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15.11.25

cosa è la morte ? Roberto Demontis medico legale : «Sfido ogni giorno i misteri della morte»


La morte è dunque un fenomeno complesso in quanto  ha  doverse sfaccetture   in senso  : 

  • Biologico, come cessazione delle funzioni vitali. la morte è l’estinzione dell’individualità corporea: non tanto dei singoli elementi che compongono il corpo, quanto delle relazioni vitali tra organi e funzioni.La medicina ha ridefinito nel tempo i criteri di diagnosi di morte, soprattutto con l’avvento di tecniche come la rianimazione cardio-polmonare e i trapianti di organi.Oggi si distinguono concetti come morte cerebrale (cessazione irreversibile delle funzioni del cervello) e arresto cardiaco, che hanno implicazioni etiche e giuridiche.

  • Filosofico, come limite e possibilità ultima dell’esistenza.Nella filosofia antica, la morte era spesso vista come passaggio o dissoluzione in un ciclo cosmico di rigenerazione.In una prospettiva dualistica, l’uomo è corpo mortale e anima immortale: la morte riguarda solo la parte corporea.L’esistenzialismo (Heidegger in particolare) la interpreta come “situazione-limite”, la possibilità ultima che condiziona l’intera esistenza.Per molti pensatori, la morte non è solo fine, ma anche ciò che dà senso alla vita, perché ci obbliga a confrontarci con la finitezza

  • Sociale ed etico, come evento che richiede rituali, norme e riflessioni collettive.In   sintesi \  altre parole, la morte non è solo la fine della vita, ma anche un orizzonte di senso che plasma il modo in cui viviamo, pensiamo e ci relazioniamo.Infatti  la morte è anche un fatto sociale: ogni cultura ha rituali funerari che trasformano l’evento naturale in un processo simbolico e comunitario.In bioetica, la definizione di morte è stata ridiscussa con le nuove tecnologie mediche: condizioni come lo stato vegetativo mostrano come la vita biologica possa continuare senza coscienza.Questo apre dilemmi su cosa significhi davvero “essere vivi” e su chi abbia il diritto di decidere quando la vita è conclusa.

In altre parole, sintetizzando , la morte non è solo la fine della vita, ma anche un orizzonte di senso che plasma il modo in cui viviamo, pensiamo e ci relazioniamo.


dopo questo  sproloquio \  spiegone     ecc cosa  ne  pensa  

  unione     sarda 15\11\2025  


Roberto Demontis: «Sfido ogni giorno i misteri della morte»




La decisione è di fine anni Settanta: «Mi laureo in Medicina e poi faccio il medico legale», pensò l’adolescente cagliaritano Roberto Demontis. A dire il vero, non l’ha solo pensato: l’ha proprio fatto. Galeotto fu il telefilm “Quincy”: «Lo guardavo, mi appassionava come riuscisse a risolvere i casi di omicidio più complicati studiando la scena del delitto e il cadavere della vittima».
D’accordo, ma da adolescenti tutti pensiamo di fare il pompiere oppure il cantante, l’attore o il Papa. Lei si è immaginato fra i cadaveri, peraltro frutto di morti violente.
«Evidentemente sì, visto com’è andata. E non me ne sono mai pentito: la medicina legale è estremamente interessante, difficile e richiede molto rigore. E dà risposte, questo mi piace».
Cambiano i tempi, e con essi cambiano le “scuole di pensiero”: qualche decennio fa il medico legale era uno che «tagliava cadaveri» e la gente lo guardava con qualche brivido. Poi dagli Stati Uniti sono arrivate le serie tv in cui il coroner (il medico legale, appunto) era protagonista, risolveva i casi giudiziari più intricati e in qualche caso - come ad esempio il dottor Donald Mallard, serie tv Ncis - il personaggio del coroner è stato disegnato con i tratti del genio, coltissimo in tutti i settori e dotato di grande senso di umanità. «Ma quelli sono telefilm», ridacchia Roberto Demontis, 63 anni, cagliaritano, che il coroner («No, il medico legale», corregge lui) lo fa dal 1992. Sposato, tre figli, laureato a Cagliari, specializzato a Roma all’Università di Tor Vergata, dottorato in Criminalistica e master in Odontostomatologia forense, ora è direttore della struttura complessa di Medicina legale dove ha sei colleghi su cui contare e ha sede all’Oncologico Businco di Cagliari, quindi all’Arnas Brotzu. Però è un medico universitario, infatti insegna all’Ateneo cagliaritano. Ama ridere e scherzare, adora i momenti di leggerezza, ma spacca la sua vita in due: quando si lavora e quando non si lavora. Riuscendo a essere due persone simili, ma non le stesse. In poche parole, «in sala autopsie ci mando il dottor Demontis, mai Roberto». Tant’è vero che, una volta, gli capitò di fare la perizia necroscopica a un parente: «Lo feci senza pensarci. Lo feci e basta. Così come l’oncologo davanti al paziente bambino senza più speranza, anche il medico legale dev’essere impassibile».

Quanto interferiscono le emozioni, nel suo lavoro?

«Il giorno in cui mi coglierà un’emozione, smetterò di fare le autopsie e i sopralluoghi sulla scena del crimine».

Addirittura.
«Il principale segreto del nostro lavoro è non provarle proprio, le emozioni, perché conducono su piste sbagliate. Io analizzo, ho un corpo da intervistare con gli occhi, da osservare nel dettaglio, da leggere attraverso esami di laboratorio che richiedono tempo come ad esempio quello tossicologico. Devo studiare dove sono le ferite per ricostruire la dinamica del delitto, assegnare le posizioni di vittima e assassino nella scena del crimine, capire chi e che cosa ha ucciso una persona. E anche se è realmente un omicidio. A proposito: l’analisi del luogo del delitto è importante quanto l’autopsia, infatti chiedo sempre di poterla vedere prima che le forze dell’ordine e perfino la Scientifica della polizia o i Ris dei carabinieri possano modificarla. Ci sono dettagli decisivi, e il medico legale fa la sua indagine sulla base di parametri diversi da quelli utilizzati dagli investigatori».

I medici legali delle serie tv americane parlano con i cadaveri e sostengono che, in qualche modo, rispondano.

«Nei telefilm tutto si può fare, ma poi la vita vera è un’altra cosa. Non parlo con i morti ma è vero che in un certo senso loro lo fanno con me, ovviamente non con le parole. Osservandoli, scopro tante cose di loro in generale, a partire dalle malattie di cui soffrivano, e soprattutto come sono deceduti».

Ma ci saranno “pazienti” speciali. I bambini, ad esempio.

«No, nessuno può essere speciale. Io cerco tracce sempre, e sempre le seguo per scoprire la quantità massima di verità possibile. Il metodo non deve cambiare, a meno che non ci siano nuovi strumenti d’indagine forense: ca mbia solo chi ho sul tavolo e io mi concentro sul lavoro. Poi, ripulisco la mente e non ci penso più».

Ma ci sarà pure un caso che ricorda più di altri.

«Ovviamente sì, tutti ricordiamo le anomalie statistiche e le stranezze che troviamo nel nostro lavoro. Posso dire di quell’autopsia in cui ho visto una cosa nuova: l’assassino scuoiò il volto della vittima. Essendo un regolamento di conti fra criminali, il senso era: “Hai perso la faccia”. E poi un caso nell’Oristanese: un cadavere fatto a pezzi e sparso all’aperto. Passai quindici giorni a cercarli e raccoglierli. Ancora: mi accorsi, dall’esame della scena del crimine, che l’assassino era claudicante: lo indicavano le impronte. Ed era così, fu arrestato e condannato».

Quando un suo esame è stato decisivo per trovare il colpevole?

«I nostri esami lo sono spesso. Una volta, un caso che si stava per archiviare come suicidio è divenuto un’indagine per omicidio. In generale, il medico legale è spesso determinante».

E capita che il medico legale faccia prosciogliere un sospettato?

«Eccome: spesso troviamo gli assassini, in altri casi capiamo che il sospettato non è l’assassino».

Il suo primo caso?

«L’autopsia di un feto morto in utero».

Niente vi sarà risparmiato.

«È nelle cose: siamo medici legali».

Le donne non uccidono?

«Pochissimo, generalmente per difendersi da mariti o compagni violenti. Usano armi bianche, cioè lame».

Eliminano quelli che poi, se non lo fanno, le uccidono?

«In certi casi, sì».

Gli assassini sardi sono più o meno cattivi rispetto alla media?
«Il numero degli omicidi è stabile da una ventina d’anni. È cambiato il movente: prima era per punire l’abigeato, o per le faide, invece ora sono appunto più passionali, legati a tradimenti, senza differenze per il grado di crudeltà rispetto al resto d’Italia».

Tanti cervelli, in giro, sono rovinati da abusi di alcol e droghe, soprattutto nell’adolescen
za.
«Vero, e questo ha un peso sugli omicidi: non controllano la violenza e i danni creati dalle sostanze in giovane età sono ben presenti per tutto il resto della vita».

Passiamo alle tristezze non dei morti, ma dei vivi. Lei è assessore alle Politiche sociali del Comune di Sinnai. Dove trova la forza
?
«Mi realizzo quando riesco a compiere un progetto. Ad esempio, Sinnai è stato uno dei primi Comuni cardioprotetti, perché abbiamo fatto installare i defibrillatori in giro. Poi organizziamo corsi di primo soccorso ed è un mondo di vivi che mi aiuta a compensare quello dei morti. In Comune ho una buona squadra, e un’altra ce l’ho nella struttura complessa di Medicina legale».

Lei è credente. Trova mai Dio durante le autopsie?

«No, mai. Trovo indizi e prove, sono concentrato su quello perché è ciò che mi si richiede, quindi devo mantenere la freddezza. Devo affermare qualcosa solo quando trovo i riscontri e quindi sono focalizzato sulla ricerca».

Però, in un corpo martoriato dalla violenza, almeno Satana qualche volta l’avrà intravisto.

«Non ho di queste frequentazioni, nemmeno sul lavoro. L’ho detto: se un giorno mi ritrovassi a provare qualche emozione durante un’autopsia o l’analisi di una scena del crimine, quello sarà il mio ultimo giorno sul campo e lascerò lavorare solo la mia squadra. Fede, emozioni, per il medico legale sono sovrastrutture, dunque un lusso che non si può permettere. Solo le prove hanno diritto di parola, in questo lavoro dove l’ego si deve annullare. Poi spegni la luce nella sala e te ne vai, e a quel punto vivi tutte le emozioni che vuoi, ma con una regola: finita l’autopsia, io manco mi ricordo il volto della persona che avevo sul tavolo, con due vantaggi. Il primo è poter avere una vita totalmente al di fuori di questo, l’altro è di dare al pm o al giudice un supporto credibile e scientifico per trovare l’assassino. Quello giusto».

23.9.25

l’immagine surreale dei banchi di governo durante il minuto di silenzio per Charlie Kirk alla Camera. La destra-destra spiegata in uno scatto.




Charlie Kirk per la destra di questo Paese: è  stato pace  all'anima  sua  ,   una gigantesca strumentalizzazione, uno sciacallaggio politico indegno, un uso politico e propagandistico per  uno di cui fino a due settimane fa non (  salvo l'ala  più  estrema  ed  extra  parlamentare  )   ne conoscevano neanche l’esistenza. Infatti   avendo chiesto  il  minuto   di silenzio , lo hanno fatto per uno la cui idea di libertà era umiliare e discriminare chi non la pensava come lui. E  fin qui  niente  di  nuovo  :😥🙄 . La  novità  , ser  tale  si  può  chiamare   sta nel  fatto E neanche si sono presentati. Un altra  prova      dopo quelle  di Gaza  e di  Cutro    dell'uso  strumentale  della  morte   . La vergogna dei senza vergogna.

26.8.25

Il corpo di Sinigaglia non sarà recuperato (ed ecco perché è la montagna a chiedercelo

i parenti dovranno rassegnarsi a piangerlo davanti a un loculo cimiteriale o un vaso funebre se decidono di cremarlo e conservare le ceneri . Posso piangerlo , non c'è niente di male , ovviamente è u mio parere .


Msn.it  



Primo esempio: non sarà recuperato il corpo di Luca Sinigaglia, alpinista milanese morto sul Pobeda Peak (7.439 metri tra Kirghizistan e Cina) mentre tentava di raggiungere un'amica bloccata e che, con ogni probabilità, è già morta anche lei. I soccorritori erano pronti, ma l'autorizzazione del governo kirghiso è stata revocata senza spiegazioni com'è d'uso da quelle parti. La salma resterà lassù, e il gelo la conserverà intatta per decenni come pure accade a centinaia di alpinisti rimasti in quota. È relativamente normale, e va spiegato: in alta montagna non tutti i morti possono essere recuperati per via dei costi ma anche di logistica, di geopolitica e di sopravvivenza dei soccorritori: un corpo ghiacciato può pesare oltre cento chili e richiede una cordata di almeno otto uomini per essere trascinato, e, dai settemila in su, ogni sforzo in più significa rischiare seriamente la pelle. Secondo esempio, più vicino. Un alpinista pure lui lombardo è stato ucciso l'altro ieri dal crollo di un seracco (un blocco di ghiaccio formato da un ghiacciaio) e questo sul Mont Blanc du Tacul, vetta di 4.240 metri nel versante francese del Monte Bianco. Un suo compagno, ferito, è stato salvato da un elicottero: in questo caso i soccorsi sono stati possibili perché la quota è meno proibitiva e il meteo era compatibile, ma, già a 4mila metri, e coi seracchi che crollano e le nevi instabili, non sempre un recupero è scontato.
Daniele Nardi e Tom Ballard rappresentano il terzo esempio. Uno italiano e uno inglese, le loro salme sono a tutt'ora sul Nanga Parbat (8.126) dal febbraio 2019: droni, elicotteri e altri alpinisti permisero di localizzarne i corpi, i quali, tuttavia, erano e restano in un punto ritenuto troppo pericoloso per ogni tentativo: lo stesso Reinhold Messner aveva sconsigliato Nardi di provare per quella via. Le famiglie dei due alpinisti si opposero poi a ogni possibile tentativo di recupero e dissero che preferivano che diventassero parte integrante del Nanga Parbat.
A quelle altitudini vale una legge non scritta che sfiora la crudeltà: spesso non si può soccorre un compagno, o chicchessia, anche se sono ancora vivi, perché portarli o trascinarli può significare condannare anche se stessi insieme a loro. È accaduto sovente soprattutto sull'Everest, dove alpinisti agonizzanti sono stati superati da altri che salivano o scendevano senza che nessuno potesse o volesse intervenire: raramente per mancanza di pietà, più spesso perché salvarne uno avrebbe significato perderne due.
Nessun luogo concentra questa realtà come l'Everest. Nella cosiddetta Valle dell'Arcobaleno, sotto la cresta nord, visibili o invisibili, ci sono almeno duecento corpi, e alcuni sono divenuti dei veri e propri segnavia. Tra questi il celebre «Green Boots», probabilmente l'indiano Tsewang Paljor, morto nel 1996 e rimasto per vent'anni rannicchiato sotto un anfratto della via normale, fotografato da migliaia di alpinisti; oppure «Sleeping Beauty», la statunitense Francys Arsentiev, morta di sfinimento nel 1998 e icona macabra della salita. Dopo un paio di decenni li hanno spostati solo perché disturbavano le spedizioni commerciali. I corpi in alta quota, come detto, non decompongono e restano immobili, conservati dal gelo, spesso visibili, a volte spostati da valanghe. Per recuperarli servono mediamente 30-40 mila euro: non è strano che molti restino lì.
La montagna, insomma, a certe quote divora ogni tentativo e impone sacrifici insensati: chi va sa che può restare, chi resta può divenire parte del paesaggio o un segnavia, un ammonimento, un ricordo. Alcuni corpi riaffiorano dopo decenni, altri restano lassù. Anche da noi, in Italia: nelle Alpi, i ghiacciai che si ritirano stanno restituendo pezzi di un passato che pareva cancellato. Sul Cervino, nel 2005, fu ritrovato il corpo di Henri Le Masne, alpinista francese scomparso nel 1954 e riconosciuto solo nel 2018 grazie al Dna. Nel 2015 riemersero i resti di due giapponesi caduti nel 1970. Ossa, attrezzature e scarponi emergono con la stessa naturalezza con cui i ghiacciai si ritirano. Sembra tutto così normale.

8.4.25

la storia di Molly Kochan, Dopo la diagnosi di cancro terminale ho deciso di lasciare mio marito e sono andata a letto con 200 uomini. Così mi sono innamorata, di me stessa”: la storia di Molly Kochan La storia di Molly è una storia di malattia, di morte, di ribellione e di consapevolezza.

da Il Fatto Quotidiano del 47\IV\2025

 Vorrei poter concludere la mia storia d’ospedale con un racconto romantico su un uomo che mi ha travolta e fatta arrossire, ma il mio cavaliere non si è mai presentato. Mi rendo conto però di essermi innamorata. Sì, sono innamorata. Di me stessa“. Le parole di Molly Kochan, quelle che sentiamo pronunciare da lei nel suo podcast, sono parole che suscitano una reazione emotiva forte. Perché la storia di Molly è una storia di malattia, di morte, di ribellione e di consapevolezza. Ed è
diventata una serie in uscita oggi 4 aprile su Disney +,
 Dying For Sex.
Molly riceve una diagnosi di cancro al seno nel 2011. Le fanno una mastectomia bilaterale, poi chemio e radioterapia. Nel 2015 il male torna, stavolta al quarto stadio, incurabile. Molly ha un marito, sposato per amore anni prima a Silver Lake, in California. Lei, cresciuta nell’Upper West Side di New York City, sogna di fare la scrittrice. Ricevuta la diagnosi, decide di separarsi per vivere una vita sessuale diversa, piena. E insieme alla sua migliore amica, Nikki Boyer, decide anche di fare un podcast. Lo chiamano Dying For Sex (così come la serie che proprio al podcast si ispira) e con le sue parole Molly Kochan vuole raccontare una via, la sua, verso l’emancipazione femminile attraverso la scelta di essere libere, anche sessualmente.
“Mentre le due amiche scavano più a fondo, scopriamo che Molly non sta affrontando solo il cancro al seno: sta anche facendo i conti con traumi del passato. Insieme, esplorano temi universali come la guarigione, il perdono e cosa fare con il tempo che ci rimane”, si legge nella descrizione del pocast. Molly Kochan è morta nel 2019, a 45 anni. Nel 2020 è uscito il podcast. “Per molto tempo, nel sesso – ed è questo il problema che avevo nel mio matrimonio – ero bravissima a capire cosa piacesse agli altri, e riuscivo a simularlo come un’attrice. Ma non avevo idea di cosa piacesse a me”, racconta in un episodio che è stato ripreso dal Time. E le sue storie, quelle con gli uomini, sono piene di ironia: uno le ha chiesto di prenderlo a calci nei testicoli, poi c’è stato un sosia di Ryan Reynolds, è un tizio che desiderava essere trattato come un cane.Nikki Boyer, che è co-potragonista del podcast e anche produttrice della serie, sempre al Time ha raccontato che “per Molly era molto più di una questione fisica. Verso la fine, credo che stesse cercando l’amore”. E l’attrice che la interpreta nella mini-serie Disney, Michelle William, dopo avere sentito il podcast ha detto di avere pianto: “E io non sono una che piange. Niente riesce a toccarmi. Ho la pelle dura, sono esperta, scaltra. Ci vuole tanto per colpirmi. Ma appena ho avuto quella reazione, ho pensato, ‘Ok, sono fregata. Qualunque cosa sia questa, io ci sono già emotivamente'”, le parole al Guardian.

5.11.24

Eros Socal, il funerale all'alba del pasticcere (come voleva lui): «Così verrà solo solo chi ci tiene veramente»

E' stato celebrato oggi alle 6 del mattino, come da testuali volontà, l’addio a Eros Socal, il pasticcere di Possagno scomparso i giorni scorsi. Un orario particolare che lo stesso Eros aveva richiesto direttamente all’agenzia di pompe funebri. «Ogni giorno offriva loro il caffè e ricordava questa promessa». Che
pretendeva fosse mantenuta per almeno un paio di buone ragioni: la prima è che a un funerale all’alba viene solo chi ci tiene veramente e non solo chi si vuole far vedere di essere addolorato. L’altro motivo è che Eros Socal non voleva che il funerale costringesse i suoi cari o i suoi amici a prendersi un permesso da lavoro. «È un atto che lo descrive bene. Noi l’abbiamo scoperto pochi giorni fa» spiega Ermes, il suo unico figlio.
L’ATTIVITA’
Eros Socal ha sempre vissuto a Possagno. Papà Angelo era cresciuto in un ambiente contadino, ma aveva la passione del gelato. Così col tempo aveva fondato una pasticceria. Un interesse che aveva trasmesso a Eros. Con l’attività già avviata, aveva frequentato a Parigi dei corsi di aggiornamento. Una volta tornato aveva applicato ciò che aveva imparato, approfondendo la piccola pasticceria. Col tempo aveva dato vita alla ricetta della meringa perfetta, appresa a sua volta dalla pasticceria Scaramuncin di Bassano e poi personalizzata con una cremosità e un sapore unici. «Non esiste un ingrediente segreto: si tratta di piccole attenzioni e trucchi che altrimenti rovinerebbero la perfezione della meringa». Quel segreto ora è al sicuro, trasmesso al figlio Ermes, che fa tutt’altra professione, e alla gestione ormai ventennale della pasticceria Aurora, che mantiene la stessa ricetta. Lì Socal era solito salutare tutti con «Salve ragazzi» a prescindere dall’età degli avventori, che -considerata la vicinanza con il museo Canova- provenivano da ogni parte del mondo.

Video correlato: Eros Socal, il funerale all'alba in un affollato tempio del Canova: l'ultima volontà del pasticcere è stata rispettata (Il Messaggero)

LA PASSIONE

Ma Socal era anche un motociclista appassionato: amava solo i motori italiani e in particolare la Ducati e la Guzzi. «È stato tra i primi amatori, negli anni 70, a raggiungere Capo Nord con la moto. Ci raccontava che faceva freddo e per migliaia chilometri non trovavano anima viva» racconta la famiglia. Persino il viaggio di nozze l’aveva fatto in moto. «Eros era anche un nonno premuroso e attento, che accudiva spesso i due nipotini. In paese aveva avuto un ruolo nel consiglio pastorale e alle Opere Pie, ma aveva fatto parte anche della Protezione civile. «Un enorme dispiacere per tutta la comunità. Ci lascia una grande persona. Sempre schietto e diretto -lo ricorda il sindaco Valerio Favero- Il mio pensiero va alla moglie e al figlio Ermes, al quale mi lega una grande amicizia».

5.11.23

la morte c'è sempre non solo il 2 novembre

li finisce tutto ..ritorniamo ha essere tutti uguali ....

 

"Qua finiscono le gelosie.
Qui finiscono le liti per i confini e per l'eredità.
Qui finiscono tutti i risentimenti.
Qui finiscono tutti i malintesi.
Qui finiscono le convinzioni.
Qui finiscono gli odì, i soldi, le proprietà.
Qui finiscono i dispetti.
Qui finiscono le fantasie.
Finiscono gli abbracci mai dati, le carezze mai avute, le parole dolci che non abbiamo speso.
Qui si pareggia tutto, perché non siamo niente, se non l'espressione fisica della nostra anima che torna al luogo della Verità."
{ dal Web }

1.11.23

smettiamola di dire che le feste pagane del 1 e 2 novembre o halloween come .... lo fhanno etoichettato non sono parte della nostra cultura e tradizione

 Lo  so che  anche quest'anno    ho  già detto la mia    nei post    precedenti  , ma  ogni anno    ci sono   le  solite  polemiche  halloween si  halloween si    Ai primi cioè quelli che  dicono che   non è unanostra  trazione  e  che   è demoniaca   Smettiamla  dire  che  Halloween  o meglio i riti pagani    dei morti   non  fanno  parte della nostra  cultura  . Infatti  essa pur   avendo    dal IV  secolo dopo cristo  in particolare    dal  330   connotazione     cristiano  cattolica, ha radici   ben più antiche come di mostra   l'articolo  : <<  Halloween, origine e significato di una festa antica anche in Italia: intervista a Eraldo Baldini  di  elisabetta barberio>>  da  me precedente  citato  qui  👉🏼https://urly.it/3y3br



E poi  la  festa di ogni  santi è Il giorno di tutti i Santi, noto anche come Ognissanti, è una festa di certe chiese cristiane che celebrano insieme la gloria e l'onore di tutti i santi, compresi quelli non canonizzati
fu     istituita  da Il 1º novembre venne decretato festa di precetto da parte del re franco Luigi il Pio nell'835. Il decreto fu emesso "su richiesta del papa Gregorio IV e con il consenso di tutti i vescovi". La festa si dotò di ottava solenne durante il pontificato del papa Sisto IV, quando bandì la crociata per la liberazione di Otranto. La solennità di Tutti i Santi sostituì l'antica festa romana dedicata a San Cesario di Terracina (santo tutelare degli imperatori romani), fissata proprio al 1º novembre: in questo giorno una solenne processione partiva dalla Basilica dei Santi Cosma e Damiano e si dirigeva sul Palatino in onore di San Cesario e degli imperatori. Il papa Gregorio IV avrebbe deciso di trarne partito per sradicare questo culto idolatrico; gli imperiali installati sul Palatino gli ricordavano ogni anno, con la festa di San Cesario, lo spettacolo delle loro pratiche semipagane e semicristiane. Inoltre   In Italia per la ricorrenza dei morti c'erano riti particolari in varie parti d'Italia, a parte la visita ai cimiteri, che era tradizione Comune di tutto il Paese. In certe parti della Toscana ai bambini venivano fatti trovare dolcetti o frutta secca che i grandi gli dicevano essere donati dai morti della famiglia. La mia nonna e  mia madre  ancora se lo ricordava. E in effetti era una tradizione che contribuiva a creare un senso di legame positivo con le memorie della famigliae  con la   terra  e  la  società  contadina  . La festa di halloween nella sua versione commerciale internazionale contemporanea pure io faccio fatica a comprenderla  ed non mi piace   perchè solo  moda  e buiness. Quindi  smettetela    di fare  crociate  contro chi  vuole divertirsi  anche  se  forzatamente      conformisticamente   se  proprio volete  non potete  fare  a meno    di dire   che  H   è  demoniaca      fatelo pure  ma   non  attaccate    chi  non è  d'accordo   con voi . Potete    se proprio siete   legati al modello   religioso    creare  un "halloween cristiano" cioè  "sostituire" i mostri ai Santi, come fanno già molti educatori in famiglia e nelle parrocchie e  come  suggerisce qui  questa lettrice  di famiglia  cristiana  
    Ai secondi    dico   non fate   come i primi     e  non giudicate    e deridete  come  sfigato   , ecc   chi  non  vuole  conformarsi    alla moda    dominante   ovvero quello che     da riti tradizionali    sono  diventati    sono   fenomeno  di massa  Ma  soprattutto  non abbassatevi  allo stesso livello   dei primi   . E se  proprio volete  festeggiare in alternativa  al modello  religioso  il 1  e  il  2 novembre    riscoprite  le  vere  tradizioni   in  merito non le  mode  importante  o  come  questo casoritorno perchè le origini  sono europee  .   O se  ostinati volete  festeggiarlo secondo  la cultura pop non rompete  che  non lo vuole   festeggiare  o  festeggia  solo l'aspetto religioso  

13.6.23

Non sono sempre i migliori quelli che se ne vanno e la suscettibilità dei fans di Berlusconi

 quando ho riortato   la  vignetta  di vauro    

ho ricevuto accuse tpo questa  





  ecco la mia      risposta  

perchè  qui     si sta  criticando   la  solita  ,  a prescindere   da  chi sia il morto    e  il suo ruolo  avuto  in vita    il  suo essere  buono o  cattivo ,  retorica  fuenebre    che    afferma     che sono sempre  i migliori ad  andarsene  . Quind  rispedico   le  accuse     ao mittewnte , perchè    non vedo dove  sia  la mancanza  di rispetto    visto che non  ho nè  gioito  nè   lanciato vedere post precedente Silvio    Berlusconi    e  Francesco Nuti     due  morti     della  mia generazione  )   ,   nessun attacco personale  a  Berlusconi  .  

Destinazioni lontanissime da raggiungere a velocità moderate: viaggiare in scooter è un’esperienza unica, diversa da tutte le altre

in sottofondo Vespa 50 special - Cesare Cremoni Culture Club - Karma Chameleon