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13.10.24

diario di Bordo n 81 anno II "Vergognatevi", il fratello di Totò Schillaci contro la Rai., Da poliziotta a suora: «Così continuo ad aiutare le vittime della violenza»., la seconmda vita di armanda gallius scampata ad uno stalker., trisnonna a 85 anni

Italia-Belgio di Nations League è stato un momento anche per ricordare l'ormai scomparso da qualche settimana Totò Schillaci, simbolo di quelle notti magiche di Italia '90. La Rai però al momento del suo ricordo in campo ha mandato in onda la pubblicità.
L’attore e doppiatore Luca Ward ha letto un messaggio in sua memoria e invitato il pubblico a inscenare una coreografia di luci con i telefonini per dare maggiore
suggestione a quegli attimi: “Totò Schillaci rimarrà nel cuore di tutti noi, ha fatto sognare l’Italia intera con le sue esultanze travolgenti. È il simbolo di una nazione che non si arrende”.In quel momento però le immagini, mandate in diretta dalla Rai, si sono poi interrotte per uno spot pubblicitario che non ha permesso di vedere nulla ai tifosi da casa. Una scelta che ha mandato su tutte le furie la famiglia Schillaci. A scrivere un messaggio di disappunto è stato Giuseppe Schillaci, fratello del calciatore ex Inter, Juve e Messina: "Vergogna, la Rai interrompe il ricordo di Totò Schillaci per la pubblicità. Vergognatevi".

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L’hanno cercata ben 8 emittenti televisive: Il boccone del resto era ghiotto: la suora-poliziotta, la religiosa che trent’anni fa arrestava i malfattori, oggi lavora perché nella Chiesa nessuno più abusi dei minori. Suor Tosca Ferrante, originaria di Visciano (5mila abitanti in provincia di Napoli) si è negata: a lei quell’etichetta sta stretta, anche se non rinnega nulla di quando, prima della professione religiosa, a 19 anni decise di entrare in polizia. Una confidenza ad Avvenire però la concede: quello che l’aveva convinta era stata la serie televisiva degli anni Ottanta “CHiPs”, due poliziotti in moto che facevano del bene al prossimo.

Suor Tosca nel 2024 ha compiuto 55 anni, ha festeggiato i 25 di professione religiosa ed è stata eletta superiora generale delle suore Apostoline di Castel Gandolfo, l’ultima creatura del beato don Giacomo Alberione. Laureata in psicologia dopo la professione religiosa, oggi coordina il Servizio di tutela minori delle diocesi toscane e di quello diocesano di Pisa; spesso è in trasferta per tenere corsi di formazione per gli operatori pastorali, ed è stato proprio in occasione di un seminario a Pistoia, qualche giorno fa, che la sua storia di suora-poliziotta è stata “intercettata”.


Suor Tosca, la divisa è stata una piccola parte della sua vita. Che ricordo ha di quella esperienza? Quando pensa a sé stessa, giovane, con la pistola nella fondina, che sensazioni prova?

Quando si pensa a una persona in divisa, con pistola e manette, la si associa spesso a un potere. Invece io ho vissuto l’esperienza in Polizia come servizio alla collettività.

Come hanno vissuto i suoi genitori la sua scelta giovanile?

Mio padre faceva il muratore, mia madre la casalinga, entrambi molto credenti, iscritti all’Azione Cattolica. Mio padre è stato molto tempo all’estero, in Venezuela e in Germania e ha trasmesso a me e a m io fratello, che lavora nell’Esercito, il valore della giustizia e dell’aiuto al prossimo. La Polizia è stato il mio primo spazio in cui incarnare quei valori. Quindi sì, dopo il disorientamento iniziale, sono stati favorevoli alla mia scelta.

Quali sono stati i suoi primi incarichi?

All’inizio sono stata a Roma, al Commissariato di Tor Pignattara. Dopo due anni e mezzo sono stata trasferita a Napoli, all’Ufficio stranieri. La sera andavamo negli alberghi a recuperare le prostitute per dar loro il foglio di via. Ho incontrato tante persone sofferenti: delinquenti, tossicodipendenti, giovani donne vittime della tratta, stranieri in attesa di permesso di soggiorno spesso vittime di raggiri: insomma tanta povertà, tanto vuoto e anche tanto male. E questo mi ha permesso di comprendere qual era la mia vocazione: ho sentito che Dio mi chiamava a donare tutta la mia vita.

E ha scelto la vita religiosa. Come è accaduto?

È stato un percorso, iniziato a 15 anni quando andai a Castel Gandolfo, dalle Suore Apostoline, per un’esperienza estiva. Ho sempre continuato a frequentarle, anche durante i miei cinque anni di lavoro in Polizia. Un giorno mi venne chiesto di vigilare su un minorenne che aveva compiuto un furto, il primo della sua vita. Dopo un po’ che parlavamo, lui iniziò a piangere, era spaventato. Poi mi disse: “Ho paura, mi dai un abbraccio?”. Non potevo, ero in divisa. Tornata a casa, mi guardai allo specchio e dissi: “Ma chi stai diventando?”.

Il carisma delle suore Apostoline, di cui lei è la superiora generale, è vocazionale, cioè stare accanto ai giovani affinché ciascuno trovi la sua strada e a chi ha già fatto una scelta di vita e vive un tempo di difficoltà vocazionale. Lei ha raccontato che da bambina voleva diventare maestra o infermiera, poi è diventata poliziotta e ora è psicologa e suora. È un po’ un cerchio che si chiude?

Mi pare che ciò che accomuna queste esperienze è la dimensione della cura della persona, attraverso l’ascolto, per garantire a tutti di stare al mondo con dignità.

Nel 2020 la Conferenza episcopale italiana ha istituito i Servizi diocesani e regionali per la tutela dei minori. Lei coordina quelli di Pisa e della Toscana. Questa rete anti-abusi funziona?

Sì, funziona. La chiave del servizio è la ricerca delle verità e trovare strade perché ciò che è accaduto non accada mai più. Una strada è la formazione: molto del nostro lavoro è richiamare alla responsabilità dell’essere adulti a coloro che operano in contesti parrocchiali. La fatica per i giovani è trovare punti di riferimento a cui guardare, adulti affidabili, maturi, che siano in grado di accompagnarli nella loro ricerca di senso.

Nelle diocesi, accanto ai Servizi di tutela, ci sono anche i Centri di ascolto, a cui arrivano segnalazioni di casi o testimonianze. Ha incontrato anche vittime di abusi?

Ho incontrato vittime di abusi, uomini e donne, e il mio lavoro è stato quello di accompagnarle a sentirsi riconosciute come tali. È il bisogno primario di ciascuno, in un processo che richiede molto tempo e pazienza perché le ferite sono profondissime. Per me è come prendersi cura di Cristo Crocifisso.



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Unione    sarda  13 ottobre


La seconda vita di Amanda

Sei mesi fa, in auto, l'uomo che si era invaghito di lei le era piombato addosso. Amanda Gallus, 40 anni,
di Carbonia, sta rimarginando le ferite (non solo fisiche) per iniziare una nuova vita. Lo stalker era stato arrestato
«Non è facile ricominciare a vivere dopo aver visto la morte in faccia ma io ce la sto mettendo tutta. Sono stati sei mesi durissimi e il percorso di guarigione non è ancora finito ma mi sto impegnando per riprendere in mano la mia vita». Sono passati sei mesi da quando Amanda Gallus, quarantacinquenne di Carbonia, ha rischiato di morire in un terribile scontro frontale. Non era stato un generico incidente stradale: a bordo dell'auto che ha travolto la sua utilitaria c'era Alessio Zonza, l'uomo di 53 anni che Amanda aveva denunciato per stalking e atti persecutori dopo che la sua vita era ormai un incubo quotidiano. L'incidente Nell'auto di Amanda c'era una telecamera che la donna aveva fatto piazzare a sua tutela e quel pomeriggio era al telefono con gli agenti del Commissariato perché si era accorta che Zonza la stava seguendo: le drammatiche immagini immortalate dalla telecamera e la disperata richiesta di aiuto raccolta al telefono non hanno permesso di evitare quel tragico schianto che ha fatto finire Amanda in ospedale in gravissime condizioni, ma hanno fatto in modo che l'uomo, anche lui ferito, venisse arrestato subito dopo l'incidente. Nella sua auto, nonostante avesse cercato di nasconderlo agli agenti, era stato trovato anche un martello. Due giorni fa un perito ha detto che Zonza, per il quale i suoi difensori hanno chiesto una perizia psichiatrica nell'ambito della processo per il reato di stalking, non è incapace di intendere e di volere e questa conclusione potrebbe essere determinante nel momento in cui si dovrà decidere il rinvio a giudizio per l'ipotesi di tentato omicidio. Le cure Amanda è chiaramente informata dell'evolversi della vicenda giudiziaria per la quale è seguita dagli avvocati Marco Aste e Maria Cristina Lindiri, «ma finché è ancora in corso preferisco non esprimere alcun commento – premette – ci sarà tempo e modo di parlarne, ora devo pensare alla mia salute». Non sono stati sei mesi facili: «Qualche santo mi ha protetto perché in quello schianto sarei potuta morire – dice – tuttavia ho riportato gravissime lesioni e fratture per le quali sono stata sottoposta a diversi interventi chirurgici e a una lunga fisioterapia, ancora in corso, che va in parallelo alle sedute di analisi con le quali cerco di metabolizzare il trauma che ho subito. Per fortuna ho intorno tante persone che mi vogliono bene, in primis il mio compagno e la mia famiglia e poi gli amici e i preziosi compagni di lavoro». La solidarietà Dal giorno dell'incidente Amanda è stata travolta da un'ondata di solidarietà e affetto dalla comunità di Carbonia e non solo: «Ho ricevuto migliaia di messaggi di auguri e di vicinanza che mi hanno commosso e mi hanno aiutato a non farmi mollare mai in questi mesi in cui i momenti di sconforto non sono mancati – afferma – ne sono arrivati moltissimi anche dai clienti del centro commerciale dove lavoro e dove i miei colleghi per mesi hanno ricevuto messaggi di affetto da inoltrarmi». Con i colleghi e le colleghe del centro Conad di Carbonia Amanda c'era già prima un rapporto di amicizia prezioso che questo dramma ha saldato ancora di più: «Per permettermi di continuare a curarmi, ora che ho esaurito i mesi di malattia disponibili ma ho ancora davanti un lungo percorso terapeutico, mi hanno donato parte delle loro ferie – racconta – un gesto importantissimo che mi lega in maniera indissolubile a ciascuno di loro, la mia riconoscenza è grandissima e spero con tutto in cuore di poter tornare tra loro, ritrovando la quotidianità e la serenità che ho perso, lasciandomi alle spalle questo tremendo incubo».

                                              Stefania Piredda
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Dal 1980 a tutta birra: Michele "il tedesco" quartese ad honorem

E chi non lo conosce, Michael Hans Dieter Fellmann! Forse il cognome è poco noto, ma basta precisare “Michele il tedesco di Quartu” per avere chiaro in mente il sorriso gioioso e la simpatia contagiosa del re della birra tedesca, che nei giorni scorsi ha avuto addirittura la cittadinanza benemerita, votata all’unanimità dal Consiglio comunale della terza città dell’Isola.Perché Michele il tedesco di Quartu, 69
anni, in città si è stabilito ben 44 anni fa, quando aprì per la prima volta le porte del suo locale, lo Zum Loeweneck, l’angolo del leone, in via Magellano, a un tiro di schioppo da viale Colombo. «Allora c’ero solo io», ricorda, «solo il mio locale e intorno nemmeno un bar. Poi le cose sono cambiate, Quartu si è completamente trasformata. Prima quando si usciva si andava solo a Cagliari, perché qui era il deserto. Ora ci sono pizzerie, ristoranti, discoteche. La città è viva e sono i cagliaritani a venire da noi».
Il riconoscimento
Questa cittadinanza benemerita «è stata una sorpresa e un onore», dice, «sono orgoglioso. Io da tempo sono residente qui e mi sento un cittadino a tutti gli effetti. Amo molto questa città». E pensare che all’inizio il pensiero di venire nell’Isola per Michele fu quasi un trauma. «Quando mi mandarono in Sardegna per il servizio militare pensai: è una punizione divina. Un posto così lontano e che io non conosco». Poi nel 1974 viene spedito nella base di Decimomannu come aviere scelto, addetto ai rifornimenti: «Fu una folgorazione. I colori, il cielo, il mare. E poi il mirto, le belle donne, la mia prima festa di Santa Greca. E fu così che ho deciso che non sarei più andato via».Da lì a poco prende forma un’idea: aprire un pub per far conoscere ai sardi la birra e il cibo tedesco. «Nel 1980 apro il mio locale, la prima birreria tipica bavarese, che è ancora lì con gli stessi tavoli».Ancora attiva dopo 44 anni, con il padrone di casa Michele che accoglie sempre tutti con un sorriso grande così.In poco tempo la sua birreria viene inserita tra le trenta migliori d’Italia e nel 1991 entra addirittura nel Guinness dei primati, per avere costruito la più grande tabacchiera da fiuto simultanea. Ce l’ha ancora qui nel locale, la tabacchiera, ma il record non c’è più «perché dai Guinness sono stati tolti tutti i record che hanno a che fare con il fumo e con l’alcol. Ogni tanto però la tiriamo giù perché le persone si divertono». E in effetti fa un certo effetto vederla scendere dall’alto ed entrare in azione.
Nuove passioni
Lasciata la sua birreria, Michele il tedesco ha fatto incursioni anche nel cinema: «Ho partecipato al film “L’arbitro” di Stefano Accorsi, dove ho fatto la comparsa, mentre invece in quello di Pieraccioni “Finalmente la felicità” ho anche recitato». E in men che non si dica snocciola le battute per filo e per segno senza dimenticarsi nemmeno una virgola.A Quartu ha trovato anche moglie. «Sia la prima – racconta ancora – che purtroppo è morta quando aveva 49 anni, sia la seconda che ho sposato 4 anni fa. Abitiamo sempre qui a Quartu e ci troviamo benissimo». La cosa che più gli piace del suo lavoro, ancora dopo tanto tempo, «è sicuramente il contatto con la gente, far gustare il cibo come se fossimo in Germania. Il locale è come un salotto di famiglia, dove ognuno si sente a casa». E infatti non chiedetegli se ha intenzione di andare in pensione: «Non ci penso nemmeno. Dobbiamo tutti festeggiare i cinquant’anni della mia birreria nel 2030».

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«Il piccolo Alessio mi ha reso trisnonna, è un dono di Dio» 

La storica bottegaia di Decimomannu: la famiglia è la cosa più importante 


 «Crema e profumo, gioielli e un bel vestito». Gianna Boeddu, 87 anni, decimese d’adozione, nonostante sia diventata trisnonna qualche giorno fa, non rinuncia al quotidiano tocco di eleganza e femminilità: «Prendersi cura del corpo e della mente, non abbattersi e leggere tanto sono i segreti per restare attivi». Quella di Gianna è un’energia contagiosa segnata da un sorriso smagliante contornato dal rossetto. Lei riserva questa energia soprattutto ai suoi numerosi nipoti, pronipoti e all’ultimo arrivato, il trisnipote Alessio Piredda: «La famiglia è la cosa più importante. Dio mi ha riservato un dono, nonostante i normali alti e bassi che ci sono in tutte le case». Mamma a 18, nonna a 36, bisnonna a 62 e trisnonna a 87 anni, Gianna è una vera forza della natura. 
«Sono nata a Bitti – racconta – ricordo bene la mia fanciullezza, quando scorrazzavo nel negozietto di paese gestito da mia zia. Mi parevano un sogno quegli scaffali pieni di ogni ben di Dio». 
 La sua famiglia, per questioni lavorative, si era poi dovuta trasferire a Iglesias, paese nel quale Gianna è sopravvissuta al tifo e ha conosciuto da giovanissima il ragazzo che sarebbe diventato suo marito: «Mi sono sposata a 15 anni e 2 giorni. Il mio fidanzato, Angelo Muroni, più grande di me di 9 anni, era originario di Sindia. I miei genitori non lo facevano entrare in casa e così abbiamo deciso di unirci in matrimonio». Fino al giorno del fatidico “sì” il padre non era d’accordo: «Prima ha acconsentito per poi cambiare idea il giorno prima della cerimonia. Ma siamo riusciti a convincerlo e così, volente o nolente, ha ceduto».   
 Gli sposini hanno deciso di mettere su famiglia a Decimomannu: «Mio marito non amava Iglesias, così abbiamo preso una casa in affitto in quello che sarebbe diventato il nostro nido “definitivo”, a parte una breve parentesi da emigrati in Francia».
  Dopo il rientro a Decimomannu, Muroni «ha appeso al chiodo le scarpette da minatore e ha preso in mano quelle di contadino e di agente forestale». Ma i soldi, con cinque figli, non erano sufficienti a tirare avanti la famiglia: «Avevamo acquistato casa in via delle Aie, il denaro scarseggiava comunque e io dovevo fare per forza qualcosa. Sotto casa avevo una piccola stanza inutilizzata, così ho pensato di avviare un negozietto». 
La bottega di via della Aie è diventato un punto di riferimento non solo per i decimesi: «Generi alimentari e fustini di detersivo in polvere erano i prodotti più venduti: acquistavo la merce dai rappresentanti e la rivendevo rincarata del 10 percento. In poco tempo l’attività è cresciuta vertiginosamente e ho dovuto ampliare il negozio». 
 Per tutti è diventata così “Gianna sa botteghera”: «Amavo il mio lavoro e stare in mezzo alla gente. I clienti si affezionavano perché non raccontavo in giro i loro segreti, non li giudicavo e permettevo loro di pagare a fine mese. Decimomannu è tutto per me. Mi sono sempre sentita a casa e voluta bene. Mi sono integrata e ho frequentato i corsi organizzati dal Cif. La dolce signora Augusta, moglie del medico di famiglia Mallus, teneva corsi di ricamo, maglia e comportamento». 
 Adesso Gianna è una nonna, anzi, una trisnonna, a tempo pieno: «Non mi dedico più a tutte le mie passioni (cucito, cucina e lettura) perché la salute non me lo permette. Ma riesco ancora ad assistere, per qualche oretta, i miei nipotini e a preparare loro delle semplici merende». Le difficoltà della vita non la buttano giù: «Prendo il mondo come viene». E a una società prettamente patriarcale dice: «Insegno soprattutto alle mie nipoti a lottare ed essere indipendenti. Le donne devono lavorare ed essere autonome. Come ho cercato di esserlo io per tutta la vita».

21.6.22

i genitori che fanno i bulli e gli haters su un account social di Elisa Esposito una ragazzina che non loro figlia dandogli della ..... che ..... esempio danno ai loro figli ?


Sono andato giusto ieri a vedere chi fossela tizia vedere foto sopra e video sotto

 

   di  cui si parla    in  un post  che ho trovato  sulla home generale di facebook e cosa facesse. Una volta finito il video, avrei voluto darmi fuoco alle orecchie.
Il che, immediatamente, mi ha fatto sentire molto vecchio nonostante abbia 46 anni .
Sì perché quando eravamo ragazzini ne dicevamo di assurdità ... Eccome se ne dicevamo. Ci siamo tutti inventati una lingua segreta da bambini e da ragazzini, è un gioco un  modo  si reagire  al  conformismo e  all'autoritarismo  genitoriale  . Gli adulti d'oggi   , ovveroi ragazzi  d'ieri  dimenticanoo non ricordano  , non dovrebbero.
Avevamo un modo di parlare che faceva sollevare lo sguardo al cielo ai miei vecchi genitori oltre  che  agliinsegnanti  . 
 Ed era ( ed è ) tutt'ora giusto visto che ogni generazione precedente alla tua rimproveri o rimanga ammutolito e sfotta quando non vuole sforzarsi d'aprirsi al nuovo .
Eravamo stupidi, ci comportavamo da stupidi e sono felice che lo facessimo. Era fisiologico.chi non lo  ha  mai fatto  alzi  la  mano 😃 
Ora ci siamo trasformati negli adulti, nei vecchi che ci rompevano le palle ai tempi e che eravamo noi a guardare con sufficienza. Perché se ti dimentichi di essere stato un ragazzino stupido, significa che sei diventato un adulto deficiente. Il che è molto peggio, e oltretutto non passa con gli anni a differenza della stupidità della gioventù ... .
Detto questo, mi chiedo   come    un adulto che consideri lecito  andare ad insultare una ragazzina che  peraltro  non è  un suo  familiare   per come parla mi fa orrore. È una sconfitta dell'intera società. come può venire in mente a una persona anche solo vagamente normodotata di andare sotto al video di una ragazzina che dice “amiooooo”  ed    espressione    simili   ad insultarla dandole della “puttana” ?


Voi non state mica tanto bene, gente.Cioè: quella roba è certamente   abominevole e odiosa per chiunque abbia più di 16 anni, e siamo d’accordo, ma mica deve piacere a noi   che  abbiamo  40 anni è  più 
Io, ad esempio  collegandomi  al discorso  delle  righe  precedenti  , da ragazzino, dicevo per  esempio  “tozzo” per dire “fico” ed espressioni   gergali  simili  che   andavano  di  moda per un certo periodo  e   alcune  si  sono  anche   estinte sono scomparse   . O storpiavo  o accorgiavo parole con acronimi tipo tvb o scorcia per scorciatoiaobiblio per  biblioteca , ecc .
Adesso, probabilmente, se incrociassi il me stesso di allora, sentirei l’irrefrenabile impulso di  rimproverarmi(  ed  criticare   eventuali  figli\e  )   come    facevano i miei    perchè  parlassi  bene  o  quanto meno  facessi distinzione   quando e  con chi  usarlo 
Si invecchia e si finisce per dimenticare che, molto spesso, diverse idiozie che si fanno e si dicono a quell’età, si fanno per sentirsi parte di un gruppo, di una generazione, per riconoscersi, annusarsi, per uscire dalle imposizioni de genitori , ecc
È una cosa che serve a diventare grandi. Poi cresci e vorresti tagliarti le orecchie con un ferro arroventato quando senti una che dice “amioooo”, certo. Fa parte del processo. Ed è giusto così . Ma Se, invece, senti quella roba da una persona che non è tuo figlio\a o tuo\tua nipote e decidi di andare ad fare il cazziatone ed soprattutto ad insultare pesantemente una ragazzina sul suo profilo TikTok o Instagram, usando parole pesanti come  quella   citata     mi dispiace ma il problema è solo e soltanto tuo, non suo che usa tali espressioni . Quindi cari vecchi tromboni e censori lasciamo ai giovani il loro mondo ed al loro linguaggio ( come é stato a nostra volta con modi di dire e terminologie che ora ci farebbero accapponare la pelle) senza fare i boomer maleducati su un profilo social che non ci appartiene ed  non  è neppure  di  un nostro familiare .


4.6.14

LETTERA DI UN ( ANZIANO) PADRE AL FIGLIO... :

dall mia  bacheca  di facebook

Se un giorno mi vedrai vecchio: se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi... abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnartelo. Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere... ascoltami, quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi. Quando non voglio lavarmi non biasimarmi e non farmi vergognare... ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno. Quando vedi la mia ignoranza per le
nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l'abc; quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso... dammi il tempo necessario per ricordare e se non ci riesco non ti innervosire: la cosa più importante non è quello che dico ma il mio bisogno di essere con te ed averti li che mi ascolti. Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo non trattarmi come fossi un peso, vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l'ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi. Quando dico che vorrei essere morto... non arrabbiarti, un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive. Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te che ho tentato di spianarti la strada. Dammi un po' del tuo tempo, dammi un po' della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l'ho fatto per te. Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza in cambio io ti darò un sorriso e l'immenso amore che ho sempre avuto per te. Ti amo figlio mio

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...