Caro direttore, «Sara, vittima di una strada maledetta»; «morta travolta da un’auto»; «il conducente ha affermato di essere rimasto abbagliato dal sole»; «una ragazza è stata investita sulla Grevigiana prima delle 20»; «stavolta ha incontrato un destino crudele e ingiusto» sono alcune delle parole usate dai giornali per raccontare lo scontro che ha ucciso Sara Bartoli, meravigliosa ragazza di 30 anni che stava allenandosi correndo lungo la Grevigiana. Parole che fanno parte di una narrazione sbagliata in essere ormai da tempo con grande coerenza in molti media quando si parla di violenza stradale, che ha delle caratteristiche ben precise e delineate:
1) si deresponsabilizza il guidatore umanizzando il mezzo e quindi Sara è morta perché un’auto l’ha travolta. Chi guidava l’auto è nel retro-pensiero;
2) si giustifica il guidatore. L’abbagliamento è uno degli argomenti più usati, come se fosse un qualcosa di imprevedibile, occasionale. Intorno alle 20 in quella posizione, in questo periodo dell’anno la situazione con quella posizione del sole si ripeterà per settimane. Come fa a essere una giustificazione? Sarebbe come dire ho buttato un fiammifero ma sono rimasto sorpreso che il bosco fosse secco in questo periodo;
3) la colpa è di altre cose inerti, come la strada, questo agglomerato di asfalto che probabilmente è lì da secoli e che, per il suo essere senza movimento è comunque maledetto;
4) l’assenza di arbitrio; nessuno poteva fare qualcosa di diverso per evitare che una giovane vita fosse cancellata dalla terra. È stato il destino crudele e ingiusto. Da questa lettura nasce anche la parola usata per descrivere questi scontri mortali: incidente, che nella sua etimologia implica l’avvenimento di un evento per caso senza responsabilità degli attori;
5) la colpa delle vittime nascosta nell’uso intenso del passivo. Si scrive Sara è stata investita invece che scrivere un automobilista ha investito Sara. Da oggetto passivo di uno scontro, il pedone diventa spesso soggetto di una frase a costruzione passiva, come se il suo ruolo fosse quello più importante. Non a caso gli inglesi chiamano il passivo the exonerative tense.
Non sappiamo come sono andate le cose ma questa narrazione non ci aiuta certo a lavorare perché altri giovani non vengano uccisi sulla strada. La strada, il sole, il destino non c’entrano niente nella morte di Sara. C’entrano solo i comportamenti di chi guidava l’auto e quelli di Sara. Studiarli, capirli e raccontarli in maniera giusta può solo servire a cambiare una cultura della mobilità che uccide soprattutto gli utenti vulnerabili, che hanno il diritto di usare la strada come e forse di più delle auto. Perché la strada è di tutti. E tutti abbiamo il diritto di usarla senza perdere la vita.
*associazione Lorenzo Guarnieri Onlus