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26.7.21

La storia Samantha come Eluana “Il letto è la sua prigione Lasciatela andare via”

 


da  reubblica   del 26\7\2021

FELTRE — «Per nostra figlia vogliamo soltanto la pace. La sua vita non è più vita, è pura sofferenza. Samantha non avrebbe mai voluto un’esistenza così, in un letto di ospedale, senza più coscienza, alimentata con una sonda, tormentata dai dolori. Ha trent’anni e nessuna speranza di miglioramento. La nostra bambina non c’è più, lasciatela andare via». Giorgio D’Incà e Genzianella Dal Zot si tengono per mano. Trentasette anni di matrimonio, tre figli, un amore palpabile che non ha più bisogno di

 I genitori Giorgio D’Incà e Genzianella Dal Zot

parole. E una battaglia, enorme, che mai avrebbero pensato di dover combattere: ottenere che Samantha possa morire, interrompendo la nutrizione e l’idratazione. Come fu per Eluana Englaro. Ricostruendo le sue volontà. Ad oggi, finora, lo Stato ha risposto: “No”.Genzianella piange, parla e piange. «Quel giorno, era il 12 novembre del 2020, Samantha era uscita di corsa per andare al lavoro, era impiegata in una fabbrica di occhiali. È caduta qui davanti, nel vialetto. La fine è cominciata così», racconta Genzianella, accarezzando un foto in cui Samantha sorride insieme ai due fratelli. La vita di Samantha, detta Samy, oggi ridotta a uno stadio neonatale in un letto dell’ospedale di Vipiteno, cambia per sempre quella mattina, tra i fiori di questa villetta alle porte di Feltre, con il prato curatissimo e i nani nel giardino, orgoglio di una

esistenza di sacrifici, Giorgio fa il carrozziere, Genzianella lavora in una ditta di pulizie.«Sono stato io ad accompagnarla in ospedale, a Feltre. Cadendo si era rotta un femore. Il 12 novembre è entrata, il 13 è stata operata, dopo pochi giorni l’abbiamo riportata a casa ». Non è però l’inizio di una guarigione bensì l’inizio di un precipizio. Invece di recuperare, nonostante la fisioterapia, le gambe di Samantha iniziano a gonfiarsi. Al pronto soccorso, le dicono, semplicemente, di “tenere le gambe in alto”, ricorda Giorgio. Invece qualcosa di gravissimo è già accaduto a Samantha, quel “qualcosa” per cui Giorgio e Genzianella chiederanno giustizia. «Sarà il secondo obiettivo, adesso dobbiamo liberare nostra figlia dalla prigione in cui è costretta».Il 2 dicembre 2020 Samantha, che ormai ha molte parti del corpo sempre più gonfie, viene ricoverata con un’ambulanza all’ospedale di Feltre. Le riscontrano una polmonite bilaterale “non da Covid”. Giorgio scandisce lentamente le parole, trattiene la commozione, ma le lacrime scendono giù sui baffi folti di un uomo semplice che ormai conosce bioetica e sentenze della Consulta.«Il quattro dicembre alle 6,30 del mattino ci chiamano: stiamo portando Samantha a Treviso, i suoi polmoni sono collassati». I medici la salvano, ma la figlia che Giorgio e Graziella si ritrovano davanti è un corpo inerte, non parla più, non si regge più, non li sente più, non li vede più. «Il suo cervello per troppo tempo non aveva ricevuto ossigeno. La nostra Samy era entrata in ospedale per una frattura, ne è uscita come un vegetale. Intorno alla nostra famiglia è sceso il
buio».
Cosa è successo? Dove è successo? Chi ha sbagliato? «Hanno isolato un batterio che forse, dicono, potrebbe essere stato la causa della tragedia ». Chissà. Giorgio è cauto. Ma le sue parole sono acciaio fuso. «Dovrà sapere il mondo intero quello che ti hanno fatto figlia mia — dice — qualcuno pagherà».Genzianella sale al primo piano e mostra la cameretta di Samantha, l’unica dei tre figli che era ancora casa con loro. «L’azzurro era il suo colore preferito, adorava il mare, la musica e fare amicizia. 
Progettava di andare a vivere da sola. Era aperta, socievole, aiutava chiunque avesse un problema. Ogni cosa è rimasta come il giorno in cui l’hanno ricoverata, la borsa appesa alla sedia, il suo cellulare, mio marito gli fa la ricarica, è strano, sì, ma è un modo per sentirla vicina, ogni settimana invece io cambio le lenzuola anche se so che non tornerà». Sul letto un orso, i disegni per “zia Samantha” che le hanno dedicato i figli della sorella, due navi in bottiglia, per la sua passione del mare.  
È all’inizio del 2021, dopo un tristissimo Natale, che inizia la battaglia di Giorgio e Genzianella per “dare dignità a Samantha”. Perché c’è un punto nodale in questa storia che si intreccia pur con alcune differenze, con la battaglia per il fine vita e l’eutanasia legale. Oggi per Samantha, che respira da sola ma è nutrita con una “Peg”, ossia un sonda gastrostomica, sarebbe possibile smettere di soffrire se i medici interrompessero la nutrizione e l’idratazione, accompagnandola con una sedazione profonda. Lo prevede la legge 219 del 2017, ottenuta grazie alla durissima e tragica battaglia di Beppino Englaro padre di Eluana.Samantha però non ha lasciato scritto nulla, sono pochissimi finora gli italiani che hanno depositato un biotestamento. E forse anche perché a trent’anni chi ci pensa a una tragedia così grande? Questo è il punto di contatto con Eluana: Giorgio e Graziella D’Incà chiedono che sulla base di quello che era il pensiero di Samantha sul fine vita, Samy venga lasciata morire.Giorgio: «Spero che non ci vogliano diciassette anni di calvario come fu per Beppino. Samantha aveva seguito la vicenda di Eluana anche se era molto giovane, così come la storia di Dj Fabo. Ammirava la forza della madre e della fidanzata. Ci ha sempre detto di non voler dipendere da nessuno. È quello che ho fatto presente al comitato etico dell’ospedale quando mi hanno detto che volevano mettere la Peg a Samantha. Perché prolungare le sue sofferenze?».Giorgio e Genzianella, insieme agli altri due figli provano ad opporsi. Il tribunale però nomina un amministratore di sostegno (rifiutando di incaricare il papà di Samantha, perché “troppo coinvolto”) che firma e la sonda viene applicata nello stomaco di Samantha. Il tribunale infatti ha deciso che prima di prendere una decisione definitiva per Samantha debba tentarsi una riabilitazione in un reparto specializzato all’ospedale di Vipiteno.«Purtroppo noi abbiamo una perizia firmata dal prof Leopold Saltuari di Innsbruck, lo stesso che ha curato Schumacher e Zanardi, secondo il quale il massimo a cui Samy potrebbe arrivare, se mai la riabilitazione funzionasse, è la coscienza di un neonato di due mesi».Giorgio e Genzianella si abbracciano. «Nemmeno questo sta succedendo. Nessun progresso. Nostra figlia soffre ogni giorno di più. I medici, i giudici devono ascoltarci». Genzianella: «A volte mi sembra di picchiare la testa contro muri di cemento. Bum bum, nulla accade. Perà ho promesso a Samantha: il giorno in cui andrai via, il mio cuore si spezzerà, ma tu sarai libera».





27.6.21

silenzio opportunistico e utopia della perfezione

un silenzio interesato che dimostra come ormai anche la scienza si pieghi allo show business la prima stpria visto che : << [....] se divulghi troppo dopo non ti chiamano più [...]  >>   (  vedere     screenshot   a   dell'articolo   di republoica  del  27\6\2021    riportatoi a  sinistra   ) . 
La  seconda  è  di    la  storia  di un utopia    ,  un otta  quotidiana   per raggiungere    una  cosa  che   non lo  sarà mai   al 100   %    e     che  spesso  ( almeno per    me  era  cosi   )    si diventa  frustrati      quando non si raggiunge, almeno  che      come   sembra    aver  dichiarato Bolle  in questa   intervista  sempre  a republica  del  27\6\2021  ,  non  s'accetti  i propri limiti  come  suggerisce    anche la  canzone   la  libertà  di Guccini    scelta  come  colonna  sonora  del post  d'oggi  . 

                 Bolle “Il mio corpo un dono prigioniero della perfezione”
                                di Dario Cresto-Dina


Una vita a rincorrere l’impossibile della vita. Roberto Bolle ha 46 anni, è alto un metro e 82 centimetri, pesa ottanta chili. Tre numeri che rappresentano il recinto della sua professione. Il corpo è la sua salute e la sua malattia sin dall’infanzia passata tra Casale Monferrato e Trino Vercellese. Famiglia molto unita: padre piccolo imprenditore, madre casalinga, quattro figli. La danza, dice Bolle, vive del corpo e allo stesso tempo lo tiene prigioniero: «Lo plasma, lo forza a movimenti innaturali, a posizioni disumane.
Gli impone sacrificio e dolore. È un’arte che cerca la perfezione che tuttavia non è di questo mondo. La perfezione del gesto, delle proporzioni, delle pose».
Il paradosso di Achille e la tartaruga nelle versione di Borges.
Rincorrete la perfezione senza mai raggiungerla per un difetto infinitesimale. Nella biologia spesso è raccolto il destino. È stato così per lei?
«Credo di sì. Il fisico poteva condurmi verso lo sport oppure verso il cinema, ma la passione per la danza si è manifestata precocemente. Già verso i tre anni mi incantavo davanti alla televisione a guardare i balletti e provavo a rifarli. A cinque anni chiesi a mia madre di iscrivermi a danza, mi rispose di continuare a fare nuoto e se l’anno successivo lo avessi voluto ancora, mi avrebbe accontentato. L’anno dopo facevo danza».
Qual è il primo ricordo che afferisce al suo corpo?
«Sono stato un ragazzino disciplinato, ma dalle grandi energie. Ho sempre avuto un corpo molto reattivo, flessibile, portato per le discipline sportive, e una consapevolezza innata del fisico che adesso ho imparato a chiamare propriocentrismo. È un dono che va allenato, altrimenti si disperde, ma è un dono».
Il dono, una vocazione. Qualcosa di divino che dunque va oltre il talento?
«Alla scuola di danza si sono accorti subito che possedevo un non so che di speciale. Il talento sta forse un gradino più sotto. Che avrei fatto della danza una professione, la mia professione, sono arrivato a pensarlo intorno ai quattordici anni, dopo la terza media. Ho capito che lì con la danza classica sarebbe cominciata e finita la mia vita».
In una professione si inseguono anche simboli, leggende, figure da emulare. Le sue quali sono state?
«Ho avuto buoni maestri sin dall’inizio. Ho diverse fonti di ispirazione, prime fra tutte Nureyev e Carla Fracci non solo perché hanno guidato intere generazioni di ballerini, ma perché hanno avuto una visione: portare la danza a tutti, fuori dai teatri. Molto di ciò che ho fatto per la danza non avrei potuto farlo se loro non mi avessero preceduto».
Lei parla di sacrifici, io di allenamento. Mi racconti dell’uno e degli altri.
«Mi alleno dalle sei alle sette ore ogni giorno tra lezioni e prove in sala, stretching e a volte anche palestra. Non seguo una dieta particolare, ma sono molto attento a quello che mangio. Non è una questione di calorie, chiaramente, perché noi ballerini consumiamo molto, ma di qualità. Ho praticamente eliminato la carne, in particolare quella rossa. Mangio pesce, verdure, frutta e, anche se Pif mi prende pubblicamente in giro per questo, molti semi e frutta secca. Non ho mai fumato e bevo vino solo per brindare. Amo molto il cioccolato fondente che mi accompagna anche in sala ballo. Mi nutro con piccoli snack tra una prova e l’altra e bevo almeno sette litri di acqua al giorno».
I 50 anni si avvicinano e il tempo ha unghie affilate. Si è posto un limite oltre il quale non andrà?
«Sento l’usura, come qualsiasi lavoratore. Negli ultimi anni ascolto molto di più il mio corpo e devo confessare che il periodo del lockdown è stata davvero una esperienza difficile e angosciante, come mai prima ho avvertito la fragilità della mia esistenza. Andrò avanti fino a quando riuscirò a farlo ad un livello che mi soddisfa, che mi fa stare bene e sentire nel posto giusto. Quello che mi piace di questa fase del mio percorso artistico è un’accresciuta maturità scenica che va di pari passo con la crescita personale, umana. Ci sono ruoli e personaggi, come quello del cattivo in Madina, che solo adesso posso affrontare, scoprendo lati e sfumature artistiche prima impensabili per me. Mi viene naturale credere che quello che sono e penso adesso sia frutto del passare del tempo, di quello che sono stato, che ho fatto».
La ricerca della perfezione può essere sintomo di una dipendenza accompagnata dalla frustrazione, di una vita separata dalla realtà?
«Sì. Tutti noi ballerini siamo dediti alla ricerca della perfezione. Abbiamo lo specchio come alleato, a volte amato, più spesso odiato quando non ci restituisce l’immagine di noi che avevamo in mente. È un continuo tentativo di afferrare quello che non si può afferrare. La perfezione. Ma questo desiderio è talmente insito in noi che diventa una forma mentale, con risvolti anche etici. Non accontentarsi, imparare a inseguire un ideale di sé migliore, ti mantiene umile. Che il fisico cambia, noi ballerini lo capiamo già a vent’anni. Impariamo molto presto a fare i conti con uno strumento che non è mai lo stesso, ma mutevole. Per l’età, gli infortuni, i dolori che ci accompagnano ogni giorno e ogni notte e che sono le nostre cicatrici».
Ha mai dovuto fare i conti con la depressione o con momenti in cui ha pensato di smettere?
«Certo che ci sono stati. Ne ricordo due in particolare: il primo dopo tre anni che stavo a Milano e la nostalgia di casa si faceva sentire in maniera prepotente. Pregai allora mia madre di iscrivermi anche alla prima liceo a Vercelli, così da avere tempo di valutare bene che cosa sentivo di voler fare. Alla fine per fortuna vinse la danza. Il secondo è stato qualche anno fa, dopo un brutto infortunio alla schiena. Il rischio che non riuscissi a riprendermi era molto alto. Ce la misi tutta e rientrai prima di ogni aspettativa. I critici, che non sapevano ciò che mi era accaduto, scrissero che avevo raggiunto un nuovo livello di maturità. Era vero».
Lei tiene nascosti amori, felicità, affetti, dolori. Perché questa chiusura ermetica?
«Molti trovano sollievo nell’aprirsi, io sono abituato a vivere le mie emozioni più profonde in maniera personale, riservata, intima appunto. Abituato alla solitudine fin da ragazzo, mi ci sono affezionato. Sono uno di quegli uomini che piange dentro e, le assicuro, il rumore è ancora più forte».
Qualcuno ha detto che in questo mondo la bellezza è l’unica consolazione. Il suo corpo è anche un oggetto di desiderio. Come vive questa condizione?
«Le sembrerà strano ma non ci penso mai. Il mio corpo è per me uno strumento d’arte, come lo è il pennello per il pittore o il violino per un musicista. E poi, credo lo abbia detto Mandela, siamo tutti nati per risplendere come fanno i bambini».
Chi è Roberto Bolle quando esce di scena?
«Un uomo come tanti, incredibilmente pigro, amante delle cose semplici: una cena con amici, una giornata in famiglia, il mare appena si può. Leggo molto, leggo di tutto, i giornali prima di tutto, di tutto il mondo».
Lei ha lottato per ripartire subito, dopo la lunga stagione della pandemia e sta per cominciare un tour estivo di spettacoli. Dal 13 al 15 luglio sarà a Roma con una prima assoluta nella cornice del Circo Massimo, il 17 luglio a Firenze in piazza Santissima Annunziata e il 3 agosto all’Arena di Verona. Che cosa ci ha insegnato il flagello luttuoso del Covid?
«Guardi, credo nulla. Lascia ferite profonde nel tessuto sociale, economico, culturale, umano. Io non sono tra quelli che hanno inneggiato alla splendida opportunità del lockdown, per carità, è stata una tragedia per troppi e ancora lo è. Credo che ora sia estremamente importante restare uniti, non lasciare indietro nessuno. Da una caduta così grave ci si rialza solo insieme, cercando di porre le basi per un sistema più solido, più giusto e più solidale. Mi auguro che questa consapevolezza, se ci sarà, non si trasformi in paura».
E lei, giunto fin qui, può ritenersi un uomo fortunato?
«Sì, ma credo di avere onorato la fortuna con l’intelligenza».

  colonna   sonora
  • La tua Libertà - Francesco Guccini
  • Nella Mia Ora Di Libertà - Fabrizio de  Andrè 


29.12.10

Resistere è esistere

Pubblicheremmo il seguente video senza alcun commento. E, in effetti, ne merita pochissimi. Nient'altro, niente altre che lei, lei, lei. Yara. Non è tornata a Natale, ma l'anno si apre vasto, lungo, interminabile, e speriamo che invece rimpicciolisca, per silenziare questa prolungata agonia. Nelle parole del padre, nella composta e devastata mutria della madre, ancor più eloquente, riecheggia esplosivo quel grido di Giobbe da noi evocato qualche giorno fa. E si comprende che quelle domande, quelle pretese diremmo, non sono rivolte ai rapitori, ma molto più in alto. Molto più definitive.

E chissà che non avvenga poi davvero, il miracolo, come suggerivano gli amici d'un Giobbe contemporaneo, quello immortalato nel romanzo di Joseph Roth. Oggi Dio fa miracoli modesti, perché la gente non gli crede più e da lui non si aspetta nulla. Ma, similmente ai compagni della Bibbia, anche il loro consiglio si era poi dimostrato ingannevole. Dio agisce grandemente ancor oggi, vuole gli uomini, ma non dipende da loro.

A Milano un bimbo cingalese è nato da una donna in coma. Prodigio della scienza, e quindi dell'uomo che ha saputo mettere a frutto il dono divino dell'intelligenza rivelata. Questa nascita è stata triplice dono. Per la donna, che è potuta tornare nel seno del Padre; per il padre naturale, cingalese, che ha subito acconsentito all'espianto degli organi della moglie allo scopo di salvare altre vite umane. Per l'umanità tutta, che non è ancora stanca di sorgere e di confidare nel futuro. A Lucca, un rapinatore e omicida pentito si è consegnato spontaneamente alla polizia. Non rischiava nulla, ma "si sentiva solo". Possedeva il mondo intero, ma avvertiva d'aver perduto la sua anima.

Quella di Yara sarebbe, comunque, una restituzione, una seconda vita. Come il bimbo di Milano, prepotentemente venuto al mondo contro ogni fatalismo. E, per chi la tiene innaturalmente segregata, l'esempio del "samaritano" redento non costituirebbe un riscatto e, anch'esso, una rinascita?

Lo scorso anno abbiamo salutato senza rimpianti un periodo funesto. Ci si è spalancata davanti una voragine sotto certi aspetti peggiore. Non abbiamo compreso, non lo comprenderemo forse mai, che l'esistenza stessa è vittoria. E continueremo ad attendere, come il "passeggiere" che acquistava "almanacchi" nella celebre Operetta morale del Leopardi, un domani necessariamente, per forza migliore, perché fino ad ora... La vita è insoddisfazione? O non piuttosto cammino?

La vita è quella che ci dà la forza di resistere all'orrido, come Yara e i suoi genitori, che vi pencolano sopra. E che potrebbero sprofondarvi fino a svanire. Ma noi vogliamo prepararci, stavolta, vita. Ti sfidiamo. Perché abbiamo solo te. Malgrado te. Buon anno Yara, buon anno e buona resurrezione, sempre, comunque.

28.12.10

la mia schiavitù dell'abitudine

Dopo aver letto sulla busta  della libreria questa poesia : << Lentamente muore 
 chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non ..... [  continua qua  ] >>  che molti attribuiscono  al poeta  Pablo Neruda  ho capito che la mia (  credo anche quella  vostra  , sempre  che  abbiate scelto  l'opposto )  lotta lotta  per  : essere me stesso,essere attento per essere padroni  di me stesso e non vivere   come monumento  ( due  parafrasi musicali ,Linea  Gotica   degli ex Csi la prima  , Marzo  1995  dei Mau Mau  la seconda , mi  scuso   soprattutto con i miei  40 lettori  delle  origini    per   la ripetizione  nella citazione  ma  non ne  ho trovato  altre  ) ma  soprattutto  per non essere  un morto che  cammina \ uno  zombie , è  e sarà parzialmente  efficace   se continuo ad essere schiavo delle  abitudini e della a mediocrità , dell'insicurezza\e  totali , delle paure, angosce , dei sensi  di colpa  inutili e frustranti ,del piangermi addosso  anche  se  adesso  è meno  rispetto  quando  ho iniziato il viaggio  )   .E  come  tale rimarrà fin quando  continuerò ad  avere i piedi in due staffe  ed  a barcamenarmi nel  dualismo  bene  e  male\  giusto o sbagliato , ecc. invece di fonderli  ed  accettarli in una   cosa  sola  come  suggerisce   questa  storia  ( ecc per ricollegarmi  al precedente post   e  de perchè  continuano a leggerlo ancora  ) di Dylan Dog  [  copertina del  n  100   e  url della  storia ]






nell'indecisione  se alimentare ,in  quanto ogni uno  di noi  è  homo homini lupus ([letteralmente "l'uomo è un lupo per l'uomo"] --- ecco una delle mie origini oltre  quella   della passione  \ identificazione per  un periodo  con il protagonista  per  il film omonimo  del 1992   di   kevin costner  ,  e del  nickname   ora   abbandonato  ma  che  ancora  è noto in rete  balla con i lupi   \  ballaconilupi   ---- il mio lupo buono  o  il mio lupo cattivo .
Nella ricerca  di come uscire da  questa situazione e vincere  ( o quanto meno contenere visto che  non si può , e l'esempio della puntata dei   the  Simpsons  papa  incacchiato ne  è la prova  ) la rabbia , la frustrazione , ritrovare  una vita opera  d'arte  più consapevole  e la felicità ,la pace  interiore  e con me stesso , ecc  ho  trovato come guida  poi  sta me decidere   se applicarla in maniera pedissequa  \  alla lettera  o adattarla e  integrarla  , il libro Liberi dalle vecchie abitudini di Pema Chödrön (  libro sopra  a sinistra  e lie sotto a destra  ) per  il momento  , le cose  che  sto leggendo di tale libro  mi stanno tornando utili ,mi sono  resoconto (   e   con un smn  e d  una email   mi sono liberato   anzi meglio ho detto addio  anche se dolorosamente  , adesso evitiamo  di ricascarci  e    e di ricominciare   , un vecchio compagno di viaggio addirittura  cofondatore del nostro  blog    e di cui trovate   nell'archivio  delle sue poesie  e pensieri  )  che    è inutile cercare  chi non ti cerca  è anche  se   ti  fa soffrire  o   ha    significato molto per te   mandarlo a fncl e considerarlo  come zavorra inutile e  sganciartene  per  essere più leggero.
 Ma  comunque   appena  lo finsco  ne riparleremo  .
Un libro che   comunque   consiglio , e che  spiega  come   lasciare  andare i vecchi rancori , partendo in primo  luoog   da una trasformazione in noi stessi . Lo fa  utilizzando un linguaggio semplice  e ispirato  . Ci suggerisce   come dominare le paure   e superare le frustrazioni   e l'impotenza di quando di ci sentiamo a disagio  o in balia delle emozioni  .
Attraverso pratiche   ala portata  di tutti l'autrice  c'insegna ad essere presenti  ed  aprire il cuore   al fine di risvegliare  le proprie  qualità innate , insomma fare un salto   deciso  verso una nuova   e positiva realtà , di cui saremo gli unici e  gli indiscussi , consapevoli en intraprendenti artefici e creatori  .

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...