queste due storie minroportano in mente due precedenti post uno mio una specie di recensione sul film un sapore di ruggine ed ossa e il secondo tratto da una storia vera dell'utente Daniela Maria Tuscano
Impiegata trapiantata di fegato dà alla luce bimbo a 37 anni
Impiegata trapiantata di fegato dà alla luce bimbo a 37 anni
Maela Donadello è stata colpita da un'epatite fumlinante a 19 anni: una donazione le ha salvato la vita
di Sabrina Tomè
di Sabrina Tomè
Maela con il piccolo Alvise e il marito Roberto |
PADOVA. Aveva 19 anni quando è stata colpita da un’epatite B fulminante
ed è entrata in coma. Si è salvata grazie a un dono prezioso, il fegato
di una ragazza deceduta mentre lei, con la morte, ci stava lottando.
Maela si è risvegliata dopo il trapianto con la prospettiva di una nuova
vita davanti. E ora, a 37 anni, ha a partorito uno splendido bimbo:
Alvise, nome scelto in onore del medico che le fece il trapianto.
È una storia di speranza, di fiducia, di coraggio e di buona sanità
quella che ha per protagonista un’impiegata del settore informatico,
Maela Donadello originaria di Padova, ma residente a Mira con il marito
Roberto Furegon di 42 anni. Giovedì scorso, poco dopo le 19, alla
Clinica Ostetrica di Padova, la donna ha dato alla luce alla
trentaquattresima settimana e col parto cesareo, un bimbo di 2 chili e
230 grammi.Il neonato è rimasto solo un giorno nella culla termica: ora
sta benissimo, così come in perfetta salute è la sua mamma. Che ha
coronato un sogno ritenuto a lungo irrealizzabile.
Maela si ammala nel marzo del ’98, la diagnosi è terribile: epatite
fulminante. Il tempo, però, è dalla sua parte: pochi giorni dopo, il 4
aprile, la giovane viene ricoverata a Padova e sottoposta a trapianto di
fegato eseguito a dall’équipe del professor Alvise Maffei e Giorgio
Gerunda. Dopo venti giorni Maela, che lotta come un leone per
riprendersi la vita, è già a a casa. «Ho reagito, aiutata forse dalla
giovane età», racconta oggi dal suo letto in Azienda Ospedaliera, «In
questi anni la qualità della vita è stata ottima, non ho avuto problemi
di rigetto». A sostenerla nel percorso clinico sono la dottoressa Rosa
Iemmolo del Policlinico di Modena (Gerunda nel 2003 divenne primario
nell’ospedale della città emiliana). Tutto procede per il meglio, poi,
nell’aprile dello scorso anno, una battuta d’arresto: un intervento di
anastomosi bilio-digestiva per stenosi anastomotica. Maela supera questo
scoglio, ma a luglio si presenta un altro problema che la costringe a
un ricovero a Mirano. L’impiegata si riprende, ma il suo fisico è
indebolito. E lei, che da tempo desidera un figlio, si rassegna all’idea
di non poterlo avere. «Non era arrivato prima, non credevo potesse
arrivare mai più», racconta, «D’altra parte, pensai, non si può volere
tutto». Due mesi dopo, a settembre, Maela è incinta. Seguita a Padova
dal professor Guido Ambrosini, la donna ha una gravidanza che lei
descrive bellissima. Fino a quando aumentano pericolosamente i valori
dei sali biliari. Maela viene immediatamente ricoverata alla Clinica
ostetrica del professor Erich Cosmi.
«Grazie alle cure e al costante monitoraggio è stato raggiunto il fantastico traguardo di 34
settimane», spiega Maela. Alle 19.13 del 14 aprile nasce Alvise. «Il
mio grazie eterno», dice Maela, «oltre alla mia famiglia, ai medici che
hanno fatto della professione una passione, agli angeli custodi,va ai meravigliosi genitori della ragazza che ha donato il fegato».
Tragedia sul lavoro: operaio settantenne cade dalla scala e muore
L'uomo era in un garage in
via De Martino quando è stato colto da un malore. La polizia e
l'ispettorato del lavoro indagano sulla sua posizione contrattuale
di Emilio D'Arco
SALERNO. Quando lo hanno visto a terra, tra barattoli di vernice e gli attrezzi con i quali stava lavorando, probabilmente il suo cuore aveva già cessato di battere. Luigi Gaeta, 69enne residente nella frazione Cappelle, è l’ennesima vittima di un incidente sul luogo di lavoro. Nel suo caso la situazione è resa più drammatica dall’età. Non sono ancora chiare le circostanze che avrebbero visto l’uomo lavorare da solo all’interno di un garage in via Renato De Martino, nel rione Carmine. Sul luogo della tragedia, dopo le forze dell’ordine sono giunti anche gli uomini dell’Ispettorato del lavoro per raccogliere la documentazione necessaria a fare luce sulla vicenda.
Da chiarire, oltre alla dinamica dell’incidente, restano soprattutto le motivazioni che hanno spinto un uomo di 69 anni lavorare in condizioni di rischio. Secondo le prime ricostruzioni, il garage, un tempo officina meccanica, sarebbe dovuto diventare un locale farmacia della Clinica Tortorella, che si trova a poca distanza. Serviva mettere a nuovo i locali in questione e per questo era stata disposta l’imbiancatura delle pareti interne. I dettagli sulla proprietà del garage sono ora al vaglio dell’Ispettorato del lavoro, intento a valutare non solo l’effettiva regolarità dell’uomo ma soprattutto chi abbia commissionato l’intervento. Il garage potrebbe infatti esser stato semplicemente dato in affitto alla clinica, con lavori a carico del locatore su cui gravava, quindi, l’obbligo di accertarsi della regolarità della posizione dei lavoratori. Sono tanti i fattori da valutare, compreso quello sulla responsabilità della sicurezza e su chi dovesse controllare effettivamente chi entrava e usciva da quel garage.
L’incidente ha provocato sgomento sia nel quartiere, dove tantissima gente si è accalcata sull’uscio del garage per capire cosa fosse accaduto, sia nella frazione di Cappelle dove il 69enne operaio abitava con i familiarieravigliosi genitori della ragazza che ha donato il fegato».