Quella d’oggi è l’Italia della terza età. Ogni anno il divario fra le morti e le nascite aumenta. Tra poco più di un decennio il numero dei lavoratori sarà superato da quello dei pensionati. Si andrà in quiescenza a 70 anni. Sarà un male necessario per evitare un tracollo delle casse pubbliche dello Stato. La terza età incomincerà più tardi e sfumerà rapidamente nella quarta. L’anzianità sarà più breve, la vecchiaia più lunga. Da una notizia di cronaca scaturisce una domanda: ma quand’è che si diventa vecchi? Si diventa vecchi quando l’anzianità, con i suoi sussulti di appannato vigore, comincia a avvertire una certa sazietà di vita. Quando ti accorgi che non sei più attore ma spettatore. Quando il mondo intorno a te si restringe e nella tua dotazione di amici e affetti le assenze hanno superato le presenze. Quando dall’azione passi alla contemplazione della vita. Non solo quella che ti scorre davanti, ma anche quella del tuo passato, di un mondo che credevi di avere dimenticato; invece l’avevi soltanto accantonato, e ora sotto forma di nostalgia ritorna. La nostalgia è fascinosa, è un dolore dolce che mentre fa male lenisce. A evocarla bastano delle canzoni ( vedere canzoni consigliate e colonna sonora ) , una o più fotografie in bianco e nero come quelle della mia famiglia e delle altre degli avi di parte materna e paterna sui mobili libreria di casa immagini di persone che si animano, ti parlano, raccontano. Sei colto da stupore. Come quello che ti assale quando vai in pensione saltando l’anzianità. E entri direttamente nella vecchiaia.Anche se gli imminenti 50 anni sono ancora pochi per arrivare alla vecchiaia . Anche se i pressuposti ci sono tutti . Basta vedere i continui richiami sulle bache e pagine o il proliferare sui social in particolare su fb di gruppie pagine ( a cui anche il sottoscritto è iscritto ) sugli anni dal 60 al 90 e la loro mitizzazione della loro cultura e arte \ letteratura . Non so altro dire . se lasciarvi alla musica . Infatti eccovi oltre a quelle tre : una ora in onda alla radio e le altre due ricordo mentale risvegliatosi all'ìimprovviso , la selezione di IA di bing da me consultata in proposito , canzoni italiane e internazionali che evocano la nostalgia del tempo passato, perfette per accompagnare riflessioni e ricordi :
Concludo in base alla strada fin qui fatta che ha ragione la IA quando dice che « La nostalgia musicale può essere potente: rischia di idealizzare il passato e di fe usata come strumento creativo, diventa un ponte tra memoria e riflessione, proprio come piace a te Giuseppe: trasformare l’ambiguità del ricordo in energia poetica e critica. »
E' notizia di questi giorni che : << Le opposizioni alla donazione degli organi continuano ad aumentare Da gennaio il 40 per cento di chi ha rinnovato la carta d'identità si è detto contrario: i dati preoccupano il centro nazionale trapianti >> ( da Le opposizioni alla donazione degli organi continuano ad aumentare - Il Post ) Ora da trapiantato di cornea , mi viene il magone nel leggere tali notizie e mi è venuto questo sfogo elucubratorio al limite del rimpianto e della nostalgia dei tempi andati .« Quando ho iniziato aveva un senso esporre anche le teorie bizzarre e fantasiose e dare spazio ai punti di vista più improbabili» afferma Martin Mystère nell’ultimo albo più pecisamete il n 421 ( locandina a destra ) . « Si poteva parlare tranquillamente di argomenti strampalati, perché non veniva mai messa in dubbio la capacità da parte del pubblico di discernere la realtà dalla fantasia. La davamo per scontata. Ma nel giro di neanche tanti anni, purtroppo, le cose sono cambiate: ci sono sempre più persone che guardano alla scienza con sospetto e diffidenza, e che seguono le “sirene” delle scuole di pensiero irrazionali e ascientifiche. » ( Lo sceneggiatore di Nemico del popolo, Francesco Matteuzzi, a Fumettologica replicando ai complottisti Trumpiani )
Infatti erano Bei tempi quelli in cui sui giornali e in tv , circa fino a 20\25 ani fa , aveva anche un senso esporre anche argomenti bizzarri .... e dare spazio a punti di vista più improbabili . Periodo in cui si poteva parlare e scrivere anche di argomenti strampalati perchè non veniva mai messa in dubbio la capacità da parte del pubblico e dei lettori di discernere la realtà dalla fantasia . La davamo per scontata . Ma nel giro di ne anche tanti anni anni purtroppo le cose sono cambiate ., ci sono sempre più persone che guardano alla scienza con sospetto e diffidenza ( e fin qui niente di male il dubbio è anche questo in quanto non esiste mai nulla o quasi d'assoluto e definitivo ) ma un conto è avere dubbi un altro è seguire acriticamente le Sirene .E proprio ciò mi ha riuportato alla mente questo ricordo scolastico di letteratura classica
“Tu arriverai, prima, dalle Sirene, che tutti
gli uomini incantano, chi arriva da loro.
A colui che ignaro s’accosta e ascolta la voce
delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini
gli sono vicini, felici che a casa è tornato,
ma le Sirene lo incantano con limpido canto,
adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa
di uomini putridi, con la pelle che raggrinza “
Omero Odissea libro XII, versi 39-46
del pensiero irrazionali e ascientifiche . Infatti c'è gente che crede veramente che la terra sia piatta .... per non parlare poi di tu.tte le ipotesi senza riscontri efettivi di complotto che circolano in rete e che alimentano paure ed alimentani l’imperante cultura del terrore, che si fonde col qualunquismo e la sfiducia e ci rende egoisti, e deboli. introduzione ( presa dal sito ufficiale del gruppo ) di Oltre la guerra e paura dei Mcr - da Dopo il lungo inverno
[... ] Mio fratello ha rinunciato ad avere un opinione\mio fratello ha rinunciato in cambio di un padrone
che sceglie al suo posto e che non può sbagliare \perché ormai nessuno lo riesce a giudicare "una canzone sui questi tempi bui ed inquieti. [... ].
Infatti : << ( ..... ) Inutile negarlo: la paura, in questi anni di stronzio, è diventata un'industria. Tra le più redditizie. Lavora a pieno ritmo, 24 ore su 24, in modo capillare. I versi del "Bombarolo" di Fabrizio De André si rivelano più che mai attuali: "Per strada tante facce / non hanno un bel colore; / qui, chi non terrorizza / si ammala di terrore". Strisciano le notiziuole e la gente commenta, dall'immancabile "ci vorrebbe la pena di morte!" (oggi ne ho contati quattro) ad altri variegati spezzoni di umanità di questo sciagurato inizio di millennio. L'industria della paura non nasce dal nulla. E' l'espressione necessaria e perfetta del sistema. Il sistema non può fare a meno della paura. (.... Riccardo venturi ) . Sempre sulla disinformazione e fake news concludo il post con un vecchio scritto cartaceo pre blog ritrovato nei giorni scorsi
Allora come si fa a distinguere la verità dalla menzogna Ti rispondo, caro me stesso, citando una frase di Philip.K.Dick ( Philip K. Dick, all'anagrafe Philip Kindred Dick Chicago, 16 dicembre 1928 – Santa Ana, 2 marzo 1982 è stato uno scrittore statunitense) : << la realtà è quella cosa che anche se smetti di crederci non scompare >>
Però si può smettere di crederci Certo ciascuno di noi può credere o non credere quello che vuole tuttavia esistono parametri oggettivi per stabilire cosa è vero e cosa no .... Non basta , almeno in teoria , ripetere un concetto per renderlo reale .... si può fare senz'altro in modo che qualcuno finisca per convincersene ma resterà comunque un falso .
Stai facendo politica ?
No . mi sto riferendo a quello che è successo con alcune persone esempio Mia martini .
Allora lo vedi che stai facendo politica 😂 😇E alle idiozie abissali alle quali nessuna persona dotata di senso critico e razionale potrebbe mai credere , ma purtroppo ci hanno creduto con le conseguenze che conosciamo
Capisco 😥😲👍🏼🤗🧠
......
Appena ritrovo l'altro foglio in cui parlo del complottismo lo riporterò in prossimo post . Sono stato fin troppo prolisso e logorroico . Alla prossima
fra le storie che mi hanno colpito di più questa settimana ce ne sono due . la prima presa dall'unione sarda mi pare del 1\12\2024 la seconda dal msn.it
Iniziamo con la Prima
Di buon mattino per le vie di Sadali ci si può imbattere in una scena normale cinquanta e più anni fa ma che nel 2024, per molti, è fuori dal tempo: una figura femminile longilinea che sul capo porta con innato equilibrio e eleganza una bacinella contenente i panni da lavare al lavatoio. Si tratta di Cecilia Deplanu, novantenne, che sull'utilità della lavatrice non ha dubbi: «Giusto per le emergenze, come quando trent'anni fa fui ricoverata per un intervento chirurgico, oppure dare una rinfrescata al bucato perché, per come la vedo io, se in lavatrice si mettono i panni puliti vengono puliti, se invece si vuole dare una lavata come si deve a quelli sporchi, resteranno sporchi». La famiglia La novantenne è nata e ha vissuto stabilmente la sua vita a Sadali. Primogenita di undici figli del
cantoniere Salvatore Deplanu che nel 1952, come si usava dire, «le prestò quattro anni» per andare in sposa, ancora 17enne, ad Armando Carta, classe 1927. Cecilia ed Armando hanno avuto quattro figli maschi. «I miei ragazzi, sin da piccoli - racconta la novantenne - sono stati abituati ad aiutarci in casa e nei campi. Il maggiore, Antonio, badava ai più piccoli. Tutti venivano con noi a lavorare la campagna o fare legna. Li abbiamo cresciuti come i nostri genitori fecero con noi. A undici anni, mia mamma mi mandava al fiume, che scorreva poco distante dalla nostra casa, a lavare i ciripà dei miei fratellini. Ricordo quando abitavamo nella cantoniera, tra Sadali e Seulo, che è stata abbattuta molti anni fa, ci spostavamo a piedi fino all'orto nei pressi di Villanova Tulo». La vita Nonna Cecilia prosegue lucidissima sul filo della memoria di un'infanzia vissuta in una civiltà che ormai non esiste più: «Ricordo i giorni della trebbiatura nelle calde giornate di luglio, la nostra vita era così, semplice e scandita dal lavoro. Non avevamo tutto ma l'indispensabile non ci mancava. Facendo il paragone con i tempi attuali, ho l'impressione fossimo più felici noi. Adesso hanno tutto eppure non è mai abbastanza, le persone sembrano sempre insoddisfatte, scontente. Non cambierei la mia vita, trascorsa al fianco di mio marito che mi ha lasciato all'inizio di quest'anno dopo 72 anni di matrimonio. Con Armando ci siamo sempre rispettati e voluti bene, i nostri figli ci hanno dato grandi soddisfazioni. Il maggiore laureato in veterinaria ha fatto tutto da solo, il diploma alle scuole superiori di Nuoro e la laurea a Sassari. Con suo padre andammo il giorno della discussione della tesi a Sassari, ricordo ancora l'emozione quando i professori vennero a congratularsi con noi genitori. Così gli altri figli e i nipoti, mai un dispiacere. Auguro a tutti una vita, se non migliore, felice come la mia». Nonna Cecilia, negli ultimi giorni le temperature sono calate sensibilmente, non sarebbe meglio ricorrere alla lavatrice? «No, l'acqua del lavatoio non è mai particolarmente fredda, e poi, non so, sarà una fissazione la mia, ma venire qui a fare il bucato mi fa sentire bene, alcuni giorni al lavatoio vengono anche alcune ragazze». Quanti anni hanno? «Credo una ventina meno di me». Dopo aver fatto il bucato riportarlo a casa sulla testa appesantito dall'acqua è ancora più faticoso? «Per questo, lavo prima le cose più ingombranti e difficili da strizzare a mano che stendo a sgocciolare mentre finisco di lavare il resto del bucato, questo proprio per evitare che l'acqua appesantisca eccessivamente il carico che devo portare». Quando ha imparato a portare sulla testa i carichi così pesanti? «Da bambina, mia nonna e mia mamma mi insegnarono come fare, con “su tidili” un grembiule ripieganto circolarmente da frapporre tra la testa e il peso da portare, è stato semplice fin da subito. Il lavatoio è stato un grande vantaggio per le donne, prima andavamo al fiume».
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La seconda
Per anni Gertrude è stata una dei troppi bambini la cui esistenza si era spezzata nel campo di concentramento di Auschwitz. Una rapida apparizione nella storia la sua, scoperta per altro casualmente, al fianco del padre Isidor Stricks, un cittadino polacco ebreo catturato vicino a Roma e deportato nei campi di sterminio.
Per una facile associazione, e dal momento che non sempre i bambini venivano registrati sui treni della morte, la convinzione che anche lei avesse finito i suoi giorni in un lager. «Ma Trudy lì non e mai arrivata, si è salvata ed è ancora viva: oggi ha 86 anni, si trova in America, è sposata e ha tre figli. Ha un sorriso bellissimo e una forza senza pari»: la descrive così Maria Grazia Lancellotti, oggi preside del liceo classico e linguistico della Capitale Orazio che, nell’ambito del progetto «Il civico giusto» (diretto da Paolo Masini), che si pone l’obiettivo di scoprire storie di solidarietà e di coraggio nell’Italia fascista al tempo delle leggi razziali, si è imbattuta in un dettaglio che ha catturato la sua attenzione, tanto da portarla alla ricerca della verità. «Mi stavo documentando sulla fuga di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat dal carcere romano di Regina Coeli quando nei racconti Marcella Ficca, la moglie di Alfredo Monaco, il medico che quella fuga ideò, comparvero Trudy e suo padre - racconta Lancellotti -. Mi disse che quest’uomo che teneva stretta a sé una bambina di 5-6 anni, prima di essere caricato sul camion diretto a Fossoli, le rivolse uno sguardo terrorizzato, come di chi non sapeva cosa lo aspettasse, trovò gli occhi di una donna, le fece un cenno, si fidò e le affidò quello che aveva di più caro pur di salvarlo». Così Marcella ospita la piccola in casa sua per qualche mese, fino a quando la mamma, Fanny, non la rintraccia e la riprende con sé. Da qui iniziano peripezie, fughe e lunghe settimane nascoste in due distinti conventi di Roma, fino alla fine della guerra. Poi la salvezza arriva quando a luglio del 1944 salgono a bordo Herry Gibbons, nave che salpa da Napoli con mille profughi e raggiunge Oswego, negli Stati Uniti. «Da qui si perdono le tracce della piccola Trudy, la mamma si sposa e cambia cognome. La stessa cosa fa lei anni dopo - riprende il filo dei ricordi Lancellotti -. Ma a questo punto volevo arrivare alla verità su di lei per cui ho scritto a un museo della città: Trudy in America doveva essere arrivata viva e qualcuno doveva sapere qualcosa di lei. Poco dopo mi ha risposto direttamente suo figlio Brian e mi ha raccontato la vita di sua mamma Gertrude». Il caso poi ha voluto che lo stesso Brian avesse già in programma un viaggio in Italia per la scorsa estate. Con l’occasione è andato anche a Roma, dove ha potuto conoscere e abbracciare i figli di Alfredo e Marcella Monaco. «Purtroppo loro sono morti senza sapere se quella bambina ebrea che avevano salvato alla fine ce l’avesse fatta, ma l’aver scoperto il loro grande gesto d’amore ha fatto in modo che venissero avviate le pratiche allo Yad Vashem per far insignirli del titolo di “Giusti fra le Nazioni”». Non è stato facile per la preside Lancellotti. «Ci sono stati momenti in cui mi sono sentita in soggezione, sono entrata a gamba tesa nella vita di tante persone e ho riallacciato un filo che negli anni si era lacerato - conclude -. Ma questo è anche il bello del nostro progetto che portiamo nelle scuole, perché la storia si possa vivere con empatia. E comunque le vicende di Trudy non finiscono qui, perché voglio farne un libro».
Riporto , dall'amico Augusto Ditel un bellissimo spaccato di vita “locale” che tratteggiano benissimo i protagonisti con un po' di nostalgia dei tempi che furono . Infatti siamo nel magico campo delle bugie a sfondo marinaro, con apoteosi in mitologiche battute di pesca che Stefano Benni definiva “Ittiomachia”
Arriva di buon mattino, parcheggia l’auto al fresco, aggrotta le sopracciglia, inforca gli occhiali da sole, specchiati con lenti blu notte. Accanto allo zaino, ecco spuntare uno shopper mezzo sdrucito, di quelli del supermercato, che contiene un retino nero a maglie fitte. Piomba sulla spiaggia, si rifugia in un cantuccio, a venti centimetri dalla battigia (non stima quelli che la chiamano, sbagliando, bagnasciuga). Estrae il retino, all’interno del quale i tre chili di cozze sembrano riconoscerlo per fargli festa, incuranti del loro destino che le vedrà perire, dopo l’incontro ravvicinato con l’apposito coltellino da “isbucciuladore”, come si ama dire in olbiese doc. Estrae un masso di tre-quattro chili dalla spiaggetta dove i bimbi costruiscono castelli medievali e scolpiscono improbabili montagne. Immerge il retino con i mitili in un piccolo anfratto disseminato di patelle (attenzione: non si possono prendere), copre tutto con il sasso largo e piatto. L’operazione “spurgo in mare” dura un’ora al massimo. Poi, l’assalto garbato. Una, due, tre, quattro,cinque, cinquanta cozze transitano dal guscio allo stomaco in un battibaleno. Passano i turisti, quasi sempre del nord. Lo scrutano, lo osservano senza farsi notare, tra il sospettoso e il divertito. Sono quasi sempre del nord, i vacanzieri curiosi, spesso veneti. Molti rifiutano l’invito a gustare una simile prelibatezza, altri accettano. E gradiscono,rinunciando persino al limone. “Le ha pescate qui?”, domanda la signora, che ignora le tecniche di allevamento e soprattutto il fatto che la parola cozza faccia rima con Olbia, almeno in Sardegna. “Sì, certo - mente lui, indicando uno scoglietto, impervio e lontano una decina di metri. “Dài, tesoro - sussurra la signora al marito incredulo, con gambe e torace bianco latte- domani ci proviamo, poi lo racconteremo ai nostri figli. E diremo loro che la Sardegna è magica anche per questo”.
Lui se la ride sotto i baffi (che non ha) e si ricorda di un vecchio adagio gallurese: “Faula ch’habbisogna, no’ è piccatu, né valgogna”…(una bugia detta per bisogno, non è peccato né vergogna”) Evviva le cozze.
(Ogni riferimento a fatti o a cose reali NON è puramente casuale)