devono essere tutelate.

 

Leggi alcune storie di donne iraniane:

Marziyeh Ebrahim, deturpata con l’acido perché guidava l’auto.  

Samira Zargari, la head coach della squadra iraniana femminile, il cui marito le ha proibito di partecipare ai Mondiali. 
Zahra Esmaili, impiccata già morta per aver ucciso il marito che picchiava lei e figli. 

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Un libro, un podcast, un festival ma anche un hub e un’academy
La Tornanza: il movimento culturale che sfida lo spopolamento del Sud Italia. Le testimonianze
Un processo di rinascita dei territori che parte dall’innesto tra chi, dopo aver viaggiato, decide di tornare nel paese d’origine e mettere a frutto la propria conoscenza, e chi è rimasto; tra il tornante e il restante. Al centro, il viaggio




Non tutti lasciano la propria città o paese d'origine per sempre. C'è chi torna e sono in tanti a farlo. E non solo ritornano, ma cambiano il loro modo di vivere nel loro luogo d'origine e fanno impresa: nasce il progetto “La Tornanza”, il movimento culturale che vuole far rivivere i borghi italiani. La Tornanza è un libro, un podcast, un festival ma anche un hub e un’academy: il progetto di Antonio Prota e Flavio Albano che sfida lo spopolamento del Sud Italia puntando su origine, viaggio e innovazione. Un movimento di rinascita dei territori che parte dall’innesto tra chi, dopo aver viaggiato, decide di tornare nel paese d’origine e mettere a frutto la propria conoscenza, e chi è rimasto; tra il tornante e il restante. Al centro di questi due poli, il viaggio, come innesco del cambiamento, e l’innovazione, come strumento a servizio del capitale umano e del territorio. 

La Tornanza: il libro

Tutto inizia con un libro: “La Tornanza - ritorni e innesti orientati al futuro” - il saggio di Antonio Prota e Flavio R. Albano (Laterza edizioni), due esperti di turismo e marketing territoriale e digitale - che è in realtà il manifesto stesso del movimento. È qui, infatti, che ci sono tutti i concetti fondanti del progetto che poi vengono messi in pratica: l’importanza di tornare dopo il viaggio e scegliere di ristabilirsi nel paese d’origine, portando con sé un background nuovo, una trasformazione che può innestarsi con la conoscenza dei restanti per partecipare attivamente allo sviluppo del territorio. Una crescita fatta di azioni concrete, volte a creare una nuova economia e una nuova società nei territori che da sempre e sempre più spesso vengono abbandonati. Come il progetto FAME (Food, Art, Move, Energy), un movimento culturale che avvia un circolo virtuoso in cui le comunità lavorano insieme per la crescita dei propri territori attraverso una visione comune e una sinergia che unisce agricoltura, turismo, artigianato e commercio, o la teoria dell’innesto, che pone al centro del dibattito socio territoriale i borghi, intesi come una via di ricostruzione sociale e culturale.

La Tornanza: il podcast

Il racconto della tornanza dalla viva voce dei tornanti diventa la base del video podcast itinerante, una serie di narrazioni per raccontare le storie di chi ha deciso di rientrare a casa. Dalla Puglia, alla Basilicata, dalla Campania alla Calabria e non solo: una volta a settimana, un tornante racconta la sua storia, da dove è partito e dunque dove, dopo un lungo viaggio, ha deciso di tornare, ma anche il perchè di questa scelta e il progetto che sta cercando di portare avanti nella sua terra d’origine, forte dell’esperienza maturata durante la sua assenza. 

La Tornanza: i festival

Non solo podcast, però. Proprio nel segno della collaborazione e della condivisione, la tornanza è anche una serie di eventi dal vivo, i Tornanza festival, per guardarsi negli occhi e raccontarsi le proprie esperienze, ma soprattutto le proprie idee, affinché possano essere d’ispirazione. Il primo è stato lo scorso 28 giugno, a Padula, in Campania, e a breve ce ne saranno altri, alcuni in collaborazione con l’Università. Il 17 e il 18 settembre a Potenza, poi il 20 settembre a Matera e il 1 ottobre a Bari.

 

La Tornanza: gli hub

Innovazione per costruire startup, accoglienza dei tornanti e dialogo tra tornanti e restanti: in questo consistono gli hub, i luoghi in cui si lavora e si comincia a creare la base concreta di un’idea. L'obiettivo è costruire hub in vari territori e per il primo sono già pronte le coordinate: aprirà a settembre a La Certosa di Padula in Campania e a Gravina in Puglia.

 

La Tornanza: l’academy

Vera e propria espressione dei concetti fondanti della Tornanza (origine, viaggio e innovazione) l’academy è lo spazio dedicato alla formazione dei tornanti e per coloro che vogliono diventarlo


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Luigi e Luigia litigavano su tutto, ma il cane Tobia ha salvato il loro matrimonio

Luigi e Luigia sono sempre stati una coppia molto litigiosa. Riuscivano a non essere d’accordo su qualunque aspetto: dalle cose importanti ai progetti della vita sino ad arrivare alla scelta della pizzeria del sabato sera.L’uno ha sempre tentato di prevaricare sull’altro e il loro rapporto è sempre stato una sorta di braccio di ferro disfunzionale che non li ha mai portati a una risoluzione effettiva dei disagi. Anche in terapia avevano l’abitudine di interrompersi, sovrastarsi, insultarsi e a volte di
scappare dal setting terapeutico sbattendo la porta del mio studio.Nel momento in cui l’uno andava via dallo studio o dalla relazione, l’altro lo inseguiva.Tra un litigio efferato e un altro anche l’amore scricchiola ma la coppia non riusciva a seppellire l’ascia di guerra.Nonostante gli impegni da parte di tutti, la coppia continuava a essere una coppia altamente disfunzionale. Quando iniziavano a stare un po’ meglio, tornavano a litigare per un nonnulla e il benessere faticosamente costruito svaniva.I partner erano ben consapevoli di non poter mettere al mondo dei bambini, perché loro stessi si consideravano tali, così di comune accordo - almeno questa volta - avevano rinunciato
L’incontro L’amico del cuore di Luigi, Giuseppe, nome di fantasia, fa l’addestratore cinofilo e ha una pensione per cani. Quando Luigi e Luigia vanno a cena con lui e altri amici, l’argomento principale è il lavoro di Giuseppe. Così, tra una pizza e una
birra, l’amico del cuore incanta tutti i commensali con le sue storie.
Racconta di quel cagnone di nome Gigi che soffriva di disturbi del comportamento e che in realtà aveva bisogno d’amore, e che lui aveva curato.
Di Frida che con i suoi disturbi psico-somatici raccontava il disagio della famiglia in cui abitava e che iniziava a stare bene solo quando si trasferiva in pensione. Di Poldo, che aveva l’abitudine di mangiare le sue feci perché era sin troppo solo, annoiato e trascurato.
E poi c’era Tobia, un Bassotto Tedesco a pelo lungo con due occhi neri penetranti e liquorosi, e un caratteraccio. Allegro, giocherellone, buffo, testardo e vivace al tempo stesso, ma veramente impegnativo. Tobia aveva rapito il cuore di tutti.
Tobia e la pensione

Il quattrozampe frequentava abitualmente la pensione di Giuseppe perché i suoi amici umani viaggiavano spesso per lavoro. Durante la pandemia, i proprietari di Tobia sono rimasti per oltre due mesi in Giappone, lasciandolo in pensione.Al loro rientro il quattrozampe si era talmente affezionato a Giuseppe e ambientato nella sua nuova casa che stentava ad andar via.Anche Giuseppe dal canto suo aveva instaurato un rapporto di profondo affetto con Tobia pur consapevole di doverlo restituire alla sua famiglia.In realtà, Tobia non ha mai avuto un carattere particolarmente facile: non amava rimanere da solo in casa e tutte le volte che accadeva distruggeva qualcosa. Questo suo comportamento aggressivo e disfunzionale aveva messo a dura prova la pazienza dei suoi amici umani, così, un po’ per scherzo, un po’ per sondare il terreno hanno chiesto a Giuseppe se per caso volesse diventare la nuova famiglia di Tobia.Giuseppe non ha esitato neanche un istante e ha ripreso Tobia con sé facendolo diventare un aiuto-addestratore cinofilo.Estate, cane mio non ti conosco. La triste storia di Penelope: dal balcone alla sua nuova vita
La sceltaIl carattere prepotente ed esuberante di Tobia ha messo a dura prova il lavoro di Giuseppe, rendendolo particolarmente complicato.Non voleva rimanere da solo in casa e lo dimostrava con tutte le monellerie in suo possesso. In pensione entrava in competizione con gli altri cani di sesso maschile e man mano che passavano le settimane diventava sempre più morboso e simbiotico nei confronti del suo nuovo amico umano.La vita di Giuseppe era diventata un inferno, ma non poteva più restituirlo perché sentiva una responsabilità enorme.Una sera, tra una pizza e una birra, raccontava a Luigi e Luigia la storia di Tobia. I coniugi, nonostante fossero occupati a litigare, hanno immediatamente mostrato un interesse a dir poco dirompente nei confronti dell’esuberanza di Tobia.(Con il senno di poi, probabilmente, si erano entrambi identificati nelle angosce abbandoniche del quattrozampe e nei frequenti rituali che metteva in atto per attirare l’attenzione).A fine serata hanno chiesto a Giuseppe di incontrare Tobia e di poter stare un po’ con lui.
La sorpresa
Tobia, come sempre, era particolarmente schivo e anche un po’ imbronciato. Non amava ricevere visite, ma preferiva trascorrere la serata sul divano in compagnia di Giuseppe. Ogni persona o cane che frequentava quella casa era considerato per lui una chiara intrusione di campo e di cuore.Quella sera, però, l’incontro tra Tobia, Luigi e Luigia aveva sin da subito presentato delle caratteristiche inedite.Il quattrozampe si è mostrato incuriosito e interessato; probabilmente ha subito sentito l’interesse da parte della coppia.Tutti e tre hanno giocato per l’intera serata, lanciandosi palline e calzini e ridendo a crepapelle. Per la prima volta Luigi e Luigia hanno dimenticato di essere una coppia litigiosa e in crisi e si sono occupati di un altro essere vivente diverso da loro. E Tobia, dal canto suo, ha dimenticato di essere un cane con un carattere difficile e diffidente e si è concesso al gioco.Luigi e Luigia hanno chiesto a Giuseppe di poter adottare Tobia e di poterlo portare a casa con loro. Giuseppe, per poter continuare a vivere a lavorare serenamente, ha acconsentito con una sorta di tacita postilla: nel caso in cui ci fossero stati problemi il quattrozampe sarebbe ritornato a casa sua.
Un anno dopo
La settimana scorsa ricevo una telefonata inaspettata e affettuosa di Luigi e Luigia, che nel mio immaginario erano già separati. In realtà mi raccontano che la loro vita è cambiata profondamente da quando Tobia è entrato a far parte del loro quotidiano. Mi hanno raccontato la loro storia e mi hanno chiesto di scriverla per La Zampa.Hanno poi concluso il racconto dicendomi che grazie all’adozione di Tobia hanno salvato il loro matrimonio, e sempre grazie a Tobia hanno smesso di essere due persone egocentriche e infantili e hanno imparato ad amare e ad essere amati.Tobia ha imparato a rimanere a casa da solo, a non distrugge più nulla e non ululare al silenzio. Luigi e Luigia hanno imparato ad interpretare le esigenze di Tobia e ad ascoltarlo, e nel frattempo hanno imparato ad ascoltarsi l’un l’altro.

Ringrazio Luigi e Luigia per aver avuto fiducia in me e per avere affidato alle mie parole il racconto della loro storia, scritto in esclusiva per La Zampa.





complottismo e fake news perchè la gente ci crede

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