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4.7.15

IL FURTO di © Daniela Tuscano

Le cose stanno in questi termini: sono un’umanista, ma un’umanista sui generis. Non tanto e non solo per il percorso scolastico, ma a causa della testa. Maledettamente coriacea, oniricamente concreta. Una donna, o una femmina, come preferite; sta di fatto che non amo le astrazioni e le teorie, navigo sul concreto. Ho sempre amato la Grecia, come tutti, credo; più per l’arte che per la filosofia. Più Euripide che Sofocle, e naturalmente Pericle, Fidia, il Partenone, Scopas, ecc. ecc. Era forse il modo di trasmetterci la materia, ecco. Primo, non c’era nemmeno una donna; secondo, i docenti, immancabilmente maschi, spesso pure simpatici, trasmettevano però un sapere rarefatto, arguto, razionale, bianco come i marmi di Canova. I Greci sono i Greci e si distinguono dai barbari Persiani, la democrazia, ecc.


Sì, certo. Ma io avevo in mente taluni amici e colori e cartoline e vedevo capelli scuri e puro Oriente, non candori marmorei e tratti somatici delicati. Poi ‘sta democrazia non mi convinceva tanto, da essa
ne erano escluse, come al solito, le donne, gli schiavi, i meteci… Bell’affare! Bel rispetto per le diversità! E, e, e, la vita: ma un momento, la vita media all’epoca di Pericle era di 25 anni. La gente moriva spesso per fame. Non che fosse tutto questo paradiso…
Ma poi, perché l’arte classica era quella, e solo quella? La Cina non aveva forse conosciuto i suoi splendori? Non l’Egitto? Non la stessa Persia? E, in effetti, il “greco” che sentivo più vicino a me non era un greco, bensì un periferico, un mezzo albanese-macedone, tale Alessandro, che aveva conquistato il conquistabile poi sposato una principessa “barbara” e dato vita a una nuova cultura, un meticciato vivido e brulicante, l’ellenismo.
La Grecia, peraltro, scompariva presto dai libri di storia e da quelli di letteratura. Un po’ di Bisanzio, che già non si comprendeva bene come collocare; poi l’invasione turca e fine, stop. “ [Nel Quattrocento] i Greci non sembrano nemmeno più europei, ormai sottomessi all’impero ottomano e staccati dalla Chiesa di Roma…”, ecco quanto mi capitava di leggere in un libro di testo molti anni fa. Queste descrizioni m’impressionavano profondamente. Perché i Greci non sembravano più europei? Ma quale Europa si aveva in mente? Non era ella, nel mito, una principessa fenicia rapita da Zeus? Non era, insomma, l’apoteosi del meticciato?
Poi risorse, come ricorda in un fulgido commento Marino Niola su “Repubblica”, nello sguardo del Nord, soprattutto germanico, e da allora si determinò “la biforcazione antropologica tra le due Europe, che da quel momento [da prima ancora, in realtà] smettono di essere una. Nel senso che le potenze del Settentrione, Germania, Inghilterra e Francia, ovvero gli attuali pilastri dell’Unione, diventano moderne” e “cominciano a rappresentare la loro modernità per contrasto con il mondo euro-mediterraneo, consegnato per sempre alla sua irredimibile antichità”. Il neoclassicismo fu insomma, sotto alcuni aspetti, frutto d’una colonizzazione culturale, economica, antropologica, come un secolo più tardi sarebbe avvenuto per l’orientalismo, e a farne le spese furono non soltanto gli abitanti dell’antica Ellade ma l’intero Sud europeo, italiani compresi. 
E così la Grecia (e l’Italia) divenne terra d’archeologia, e di diletto, degli europei nordici. Quasi due razze diverse. Perché fummo poveri pure noi; pure noi avemmo i nostri ragazzi di vita ad allettare le giornate – e le notti – dei raffinati Von Gloeden. Non vedevo alcuna empatia, in tutto questo. Vedevo sfruttamento. Intanto, l’Europa s’era rischiarata la pelle e la tecnocrazia imponeva le sue leggi a tutto il continente. Ne costituiva ormai l’ossatura.
La culla dell’umanesimo che tanto seduceva le tiepide notti serviva solo come oppiaceo. La dura realtà era capitalistica e l’Occidente s’identificava solo in quel pugno geografico. 
Che tale è rimasto. E a cui tutti dobbiamo conformarci. È come se ci avessero rubato la cittadinanza, o una idea di cittadinanza.
E allora, in questi giorni dolorosi in cui soprattutto i Germani, auto-nominatisi arbitrariamente eredi della perduta razionalità ellenica, non paiono commuoversi troppo per le sorti della loro “progenitrice”, mi tornano alla mente: non l’Apollo del Belvedere elogiato da Winckelmann, non l’apollineo e il dionisiaco di Nietzsche, non Evans, non Von Gloeden, non Byron, non Goethe e Mignon ma gli anonimi amici scuri di tanti anni fa. Belle facce su sfondi chiassosi, morbidi e rotondi come olio, i cipressi neri, i monasteri ortodossi e il pensionato in lacrime davanti al bancomat vuoto, in uno scatto divenuto virale.
Ma la cultura non è erudizione. È vita; dinamismo; etica. Quell’etica tanto magnificata in un passato letterario, e inesistente, riprendiamocela. È nostra, parto delle sponde mediterranee; nessun altro può sostituirla. Senza Grecia non si dà Europa, hanno scritto in molti; ma che sia la Grecia di quei volti, dei pensionati, e del passato, certo!, realizzato in una democrazia vera, autentica, piena. Quella democrazia di cui gli antichi ebbero la geniale intuizione, divenga ora compiuta, come nei secoli precedenti non poté avvenire. Metta al centro l’umano, non il profitto. Applichi la compassione, ben diversa dal pietismo. La Grecia va salvata per salvare l’idea stessa d’Europa. Ma l’Europa delle origini, non dei banchieri. Un piccolo continente che racchiude la totalità.

                                                          © Daniela Tuscano

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