Nel nuovo clima di caccia alle streghe si sente spesso parlare di "irrazionalità". I no-vax, ma anche i no-qualunque-cosa, sarebbero "irrazionali". In TV ci si spinge spesso oltre, definendoli come dei "pazzi" (noto di passaggio che l'uso del concetto di "follia" ricorre come se Basaglia non fosse mai esistito). C'è una nuova religione dell'ortodossia razionale che decide che cosa non lo è (non è certo una novità nella storia): gli "irrazionali", però, non sono solo i terrapiattisti, quelli delle scie chimiche, i negatori della realtà, gli anti-scientisti, i diffusori di bufale, ecc.ecc.: la categoria può allargarsi a dismisura ricomprendendo tutti quelli che si rivolgono a forme di medicina alternativa o naturale, i cultori dell'agricoltura biodinamica, i militanti notav, i salutisti radicali, gli eremiti, gli scettici, i non allineati, e così via. È interessante notare che i guardiani militanti della "razionalità" ufficiale dicono di "credere" nella scienza. Come se poi la scienza non avesse favorito cose irrazionalissime, tipo la bomba atomica o le armi batteriologiche o un'espansione malsana e distruttiva della specie in ogni ecosistema. Ovvio che il problema non è "la" scienza in sé (che, tra l'altro, non può essere compatta e monolitica per definizione), ma la sua commistione con i sistemi economico-politici (salvo che qualcuno creda ancora alla favola della neutralità di scienza e tecnica). ..... continua su https://mariodomina.wordpress.com/2021/12/06/irrazionale/
stavo leggendo questa bellissimo intervento dell'amico compagnodistrada \ compagnodiviaggio e scrittore Giampaolo Cassitta
piccole cose
pubblicata da il giorno domenica 17 giugno 2012 alle ore 17.12
Partiamo dalle piccole cose. Quelle di tutti i giorni, quelle che non ci porteranno a navigare in un futuro illuminato e facile, ma che sicuramente riusciremo a riconoscere. Questa terra che è paesaggio, che è cultura millenaria, musica, rumori lontani. Questa terra che ha sofferto, che ha combattuto, che è stata colonizzata, sfruttata, usata e gettata, questa terra che ha sapori di corbezzolo e di miele, di mirto e di silenzio. Questa terra che ha prodotto minatori e poeti ed emigranti. Questa terra che ha pianto lacrime dure e che ha covato odio e incomprensione. Questa terra che ha generato sequestri e sequestratori, questa terra dura da lavorare. Questa terra che sa però riaprirsi e dialogare, mettersi in gioco, scommettere sulle piccole cose. Dico questo perché sento montare la panna della demagogia. E mi spavento. Mi spaventano i piccoli uomini dalle grandi promesse. Mi spaventano quando confondono la storia, quando usano un popolo senza amarne le risorse e i saperi. Senza ascoltare quel silenzio che abbiamo dentro. E che racconta piccole storie. Si parla di sviluppo sostenibile, coerente con le vocazioni del territorio, si parla di competitività, si parla di vantaggi economici del turismo che non è, beninteso costruire villaggi patinati per veline e calciatori che sorridono ai cognomi sardi che finiscono tutti con la “u”; un turismo che deve tener conto di tutto il territorio e che possa presentarsi a tutti in maniera accogliente, silenziosa, educata, in maniera etica. Un turismo che presenti la nostra terra in tutte le sue piccole meraviglie. Un turismo fatto di piccole cose. Non quindi solo manifestazioni mirabolanti e di grandi concerti rock, ma anche un condensato avvolgente di musiche striate e diffuse, che diano l’idea del nostro sentire. Perché dentro questa terra ci viviamo noi e solo noi possiamo mostrare l’anima più vera a chi la visita.
Piccole cose. Che sono la solidarietà. L’attenzione per gli altri. Che sono i nostri figli, ma non solo. Ci sono troppe file alla Caritas di troppe città. E troppi occhi che scodellano tristezza. C’è la fierezza di famiglie che non si presentano al cospetto delle mense cittadine, ma non hanno molto da osservare sul loro tavolo. Dobbiamo partire da queste piccole storie. Ascoltarle e non prestare semplice assistenza. Noi dobbiamo lavorare per creare piccole soluzioni che portino a risolvere il male quotidiano. Noi dobbiamo scommettere sul futuro di chi ha le ali spezzate, di chi vorrebbe continuare a sperare. Noi dobbiamo, attraverso progetti mirati, coinvolgere chi è in difficoltà, dobbiamo guardare a loro senza costruire egoismi o inventare paradisi che non esistono. Partiamo dunque dalle piccole cose. Dobbiamo continuare ad adottare interventi sulla famiglia, sul lavoro, dobbiamo saper costruire opportunità per tutti, dobbiamo riuscire ad essere credibili come politici e come cittadini.
Partiamo dalle piccole cose. Chi ama gli occhi di un bambino può raggiungere l’immensità. Le piccole cose a volte non si vedono, ma sono le più genuine. Come le nostre storie, le nostre pietre, i nostri nonni, gli emigranti, come le nostre miniere e il nostro sangue riversato. Come la nostra piccola e forte identità che ci accompagna e ci mantiene fieri di appartenere ad un popolo che ha dentro il sapore e l’odore di una terra antica, bellissima e dura. Di una terra fatta di piccole e intense storie e di grandi e immensi occhi. Che sanno scrutare.
ho pensato mi èritornata alla mente questa canzone della mia infanzia avevo 16 anni
non riesco a spiegarmi il perchè forse il mio carattere di cercare me stesso nel mondo e nelle arti contaminandomi e sincretizzandomi