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7.7.24

ritorno per un po' alla mia comfort zone prima di ritornare all'azione



ci sono  momenti come  questo    in cui non mi  va  di  uscire  dalla mia Zona di comfort   ed andare   a cercare  isole  che non ci sono     ed  pensare  a  combattere  i  miei fantasmi  \  incubi  che  a  volte premono per  ritornare     (  come di  solito  faccio   aumentando ulteriormente  il mio stato  ansioso  E    di sconforto  in quanto  




)  o lamentarmi   ed    rivangare  il mio passato tenendo  aperti  rimorsi e  sensi di colpa   , rimanendo   in ambito     fummettistico   come  Geremia Lettiga  di  Alan  ford   . E  fare  cosi  


Topolino e l'isola che non c'è - Cap. 5: la resa dei conti in topolino 3580
Soggetto e sceneggiatura di Giorgio Salati
Disegni di Giampaolo Soldati
Chine di Simone Paoloni
Colore di Irene Fornari

perchè  come dice   l'augurio  che mi   fece  quando apri il blog o meglio iniziai    con il  mio \  nostro   blog    CDV.SPLINDER.COM   al'inizio  ,   Mario pischedda  un mio amico scrittore   ed  artista poliedrico   festina lente  Festìna lente ("Affrettati lentamente" in lingua italiana)  *  ovvero  



  topolino  n 3580


* è una locuzione latina attribuita all'Imperatore Augusto dallo storico latino Svetonio. In realtà, nel testo di Svetonio (Vite dei dodici Cesari. Augusto, 25, 4), viene riportata una citazione di Augusto (in greco antico, σπεῦδε βραδέως spèude bradéōs), della quale "festina lente" è la traduzione latina. La locuzione unisce, in un ossimoro, due concetti antitetici, velocità e lentezza, e sta a indicare un modo di agire senza indugi, ma con cautela. .....  https://it.wikipedia.org/wiki/Festina_lente

2.12.22

[ 13 giorno senza mondiali ] Ritornare e riportare tutto a casa

Un altro giorno     dei miei non mondiali  viene usato   per   l'analisi   del  mio sogno   fatto di recente  .  Un   sogno "alla Dylan Dog "   ( ma non solo ) dell'altra notte mi ha fatto capire che non sempre ritornare a casa / indietro è negativo ma può essere positivo . Infatti sentivo il bisogno d esplorare ed cercare nuove rotte ed orizzonti che non fossero percorsi d'altri o poco battute come suggerita   da “La strada non presa”  una delle più celebri poesie di Robert Frost, scritta nel 1916, è tratta dalla raccolta “Mountain Interval”     per  potermi perdere  ed  allo stesso    ritrovarmi  . Ma  oggi   dopo essermi spinto    tra mari e strade sconosciute* ed   a  volte   inospitali    su  cui non m'ero     avventurato   . Strade che per la maggior parte non hanno non portato mai a niente e mi hanno fatto cercare il sogno che conduce alla pazzia e spinto nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già, dentro le notti dal vino e non solo bagnate lungo le strade , per fortuna non è stato il mio caso pastiglie trasformate dentro alle nuvole di fumo del mondo fatto di città, essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà* si ritorna casa 🏠🏡 per ripartire .  Un   ritorno  a spirale che non è   solo un ritorno/ riandare al passato  ma  ripartire con esso verso il futuro . Insomma ripartire verso nuove avventure e nuove strade   certe   . Ecco che quindi dopo un lungo viaggio    viene la voglia  di   tornare  a casa   per  prendermi  una pausa   ed  ripartire   verso  il  futuro   e magari  di  nuovo    futuro ed  magari  chissà    verso  l'ignoto  Infatti mi rivoltavo nel letto per decidere come procedere . 




Inizio un dialogo che tra me e me che corrisponde in linea di massima a quello riportato ( come la foto riportata sopra ) dall'ultimo n di Dylan Dog 

-Un disturbo del  campo visivo  un glitch eccolo di  nuovo   
-  tutto  bene   ?
-  No   .  il centro  non regge   le  cose precipitano  o  sono precipitate  o precipiteranno  vallo a  capire   quando  si  ha a che  fare  con il tempo  e   con lo spazio  .  
-  con tutto rispetto    di cosa  stai parlando  ?  
 -  ti sto  dicendo  che hai  la  serata  libera   anch'io  me  ne  torno  a casa   
-    quale  ?  
-  a casa   ho detto  
- E'  un addio  ?
-   Chi può  dirlo    In fondo  l'universo  è  fatto di    Storie   .... non d'atomi  

[...] 

- Forse sei troppo stanco hai passato troppo tempo a cercare te stesso per i sette mari ed hai finito per perdere la bussola 

- Un esaurimento ?

- non farla tragica

- è tragica

- è questo il tuo problema : prendi tutto alia troppo seriamente  

- e allora cosa dovrei fare per stare meglio

- che ne dici di un passeggiata 


Mi sono alzato e messo a girare per casa cercando non fare rumore per non svegliare i miei ,vedo dalla  finestra  l'orologio elettronico della farmacia di fronte e vedo che è sempre mezzanotte  e meno   due minuti * ed nulla e' tornato alla normalità . Quindi se nulla ha un senso allora tanto vale berci sopra . Stavo per aprire l'armadietto degli alcolici e dei liquori . Ma poi mi è ritornata alla mente non riesco a capire come la canzone Senso di Vasco Rossi * mi sono detto ma che .... Sto facendo che bisogno ho di farmi male . E di ricorrere a mezzo artificiali che sono state si rifugio ma anche arma di allontanamento e distrazione . Ritorno a letto ad affrontare la realtà ed i miei incubi e a decidere pillola rossa o pillola blu


  

perché   per  ricominciare    bisogna scegliere   cosa   buttare  e cosa  tenere * e  portare    con se     qualcosa   .  Infatti 


A non credendo ad le dicotomie ( post precedente   : [ 10 giorni senza mondiale ] OCCIDENTE E ORIENTE si attraggono e quindi una contrapposizione io non la vedo  ) le prendo entrambe  E poi ritorno a sognare altro cercando di raggiungere l'isola che non c'è   e poi  dritto fino al mattino*  


colonna      sonora  



Riportando Tutto a casa ( album ) -mcr
Un Senso - Vasco Rossi 
* Dio E' Morto - Francesco Guccini

*L'isola che non c'è - Eduardo bennato
Che sarà - ricchi e poveri
*2 minutes to Midnight - iron maiden
*Mysterious Ways - U2
* Battere e levare - Francesco De Gregori


 



6.11.22

Gli ultimi luoghi inesplorati della Terra. Dove si trovano? e città fantastiche ed affascianati cioè Crazy borders come KOWLOON

la prima storia d'oggi che mi porta a chiedermi e qui ad iniziare a mettere indiscussione il mio evadere attraverso lo spazio   ed  il cosmo    appassionandomi  ai  viaggi spaziali e persone  come  samantha  crisoferetti   .  Oltre  che   a   fumetti com  e Orfani della bonelli  ed  inserendo  i film:  1 ) GOOD BYE, LENIN! Regia di Wolfgang Becker. Genere Commedia, - Germania, 2003 ., 2)  COSMONAUTA
Regia di Susanna Nicchiarelli. Genere Commedia, - Italia, 2009  tra  i miei preferiti  

  

la seconda dalla mia  tendenza anarchica e libertaria oltre che per i viaggi sia fisici che mentali .

Stavo guardo il documentario ( non l'ho riportato perchè a diferenza dell'altro non sono riuscito a prendere il codice embed per metterlo qui sul blog ma lo trovate qui dal
Dal 10/06/2022 al 25/05/2027) del canale franco tedesco , ora anche in italiano https://www.arte.tv/it/
Città enclave che rassomiglia ad indastria    di Conan il ragazzo del futuro (未来少年コナン Mirai shōnen Konan?) è un anime televisivo del 1978 ideato e diretto da Hayao Miyazaki, con la collaborazione di Keiji Hayakawa e Isao Takahata, e prodotto dalla Nippon Animation, in co-produzione con NHK  tratta  da  Conan, il ragazzo del futuro (The Incredible Tide1970, traduzione letterale "L'incredibile marea") è un romanzo per ragazzi di fantascienza post apocalittica di Alexander Key
La città murata di KOWLOON: il luogo più densamente abitato del mondo. era un insediamento in gran parte non governato e sovrappopolato, parte dell'odierna Kowloon nella regione di Hong Kong. Originariamente un forte militare della dinastia Qing, la città murata divenne un'enclave cinese dopo che nel 1898 i Nuovi Territori furono affittati al Regno Unito dalla Cina, escludendo la porzione fortificata. La sua popolazione aumentò drasticamente a seguito dell'occupazione giapponese di Hong Kong durante la seconda guerra mondiale. Nel 1990 la città murata conteneva un numero stimato di 50.000 residenti all'interno dei suoi confini di 2,6 ettari (0,026 km²), rendendola di fatto il luogo più densamente popolato del mondoDal 1950 al 1990, fu soggetta al controllo pressoché totale delle triadi locali con elevati tassi di prostituzione,
gioco d'azzardo e abuso di droga. Nel gennaio 1987 il governo di Hong Kong annunciò i piani di demolizione della città murata. Dopo un arduo processo di sgombero, la demolizione iniziò nel marzo del 1993 e fu completata nell'aprile 1994. Nel dicembre del 1995 fu inaugurato il Kowloon Walled City Park che occupa oggi la zona dell'ex città murata. Qui sono stati conservati alcuni fabbricati storici della città demolita, tra cui il suo edificio yamen e i resti della porta meridionale.

  il resto della  storia     lo trovate  qui   su Wikipedia Città murata di Kowloon

8.12.21

Tra i robot di Mutonia nella comune steampunk ., La realtà aumentata a scuola non è virtuale

  adesso anche l'occidente  ed  il nord   del mondo    si  moltiplicano  le  iniziative  di creazioni   dagli

scarti   e di  riciclo


Vivere riciclando i rifiuti? Trasformare in arte quello che la società chiama scarti? A Mutonia si può. "Qui diamo al rifiuto una seconda vita fino a farlo diventare opera d'arte".






Siamo in Romagna, a pochi passi da Rimini, nella ridente Santarcangelo di Romagna, dove 30 anni fa arrivò la Mutoid Waste company, fondata a Londra nel 1986 e formata da un gruppo di ragazzi che sembravano usciti dalla serie distopica Mad Max. Riciclatori, ma anche artisti ecclettici e autori di fortunati spettacoli itineranti. Dopo il bando imposto dalla Tatcher in Inghilterra parte della compagnia, per sua natura nomade, decise di stabilirsi in Italia. "Riciclare i rifiuti non è soltanto una scelta ecologica, le auto non durano solo tre anni, la nostra è una scelta critica contro la società del consumismo votata al capitale"


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Un mondo fantastico, un giardiniere che coltiva parole, i bambini che apprendono con tutti e cinque i sensi. L'esperienza del teatro immersivo entra per la prima volta a scuola, sbarcando presso l'istituto Comprensivo Largo Dino Buzzanti. Si chiama Project XX1, da un'idea del Team creativo, Silvia Ferrante, Riccardo Brunetti, Anna Maria Avella, Sandra Albanese e con due interpreti, il giardiniere (Dario Biancone) e la bidella (Anna Maria Avella), che hanno portato i piccoli alunni in un'esperienza straordinaria.



27.6.21

silenzio opportunistico e utopia della perfezione

un silenzio interesato che dimostra come ormai anche la scienza si pieghi allo show business la prima stpria visto che : << [....] se divulghi troppo dopo non ti chiamano più [...]  >>   (  vedere     screenshot   a   dell'articolo   di republoica  del  27\6\2021    riportatoi a  sinistra   ) . 
La  seconda  è  di    la  storia  di un utopia    ,  un otta  quotidiana   per raggiungere    una  cosa  che   non lo  sarà mai   al 100   %    e     che  spesso  ( almeno per    me  era  cosi   )    si diventa  frustrati      quando non si raggiunge, almeno  che      come   sembra    aver  dichiarato Bolle  in questa   intervista  sempre  a republica  del  27\6\2021  ,  non  s'accetti  i propri limiti  come  suggerisce    anche la  canzone   la  libertà  di Guccini    scelta  come  colonna  sonora  del post  d'oggi  . 

                 Bolle “Il mio corpo un dono prigioniero della perfezione”
                                di Dario Cresto-Dina


Una vita a rincorrere l’impossibile della vita. Roberto Bolle ha 46 anni, è alto un metro e 82 centimetri, pesa ottanta chili. Tre numeri che rappresentano il recinto della sua professione. Il corpo è la sua salute e la sua malattia sin dall’infanzia passata tra Casale Monferrato e Trino Vercellese. Famiglia molto unita: padre piccolo imprenditore, madre casalinga, quattro figli. La danza, dice Bolle, vive del corpo e allo stesso tempo lo tiene prigioniero: «Lo plasma, lo forza a movimenti innaturali, a posizioni disumane.
Gli impone sacrificio e dolore. È un’arte che cerca la perfezione che tuttavia non è di questo mondo. La perfezione del gesto, delle proporzioni, delle pose».
Il paradosso di Achille e la tartaruga nelle versione di Borges.
Rincorrete la perfezione senza mai raggiungerla per un difetto infinitesimale. Nella biologia spesso è raccolto il destino. È stato così per lei?
«Credo di sì. Il fisico poteva condurmi verso lo sport oppure verso il cinema, ma la passione per la danza si è manifestata precocemente. Già verso i tre anni mi incantavo davanti alla televisione a guardare i balletti e provavo a rifarli. A cinque anni chiesi a mia madre di iscrivermi a danza, mi rispose di continuare a fare nuoto e se l’anno successivo lo avessi voluto ancora, mi avrebbe accontentato. L’anno dopo facevo danza».
Qual è il primo ricordo che afferisce al suo corpo?
«Sono stato un ragazzino disciplinato, ma dalle grandi energie. Ho sempre avuto un corpo molto reattivo, flessibile, portato per le discipline sportive, e una consapevolezza innata del fisico che adesso ho imparato a chiamare propriocentrismo. È un dono che va allenato, altrimenti si disperde, ma è un dono».
Il dono, una vocazione. Qualcosa di divino che dunque va oltre il talento?
«Alla scuola di danza si sono accorti subito che possedevo un non so che di speciale. Il talento sta forse un gradino più sotto. Che avrei fatto della danza una professione, la mia professione, sono arrivato a pensarlo intorno ai quattordici anni, dopo la terza media. Ho capito che lì con la danza classica sarebbe cominciata e finita la mia vita».
In una professione si inseguono anche simboli, leggende, figure da emulare. Le sue quali sono state?
«Ho avuto buoni maestri sin dall’inizio. Ho diverse fonti di ispirazione, prime fra tutte Nureyev e Carla Fracci non solo perché hanno guidato intere generazioni di ballerini, ma perché hanno avuto una visione: portare la danza a tutti, fuori dai teatri. Molto di ciò che ho fatto per la danza non avrei potuto farlo se loro non mi avessero preceduto».
Lei parla di sacrifici, io di allenamento. Mi racconti dell’uno e degli altri.
«Mi alleno dalle sei alle sette ore ogni giorno tra lezioni e prove in sala, stretching e a volte anche palestra. Non seguo una dieta particolare, ma sono molto attento a quello che mangio. Non è una questione di calorie, chiaramente, perché noi ballerini consumiamo molto, ma di qualità. Ho praticamente eliminato la carne, in particolare quella rossa. Mangio pesce, verdure, frutta e, anche se Pif mi prende pubblicamente in giro per questo, molti semi e frutta secca. Non ho mai fumato e bevo vino solo per brindare. Amo molto il cioccolato fondente che mi accompagna anche in sala ballo. Mi nutro con piccoli snack tra una prova e l’altra e bevo almeno sette litri di acqua al giorno».
I 50 anni si avvicinano e il tempo ha unghie affilate. Si è posto un limite oltre il quale non andrà?
«Sento l’usura, come qualsiasi lavoratore. Negli ultimi anni ascolto molto di più il mio corpo e devo confessare che il periodo del lockdown è stata davvero una esperienza difficile e angosciante, come mai prima ho avvertito la fragilità della mia esistenza. Andrò avanti fino a quando riuscirò a farlo ad un livello che mi soddisfa, che mi fa stare bene e sentire nel posto giusto. Quello che mi piace di questa fase del mio percorso artistico è un’accresciuta maturità scenica che va di pari passo con la crescita personale, umana. Ci sono ruoli e personaggi, come quello del cattivo in Madina, che solo adesso posso affrontare, scoprendo lati e sfumature artistiche prima impensabili per me. Mi viene naturale credere che quello che sono e penso adesso sia frutto del passare del tempo, di quello che sono stato, che ho fatto».
La ricerca della perfezione può essere sintomo di una dipendenza accompagnata dalla frustrazione, di una vita separata dalla realtà?
«Sì. Tutti noi ballerini siamo dediti alla ricerca della perfezione. Abbiamo lo specchio come alleato, a volte amato, più spesso odiato quando non ci restituisce l’immagine di noi che avevamo in mente. È un continuo tentativo di afferrare quello che non si può afferrare. La perfezione. Ma questo desiderio è talmente insito in noi che diventa una forma mentale, con risvolti anche etici. Non accontentarsi, imparare a inseguire un ideale di sé migliore, ti mantiene umile. Che il fisico cambia, noi ballerini lo capiamo già a vent’anni. Impariamo molto presto a fare i conti con uno strumento che non è mai lo stesso, ma mutevole. Per l’età, gli infortuni, i dolori che ci accompagnano ogni giorno e ogni notte e che sono le nostre cicatrici».
Ha mai dovuto fare i conti con la depressione o con momenti in cui ha pensato di smettere?
«Certo che ci sono stati. Ne ricordo due in particolare: il primo dopo tre anni che stavo a Milano e la nostalgia di casa si faceva sentire in maniera prepotente. Pregai allora mia madre di iscrivermi anche alla prima liceo a Vercelli, così da avere tempo di valutare bene che cosa sentivo di voler fare. Alla fine per fortuna vinse la danza. Il secondo è stato qualche anno fa, dopo un brutto infortunio alla schiena. Il rischio che non riuscissi a riprendermi era molto alto. Ce la misi tutta e rientrai prima di ogni aspettativa. I critici, che non sapevano ciò che mi era accaduto, scrissero che avevo raggiunto un nuovo livello di maturità. Era vero».
Lei tiene nascosti amori, felicità, affetti, dolori. Perché questa chiusura ermetica?
«Molti trovano sollievo nell’aprirsi, io sono abituato a vivere le mie emozioni più profonde in maniera personale, riservata, intima appunto. Abituato alla solitudine fin da ragazzo, mi ci sono affezionato. Sono uno di quegli uomini che piange dentro e, le assicuro, il rumore è ancora più forte».
Qualcuno ha detto che in questo mondo la bellezza è l’unica consolazione. Il suo corpo è anche un oggetto di desiderio. Come vive questa condizione?
«Le sembrerà strano ma non ci penso mai. Il mio corpo è per me uno strumento d’arte, come lo è il pennello per il pittore o il violino per un musicista. E poi, credo lo abbia detto Mandela, siamo tutti nati per risplendere come fanno i bambini».
Chi è Roberto Bolle quando esce di scena?
«Un uomo come tanti, incredibilmente pigro, amante delle cose semplici: una cena con amici, una giornata in famiglia, il mare appena si può. Leggo molto, leggo di tutto, i giornali prima di tutto, di tutto il mondo».
Lei ha lottato per ripartire subito, dopo la lunga stagione della pandemia e sta per cominciare un tour estivo di spettacoli. Dal 13 al 15 luglio sarà a Roma con una prima assoluta nella cornice del Circo Massimo, il 17 luglio a Firenze in piazza Santissima Annunziata e il 3 agosto all’Arena di Verona. Che cosa ci ha insegnato il flagello luttuoso del Covid?
«Guardi, credo nulla. Lascia ferite profonde nel tessuto sociale, economico, culturale, umano. Io non sono tra quelli che hanno inneggiato alla splendida opportunità del lockdown, per carità, è stata una tragedia per troppi e ancora lo è. Credo che ora sia estremamente importante restare uniti, non lasciare indietro nessuno. Da una caduta così grave ci si rialza solo insieme, cercando di porre le basi per un sistema più solido, più giusto e più solidale. Mi auguro che questa consapevolezza, se ci sarà, non si trasformi in paura».
E lei, giunto fin qui, può ritenersi un uomo fortunato?
«Sì, ma credo di avere onorato la fortuna con l’intelligenza».

  colonna   sonora
  • La tua Libertà - Francesco Guccini
  • Nella Mia Ora Di Libertà - Fabrizio de  Andrè 


21.6.21

IL guardiano del faro Racconto di Daniela Bionda

                        IL guardiano del faro 

 


Sbarcò in un giorno assolato da un battello a vapore. Sembrava un fuggiasco, uno che scappava dai posti affollati, dai chiacchericci di vecchie comari, dagli strali di un prete, dai vicoli della città. Il nostro non è che un villaggio fatto da piccole case, campi coltivati, orti e bestiame. Portava con sé solo una sacca con pochi vestiti, un rasoio affilato, una saponetta, un piccolo pettine ed un mondo fatto di libri, le pagine consunte, frutto di ripetute letture ed un fiore secco come segnalibro. Disse al capo villaggio di voler diventare il guardiano del faro, che spiccava lassù in alto, arroccato sulla scogliera, con i gabbiani che ci volavano attorno, per poi fiondarsi sul mare. Si chiama Jonathan, divenne il guardiano del faro, con lo sguardo poteva abbracciare l' immenso azzurro del mare. Indicare ai naviganti rotte sicure. Un giorno, salii su una piccola barca, raggiunsi l'altra sponda e mi inerpicai sulla scogliera, sino a raggiungere il faro. Bussai alla sua porta, portavo con me un cesto di fiori, di quelli che il suo mare non gli avrebbe mai dato. Portai un cesto pieno di cibo, formaggi, gallette, olive ed un fiasco di vino. Mi ci volle molto coraggio, ma troppo a lungo avevo fissato quel sole, seduta su di un muretto da cui si vedeva il mare. Fece un passo all' indietro, non disse nulla, si limitò a farmi entrare. Le anime perse si riconoscono tra loro, non hanno bisogno di parlare. Il mio bagaglio era un cuore spezzato, un fiume di lacrime ed inchiostro su vecchie poesie. Avevo bisogno di un luogo sicuro, lontano da ogni clamore. Al villaggio, venivo indicata ai passanti, come donna perduta, avendo vissuto sotto gli occhi di tutti, una storia d' amore, con un uomo il cui cuore apparteneva ad un'altra.
Parlavamo pochissimo, bastava uno sguardo, un cenno e tutto andava come doveva andare. Facevamo lunghe passeggiate sulla spiaggia, raccogliendo conchiglie e tutto quello che restituiva il mare. Tronchi d' alberi, piccoli oggetti di barche andate alla deriva, bottiglie di vetro color verde oliva, trasportate dalla corrente. Mi innamorai di lui, dei suoi silenzi, delle sue grandi mani che compivano tutti i lavori con gesti calmi e misurati. Gesti di chi non ha fretta, di chi si è lasciato tutto alle spalle e non intende tornare. Poi un giorno, trovai sulla spiaggia una bottiglia di vetro, con dentro un messaggio d'amore, mi affrettai a leggerlo, prima eccitata, poi sorpresa, speranzosa. Volsi verso di lui il mio sguardo e lui mi sorrise con calore.

2.4.21

Una vita senza Big Tech, storie di chi cerca alternative ai giganti del web: "Non barattiamo i nostri dati per i loro servizi


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Gmail? No, Protonmail o Tutanota. Whatsapp? Meglio Signal. Instagram o Twitter? Assolutamente Mastodon. E così via, per ogni singola applicazione o servizio che siamo abituati a conoscere e utilizzare, loro hanno un'alternativa. "Loro" sono quelli che, per ragioni legate principalmente alla protezione della propria privacy, ricercano opzioni differenti alle Big Tech come Google, Facebook o Apple per lavorare e rimanere connessi. Non sono migliaia ma sono molto eterogenei. Dall'ingegnere e padre di famiglia che installa un server in casa per gestire i documenti in cloud, fino ai ragazzi di Fridays For Future Italia, che hanno migrato il loro sito in un data center alimentato ad energia solare perché, in fondo, anche Internet inquina. "È come decidere di non mettere più lo zucchero nel caffè - dice l'ex parlamentare e imprenditore
informatico Stefano Quintarelli - all'inizio ti sembra amaro, poi scopri che ha un sapore diverso". Ma è
realistico vivere totalmente senza le grandi sorelle della tecnologia? "Non è semplice e per qualcuno anche impossibile ma richiede un primo passo, un po' come smettere di fumare", racconta Filippo Della Bianca, tra i fondatori di Devol, gruppo di sviluppatori che al motto di "degooglizzare l'Italia" ha messo a disposizione degli utenti una suite di servizi (dai motori di ricerca agli applicativi di file sharing) liberi e privi di traccianti. Il sito LeAlternative pubblica contenuti e approfondimenti su tutto ciò che, spiega l'ideatore, "in maniera etica si pone come opzione ai colossi di Internet". Spesso, anche se non sempre, i servizi alternativi sono gratuiti solo nelle versioni base. "Anziché pagare con i miei dati pago con i miei euro, in questo caso pure pochi", spiega ancora Quintarelli. Per molti è anche una questione di libertà di impresa e tutela della concorrenza: l'organizzazione no-profit francese eFoundation ha sviluppato uno smartphone pro-privacy alternativo ad Android e Iphone. "Il nostro è un progetto open-source ed è pensato - dice il fondatore Gaël Duval - per tutti gli utenti, anche per i non esperti". E così, a colpi di ricerche sul motore DuckDuckGo e tutorial sulla piattaforma PeerTube, abbiamo raccolto le storie di ha deciso di vivere una vita senza Big Tech. Ma Google annuncia: in arrivo nuove norme sulla privacy di Andrea Lattanzi

1.11.20

Vivere senza supermercato. L’esperienza di Elena

 


Dal canale Youtube  di Bernardo Cumbo (…) Elena Tioli ex consumista perfetta, ex insoddisfatta cronica e schiava dell’aspetto esteriore. Ex dipendente a tempo indeterminato. Dal 2015 non entra in un supermercato. Negozi che vendono sfusoautoproduzioneaziende agricole e socialibotteghe e negozi di quartiere e altre piattaforme che mettono in contatto diretto produttori e consumatori.

Ha creato la mappa Italia senza supermercato (che puoi trovare sul sito  Vivere senza Supermercato ) in cui chiunque può segnalare piccoli produttori, aziende etiche, il mondo dello sfuso, del biologico, del solidale… lontano dalla grande distribuzione e vicino al Pianeta e alle persone.

17.8.19

woodstock rivoluzione o fine d'un epoca ? secondo me entrambe . secondo voi invece ?







da https://www.huffingtonpost.it/

15/08/2019 14:17 CEST

Joan Baez: "Woodstock? Non ne ho nostalgia. Fu un evento importante, ma non una rivoluzione"
La cantautrice ricorda il festival 50 anni dopo: "Mi sentivo un outsider. C'era chi cantava della guerra, ma in pochi pensavano alle questioni serie. Io non l'accettavo"


                                           By Federica Olivo








Aveva 28 anni ed era incinta di 6 mesi Joan Baez quando salì sul palco di Woodstock. Cantò per un’ora, di notte, ma poi restò lì fino alla fine del festival, portando qualche volta la sua voce e la sua chitarra sul palco più piccolo. E sentendosi una voce fuori dal coro, diversa dagli altri artisti e, forse, anche da una parte del suo pubblico. A un certo punto, mentre cantava il primo brano dal palco più importante, si fermò. Chiese al pubblico - con toni, ammette lei stessa oggi, quasi bruschi - di sedersi. Era un modo per dire ‘ascoltatemi, non pensate ad altro, sentite quello che canto, quello che ho da dire’. A lei, artista e attivista, non bastava suonare. In quell’estate del 1969 voleva parlare di politica e di attualità. Voleva mandare un messaggio e temeva che gli altri - sopra e sotto il palco - presi dal divertimento e dallo svago non lo stessero recependo: “Non avrei sopportato neanche che qualcuno girasse una pagina di un libro! E lo dico sul serio”, racconta a distanza di cinquant’anni da quel concerto che ha fatto la storia.
La celebre interprete del folk oggi ha 78 anni e una voce ancora bellissima. Si appresta a lasciare le scene, dopo aver finito il tour internazionale che l’ha portata anche in Italia a luglio, per dedicarsi a una mostra di ritratti, alla scrittura, e a un documentario sulla sua vita. Forse alcuni se ne stupiranno, ma di Woodstock non ha nostalgia. Non tornerebbe indietro, né a quel concerto né agli anni ’60, di cui è stata tra i protagonisti indiscussi.
In una recente intervista al New York Times, parlando del concerto dal quale nacque, tra l’altro, il nomignolo “l’usignolo di Woodstock” che l’ha accompagnata in questi decenni, dice: ”È stato un evento importante, ma non una rivoluzione”. La cantautrice parla del festival con sentimenti contrastanti: l’allegria quando ricorda episodi divertenti e il distacco quando ne fa un’analisi complessiva. Quella tre giorni di musica e condivisione è qualcosa da cui si sente, ormai, lontana. “C’era chi cantava della guerra - spiega a chi gli chiede perché dice che non fu una rivoluzione - ma in realtà fu un festival allegro. Nessuno, in verità, pensava alle questioni serie e io ero sfrontata a sufficienza da non accettare ciò. Una rivoluzione implica assumersi rischi, come andare in carcere subire ciò che succedeva a chi lottava nei movimenti per i diritti civili o disertava il servizio militare”.
Certamente qualcosa di inusuale in quel festival epocale accadde e Joan Baez non fa finta di dimenticarlo: “Fu rivoluzionario il momento in cui i poliziotti misero da parte le pistole e fumarono erba”, ricorda. Tiene, però, a ribadire che un cambiamento sociale non avviene senza l’assunzione di un rischio “e a Woodstock l’unico pericolo che correvi era non essere invitato”, sostiene parlando con il quotidiano statunitense.
Tornando con la mente a quei giorni, prima di ogni altra cosa ricorda quanto si sentisse diversa dagli altri. A pochi mesi dalla nascita di suo figlio era lì a esibirsi mentre il compagno di allora, David Harris, era in carcere perché si era rifiutato di imbracciare le armi. Cantare non le bastava. Voleva affrontare i temi politici, dibattere delle cose che, dice oggi, “succedevano fuori”. Ma non era solo questo che la faceva sentire in qualche modo un outsider rispetto agli altri protagonisti di Woodstock: “Innanzitutto ero donna e, seconda cosa - racconta ancora al New York Times - non bevevo alcool né assumevo droga. Ricordo di aver incontrato Janis Joplin un paio di volte e di averle detto ‘oh Janis, dobbiamo vederci per un the’. Mi rispose alzando una bottiglia (di alcool) da un sacchetto. Io ero un’attivista politica, e molti di quelli che erano lì con me non lo erano”. E se qualcuno le fa notare che ricordando in questi termini Woodstock dipinge se stessa come una moralista risponde: ”È una bella parola. Ero maledettamente timida. Sono sicura che, in realtà, avevo il terrore del palco”. Esattamente di quel palco che oggi in tanti, in tutto il mondo, ricordano e che lei non rinnega, ma non rimpiange.

secondo me entrambe . fu un eventi unico ed irripetibile  lo dice  anche  la stessa (  mi sta simpatica   come un riccio nelle  mutande  ) Rita pavone   nello speciale rai ( ila solita trasmissione   mista   nostalgia  \  revail  )     ad esso dedicato  andato in onda  a  giugno   . Infatti neppure il concerto celebrativo per il 30 anni e quello successivo per i 40 sono stati in grado ( ma questo è normale niente è uguale al precedente ) sono stati in grado di ricreare quell'atmosfera . Infatti , ed è meglio cosi , non si è riusciti ad organizzare il concerto celebrativo per i 50 anni . Ecco che secondo me secondo me , appartenente ma influenzato per via del revival ( sono delle generazioni intermedia fra gli anni 70 ed 80 entrambe . Rivoluzione rispetto al periodo precedente agli anni 60 fine di un epoca perchè fu il funerale ( era già in declino almeno in america in europa ed in italia si chiude negli anni 80 ) del movimento hippy e " ideologia " libertaria e di ribellione che aveva caratterizzato quel periodo . fu uno spartiacque
fra ribellione e riflusso . Voi che ne pensate ?

17.10.18

Non esiste più una criminalità di una volta i casi di Nule\Orune ed il caso di ghilarza

per  approfondire
https://www.unionesarda.it/video/video/2018/10/09/gli-omicidi-di-orune-nule-alberto-cubeddu-rischia-l-ergastolo-52-782119.html **  https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/17/news/oristano_delitto-209182654/
*** https://it.wikipedia.org/wiki/Graziano_Mesina

Lo  so  che  ormai  , sopratutto in Sardegna  ,  è  ormai   da quasi 70  anni  che la  criminalità   e  sempre  più feroce  e  disumana  . Ma  qui  la  situazione    è sempre  peggio   ed  a renderla  peggiore  ci  si mettono anche  i  minori  .
Infatti   questo mio post nostalgico   scritto   stamattina  sulla  mia bacheca  di facebook ha  creato come  sempre  un vespaio  di polemiche    e  di  fraintendimenti

Dopo gli omicidi   efferati    di Nule\Orune* e quell'episodio a Ghilarza** sconfortato affermo che:   non esiste più la criminalità di una volta che aveva un suo codice  etico ( il così detto codice barbaricino ) edl elementi per evitarne la degenerazione oltre al rispetto del corpo dell'ucciso e delle vittime  ... Basta seghe mentali legate ad un passato ormai passato ed riprendiamo a lavorare  . C'è un carico per il negozio da preparare

Laura Piccinnu Gianluigi Pischedda Sn delinquenti punto e basta.
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Giuseppe Scano Laura Piccinnu Gianluigi Pischedda esatto . Ma nella  vecchia   c'era un codice  etico  \  morale  ed era comprensibile aveva una giustificazione nella sua ingiustificabilita' . Quella d'ggi ė solo bestialità ed  gratuita 

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ma   è soprattutto    questo



Isabella Isa Farina Come può la criminalità avere un codice etico? Anche antica barbaricina?
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Giuseppe Scano
Cara Isabella Isa Farina La tua perplessità è comprensibile . Infatti m'ero espresso male dando per scontato che noi sardi non avessimo bisogno di spiegazioni su quello che fu la nostra particolarità storica e giuridico antropologica . Ora snaturata ed imbastardita da contatti con modelli e dinamiche estranee ed esterne . Io mi riferivo alla vecchia criminalità cioè quella precedente Graziano Messina ***  e le generazioni di banditi (  criminali )   successivi  . Un periodo in cui nell'isola non era ancora arrivata l'industrializzazione selvaggia e predatoria ,ed Dove la costa Smeralda era ancora libera ed selvaggia . Dove il diritto era ancora legato a consuetudini legate al mondo agropastorale ed esistevano i mezzi per evitare ( ragionamenti li chiamavano in Gallura ) l le desamistade o vendette personali . Leggiti il bellissimo libro Tessiduras de paghe-Tessiture di pace di Elisa Nivola, Maria Erminia SattaLibreria Editrice Fiorentina, 2006 - 310 pagine



Risultati immagini per Tessiduras de paghe-Tessiture di pace
ed sul corpo dell' ucciso non veniva dato in pasto ai maiali o bruciato e fatto a pezzi .

Isabella Isa Farina Giuseppe Scano è proprio criminalità ed etica che stona un po, tutto qui
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Marcello Scano Il passato è passato ! Giusto
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  conclude  il post  d'oggi   le  note  sfumate    di    bandito senza  tempo  -   The Gang  che   va   ad aggiungersi come  colonna  sonora   a  il  bandito ed  il campione  -  De  Gregori 

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...