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15.9.24

«Il nostro grazie a chi ci ha donato una seconda vita» Carlo Garbarino e Carlo Cicalò ai mondiali di calcio per trapiantati

Anche se non è il tipo di trapianto che ho fatto io tali vicende vanno sempre raccontaste er sensibillare la gente a donare gli organi . Quando  leggo    e senmto tali storie  , parlo da trapiantato ( ho subito 32 anni fa per chi non lo sapesse ancora o non lo ricordasse il trapianto della cornea ) ,  mi  commuovo . Sono  eternamente  grato a quei familiari  (  se  sono ancora  in vità   visto che  sono  passati  quasi  40  anni    dal  mio trapianto )   mi pare  di Alghero o orto  torres    che  persero il filglio  in  un incidente   motociclistico   . Familiari    che  per imbarazzo  ,   timidezza   e paura   di come  avrebbero  reagito     non abbiamo avuto il coraggio di cercare la famiglia del donatore nonostante il nome cognome fosse pubblico non essendoci allora leggi sulla privacy e sul giornali si potevano pubblicare liberamente le generalità , mi commuovo   e  ripenso  a  come  sono stato fortunato  . Anche se poi , per la cornea s'era apena all'inizio , non andato benissimo , ma non ne faccio un dramma iun quantro in Sardegna e credo anche in italia s'era appena all'inizio di tali cure e poi non c'era ancora la perfezione che c'è oggi . Ma almeno ci vedo anche se con una fortissima miopia non operabile , almeno finchè non tolgono la cataratta , e l'altro occhio vede anche per l'altro .
 Ma  ora  basta  parlare  di me , altrimenti rischio di cadere  nella  nostalgia  e nella  tristezza  oltre  a rischiare  di piangermi addosso  .    E  veniamo    alla storia    di  Carlo G e  di Carlo  C . 

  Unione  sarda  15\9\2024
 

 Il loro campionato lo hanno vinto quando sono usciti dalla sala operatoria dopo il trapianto, di fegato in un caso e di rene nell’altro, riprendendo a vivere come tutti e facendo sport. Questo grazie al gesto,meraviglioso, di un donatore e della loro famiglia. Ma Carlo Garbarino, cagliaritano di 60 anni, autista del Ctm da due mesi in pensione, e Carlo Cicalò, 50enne di Cagliari ora residente con la famiglia a Elmas, hanno vissuto anche l’emozione di disputare, da protagonisti, un campionato del Mondo di calcio: a Formia, nella settimana che si è appena conclusa, si è giocata la prima edizione della competizione mondiale per trapiantati. Alla fine gli azzurri hanno chiuso al quinto posto. Ma il risultato passa in secondo piano rispetto al messaggio che hanno voluto lanciare: «Un’emozione unica poter vestire la maglia della nazionale per diffondere la cultura della donazione che permette a tante persone di rifarsi una seconda vita».Passione in comuneGarbarino, fresco di pensione, e Cicalò, impiegato in una grande azienda, hanno dunque indossato maglietta, pantaloncini e scarpette per difendere i colori dell’Italia e affrontare le altre nazionali: Cile (che alla fine ha vinto il campionato del Mondo), Spagna, Inghilterra, Francia, Irlanda, Australia, Galles, Usa, Irlanda del Nord e Romania. Oltre al trapianto, i due cagliaritani sono legati da un passione comune: quella per il calcio. Garbarino, ex giocatore, ha disputato tantissimi campionati di Interregionale, Eccellenza, Promozione con Selargius, Sirio, Pula, Assemini, Gialeto, Settimo, Sarroch e Villasimius vincendone più di 15, e provando anche la strada da allenatore. Cicalò da ragazzo non riusciva a staccarsi dal pallone ma a 17 anni sono arrivati i problemi ai reni. Per entrambi è arrivato lo stop forzato. Per poi ripartire.Gratitudine«Dopo la malattia ai reni e l’emodialisi, a 21 anni, ho dovuto lasciare l’attività agonistica», ricorda Cicalò. «Il trapianto, grazie a un donatore, mi ha ridato la vita. Ho ripreso così a giocare a calcio nel Sant’Avendrace, lavorare e farmi una famiglia. Dopo tredici anni però ho avuto un rigetto. E c’è stato il gesto meraviglioso, che ancora oggi mi commuove ed emoziona: mio fratello Alberto mi ha donato un rene, riportandomi ancora una volta in vita e permettendomi di riprendere con il calcio». Facendo parte da tanti anni dell’Associazione nazionale emodializzati, ha saputo che ci sarebbero stati i campionati del Mondo di calcio per trapiantati. «Mi sono candidato, ho fatto i raduni e sono stato selezionato. E ho potuto vivere questa meravigliosa esperienza, conoscendo tante splendide persone e le loro storie. E abbiamo ricordato, con grande riconoscenza, i nostri donatori e le loro famiglie: grazie a loro abbiamo avuto una seconda vita».La partita più importanteGarbarino si trova ad affrontare la sfida più difficle nel 2012, l’anno del trapianto: un anno prima, a seguito della cura per una calcolosi renale scopre – purtroppo tardi – un’allergia ai farmaci che compromette il funzionamento del fegato. Serve il trapianto. «Una domenica», ricorda Garbarino, «gioco la partita più importante della mia vita in una sala operatoria. Grazie a Gianmario Milia, il mio angelo morto in un incidente stradale, e alla sua famiglia che ha acconsentito alla donazione, ho avuto una seconda possibilità. Ho ripreso a lavorare, a correre e a giocare a calcio. E nel 2014 è nata mia figlia Dalia». Scendere in campo, per un ex calciatore come lui, con la nazionale trapiantati (vicendo anche i campionati Europei con l’Italia nel 2019) è quasi naturale: «Divulgare la cultura della donazione degli organi è la nostra missione. Per dimostrare che si può ritornare a vivere al massimo, grazie a un dono che moltiplica la vita e l’amore».

24.8.24

Perde il padre e lancia l'appello online: «Voglio abbracciare l’uomo che ha ricevuto il suo cuore». La storia di Davide

Da  trapiantato  io   e  i mie  genitori   non abbiamo   avuto il  coraggio  di  cercare  chi    mi  ha  donato  l'organo   , anche  perchè  sia    i riceventi  ed  i loro familiari   , ma  soprattutto    non tutti (  salvo eccezioni  come  la   storia  riportata  sotto  )  i familiari  di un donatore    hanno il coraggio  di    sentire   o  incontrare e  conoscere  il  ricevente  .  

da msn.it 





Il messaggio di un giovane di Ascoli, in lutto per la recente scomparsa del padre avvenuta in seguito a un tragico incidente, ha emozionato gli utenti online. Il suo desiderio è quello di trovare l'uomo (ricoverato a Padova al momento del trapianto) che ha ricevuto il cuore del papà, per sentirlo ancora
vicino.
La storia
Davide Bartolini è un giovane originario di Ascoli Piceno che, in seguito a un terribile incidente in moto avvenuto a Martinsicuro, vicino a Teramo, ha perso l'affezionato padre Patrizio, scomparso a soli 53 anni il 10 agosto, il giorno di San Lorenzo. L'uomo era però un donatore di organi e, con la sua generosità, ha potuto dare nuova vita e speranze ad altre tre persone: in particolare, il suo cuore è stato trapiantato a un uomo di 52 anni ricoverato a Padova. Ed è proprio a questa persona che Davide si rivolge nel suo appello sul gruppo Facebook "Sei di Padova se", pregando la cittadinanza di aiutarlo a individuare questa persona: vorrebbe conoscerla e abbracciarla, per sentire vicino il cuore del defunto padre.Così scrive il 18 agosto 2024 sul gruppo, suscitando l'empatia degli utenti nei commenti: «Buonasera a tutti, mi chiamo Davide Bartolini, sono un ragazzo di Ascoli Piceno, vivo con le mie sorelle Irene (15 anni) ed Aurora (10 anni). Mio padre, a seguito di un terribile incidente in moto, dopo 6 giorni di dura lotta, ha perso la vita il 10 agosto, il giorno di San Lorenzo. La sua vita, la mia, e quella di tutti coloro che lo amavano non ha smesso di cessare: il suo cuore; lo stesso con il quale nei suoi 53 anni ha amato me e le mie sorelle è arrivato a padova nello stesso giorno e batte nel petto di qualcun altro. Scrivo questa “lettera” perchè vorrei realizzare il sogno di poter abbracciare l’uomo di 52 anni che ha ricevuto un cuore così unico e raro, lo stesso che batteva ad ogni traguardo della mia vita. chiunque possa aiutarmi sappia che ne saró eternamente grato, purtroppo, gli organi competenti per motivi di privacy non possono aiutarmi. Vi abbraccio tutti, da oggi Padova fa parte della mia storia, lì è custodito un pezzo del mio papà !».
L'incidente e le generosità della famigliaL'incidente si era verificato il 4 agosto a Martinsicuro (Teramo). Patrizio era arrivato in condizioni gravissime in ospedale con politrauma, ed era stato operato dai neurochirurghi, ma è morto 6 giorni dopo. In vita aveva dato l'assenso alla donazione in occasione del rinnovo della carta di identità. Da tempo era anche donatore di sangue. Anche i suoi familiari hanno condiviso con convinzione la sua scelta.È partita, dunque, tutta la macchina organizzativa per procedere alla donazione: dopo l'accertamento della morte con criteri neurologici da un collegio medico, che ha svolto un periodo di osservazione di 6 ore, si è ottenuto il nulla osta dalla procura e si è così messa in moto l'organizzazione del Coordinamento trapianti locale all'ospedale di Teramo. Sono arrivate équipe da Napoli per il fegato, da Padova per il cuore e dall'Aquila per reni e cornee. «Estremi gesti d'amore come quello che è avvenuto stanotte danno prova di grande solidarietà e generosità sia del donatore, molto impegnato nel sociale in vita, che dei suoi familiari» aveva commentato il direttore generale della Asl di Teramo Maurizio Di Giosia.

19.3.24

Dona un rene al figlio 20enne nel giorno della Festa del papà: la storia di Cristian e Leonardo



emozionante storia di Cristian Baruzzo che dona un rene al figlio Leonardo, di 20 anni. Succede ad Albiano Magra, in provincia di Massa-Carrara. Nel giorno della festa del papà, Cristian ha donato un rene a Leonardo, nato con una insufficienza renale cronica. La mamma: “L’augurio più grande va a un super papà oggi, un grande guerriero come suo figlio”.

L’operazione chirurgica

Festa del papà particolare per Cristian Baruzzo, che oggi, martedì 19 marzo, si sta facendo operare all’ospedale Cisanello di Pisa. Sta donando un rene al figlio Leonardo, ventenne, nato con una grave insufficienza renale. Per via di questa malattia, il figlio ha dovuto subire vari interventi. Nel frattempo, comunque, il giovane ha avuto una vita normale, che l’ha portato a diplomarsi e fare sport come tanti.
Due anni fa, però, un blocco renale ha reso necessario il trapianto. È iniziato così il lungo percorso verso l’intervento, intrapreso insieme ai genitori, che si sono sottoposti a tutti gli accertamenti del caso. Alla fine è risultata una compatibilità proprio col papà Cristian.
“Avrei tanto voluto essere compatibile, invece quello adatto era il padre, che è risultato compatibilissimo. Appena lo ha saputo non ha esitato un attimo e ha accettato di donare una nuova vita a suo figlio”. Questo il commento della mamma, Monia Piva, titolare di una scuola di ballo ad Albiano Magra dove lavora anche Leonardo.
La “sorpresa” per la Festa del papà
In realtà Cristian sapeva già da tempo che l’operazione si sarebbe tenuta nel giorno della Festa del papà. Ancora la mamma: “Il padre lo ha saputo mentre era in settimana bianca e ha subito smesso di sciare, per evitare di farsi male e impedire nuovamente l’operazione”.
Cristian e Monia sono separati. “Il mio ex marito ha tirato fuori forza e coraggio, per ridare la vita a nostro figlio. Noi abbiamo divorziato tanti anni fa: se in passato i due erano lontani, il percorso del trapianto li sta avvicinando molto. Cambia il modo di vedere le cose”.
L’augurio della mamma su Facebook
“Auguroni a tutti i papà del mondo, al mio papà ovunque lui sia…ma l’augurio più grande va a un super papà oggi, un grande guerriero come suo figlio”. Ha scritto così sul suo profilo Facebook mamma Monia.

3.3.19

di perfetto non eesiste nulla neppure la scienza . il caso di Giulia Toddet rapiantata e mamma, la doppia vittoria di Giulia Todde Il padre le ha donato un rene nonostante il gruppo sanguigno diverso. Aveva già adottato una bimba, dopo l’intervento è rimasta incinta

La vita non è perfetta, le vite nei film sono perfette. Belle o brutte, ma perfette. Nei film non ci sono tempi morti, mai! ( radio freccia  ) 



                     da la nuova sardegna del 2\3\2019    di Caterina Angotzi


SOLARUSSA. La vita spesso ha più fantasia dell'immaginazione e può procurare grandi e infinite gioie, soprattutto se inaspettate. Per Giulia Todde, 41 anni da compiere, la vita ha il sorriso delicato di Mattia, nato un mese fa, nonostante tutto e tutti.
Giulia aveva perso le speranze non solo di diventare mamma ma anche di condurre una vita regolare, quando i medici le avevano diagnosticato nove anni fa una significativa patologia renale, la nefrite lupica, una alterazione della funzione e della stessa struttura renale, una patologia autoimmune che in questo caso era arrivata all’ultimo stadio, impedendo qualunque terapie farmacologica vincente.
Per lei rimanevano due sole alternative: il trapianto o la dialisi. In ogni caso, la diagnosi dei medici non lasciava spazio a illusioni. Giulia non avrebbe potuto portare a termine alcuna gravidanza. Per lei anzi la gravidanza poteva rappresentare un serio pericolo.
Giulia e il marito Alessio, 42 anni, però non si danno per vinti e decidono di percorrere la strada dell’adozione. Una strada lunga, complessa, stressante e difficile. Alla fine però, sei anni fa, arriva Maria, una bellissima bimba polacca. Sono fortunati Giulia e Alessio, perché Maria ha solo nove mesi. In casa c’è tempo solo per lei, nonostante la malattia.
Giulia però non demorde. Il padre, il marito e il fratello si offrono per donarle un rene, ma ci sono complicazioni. L’unico donatore potenzialmente compatibile da un punto di vista morfologico, il padre, non lo era per le caratteristiche ematiche. C’era incompatibilità tra donatore vivente e ricevente. «Io ho il gruppo Zero – sorride Giulia – e mio padre gruppo A, peggio di così non poteva capitare». La scienza e la natura insieme possono però fare miracoli. I medici dell’ospedale Brotzu di Cagliari, con una speciale procedura sono riusciti a “pulire” il sangue del ricevente, a effettuare con successo il trapianto di rene e soprattutto a evitare il rigetto dell’organo. Il trapianto, effettuato il primo ottobre del 2016 è stato il primo in Sardegna tra donatore e ricevente incompatibili. Ed è andato bene.
Ma il bello doveva ancora arrivare. Giulia è rimasta incinta. «Mattia è arrivato ben dopo il trapianto – dice con orgoglio – ma non è stato da noi cercato. Il mio organismo si era ristabilito, le terapie post trapianto avevano ormai un tasso di tossicità basso e così è arrivato il secondo piccolo miracolo».
Sebbene venuto al mondo alla trentacinquesima settimana di gestazione, Mattia non ha avuto problemi alla nascita. «Non dovevamo avere figli, non potevamo avere figli, eravamo rinchiusi dentro a una patologia che non lasciava scampo, e invece sono arrivati di fila tre piccoli miracoli: l’adozione,Giulia sorride. Adesso ha una vita serena davanti, e la voglia di far crescere una coppia di bimbi solo in apparenza diversi. «Maria stravede per il fratellino e per noi non c’è gioia più grande».

26.1.19

Da alla luce la sua bambina, sapendo che morirà per una malattia per salvare altri bambini. Buttata fuori dalla palestra, il motivo è assurdo il suo abbigliamento distraeva troppo le altre persone presenti.

La prima storia è una di quelle che mi da la forza di continuare a vivere nonostante i fortissimi problemi di salute e le depressioni \ sconforti che mi vengono a causa d'essi . Ma soprattutto conferma la mia scelta dell'iscrizione al registro de donatori d'organo , essendo io stesso , come ho già detto più volte qui sul blog e nelle sue appendici social , trapiantato e devo rifarlo perché dopo quasi 30 l'organo , la cornea sta iniziando ad invecchiare ) .


Bigodino
January 23, 2019 2:18 PM

Da alla luce la sua bambina, per salvare altri bambini. La storia di Krysta Davis e della piccola Rylei



Krysta Davis è la mamma che vedrete nelle immagini di seguito, una guerriera che ha deciso di condividere con il mondo la sua storia. “Era il 15 aprile del 2018, quando ho scoperto di essere incinta del nostro bambino arcobaleno. Ero di sole due settimane e mezzo e ci sono voluti sei test per confermare la gravidanza, nonostante avessi fatto anche un esame del sangue. Avevo il progesterone basso, a causa dell’ovaio policistico.



Ho monitorato in modo costante la gravidanza per i primi tre mesi, volevo assicurarmi che il mio bambino si stesse davvero formando. Nel secondo trimestre, ho scoperto di aspettare una femminuccia. Insieme al papà, abbiamo parlato a lungo e scelto alcuni nomi. Alla fine abbiamo deciso che l’avremmo chiamata Rylei Arcadia Diane Lovett.Alcuni giorni dopo, mi sono recata dal medico a fare un’altra visita, ma tornata a casa, ho ricevuto una di quelle chiamate, che mai una madre vorrebbe ricevere. Avevano individuato un’anomalia del tubo neurale. C’era la possibilità, una su cinque, che potesse avere la Spina Bifida. Ero confusa e non capivo, così decisi di andare da uno specialista. Visti gli avvertimenti, nella mia testa avevo già immaginato la probabilità che mia figlia non avrebbe mai camminato, ma invece la realtà era ancora peggio. Dopo vari esami, a mia figlia è stata diagnosticata l’anencefalia, una rara e mortale malattia cerebrale in cui il cervello non si sviluppa completamente. Io ero lì, immobile, incredula, sotto shock. Così come il mio compagno. Il dottore ha aspettato qualche istante e poi ci ha detto che avevamo due possibilità. Portare a termine la gravidanza, con la consapevolezza che sarebbe morta nel mio grembo oppure indurre subito il travaglio, con la consapevolezza che sarebbe morta dopo poche ore. Non potevo crederci, non era possibile.



Il giorno seguente sono andata dal mio ginecologo e lui, dispiaciuto, mi ha detto che lo specialista aveva ragione. Poi mi ha detto di avere un altra possibilità: portare a termine la gravidanza e donare gli organi di mia figlia. Ci ho pensato molto, in entrambi i casi mia figlia sarebbe morta, ma in questo modo avrei dato una speranza a tante mamme, che pregano ogni giorno di portare a casa i loro figli. Mia figlia avrebbe continuato a vivere nel corpicino di altri bambini. Così decidi di accettare.



Il 22 dicembre del 2018, mi sono recata in ospedale, per farmi indurre il travaglio. Ho rifiutato l’epidurale. Il mio parto è stato orribile. Non mi dilungherò, perché il mio corpo non era pronto. Le ostetriche continuavano a provare e provare, perfino con la dilatazione manuale. Dopo 48 ore, ancora a. Il successivo 24 dicembre, mi hanno rotto le acque. Se nemmeno questo avrebbe funzionato, mi aspettava un cesareo. Dopo poche ore, il mio corpo ha iniziato a collaborare e la mia Rylei è nata. Io ero lì, che vedevo i dottori che correvano di qua e di là, cercando gli specialisti del trapianto organi e preparando una squadra che l’avrebbe portata in sala operatoria, per i suoi tessuti. Doveva nascere morta, invece era viva! Mi hanno detto che una volta tagliato il cordone ombelicale, non sarebbe sopravvissuta e poi me l’hanno data tra le braccia.



L’hanno lasciata attaccata a me per trenta minuti. Era bellissima… quando arrivò il moneto del taglio, i miei occhi si riempirono di lacrime. Anche dopo il taglio del cordone, ha continuato a respirare sul mio petto. Sapevo che non sarebbe durato a lungo, ma era viva.



C’era un uomo molto gentile, questo nella foto, che ci aveva preso molto a cuore. E’ riuscito ad inviare le impronte digitali di Rylei e a trasformarle in un oggetto placcato d’argento per noi, che conserverò per il resto della mia vita.



Tutti erano in attesa che la mia bambina esalasse l’ultimo respiro, ma dopo un ora era ancora viva. Passarono dodici ore, era una guerriera.



Il 29 dicembre del 2018, ci hanno permesso di portarla a casa. Rylei continuava a resistere, i medici erano scioccati, nessuno se lo aspettava.



Mi ha regalato momento magici, i suoi sorrisi, le sue smorfie.



Dopo sette giorni, si è spenta tra le nostre braccia.



Lei salverà molte vite. Per adesso donerà il cuore e i polmoni, permettendo a due bambini di continuare a vivere.”






La  seconda  storia 
veb.it January 25, 2019 6:53 PM

Buttata fuori dalla palestra, il motivo è assurdo perché il suo abbigliamento distraeva troppo le altre persone presenti


E’ stata buttata fuori dalla palestra perché il suo abbigliamento distraeva troppo le altre persone presenti.Una donna ha condiviso il suo stato d’animo dopo essere stata cacciata dalla sua palestra locale perché i suoi abiti da lavoro erano troppo “distraenti“.Quando vai in palestra, probabilmente non sei così concentrato su ciò che tutti intorno a te stanno facendo.Ti stai concentrando sui tuoi esercizi, sulla panca, sul tapis roulant, ma evidentemente non è proprio così visto quello che è capitato a questa ragazza che ha poi condiviso tutto direttamente sui social.Secondo la direzione della palestra, il suo abbigliamento era troppo aderente ed inoltre mostrava una parte di corpo.La studentessa di giurisprudenza Marny, 22 anni, è rimasta scioccata quando un membro del personale femminile si è avvicinato a lei in una palestra, che aveva sempre frequentato a Costanza, in Germania , negli ultimi due anni.L’addetta alla palestra le avrebbe detto “non puoi allenarti in quel modo” e ha indicato il suo equipaggiamento da lavoro, che consisteva in un top nero e pantaloni.Secondo il personale della palestra, il suo abbigliamento era considerato troppo “distraente” per tutti gli altri presenti, in particolar modo ovviamente per gli uomini.Condividendo l’episodio Marny ha detto: “L’addetta mi ha confermato ‘non puoi allenarti così’ e la stavo solo guardando confusa perché non sapevo cosa intendesse”.Poi ha proseguito: ‘non puoi indossare un reggiseno sportivo’, in quel momento sono rimasta scioccata perché non era un reggiseno sportivo e anche se lo fosse stato, perché no?”Ha aggiunto: “L’allenatore ha detto che era fonte di distrazione per gli altri che si allenavano.

La ragazza ha pubblicato una foto dei suoi vestiti da palestra su Twitter (  foto sopra  )  , mostrando come solo una piccola porzione di pelle attorno allo stomaco e alla schiena sarebbe stata visibile durante la sua sessione di allenamento.Accanto all’immagine, ha scritto: “Sono stato appena buttata fuori dalla mia palestra, perché i miei vestiti mostravano “troppo” (vedi foto) e confondevano gli uomini in palestra.”Ha aggiunto: “In che secolo siamo ? E’ così triste.”Il suo post è diventato subito virale, raccogliendo oltre 1.700 “mi piace“.Molte persone hanno mostrato il loro sostegno a Marny per la vergogna della società attuale e soprattutto della palestra, della quale non è stato fatto il nome.Un utente ha detto: “Di cosa si confondono gli uomini? Non hanno mai visto una donna prima d’ora ?!”Un altro ha detto: “Questo abbigliamento è troppo rivelatore? L’unico modo forse per gli standard di 100 anni fa“.Un terzo ha aggiunto: “Scusa, cosa ?! Le persone della mia palestra e dello studio di yoga si allenano in pantaloncini corti e reggiseni sportivi e nessuno se ne accorge nemmeno
Secondo  la loro  è  tutta  invidia   essa     finita in una palestra di GAY....😳🤔😁😂😄😃 O di maschi allupati

15.9.18

chi lo dice che la Techno sia sia solo femminile la storia di flavia flaus ed altre storie

 la tecno  genere   nato maschilista    come  dice  wikipedia alla  voce  Techno    sta diventando o è solo un eccezione anche femminile ?   come dimostra  quest'articolo   dell'unione  sara del 13 settembre  2018 

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 e la  storia della dj flavia laus un icona di energia ed eleganza,  come  l'ha definista sempre l'unione  sarda   in  questo articolo  . Essa  da poco trapiantata a Berlino dopo aver lasciato Milano, sua seconda casa per alcuni anni, in vista di prestigiosi progetti originali.
La DJ algherese ha --   sempre  secondo  l'ìunione ---  entusiasmato la platea  del Rkomi  festival  a Porto Cervo  con la sua capacità di trasmettere emozioni e coinvolgere il pubblico(  come di mostrato  anche  dai suoi account  facebook  ed  istangram  )   che era rappresentato da ascoltatori eterogenei affascinati dalle selezioni di un'artista sarda già molto apprezzata a livello internazionale.



La seconda è

21.4.16

storie di vita e di morte i caso di un Impiegata trapiantata di fegato dà alla luce bimbo a 37 anni Maela Donadello è stata colpita da un'epatite fumlinante a 19 anni: una donazione le ha salvato la vita e quello della Tragedia sul lavoro: operaio settantenne cade dalla scala e muore L'uomo era in un garage in via De Martino quando è stato colto da un malore. La polizia e l'ispettorato del lavoro indagano sulla sua posizione contrattuale

queste due storie minroportano in mente    due  precedenti post  uno mio una specie di recensione sul film un sapore di ruggine ed ossa e il secondo   tratto da  una storia vera  dell'utente  Daniela Maria Tuscano



Impiegata trapiantata di fegato dà alla luce bimbo a 37 anni
Maela Donadello è stata colpita da un'epatite fumlinante a 19 anni: una donazione le ha salvato la vita
Maela con il piccolo Alvise e il...
Maela con il piccolo Alvise e il marito Roberto


PADOVA. Aveva 19 anni quando è stata colpita da un’epatite B fulminante ed è entrata in coma. Si è salvata grazie a un dono prezioso, il fegato di una ragazza deceduta mentre lei, con la morte, ci stava lottando. Maela si è risvegliata dopo il trapianto con la prospettiva di una nuova vita davanti. E ora, a 37 anni, ha a partorito uno splendido bimbo: Alvise, nome scelto in onore del medico che le fece il trapianto.
È una storia di speranza, di fiducia, di coraggio e di buona sanità quella che ha per protagonista un’impiegata del settore informatico, Maela Donadello originaria di Padova, ma residente a Mira con il marito Roberto Furegon di 42 anni. Giovedì scorso, poco dopo le 19, alla Clinica Ostetrica di Padova, la donna ha dato alla luce alla trentaquattresima settimana e col parto cesareo, un bimbo di 2 chili e 230 grammi.Il neonato è rimasto solo un giorno nella culla termica: ora sta benissimo, così come in perfetta salute è la sua mamma. Che ha coronato un sogno ritenuto a lungo irrealizzabile.
Maela si ammala nel marzo del ’98, la diagnosi è terribile: epatite fulminante. Il tempo, però, è dalla sua parte: pochi giorni dopo, il 4 aprile, la giovane viene ricoverata a Padova e sottoposta a trapianto di fegato eseguito a dall’équipe del professor Alvise Maffei e Giorgio Gerunda. Dopo venti giorni Maela, che lotta come un leone per riprendersi la vita, è già a a casa. «Ho reagito, aiutata forse dalla giovane età», racconta oggi dal suo letto in Azienda Ospedaliera, «In questi anni la qualità della vita è stata ottima, non ho avuto problemi di rigetto». A sostenerla nel percorso clinico sono la dottoressa Rosa Iemmolo del Policlinico di Modena (Gerunda nel 2003 divenne primario nell’ospedale della città emiliana). Tutto procede per il meglio, poi, nell’aprile dello scorso anno, una battuta d’arresto: un intervento di anastomosi bilio-digestiva per stenosi anastomotica. Maela supera questo scoglio, ma a luglio si presenta un altro problema che la costringe a un ricovero a Mirano. L’impiegata si riprende, ma il suo fisico è indebolito. E lei, che da tempo desidera un figlio, si rassegna all’idea di non poterlo avere. «Non era arrivato prima, non credevo potesse arrivare mai più», racconta, «D’altra parte, pensai, non si può volere tutto». Due mesi dopo, a settembre, Maela è incinta. Seguita a Padova dal professor Guido Ambrosini, la donna ha una gravidanza che lei descrive bellissima. Fino a quando aumentano pericolosamente i valori dei sali biliari. Maela viene immediatamente ricoverata alla Clinica ostetrica del professor Erich Cosmi.
«Grazie alle cure e al costante monitoraggio è stato raggiunto il fantastico traguardo di 34
settimane», spiega Maela. Alle 19.13 del 14 aprile nasce Alvise. «Il mio grazie eterno», dice Maela, «oltre alla mia famiglia, ai medici che hanno fatto della professione una passione, agli angeli custodi,va ai meravigliosi genitori della ragazza che ha donato il fegato».


Tragedia sul lavoro: operaio settantenne cade dalla scala e muore

L'uomo era in un garage in via De Martino quando è stato colto da un malore. La polizia e l'ispettorato del lavoro indagano sulla sua posizione contrattuale






SALERNO. Quando lo hanno visto a terra, tra barattoli di vernice e gli attrezzi con i quali stava lavorando, probabilmente il suo cuore aveva già cessato di battere. Luigi Gaeta, 69enne residente nella frazione Cappelle, è l’ennesima vittima di un incidente sul luogo di lavoro. Nel suo caso la situazione è resa più drammatica dall’età. Non sono ancora chiare le circostanze che avrebbero visto l’uomo lavorare da solo all’interno di un garage in via Renato De Martino, nel rione Carmine. Sul luogo della tragedia, dopo le forze dell’ordine sono giunti anche gli uomini dell’Ispettorato del lavoro per raccogliere la documentazione necessaria a fare luce sulla vicenda.
Arturo Sessa: «Seguiremo con attenzione le indagini della Procura e dell’ispettorato del lavoro. Se ci saranno delle responsabilità, siamo pronti a fare la nostra parte».
Intorno alle 17 il corpo già senza vita dell’uomo è stato notato da un operaio della manutenzione della Clinica Tortorella che si trovava in un locale adiacente al garage di via De Martino dove il 69enne stava imbiancando la parte superiore della saracinesca interna che dà sulla strada principale. Il soccorritore ha avvertito dapprima il 118, poi sono stati gli stessi sanitari della clinica a intervenire, ma per l’uomo non c’era già nulla da fare. La ferita alla testa dovuta alla rovinosa caduta dalla scala posta sopra la saracinesca era ampia e profonda. Ma nel terribile volo, il 69enne pare abbia riportato anche una frattura al braccio e varie contusioni. Per fare piena luce sulle cause della caduta, però, saranno necessari accertamenti sanitari ulteriori rispetto a quelli effettuati sul posto dal medico legale Giovanni Zotti. L’esito dei primi rilievi farebbe pensare a un malore, probabilmente un infarto, che avrebbe colto l’uomo proprio mentre si trovava sospeso sulla scala: ipotesi confermata anche dagli evidenti segni di pittura non portati a termine. Non è neppure esclusa la possibilità che una distrazione o un capogiro abbiano fatto scivolare l’imbianchino.Raveane (Cisl) dopo la tragedia di Plaus: «Serve più formazione, come a Trento» Sul luogo della tragedia, poco dopo i sanitari, sono giunti anche gli agenti della polizia di Stato e della scientifica, mentre a seguire è stato necessario l’intervento della polizia municipale per regolare il traffico. Il figlio della vittima, accorso poco dopo l’aver appreso la notizia, era in evidente stato di shock. Intorno alle 18.30, ultimati gli accertamenti affidati agli agenti della polizia scientifica, la salma di Luigi Gaeta è stata trasportata all’obitorio dell’azienda ospedaliera “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”.
Da chiarire, oltre alla dinamica dell’incidente, restano soprattutto le motivazioni che hanno spinto un uomo di 69 anni lavorare in condizioni di rischio. Secondo le prime ricostruzioni, il garage, un tempo officina meccanica, sarebbe dovuto diventare un locale farmacia della Clinica Tortorella, che si trova a poca distanza. Serviva mettere a nuovo i locali in questione e per questo era stata disposta l’imbiancatura delle pareti interne. I dettagli sulla proprietà del garage sono ora al vaglio dell’Ispettorato del lavoro, intento a valutare non solo l’effettiva regolarità dell’uomo ma soprattutto chi abbia commissionato l’intervento. Il garage potrebbe infatti esser stato semplicemente dato in affitto alla clinica, con lavori a carico del locatore su cui gravava, quindi, l’obbligo di accertarsi della regolarità della posizione dei lavoratori. Sono tanti i fattori da valutare, compreso quello sulla responsabilità della sicurezza e su chi dovesse controllare effettivamente chi entrava e usciva da quel garage.
L’incidente ha provocato sgomento sia nel quartiere, dove tantissima gente si è accalcata sull’uscio del garage per capire cosa fosse accaduto, sia nella frazione di Cappelle dove il 69enne operaio abitava con i familiari
eravigliosi genitori della ragazza che ha donato il fegato».

19.1.16

storie d'amore , di solidarieta , e do varia umnanita, e di cattiva burocrazia

Alla prima sonmo particolarmente legato  essendo un trapiantato d'organo , d cornea per la precisione   e qui sono cosa  vuol dire .

  da  http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/  del  19 gennaio 2016

Turriaco, dona un rene e salva la moglie

Trapianto riuscito per i coniugi Pizzamiglio. Lei: «Una volta di più ha dimostrato la sua unicità»

TURRIACO. Ha donato un rene alla moglie per permetterle di vivere. Lui è Valentino, lei Valentina. Già i nomi basterebbero... Nomi che raccontano una storia d’innamorati. Fatti uno per l’altro, senza esitazioni. Perché i coniugi Pizzamiglio possono urlare al mondo intero il loro amore, temprato da un’esperienza delicata e drammatica. È una storia a lieto fine, da condividere con tutti.
Valentina nel 2007, dopo aver appena superato l’esportazione di un adenoma ipofisario, scopre di essere in insufficienza renale. Ha 35 anni. Forse la malattia l’accompagna sin da bambina ma la scoperta avviene a quell’età. È una donna giovane, sposata e con figli. Valentina, originaria di San Canzian d’Isonzo, viene subito seguita dal dottor Massimiliano Martone nel reparto di Nefrologia e Dialisi dell’ospedale di Gorizia. Inizia il suo percorso.
L’avanzamento della malattia doveva essere lento e progressivo ma, a seguito di terapie e diete per nefropatici, l’insufficienza renale presto arriva all’ultimo stadio. Nell’agosto del 2015, la donna si vede costretta alla dialisi peritoneale: tutte le notti si collega con un catetere dall’addome a una macchina che la depura. «Una vera tortura... Un trattamento di nove ore distesa sul letto, con tutte le precauzioni igieniche e sanitarie necessarie ovviamente» racconta Valentina. Che non si dà per vinta. La speranza è di poter effettuare un trapianto di rene. Serve un donatore ma non è un intervento così automatico e semplice. «Mio marito Valentino si è subito proposto per l’eventuale donazione - racconta - e dopo mesi d’infiniti esami atti a verificare la nostra compatibilità, è arrivata la tanto attesa risposta: si poteva fare».
Lo scorso 7 dicembre Valentina e Valentina partono per Padova e il 9 la coppia viene sottoposta a un delicato intervento: alle 16 del pomeriggio il rene di Valentino è già dentro il corpo di sua moglie e, come racconterà il chirurgo dopo l’operazione «... è partito come un treno». Una frase che ha fatto piangere parenti e amici. Lacrime di gioia e di sollievo.
La coppia ora è rientrata a Turriaco, dove risiede, e tutto procede per il meglio. «Il percorso è ancora un po’ lungo - spiega Valentina - perché ci saranno ancora tanti controlli. Ma sto bene, mi sento rinata, so che potrò essere di nuovo una persona normale ma soprattutto sono consapevole che la mia vita la devo a mio marito. Il suo gesto d’amore è stato un qualcosa d’indescrivibile che, ancora una volta e ancora di più, mi ha testimoniato la sua unicità, la sua sensibilità, il suo coraggio e la sua protezione».
Il dono di un rene come gesto d’amore. Assieme all’aiuto di tante persone. «Mi sento di rivolgere un particolare ringraziamento - dice Valentina - al dottor Martone che mi ha sempre seguita e appoggiata e che mi seguirà in futuro. Al professore Paolo Rigotti, alla dottoressa Lucrezia Furian e a tutta l’equipe dell’Azienda ospedaliera di Padova
dove siamo stati operati. Un grazie va alla mia mamma che ci ha assistiti e che continua anche nella convalescenza. Un merito a mia figlia Andrea che ci è stata sempre accanto, sopportando i momenti tristi e aiutandoci con i suoi sorrisi e gesti d’affetto».

DOLO. Le speranze erano ridotte al lumicino, e per i medici il destino di quel feto era tragicamente segnato. Sandro Giorgiutti e la moglie Federica si sono rifugiati nella fede, recandosi a Malo, nel vicentino, al santuari di Santa Libera, la Madonna della Maternità. Il feto è perfettamente guarito. E sei mesi dopo è nata Giulia, una bella bimba che oggi ha 5 anni. «Un miracolo» ha detto il parroco di Malo di Giuseppe Tassoni, che nell’omelia di domenica, ha raccontato al storia della coppia residente ad Arino di Dolo.
«Mia figlia Giulia sarebbe dovuta nascere con una gravissima malformazione, invece progressivamente, dopo essere andati in pellegrinaggio al santuario della Madonna della maternità di Malo, la sua malformazione che ci era stata diagnosticata dopo una ecografia, si è ridotta fin quasi a sparire. Un fenomeno che i medici hanno detto di non saper spiegare». A parlare a cinque anni di distanza dai fatti è Sandro Giorgiutti, il papà della piccola Giulia, che abita ad Arino di Dolo in un residence poco distante dalla chiesa del paese.
Sandro fa l’operaio al Petrolchimico di Porto Marghera e ha una grande passione per la musica rock. La moglie Federica lavora in un bar a Spinea. «Neanche io ero un grande credente prima che mi capitasse ciò che è capitato», confessa. «Ma io e mia moglie volevamo un figlio. Avevamo perso un bambino, poco prima che Federica restasse incinta di Giulia. Alla prima ecografia della bimba, verso i 4-5 mesi di gravidanza, ci venne subito detto dai medici che il feto aveva gravi problemi di salute. I medici ci convocarono e ci spiegarono che c’erano delle grosse cisti sul fegato e in altre zone del corpo, che pregiudicavano la vita della nostra bambina. Eravamo disperati, abbiamo consultato diversi medici, ma tutti ci davano lo stesso responso».
Giulia sembrava destinata a non venire al mondo, ad nascere con gravi malformazioni. «Mia mamma», prosegue Sandro Giurgiutti, «è una catechista, fervente credente, e mi ha consigliato di andare a pregare nella chiesa dedicata a Santa Libera a Malo, la protettrice delle partorienti. Allora ci siamo recati al santuario, e abbiamo pregato per la guarigione della nostra bambina».
Dopo il primo pellegrinaggio nel Vicentino, le notizie sorprendenti non si sono fatte attendere. «Dopo qualche giorno le ecografie di controllo», racconta il papà, «hanno dato risultati incredibili. Le malformazioni si erano ridotte in modo inspiegabile. Abbiamo continuato ad andare a Malo e a tenere per noi questo sconvolgente segreto. Via via, mese dopo mese, tutte le malformazioni e le cisti erano sparite e alla vigilia del parto il feto era in perfetta salute».
A dicembre del 2010, all’ospedale di Mirano, è nata così Giulia. «È stato un parto cesareo», continua il papà, «e ci ha regalato la nostra bella bimba, in piena salute. Dopo qualche giorno dalla nascita ci siamo recati con la piccola a rendere grazie alla Madonna, per questo grande dono che ci ha fatto. Abbiamo voluto anche voluto fa battezzare la nostra piccola nella chiesa di Malo il 12 giugno del 2011 da Don Giuseppe Tassoni, un parroco a cui siamo ancora profondamente legati. Di questa storia non abbiamo mai voluto parlarne anche come segno di rispetto, di riconoscimento per un dono così grande che ci è stato fatto dal cielo, e che ci ha reso immensamente felici».


la  terza  storia  non è una novità    visto che  errori   simili ne capitano   a iosa   ma  va raccontata  perchè   come  sempre   succede  per  imediare  accorrono mesi  e  << per chi prende una pensione da nemmeno 500 euro anche un mese fa la differenza >>. Ma  sopprattutto  la cosa assurda è che devi essere tu a rimediare con certificati ed atri atti burocratici ai loro ..... di errori . E a  chi commette   l'errore  ( comune , inps, segretari    )  loro non gli li fanno pagare .Se ogni volta che facessero un  errore del genere gli togliessero una parte dello stipendio tranquilli che tali ... non ne farebbero più o se ne farebbero di meno  

Per l'Inps è morta. E la pensione non le arriva più

Grosseto, è l'incredibile vicenda di una 66enne malata e inabile al lavoro che non può riscuotere i suoi 465 euro. Per far valere i suoi diritti il caso è in tribunale

GROSSETO. Quando è andata all’Inps a chiedere come mai sul suo conto corrente non c’era ancora la pensione che da anni riceve ai primi di ogni mese, a stento è riuscita a credere alle sue orecchie. «Signora, lei risulta deceduta», è stata la risposta.
Ad essere superstiziosi c’è da correre a procurarsi un cornetto rosso e appenderselo al collo. I più sardonici potrebbero prenderla a ridere: pare che nominare il trapasso allunghi la vita... Per la diretta interessata, una signora alle soglie dei 66 anni, la notizia è stata uno choc. Quella che le è stata tolta, infatti, non è certo una “pensione d’oro” da sguazzarci dentro, ma una piccola pensione da nemmeno 500 euro al mese (465,09, per la precisione) per inabilità al lavoro che a lei, malata da tempo e senza altre fonti di reddito – a parte la pensione, ancora più piccola, del marito – rappresenta l’unico sostentamento. Insomma, davvero niente da ridere. «Il 4 gennaio mia madre è andata in banca a ritirare la pensione – racconta la figlia della donna che, per ragioni di riservatezza, preferisce non comparire – ma l’accredito non risultava. Il giorno dopo c’è tornata e i soldi ancora una volta non c’erano. Allora è andata all’Inps a chiedere il perché di questo ritardo».
È qui che, facendo una verifica al computer, il personale dell’ufficio grossetano ha fatto l’incredibile scoperta: la signora, per l’Inps, risultava deceduta e quindi la sua pensione era stata sospesa. «Ci hanno detto che l’Anagrafe del paese natale di mia madre aveva inviato la comunicazione della morte e che automaticamente la pensione era stata cancellata – spiega ancora la figlia – Così abbiamo chiamato l’Anagrafe, ma a loro non risulta di aver fatto alcuna comunicazione del genere».
Anche al Tirreno l’ufficio Anagrafe conferma di non aver inviato comunicazioni del genere. Forse l’ha fatto un altro Comune con un’omonima della signora? Cosa abbia generato l’errore non è chiaro. Fatto sta che l’errore c’è stato e a pagarne le conseguenze è una signora che soffre di diverse malattie gravemente invalidanti e che, per la propria salute, dovrebbe evitare ogni stress. Ma purtroppo per lei lo stress ha subito, se possibile, un’impennata ancora più grande.
Se, infatti, per un errore del genere c’è rimedio, in questo caso alla velocità fulminea con cui l’Inps ha cancellato la pensione della signora non corrisponde altrettanta rapidità nel rimettere le cose come stavano. Insomma, a due settimane di distanza non è stato ancora possibile sbloccare la pratica e versare la legittima pensione.
Per questo la famiglia della signora si è rivolta a un avvocato, Clara Mecacci, che come prima mossa ha inviato una richiesta all’Inps, segnalando che la sua assistita stava subendo «gravissimi danni patrimoniali e non, che incidono anche sul suo diritto alla salute» e chiedendo che la pensione le venisse ripristinata nel giro di pochi giorni.
L’Inps ha riconosciuto che c’è stato un errore ma ha spiegato che non è possibile ripristinare una pensione che sia stata eliminata e che, per “creare” una nuova pensione, occorre più tempo. «È una vicenda che ha dell’incredibile – spiega Clara Mecacci – Ok, è stato fatto un errore. Ma cosa ci vuole a sistemare le cose?».
A quel punto Mecacci ha presentato un ricorso d’urgenza al giudice del lavoro, con la richiesta, oltre che della pensione, anche degli interessi e dei danni subiti dalla sua cliente, e lamentando di non aver avuto dall’Inps un’indicazione precisa sui tempi.  concludioampedita una raccomandata all’Inps
Al Tirreno l’Inps conferma che la pratica non è immediata. «Le comunicazioni di decesso arrivano telematicamente – dice l’Istituto di previdenza – e, una volta eliminata, una pensione non può essere ripristinata solo premendo un bottone. Occorre fare una nuova liquidazione ab origine riconteggiando tutte le quote riscosse. La sede grossetana si è attivata per lavorare tempestivamente sulla nuova pratica, ha già fatto il conteggio e la pratica viene monitorata per assicurarsi che l’operazione sia andata a buon fine. Al 99 per cento la pensione, ricalcolata, verrà erogata il 1º febbraio; se così non fosse sarà comunque una pensione provvisoria». A quel punto per la pensionata sarà passato un mese senza vedere il becco di un quattrino. «Loro parlano bene – conclude con amarezza la figlia – ma per chi prende una pensione da nemmeno 500 euro anche un mese fa la differenza»


  sbolliam la rabbia  con una storia   sepre  in ambito sanitario  ma  più allegro  che dimostra come  non tutti gli italiani  ,  nonostante  la deriva   sempre  più exenofoba  e di diffidenza  verso gli stranieri  ,  ad esempio


‪#‎Torino‬. Una mazza da baseball è la provocazione del candidato di centrodestra Luca Olivetti: "Se sei venuto


  c'è  chi non lo  è  ed  è solidare con loro . Peròla cosa  straan   e  che  si  è solidale    solo quando  sono integrati  .  la  vera  soidarietà  è


da    http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/  del 18\1\2016

Le mamme come angeli aiutano la bimba malata

Cicognara. Due anni e mezzo, figlia di immigrati e operata per un tumore. Solidarietà e turni per accompagnarla alle cure. «Ci si stringeva il cuore»
VIADANA. Gli occhioni della bimba guardano nel vuoto mentre i sorrisi di chi le sta attorno cercano di donarle un po’ di calore. Lei ha due anni e mezzo e nessuna colpa. Appena nata le hanno diagnosticato un tumore al cervello. Una tragedia che ha colpito una famiglia dignitosa. Immigrati, provenienti da un Paese lontano. Di religione diversa dalla maggioranza dei loro vicini di casa. Ma che hanno trovato nella comunità cicognarese il bene più prezioso: l’umanità. Perché, quando si è saputo della malattia della bimba e della difficoltà della famiglia, c’è chi ha gettato dietro le spalle ogni pregiudizio ed ha guardato solo al bene della bimba che oggi viene regolarmente accompagnata alle cure da una catena di mamme: angeli che se ne fanno carico senza chiedere nulla in cambio.
Tutto nasce a settembre scorso quando il parroco di Cicognara don Andrea Spreafico, che gestisce la chiesa che fu di don Mazzolari, racconta delle difficoltà di questa famiglia. La bimba è nata malata, è stata operata, ma il male ha ritardato la sua crescita. Non cammina e ha bisogno due volte la settimana di fare attività fisiatrica, di riabilitazione fisica all’Asl di Viadana. La mamma non ha la patente ed in casa c’è un altro figlio, un bimbo che va a scuola alle elementari e che patisce per la sorellina. Il padre lavora in un’azienda della zona, ma non riesce a prendere due permessi lavorativi alla settimana. L’azienda con lui ha chiuso un occhio finché ha potuto, ma la situazione non può andare avanti più di tanto. La famiglia si è così rivolta al Comune chiedendo un accompagnamento, ma sinora non ha ricevuto risposte positive alla domanda.
Le parole di don Andrea cadono come semi in un terreno fertile. Alcuni parrocchiani decidono di darsi da fare. In particolare alcune mamme, fra le quali una che ha la figlia della stessa età. «Ho pensato: ma se fosse capitato alla mia bimba? Mi si stringeva il cuore, perché sono una mamma anch’io. E non sono certo stata a pensare al fatto che fossero immigrati, musulmani o quant’altro. Se avevano diritto o meno. Queste cose si fanno, punto e basta. Sulle prime, assieme a mia madre, ci siamo organizzate in modo da dare un aiuto».
Le necessità sono tante. La carrozzella che era stata data dall’Asl non andava bene, perché troppo pesante per essere manovrata da una donna. Così si decide di comprare alla bimba una carrozzina adeguata. Servono poi auto un po’ grandi per caricare la bimba, la madre e il passeggino e infine la disponibilità di tempo il martedì e il venerdì mattina. «Le portiamo all’Asl di Viadana alle 11 e le andiamo a prendere a mezzogiorno – spiega una delle mamme –così da settembre a questa parte. Ci diamo il turno, ma speriamo che qualcuno aiuti questa povera bimba e la sua famiglia che con dignità sta vivendo questa situazione terribile»



19.4.15

“Io, in attesa di trapianto abbandonato all’ultimo dal mio donatore” Malato di leucemia: vorrei scrivergli ma l’identità è segreta

Capisco che uno possa rinuciare o non sentirsi pronto ok , ma rinunciare all'ultimo momento è proprio da carogne o da bastard inside ( come ho scritto nei tag ) . Molti diranno ma che nei sai tu ? perchè intervienei senza sapere , ecc . Anche se il mio caso , il mio trapianto e avvenuto da donatore morto ( uno dei primi in sardegna per la mia malattia ) le cornea destra , so cosa vuol dire aspettare un trapianto che può salvarti la vita o ridurre \ sconfiggere una tua malattia . Ed appunto per questo che mi chiedo perchè cazzo t'iscrivi o t'offri come donatore allora ? o lo faik fino in fondo o non lo fai per niente . Non so cos'altro dire per esprimere il mio disgusto ( salvo poi cambiare idea appena sentirò le sue motivazioni ) per tale persone . Lascio che a parlare sia la storia presa da http://www.lastampa.it del 18\4\2015
Dalla salvezza alla condanna il passo può essere brevissimo. «Sembrava fatta. Abbiamo aspettato un miracolo, ma il dono è diventato un pacco bomba». Il regalo che il signor Luca B., friulano di 65 anni, stava ricevendo era un midollo nuovo, in arrivo da un donatore anonimo, pronto a essere trapiantato nel suo corpo ferito dalla leucemia. Una fortunata coincidenza, visto che il tasso di compatibilità genetica è uno su centomila.
Ma, quando la macchina dell’intervento si è ormai messa in moto, arriva la notizia più crudele: il donatore ci ha ripensato. «Quando ci hanno detto che da qualche parte in Italia c’era una persona compatibile con papà è stata una gioia- racconta il figlio Francesco - l’eroe sconosciuto era toccato proprio a noi». I primi dubbi vengono sciolti: «Me lo sono chiesto dall’inizio: e se questo poi rinuncia? I medici lo escludevano, chi si tira indietro lo fa subito. A leggere siti e forum avevano ragione: i donatori sono persone molto motivate, anzi vivono la donazione come un regalo. Non capita tutti i giorni di avere la possibilità di salvare la vita di qualcuno». 
La speranza
Passa un mese, viene confermata la compatibilità di primo livello, quella di seconda, manca solo uno step: «Era fatta». L’idea di una beffa scompare. Poi però, con una mail al suo centro di riferimento, il donatore annuncia di averci ripensato dopo qualche strano rinvio: «L’ho capito dall’imbarazzo dei medici, non sapevano come dircelo». Per il signor Luca questo rifiuto è un problema serio, il fattore tempo nelle malattie ematiche è fondamentale, e, quando si è a pochi giorni dall’intervento, tornare indietro è un rischio enorme.  
Senza pace
La famiglia non si dà pace, il figlio scrive una lettera all’ex benefattore, ma il registro (per ovvie ragioni) impedisce ogni contatto tra donatore e paziente: «Se lui lo avesse detto subito, si sarebbe potuto contattare l’altro donatore identificato nella banca dati internazionale - ripete il figlio - non si sarebbe aspettato così tanto, correndo il rischio di far tornare la malattia, ma si sarebbero potute trovare altre soluzioni di tipo alternativo, magari cercando tra i membri della stessa famiglia del paziente». 
Il consenso
Eppure il consenso non viene estorto con leggerezza: «In Italia la selezione è molto seria - spiega Andrea Pizzuto, presidente dell’Admo, l’associazione dei donatori di midollo osseo - chi decide di iscriversi al registro viene informato in maniera precisa. Quando poi si trova una compatibilità ci sono una serie di passaggi duranti i quali si viene seguiti da figure specializzate». 
La frequenza
In Italia per fortuna questi casi non sono frequenti: «Nel 2014 solo il 4% ha rinunciato. All’estero le cifre sono maggiori». I motivi possono essere molti, anche un cambio dello stato di salute del donatore, ma in quel caso il diniego non arriva all’ultimo. «Il momento più critico è quando si deve trovare una data» spiega Paolo De Fabrizi, primario di ematologia del Sant’Eugenio di Roma.
Le rinunce
«Quella della possibile rinuncia è un punto debole di un sistema che ha salvato centinaia di migliaia di vite», aggiunge Ignazio Majolino, direttore di ematologia dell’ospedale San Camillo nella Capitale. 

20.2.14

Olbia, i genitori di Elysa: «Donare gli organi? Una scelta difficile» Marco e Teresa parlano della loro figlia quattordicenne morta sabato dopo un attacco di asma non controllato

Leggendo  , l'articolo  ---- che  trovate  sotto ----    della nuova  sardegna  d'oggi  ,  capisco    avendo  subito 22  ani fa  un trapianto di cornea   derivato  dalla degenerazione prematura  in ernia  corneale  del mio cheratocono  ,    la  dolororissima scelta  dei genitori 

Prima di'iniziare  il post d'oggi voglio consigliare  questo libro  di Abate Francesco  l'autore  parla del suo trapianto di fegato 


Valter si burla del mondo perché da sempre è abituato a perdere. Pensa che il mondo debba chiedergli scusa. Ma quando una malattia lo porta a un'odissea senza fine nel dolore, sente che invece è lui a dover chiedere scusa a tutti. Perché quello che credeva il suo dolore è una goccia del dolore del mondo. Una goccia dell'ingiustizia senza rimedio e spiegazione. E allora, forse, Valter può scoprire la gioia. La gioia di accettare e di vivere. La voce beffarda e innocente di un uomo che si è sempre rifugiato nel sarcasmo e nel risentimento per non soccombere. La sua caduta e rinascita diventano, in questo romanzo asciutto e commovente, il tentativo di risarcire ognuno per la misera condizione di essere umano di fronte al potere spesso crudele della natura. Ma anche un'indimenticabile dichiarazione di speranza. Saverio Mastrofranco è il nome con cui un "intenditore" di cinema chiamò Valerio Mastandrea chiedendogli un autografo per strada. Da quel giorno l'attore lo usa per piccole incursioni sulla scena musicale e letteraria. Dall'incontro con il giornalista Francesco Abate, il racconto di una storia vera: la vita ha sempre un lato comico, e questo libro, nudo e limpido come una pietra preziosa, lo scopre nel luogo piú impensato. Nel più estremo dolore.

qui sotto   in questi due articoli sempre  della nuova  sardegna  la vicenda  


di Serena Lullia



 OLBIA. Le lacrime si mescolano al sorriso dei ricordi. Il dolore convive con le risate, il suono della voce di Elysa, fissi nella mente di mamma Teresa e papà Marco Azzena. Un paio di giorni fa la loro figlia di soli 14 anni, è morta per un gravissimo attacco di asma. Dopo una settimana di coma la ragazza ha smesso di vivere. I genitori hanno deciso di donare gli organi. Un gesto di amore che ha ridato la speranza a quattro persone.

Ma babbo Marco non si sente un eroe. Non pensa di meritare un riconoscimento particolare per quella scelta. «Sono un uomo come tanti – dice –, un papà come tanti. Il gesto che abbiamo fatto non mi rende migliore degli altri, anche se non nascondo che mi inorgoglisce aver ricevuto tanto riconoscimento».
La piccola Elysa era stata ricoverata in ospedale il 6 febbraio. La ragazza era arrivata al Giovanni Paolo II già in stato di coma, da cui non si risveglierà più. «Vorrei spiegare come si possa morire per una crisi di asma – prosegue Marco –. In tanti, in questi giorni, ce lo hanno chiesto. In gergo tecnico si chiama asma non controllato ed è una malattia sottovalutata, silenziosa, che ti impedisce di essere una persona normale, di fare cose che ci sembrano scontate, come fare una passeggiata, fare sport, o solo seguire una lezione di ginnastica a scuola. L’asma non controllato ti costringe a prendere delle pastiglie ogni mattina e a usare la “pompetta” due volte al giorno. Così andava avanti da dieci anni, nella speranza di un miglioramento, nella speranza di guadagnare la cosiddetta normalità. Una normalità che per noi non arrivava mai, che ci ha costretto a girare ospedali, medici specialisti. Ci sentivamo dire che l’asma non era grave. Ma la nostra piccola non migliorava mai. Anzi negli ultimi tempi sembrava peggiorare, sebbene prendesse da tempo dosaggi di farmaci da adulto. Oggi, col senno di poi, penso che, anche solo aver avuto l’ossigeno a casa, le avrebbe allungato la vita e ci avrebbe risparmiato di diventare gli “eroi” della città, un ruolo che non ci si addice, che non avremmo mai voluto».
Papà Marco trova poi la forza di parlare della donazione degli organi della figlia. Sabato era cominciata la fase di osservazione per verificare lo stato di morte celebrale di Elysa. La procedura di accertamento prevede un rigido protocollo: per la constatazione della morte ci si basa sulla verifica, per almeno 6 ore consecutive, della contemporanea assenza dello stato di coscienza, di tutti i riflessi che coinvolgono l'encefalo, dell'attività respiratoria spontanea, dell'attività elettrica cerebrale. «“Io non ci sarei riuscito”, “Che grande gesto”: sono frasi che ci siamo sentiti dire in questi giorni – prosegue il padre di Elysa –. Ed è vero, è una decisione difficile da prendere tanto più perché, non molti sanno, che ti viene chiesto giorni prima, per avere il tempo di fare le analisi del caso e rintracciare i possibili riceventi compatibili da liste chilometriche, togliendoti anche quel briciolo di speranza che ti resta. Nessuno pensi che ci sia stato chiesto di acconsentire allo spegnimento delle macchine. Proprio a chi ha pensato queste cose dico “se un vostro caro avesse bisogno di un trapianto cosa cambierebbe nella vostra testa?”. E allo stesso tempo ci siamo chiesti se ci avessero proposto il trapianto di un polmone, per la nostra Ely, poteva essere la salvezza, la tanto sperata normalità. Questo pensiero ci ha guidati in una decisione che ci è costata, non sapete quanto. Perciò se potete donate. Perché il vostro dolore potrebbe dare la vita ad altre persone. Nel nostro caso quattro, e non sono poche».
La famiglia Azzena rivolge poi un pensiero ai medici del reparto di Rianimazione del Giovanni Paolo II che hanno assistito Elysa fino all’ultimo. «Tante volte ho sentito pesanti critiche nei confronti dei medici – dice papà Marco –, verso un sistema sanitario alimentato dal clientelismo, che troppe volte ha favorito l’amico o il figlio dell’amica a discapito di chi magari avrebbe meritato, perché la sanità pubblica, come tutti gli altri enti pubblici, è solo un bacino di voti in cui pescare all’occorrenza. Io ringrazio il personale del reparto di Rianimazione e il primario, Franco Pala, per esserci stati vicini. Per aver sopportato, per aver fatto tutto quello che potevano per noi, per alleviare la nostra attesa, per Elysa nel tentativo di salvarle la vita. Sono persone come noi, che a volte sbagliano, che si fanno carico di una responsabilità enorme che è la vita delle persone. A loro dico grazie. Come anche ai nostri amici, che hanno dimostrato un affetto per Ely, per noi, che mai ci saremmo aspettati. Agli amici di mia figlia dico “sono orgoglioso di voi, del bene che volevate a Elysa”».

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...