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24.3.25

Paolo, l'ex tossico con un figlio morto per droga dona un rene alla compagna sotto dialisi per la Granulomatosi di Wegenerm e le salva la vita: «La gente a cui voglio bene non deve più morire»

 Quella      d'oggi  è la storia di Paolo, uscito dalla tossicodipendenza dopo anni a San Patrignano e con un figlio

morto proprio per droga. Un uomo di 46 anni che ha incontrato una nuova compagna, Elisa di 34 anni, e ha iniziato una nuova vita.Tre anni dopo però la donna, fin da piccola affetta da una malattia renale e sotto dialisi per la Granulomatosi di Wegenerm ha bisogno di un trapianto. Ad offrirsi per la donazione è lui, che dopo gli accertamenti del caso viene ritenuto idoneo e si procede con l'intervento.La loro storia è stata raccontata da Le Iene. «Sono stanco di vedere la gente a cui voglio bene morire... non deve più morire nessuno. Dio mi ha fatto campare per dare il rene a qualcuno», ha detto dopo l'operazione.

Il trapianto a Torino

Il primo trapianto era stato effettuato sulla donna nel 2015 e la donatrice era stata la mamma di lei, ma l'organo aveva ormai esaurito la sua funzione. La procedura di accertamento è stata effettuata nella Nefrologia dialisi trapianti (diretta da Luigi Biancone - responsabile del programma di trapianto rene).'intervento chirurgico è stato eseguito da Aldo Verri (direttore
della Chirurgia vascolare ospedaliera), Andrea Agostinucci, Paolo Gontero (direttore della Clinica urologica universitaria) e da Andrea Bosio con l'assistenza anestesiologica di Chiara Melchiorri (Anestesia e Rianimazione 2 - diretta da Maurizio Berardino). Successivamente la coppia è stata ricoverata all'unità semintensiva della Nefrologia, gestita dall'équipe nefrologica.Cinque giorni dopo il trapianto lui era già a casa e lei fuori dalla dialisi con una funzione renale ottima. «Quella del donatore è una doppia vittoria: contro la malattia di lei e per una nuova vita insieme» spiega Biancone.Una  storia    d'amore    e  di riscatto . Infatti Danilo   Ha corteggiato la morte da tossicodipendente, ha visto la droga portarsi via un figlio. Si è stancato e ha scelto la vita. "Dio mi ha fatto campare per dare il mio rene a qualcuno". Fuori dalla sala operatoria delle Molinette il 5 marzo c’era un uomo felice. Poco distante la sua compagna, uscita dal tormento della dialisi grazie al compagno. In sottofondo un coro: ma come, un drogato che dona un rene. Proprio così, da relitto a eroe, in una resurrezione partita da dentro con il via libera dei medici. Fuori dall’incubo e pronto per una strada nuova, anche il Cammino di Santiago che adesso potranno percorrere in due, un rene a testa.
Danilo ha 46 anni e si è rimesso in piedi dopo le ricadute e gli anni a San Patrignano. Elisa ha attraversato la via crucis della Granulomatosi di Wegernerm, una malattia renale che da quando era piccola la costringeva a stare attaccata a una macchina. Nel 2015 era stata la mamma a offrire un pezzo di sé, ma ormai l’organo aveva esaurito la sua funzione e il calvario era ricominciato. Si conoscono quando la ragazza ha poco più di trent’anni, una felicità breve e poi la sentenza: indispensabile un nuovo trapianto.Il primo a offrirsi è lui e vengono avviate le procedure di accertamento nel reparto di Nefrologia diretto da Luigi Biancone. Si può fare, si fa. Cinque giorni dopo l’uomo è già a casa e la sua compagna esce dalla dialisi con una funzione renale ottima. Doppia vittoria del donatore, spiega il dottor Biancone: contro la malattia e per una nuova vita insieme. I professionisti concentrati su un intervento multidisciplinare riconoscono il lato romantico della storia. Gli innamorati scalpitano: "Abbiamo sempre tanti progetti, un sacco, di idee – dice la donna – ma nell’ultimo anno la mia dialisi ci ha limitati".Racconta l’amore per la montagna, il mare, il trekking. Santiago è già in agenda: "Per adesso gli ultimi cento chilometri, che si fanno in una settimana". Con due reni in due, perché no. E poi il matrimonio: "Ci eravamo detti che ci saremmo sposati dopo il trapianto". Lui è andato alle Iene a raccontare l’avventura: "Con il mio passato non ho più nulla a che fare, da dodici anni non faccio uso di sostanze. Dirlo ha voluto essere un messaggio di speranza per tutti, anche per chi è ancora dentro la tossicodipendenza". Molti dubbi sui social, ma la ragazza rasserena la platea: "Per fortuna non aveva danni a livello fisico e nemmeno malattie infettive. Prima del trapianto sono stati fatti esami per un anno e mezzo e il suo corpo e il rene che adesso è il mio sono completamente sani". Ha avuto paura, come no. "Ero preoccupata per lui, perché non è un intervento da poco".Ora sono messi così: lei ha ancora i punti, lui la fascia. Deve passare un mese perché si rimettano del tutto. "Ma è bellissimo – dice – Prima andavamo in ospedale perché io stavo male, adesso per i controlli". Le scarpe sono pronte, la strada che li aspetta se la immaginano lunghissima.

  estratta   tramite    il   portale msn.it   dai siti   :

26.8.21

vite guerriere e vite da buttare via di vanessa ruggeri

 Ci sono persone  che  hanno una forza interiore    fuori dal comune  . Persone   che preferirebbero di gran lunga   avere un' esistenza  più facile e  gentile  , e  che invece  , loor malgrado sono costrette  a combattere  ogni  giorno   per  guadagnarsi il  diritto     di vivere  una prvenza  di normalità  . Persone come  camilla   Serfini di 28  ani  . Infanzia e giovinezza interrotte prima dalla necessità di un trapianto di fegato, e poi da un linfoma di Hodgkin recidivo; un corpo impazzito che non risponde alle cure convenzionali sostenute dal sistema sanitario nazionale e che impone per la propria sopravvivenza infusioni di anticorpi monoclonali dal costo esorbitante. La vita è proprio una bastarda senza cuore, non conosce moralità, pietà o senso di giustizia, fa e disfa senza chiedere il permesso, spesso nei modi più imprevedibili e dolorosi. Eppure, anche nella malattia, o forse proprio perché prigionieri della malattia,
la vita riesce ad apparirci comunque un dono prezioso per cui vale la pena farsi guerrieri. Camilla è una giovane donna straordinaria: resiste e reagisce come una radice di ginepro pronta a rivegetare dopo ogni devastante incendio. Il suo calvario è iniziato a 9 anni, una tribolazione, la sua, che spezzerebbe il nerbo e la speranza di chiunque, perciò mi chiedo: dove trova tanta forza per splendere anche nella sofferenza? Da dove attinge l'energia per consolare gli infermieri quando non trovano vene integre nelle sue braccia? L'amore della sua famiglia e del suo fidanzato, unito alla generosità della gente, sono per lei scudo e corazza dietro cui barricarsi in attesa che spuntino nuovi germogli. Il fatto che Camilla sia una ragazza non deve offuscare il suo esempio di scontatezza: non si è forti e coraggiosi in base all'età, i giovani non sono guerrieri per natura, né sono dotati del potere infallibile di saper riconoscere e accettare l'amore e la bellezza che li circonda. Essere giovani non è uno status che garantisce la volontà di andare avanti anche dopo la sconfitta. Mi viene spontaneo pensare all'abisso che separa Camilla - aggrappata alla vita con le unghie e con i denti, impegnata a lanciare appelli necessari per riuscire a racimolare il denaro utile per la prossima infusione - da quelle migliaia di ragazzi che hanno partecipato al rave party abusivo sul lago di Mezzano: un raduno illegale per imbottirsi tutti insieme, per giorni, di alcol e droga fino a bruciarsi il cervello, a uccidere animali, a cadere in coma, a stuprare, fino a morire nella maniera più idiota. Vite sprecate, buttate via prima ancora di cominciare, viziate e viziose, annoiate e infinitamente tristi, vite che non celebrano libertà, per quanto sfrenata, ma soltanto distruzione. Ai due estremi del medesimo asse ci sono la voglia di aggrapparsi alla luce pur di esistere ad ogni costo, e il desiderio di perdersi nell'oscurità. Il costo in questione per rimanere a galla è elevatissimo, in tutti sensi. Chi dice che i soldi non danno la felicità mistifica di moralismo una verità molto più pratica e schietta: la salute, così come la qualità della vita, è purtroppo anche una questione di denaro: poter accedere a cure esclusive e costose dipende dal denaro. Quando le proprie risorse non bastano bisogna scendere a patti con la realtà e chiedere aiuto. Riconoscere di aver bisogno degli altri non è sintomo di debolezza, non lede l'orgoglio né la dignità o qualsivoglia autosufficienza raggiunta con fatica. Gli altri siamo noi, la guarigione di Camilla sarà la guarigione collettiva di tutti coloro che hanno pregato e contribuito economicamente al buon esito della sua battaglia. "Vola solo chi osa farlo" è il nome della pagina Facebook in cui Camilla racconta il suo percorso e indica come aiutarla. Camilla ha ragione, volare è un atto di coraggio, un atto di fede, il vuoto spaventa ma solo affrontandolo potremo librarci al di sopra delle nostre paure.



17.8.19

woodstock rivoluzione o fine d'un epoca ? secondo me entrambe . secondo voi invece ?







da https://www.huffingtonpost.it/

15/08/2019 14:17 CEST

Joan Baez: "Woodstock? Non ne ho nostalgia. Fu un evento importante, ma non una rivoluzione"
La cantautrice ricorda il festival 50 anni dopo: "Mi sentivo un outsider. C'era chi cantava della guerra, ma in pochi pensavano alle questioni serie. Io non l'accettavo"


                                           By Federica Olivo








Aveva 28 anni ed era incinta di 6 mesi Joan Baez quando salì sul palco di Woodstock. Cantò per un’ora, di notte, ma poi restò lì fino alla fine del festival, portando qualche volta la sua voce e la sua chitarra sul palco più piccolo. E sentendosi una voce fuori dal coro, diversa dagli altri artisti e, forse, anche da una parte del suo pubblico. A un certo punto, mentre cantava il primo brano dal palco più importante, si fermò. Chiese al pubblico - con toni, ammette lei stessa oggi, quasi bruschi - di sedersi. Era un modo per dire ‘ascoltatemi, non pensate ad altro, sentite quello che canto, quello che ho da dire’. A lei, artista e attivista, non bastava suonare. In quell’estate del 1969 voleva parlare di politica e di attualità. Voleva mandare un messaggio e temeva che gli altri - sopra e sotto il palco - presi dal divertimento e dallo svago non lo stessero recependo: “Non avrei sopportato neanche che qualcuno girasse una pagina di un libro! E lo dico sul serio”, racconta a distanza di cinquant’anni da quel concerto che ha fatto la storia.
La celebre interprete del folk oggi ha 78 anni e una voce ancora bellissima. Si appresta a lasciare le scene, dopo aver finito il tour internazionale che l’ha portata anche in Italia a luglio, per dedicarsi a una mostra di ritratti, alla scrittura, e a un documentario sulla sua vita. Forse alcuni se ne stupiranno, ma di Woodstock non ha nostalgia. Non tornerebbe indietro, né a quel concerto né agli anni ’60, di cui è stata tra i protagonisti indiscussi.
In una recente intervista al New York Times, parlando del concerto dal quale nacque, tra l’altro, il nomignolo “l’usignolo di Woodstock” che l’ha accompagnata in questi decenni, dice: ”È stato un evento importante, ma non una rivoluzione”. La cantautrice parla del festival con sentimenti contrastanti: l’allegria quando ricorda episodi divertenti e il distacco quando ne fa un’analisi complessiva. Quella tre giorni di musica e condivisione è qualcosa da cui si sente, ormai, lontana. “C’era chi cantava della guerra - spiega a chi gli chiede perché dice che non fu una rivoluzione - ma in realtà fu un festival allegro. Nessuno, in verità, pensava alle questioni serie e io ero sfrontata a sufficienza da non accettare ciò. Una rivoluzione implica assumersi rischi, come andare in carcere subire ciò che succedeva a chi lottava nei movimenti per i diritti civili o disertava il servizio militare”.
Certamente qualcosa di inusuale in quel festival epocale accadde e Joan Baez non fa finta di dimenticarlo: “Fu rivoluzionario il momento in cui i poliziotti misero da parte le pistole e fumarono erba”, ricorda. Tiene, però, a ribadire che un cambiamento sociale non avviene senza l’assunzione di un rischio “e a Woodstock l’unico pericolo che correvi era non essere invitato”, sostiene parlando con il quotidiano statunitense.
Tornando con la mente a quei giorni, prima di ogni altra cosa ricorda quanto si sentisse diversa dagli altri. A pochi mesi dalla nascita di suo figlio era lì a esibirsi mentre il compagno di allora, David Harris, era in carcere perché si era rifiutato di imbracciare le armi. Cantare non le bastava. Voleva affrontare i temi politici, dibattere delle cose che, dice oggi, “succedevano fuori”. Ma non era solo questo che la faceva sentire in qualche modo un outsider rispetto agli altri protagonisti di Woodstock: “Innanzitutto ero donna e, seconda cosa - racconta ancora al New York Times - non bevevo alcool né assumevo droga. Ricordo di aver incontrato Janis Joplin un paio di volte e di averle detto ‘oh Janis, dobbiamo vederci per un the’. Mi rispose alzando una bottiglia (di alcool) da un sacchetto. Io ero un’attivista politica, e molti di quelli che erano lì con me non lo erano”. E se qualcuno le fa notare che ricordando in questi termini Woodstock dipinge se stessa come una moralista risponde: ”È una bella parola. Ero maledettamente timida. Sono sicura che, in realtà, avevo il terrore del palco”. Esattamente di quel palco che oggi in tanti, in tutto il mondo, ricordano e che lei non rinnega, ma non rimpiange.

secondo me entrambe . fu un eventi unico ed irripetibile  lo dice  anche  la stessa (  mi sta simpatica   come un riccio nelle  mutande  ) Rita pavone   nello speciale rai ( ila solita trasmissione   mista   nostalgia  \  revail  )     ad esso dedicato  andato in onda  a  giugno   . Infatti neppure il concerto celebrativo per il 30 anni e quello successivo per i 40 sono stati in grado ( ma questo è normale niente è uguale al precedente ) sono stati in grado di ricreare quell'atmosfera . Infatti , ed è meglio cosi , non si è riusciti ad organizzare il concerto celebrativo per i 50 anni . Ecco che secondo me secondo me , appartenente ma influenzato per via del revival ( sono delle generazioni intermedia fra gli anni 70 ed 80 entrambe . Rivoluzione rispetto al periodo precedente agli anni 60 fine di un epoca perchè fu il funerale ( era già in declino almeno in america in europa ed in italia si chiude negli anni 80 ) del movimento hippy e " ideologia " libertaria e di ribellione che aveva caratterizzato quel periodo . fu uno spartiacque
fra ribellione e riflusso . Voi che ne pensate ?

17.10.18

Non esiste più una criminalità di una volta i casi di Nule\Orune ed il caso di ghilarza

per  approfondire
https://www.unionesarda.it/video/video/2018/10/09/gli-omicidi-di-orune-nule-alberto-cubeddu-rischia-l-ergastolo-52-782119.html **  https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/17/news/oristano_delitto-209182654/
*** https://it.wikipedia.org/wiki/Graziano_Mesina

Lo  so  che  ormai  , sopratutto in Sardegna  ,  è  ormai   da quasi 70  anni  che la  criminalità   e  sempre  più feroce  e  disumana  . Ma  qui  la  situazione    è sempre  peggio   ed  a renderla  peggiore  ci  si mettono anche  i  minori  .
Infatti   questo mio post nostalgico   scritto   stamattina  sulla  mia bacheca  di facebook ha  creato come  sempre  un vespaio  di polemiche    e  di  fraintendimenti

Dopo gli omicidi   efferati    di Nule\Orune* e quell'episodio a Ghilarza** sconfortato affermo che:   non esiste più la criminalità di una volta che aveva un suo codice  etico ( il così detto codice barbaricino ) edl elementi per evitarne la degenerazione oltre al rispetto del corpo dell'ucciso e delle vittime  ... Basta seghe mentali legate ad un passato ormai passato ed riprendiamo a lavorare  . C'è un carico per il negozio da preparare

Laura Piccinnu Gianluigi Pischedda Sn delinquenti punto e basta.
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Rispondi7 h

Giuseppe Scano Laura Piccinnu Gianluigi Pischedda esatto . Ma nella  vecchia   c'era un codice  etico  \  morale  ed era comprensibile aveva una giustificazione nella sua ingiustificabilita' . Quella d'ggi ė solo bestialità ed  gratuita 

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Rispondi7 h

ma   è soprattutto    questo



Isabella Isa Farina Come può la criminalità avere un codice etico? Anche antica barbaricina?
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Rispondi5 h
Giuseppe Scano
Cara Isabella Isa Farina La tua perplessità è comprensibile . Infatti m'ero espresso male dando per scontato che noi sardi non avessimo bisogno di spiegazioni su quello che fu la nostra particolarità storica e giuridico antropologica . Ora snaturata ed imbastardita da contatti con modelli e dinamiche estranee ed esterne . Io mi riferivo alla vecchia criminalità cioè quella precedente Graziano Messina ***  e le generazioni di banditi (  criminali )   successivi  . Un periodo in cui nell'isola non era ancora arrivata l'industrializzazione selvaggia e predatoria ,ed Dove la costa Smeralda era ancora libera ed selvaggia . Dove il diritto era ancora legato a consuetudini legate al mondo agropastorale ed esistevano i mezzi per evitare ( ragionamenti li chiamavano in Gallura ) l le desamistade o vendette personali . Leggiti il bellissimo libro Tessiduras de paghe-Tessiture di pace di Elisa Nivola, Maria Erminia SattaLibreria Editrice Fiorentina, 2006 - 310 pagine



Risultati immagini per Tessiduras de paghe-Tessiture di pace
ed sul corpo dell' ucciso non veniva dato in pasto ai maiali o bruciato e fatto a pezzi .

Isabella Isa Farina Giuseppe Scano è proprio criminalità ed etica che stona un po, tutto qui
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Marcello Scano Il passato è passato ! Giusto
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Rispondi1 h

  conclude  il post  d'oggi   le  note  sfumate    di    bandito senza  tempo  -   The Gang  che   va   ad aggiungersi come  colonna  sonora   a  il  bandito ed  il campione  -  De  Gregori 

targa speciale degi alfieri della repubblica a una classe del Parini di Torino «Con gli occhi e un puntatore comunichiamo con il nostro compagno disabile»

I media nazionali parlando degli Alfieri della Repubblica si sono dimenticati o hanno fatto passare in secondo piano questa notizia...