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6.4.25

targa speciale degi alfieri della repubblica a una classe del Parini di Torino «Con gli occhi e un puntatore comunichiamo con il nostro compagno disabile»

I media nazionali parlando degli Alfieri della Repubblica si sono dimenticati o hanno fatto passare in secondo piano questa notizia   co un  iccolo  trafiletto in cronaca o   in edizioni locali    notizie  come  qqueste .
 Lo so che dovrebbe essere una storia normale , ma in un paese in cui i ragazzi d'origine straniera , nati e che crescono qui , no hanno ancora pieni diritti , fa si che tale storia sia
: « [...]   Storia diversa per gente normale \ storia comune per gente speciale [...] » ( cit De Andreiana ) . Infatti  enti bambini della attuale VB della scuola elementare Parini di Torino, tutti con background migratorio, sono stati nominati Alfieri della Repubblica con una targa dal Presidente Sergio Mattarella . 
  Leggo  tale  notizia  da msn.it  mi pare     corriere della sera  edizione  torino   l'articolo che  sotto riporto   




La candidatura è partita dalle loro stesse maestre, colpite dalla solidarietà che si era creata in classe nei confronti di un compagno con una grave disabilità. 
«So che il riconoscimento di Alfiere è individuale, ma nel percorso di crescita che queste bambine e bambini realizzano ogni giorno, come futuri cittadini italiani e del mondo, non posso sceglierne uno solo», ha scritto l’insegnante di sostegno Giorgia Rossino, segnalando la sua classe al Quirinale. «Io li guardo non solo con l’amore di una maestra, ma con la speranza nel futuro che loro possono regalare, nonostante tutti gli orrori che molti di loro sono costretti a sopportare».
La notizia della nomina è trapelata nei giorni scorsi, diventata ufficiale con il comunicato della Presidenza della Repubblica. «È una storia eccezionale, unica, per le condizioni di questo bambino – commenta Massimo Cellerino, preside dell’Ic Torino II -, ma al contempo è anche esemplificativa del lavoro che le maestre fanno ogni giorno in questo istituto comprensivo per accogliere la diversità in ogni sua forma, che sia linguistica, culturale o fisica».
Una storia che il Quirinale ha voluto premiare «per aver dato valore alla pluralità». Accanto ai 29 riconoscimenti per comportamenti individuali, il Presidente Mattarella ha conferito alla VB una delle 4 targhe per premiare azioni collettive di giovani e giovanissimi, anch’esse espressione dei valori di solidarietà, inclusione e accoglienza.
«I bambini della VB provengono da ogni parte del mondo: Marocco, Egitto, Bangladesh, Senegal, Perù e Cina. Ciascuno di loro, pur avendo alle spalle vissuti talvolta complicati, si prende cura con amore e dedizione di un compagno di classe con disabilità», è scritto nella motivazione ufficiale. «Tutti hanno imparato a usare il puntatore oculare con cui lui comunica, tutti sanno cosa può e cosa non può mangiare o bere il compagno. Nei corridoi si scatenano con la sedia a rotelle spronandolo con il loro affetto genuino e proteggendolo da sguardi o parole indiscreti. A scuola stanno imparando una delle lezioni più preziose: il valore della diversità e della pluralità».
L’Ic Torino II ha in media il 75% di alunni «nuovi italiani», con punte tra l’80 e il 90% nel plesso Parini di corso Giulio Cesare in zona Aurora. «I nostri alunni sono dei piccoli grandi eroi perché senza le stesse possibilità di altri compiono giornalmente, insieme ai loro genitori, piccoli grandi miracoli», commentano le maestre ancora frastornate dal riconoscimento. «A scuola coltiviamo l’educazione civica tutti i giorni, non solo parlando ma dando l’esempio di civiltà, democrazia, partecipazione e rispetto per l’essere umano di qualunque colore sia».


5.9.24

La storia di Yasamin A. R. è una medico del Sant'Orsola di Bologna -. 38 anni , nata , cresciuta , e laureata qui ma per lo Stato non sono italiana".

 È nata a Cesena ed è cresciuta a Treviso. Ha frequentato la facoltà di Medicina e
Chirurgia dell'Università di Bologna, dove si è laureata a pieni voti. E dopo un eccellente percorso di specializzazione ora lavora a tempo indeterminato al Policlinico Sant'Orsola
Eppure per lo Stato italiano non è italiana. È la storia Yasamin A. R., medico di 34 anni che ogni giorno vive sulla sua pelle il paradosso generato dalla burocrazia del nostro Paese. Yasamin, infatti, paga le tasse in Italia e qui ha vissuto quasi ininterrottamente da quando è nata. Ma a causa dei requisiti tanto stringenti quanto astratti, se tutto va bene potrà ottenere il passaporto soltanto quando spegnerà quaranta candeline. "Vuoi sapere la beffa? - aggiunge al telefono contattata da BolognaToday -. La cosa che le persone mi chiedono più spesso è: 'Da quanto tempo sei in Italia? " 
La richiesta negata per il trasloco a Londra per motivi famigliari

Yasamin risponde alla chiamata subito dopo che ha finito il suo turno nel reparto di Medicina fisica e riabilitativa. Nonostante la stanchezza, ha una voce energica da cui trapela una lieve inflessione romagnola. Racconta che ha la cittadinanza britannica perché britannica era sua mamma, mentre suo papà era iraniano. Dopo aver fatto l'asilo e i primi tre anni di elementari a Treviso, a otto anni deve con tutta la famiglia trasferirsi a Londra perché la madre è malata e ha bisogno di cure. Per frequentare la quarta elementare deve iscriversi all'anagrafe londinese. "Passati dodici mesi siamo rientrati in Italia perché mamma non ce l'aveva fatta - continua -. Da quel momento ho vissuto sempre qui". Quando compie diciotto anni, però, Yasamin non può inoltrare la richiesta di cittadinanza: la legge richiede dieci anni di continuità di residenza italiana.

L'inferno degli uffici e del permesso di soggiorno

Ma la sua vita va avanti. Diploma con voti brillanti e iscrizione all'Unibo. Sotto le Due Torri si trova anche un lavoretto per mantenersi: "Ho anche tre fratelli di cui due più piccoli - racconta - e a quel tempo le cose a mio padre non andavano molto bene dal punto di vista economico". Dopo il primo anno di Medicina scompare anche il papà. Diventando orfana, sfuma di nuovo la possibilità di richiedere la cittadinanza: "A ventidue anni avevo la continuità, ma non più una famiglia alle spalle per rientrare nei parametri economici richiesti".

La ragazza continua a studiare, affianca agli esami impieghi part-time come baby-sitting e ripetizioni e si laurea perfettamente in tempo. Prosegue con la specialistica e la conclude con il massimo dei voti. Nel frattempo, però, l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea con la Brexit stravolge di nuovo tutto e Yasamin diventa addirittura un'extracomunitaria. Comincia l'inferno dell'ufficio migrazioni e della burocrazia per ottenere il permesso di soggiorno: "È stato un periodo drammatico - ricorda il medico -. Nessuno rispondeva alle mail, non capivo come prendere appuntamento. Agli sportelli le persone vengono trattate malissimo. Io avevo bisogno del documento per partecipare a un concorso e la prima volta me lo consegnarono con il nome scritto sbagliato. Da gennaio 2025 avrò bisogno del visto per circolare in Europa e questa è un'altra 'comodissima' cosa che mi si prospetta davanti".

"Chi ha un parente italiano può arrivare a votare, mentre io non l'ho mai fatto"

Oggi Yasamin ha un visto permanente, ma questo non basta a fare la stessa vita di un'italiana. La mancanza della cittadinanza si ripercuote nella sua quotidianità, dalla partecipazione ai bandi ai controlli di sicurezza fino alle denunce: "Due mesi fa sono stata scippata, e l'agente di polizia mi chiedeva se avessi un lavoro e da quanto fossi in Italia. È la prima cosa che tante persone mi chiedono sempre. Ed è veramente snervante".

Grazie al suo lavoro, tra due anni potrà finalmente fare l'agognata richiesta perché sarà in grado di dimostrare almeno tre anni di reddito. Dopodiché, se tutto fila liscio ce ne vorranno ancora quattro perché le venga finalmente riconosciuto un diritto: a quarant'anni Yasamin diventerà una cittadina italiana dopo aver vissuto 39 anni in Italia. Ma l'amarezza rimane: "Provo tanta rabbia, a volte ho pensato di andarmene dall'Italia - ribadisce la medico -. Tantissimi sono nella mia stessa situazione: persone che sono nate e hanno studiato e che sentono l'Italia come casa propria. Ed è assurdo invece che dall'altra parte del mondo c'è gente che non è mai stata in Italia, ha diritto a chiedere la cittadinanza perché ha sposato un italiano o perché ha un parente italiano, e può potenzialmente addirittura votare. Mentre io, che alle ultime elezioni europee ho fatto il medico scrutatore nell'ospedale in cui lavoro, non ho mai potuto farlo".

La lettera a Lepore, Zuppi e Bergonzoni: "Mi hanno risposto ma poi nulla"

Due mesi fa Yasamin ha scritto una lettera in cui raccontava la sua storia e il suo problema. L'ha inviata alle istituzioni locali, tra cui "il sindaco di Bologna Matteo Lepore, l'arcivescovo Matteo Maria Zuppi e l'attore Alessandro Borgonzoni". Da tutti loro, dice, ha ricevuto una risposta solidale, ma, aggiunge, "poi non è più successo nulla". La stessa lettera è stata ripresa dal giornalista del Post Francesco Costa nella puntata del podcast 'Morning' mercoledì mattina. Con le sue parole Yasamin spera di "contribuire a una maggiore apertura, una maggiore sensibilità. Perché le regole smettano di essere così rigide, perché chi nasce e cresce in Italia è italiano".

1.9.24

Ogni speculazione politica sul delitto è un'offesa a Sharon Verzeni,Il legale della famiglia di Sharon: 'Non si parli di raptus

 ritorno    dopo  il  post precedente   ancora  su    rispondendo    cosi a  chi  mi  accusa  di  buonismo   ed  altre menate  simili .  Riportando:   un  articolo    che nonostante  le  divergenze  culturali  (  quello che  un tempo  si chiamava ideologia  )   la  pensa  come me   sperando  di non doverci ritornare  sopra    ogni qualvolta      a commettere   dei  reati e  dei  crimini  , non solo violenza  di genere  o  femminicidi  ,  sia  un  immigrato o    un  nuovo italiano .,   ma  soprattutto   le 

da   avvenire   online  d'ieri  

                        di Andrea Lavazza


Ogni speculazione politica sul delitto di Terno d’Isola, adesso che il presunto assassino è stato arrestato, è un’offesa a Sharon Verzeni, una donna che ha avuto in modo assurdo (forse il più assurdo, se vere le prime ricostruzioni) la sua giovane esistenza spezzata, e a tutti coloro che l’amavano, colpiti da un enorme dolore. In premessa, va detto questo: alle vittime dovrebbe essere orientata la maggiore sollecitudine. Ma c’è chi ha subito approfittato di quel nome, Moussa Sangare, dato in pasto ai social media prima ancora che emergessero elementi forti del suo coinvolgimento nel delitto - e in totale spregio della presunzione d’innocenza - per alimentare una meschina polemica sulla cittadinanza.
Sarebbero questi gli italiani che vogliamo?, si è detto in sostanza, soprattutto da parte di esponenti della Lega. Se Sangare risulterà colpevole, dovrà pagare senza sconti il reato abietto compiuto. Ma che c’entrano la sua origine maliana e i documenti italiani poi ottenuti? Che dire allora delle donne massacrate dai loro italianissimi compagni e dei genitori fatti scomparire o dei neonati maltrattati da nativi della Penisola dai caratteri “caucasici”? Ripugna fare questi confronti, ma si deve chiaramente affermare che c’è una vittima da rispettare insieme a un razzismo risorgente da evitare e, se ricompare, da condannare senza alcuna esitazione.Infatti  se  a  un lato   Rossano Sasso, deputato leghista, comincia invece un post accusatorio nei confronti della sinistra e delle sue politiche migratorie, chiamando in causa la vittima: “Oggi piangiamo l'ennesima sorella italiana ammazzata con brutale violenza”. E  quindi Definire Sharon Verzeni ‘sorella italiana' è un modo per attribuire alla nazionalità della vittima l'ambito nel quale cercare la matrice del delitto. Sharon diventa importante in quanto ‘sorella italiana', non in quanto Sharon punto. Lo sottolinea molto bene Alessandra Mussolini: “Cercare di trasformare un efferato delitto ai danni di una donna in un tiro all'africano è, oltre che indegno, anche una mancanza di rispetto alla vittima. Quasi la sua morte non facesse abbastanza notizia e ci volesse una nota di discriminazione per interessare questi incauti commentatori”. L'idea che una volta eliminato il mistero dell'identità dell'assassino, sia necessario ricorrere ad un elemento ideologico per coinvolgere l'audience, è uno degli aspetti più deprimenti del dibattito pubblico.

P.s
leggo   proprio in questo istante  mentre  sto   per  riportare  il secondo articolo     che   a permettere  la  cattura   dell'assasino    è  stata la  testimonianza  di alcuni  immigrati  anch'essi  marocchini  


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E'  vero   che     anch'io  , quando  iniziai ad appassiornarmi i cronaca  nera  , usavo per delitti  el genere  il tremine  raptus  ma  poi   da letture ,  chiacchere  e discussioni con amici    psicologici e  pschiatri  mi sono accorto    che  è come ho detto     nel  post  precedente  ( url  inizio post  )    che  è  un termine  ambiguo  e  quasi  assolutorio  e   giustificazionista    verso il carnedice  .  Ma  soprattutto   perchè Si fa presto a dire raptus o a parlare di infermità mentale. A volte quello che scatta nella testa del killer è talmente incomprensibile da lasciare ancora più sgomenti. Perché se un qualsiasi delitto, è ingiustificabile, quando a muovere una mano criminale non c'è nemmeno un motivo scatenante, per assurdo che possa essere, si va oltre ogni soglia del comprensibile. 
  Infatti  concordo  con   il   legale della famiglia di Sharon Verzeni, Luigi Scudieri, respinge



l'idea del raptus che potrebbe aver colto l'omicida reo confesso della donna."Ho sentito parlare in queste ore di 'raptus improvviso', di 'scatto d'ira' e assenza di premeditazione.
Tuttavia faccio notare che il signor Moussa Sangare sarebbe uscito di casa con ben quattro coltelli e prima di uccidere Sharon ha avuto tutto il tempo di minacciare anche altre due persone. Queste farebbero bene a farsi avanti". "Mi ha molto stupito - aggiunge - che si sia parlato di 'verosimile incapacità' subito dopo il fermo, prima ancora di un esame completo di tutti gli atti".


10.6.24

Gli eroi dell’atletica sono i ragazzi europei che molti dei nostri politici non vorrebbero affatto e gli usa come cartina tornasole

DI COSA STIAMO PARLANDO

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi. 
 diceva  Bertol Brecket   ( 1898-1956 ) in Vita di Galileo .  Infatti   fin quando   un fascista   , exenofobo , ecc  un malpancista  insomma   prende  alle   elezioni 500  mila  voti   alle  elezioni europpe   e     ci sono suoi  fans   che   sui  social    replicano  sghignazzano con faccine sorridenti , con domande idiote   del  tipo << E quindi?>> o quando  fanno  un ntervento  decente    si giustificano  riprendendo le teorie di Nicefaro ed Lombroso   condannate  dalla storia   davanti a  tali meme  



per   un  fatto  che     dovrebbe  essere  normale   per  tutti\e  e non solo   normale   per  gente    speciale    speciale   per  gente  normale (  cit musicale  )   tali  esaltazioni   è  tali meme   saranno sempre  più necessari   anche   spesso risultano  ipocriti  ed  caramellosi    vedi  il fatto del mancato ius  solis   o  cittadinanza  speciale i figli  d'immigrati   che    studiano ed  lavorano   qui  . 
Infatti  secondo  : <<    La Nazionale di atletica leggera, cartina tornasole di un’Italia nuova che fa errori vecchi - di Francesco Caremani La Nazionale di atletica leggera, cartina tornasole di un’Italia nuova che fa errori vecchi - di Francesco Caremani >>  editoriale di gariwo.net

Dai cittadini italiani alle seconde generazioni resta il tema della difficoltà di ottenere la cittadinanza per i minori stranieri, a prescindere che pratichino o meno uno sport.C’è un Italia che corre, che salta, che esulta, in questi giorni, ed è quella dell’atletica leggera che sta letteralmente dominando l’Europeo di Roma. Ragazze e ragazzi italiani che secondo qualcuno non avrebbero le caratteristiche somatiche per definirsi tali.La globalizzazione ha posto tutti noi di fronte a nuove sfide, culturali prim’ancora che sociali, economiche e politiche. E il mondo si è spaccato in fazioni, che non sono certo una novità. C’è chi pensa che questo fenomeno vada contrastato erigendo muri e sottolineando differenze e chi invece ritiene che l’unico modo sia abbattere confini e identità nazionali, con varie zone di grigio, più o meno scuro e oscuro.La storia dell’umanità è costellata di fenomeni storici che ne hanno cambiato il corso, sin dalla preistoria, fenomeni che sono stati spesso, inutilmente contrastati, perché la storia non si ferma davanti a un portone (cit musicale.).

Infatti   come    notare   lo  stesso   articolo   La globalizzazione poteva essere (  ed  ancora  può esserlo    se  s'interviene  seriamente  )  un’opportunità, così come la rivoluzione digitale, fenomeni che andavano studiati, capiti, interpretati e non osteggiati a prescindere a difesa del particolare che in questo mondo può avere un valore solo se capace di stare in una prospettiva globale  e non  chiudendosi   in  se  stesso . Le forze reazionarie, il voto europeo è sotto gli occhi di tutti, hanno fatto leva in questi decenni sulle differenze, sui muri da erigere, sul niente da difendere di fronte alla storia che avanza, riuscendo a convincere molto persone, con la paura, che questa sia la strada da seguire.Di fronte a queste considerazioni, è sotto gli occhi di tutti la multietnicità della Nazionale italiana di atletica leggera, che però non deve trarre in inganno. Queste ragazze e questi ragazzi, infatti, sono cittadini italiani, per adozione o per uno dei due genitori che  sono  riusciti   ad  ottenere   la  famigerata  cittadinanza  . Sono l’espressione di un’Italia multietnica nei fatti ma non nelle leggi e tantomeno in quella per ottenere la cittadinanza italiana, cioè non sono espressione delle seconde generazioni di migranti nel nostro Paese.
Infatti ,  tanto per essere chiari, in Italia la cittadinanza si ottiene per ius sanguinis, cioè se si nasce o si è adottati da genitori italiani. Altrimenti si può acquisire o richiedere. Si acquisisce se si nasce sul territorio italiano da genitori apolidi, da genitori ignoti o che non possono trasmettere la propria cittadinanza, secondo la legge dello Stato di provenienza. Si richiede per matrimonio o residenza, nel secondo caso rispettando tutta una serie di requisiti. La legge del 20 gennaio 2016 riconosce il principio dello ius soli sportivo, il quale permette ai minori stranieri di essere tesserati dalle federazioni sportive italiane; concedendo loro di fare sport ma non di essere inseriti nelle selezioni nazionali, per le quali, ancora oggi, è necessario avere la cittadinanza italiana.
Secondo la norma attuale i minori stranieri, regolarmente residenti in Italia, almeno dal compimento del decimo anno di età, possono essere tesserati per fare sport, con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani. Il limite dei dieci anni, secondo l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), “determina l’esclusione di molti minori il cui diritto alla parità di trattamento con quelli italiani è garantito dalla Convezione ONU sui diritti del fanciullo”. Poiché il Testo unico sull’immigrazione prevede che il minore non possa mai essere considerato giuridicamente irregolare, indipendentemente dalla posizione giuridica dei genitori, sempre secondo l’Asgi: “il concetto di ‘regolarmente residenti’ deve essere interpretato guardando alla dimora abituale e quindi alla semplice presenza del minore sul territorio, indipendentemente dalla condizione di regolarità o meno del soggiorno dei genitori”.Il limite dei dieci anni è imputabile al calcio e al rischio che il minore possa essere vittima di football trafficking, parola inglese che racchiude sia la tratta che il traffico di minori; pratica illecita che, purtroppo, investe anche altre discipline sportive. L’articolo 19 dell’RSTP (Regulations on the Status and Transfer of Players) della Fifa regola in maniera restrittiva il trasferimento dei minori e pure nei casi previsti questi vengono ammessi solamente dopo avere ricevuto parere favorevole da una sottocommissione della Fifa. Da quando, però, lo ius soli sportivo è diventato legge questa procedura non è più compatibile con l’ordinamento italiano perché più gravosa. Attualmente, tutti quei minori che oggi, grazie allo ius soli sportivo, praticano una disciplina, potranno chiedere la cittadinanza – procedura complicata e irta di ostacoli – solamente una volta diventati maggiorenni; senza la quale la Nazionale resta un sogno.E tutto ciò porta a un’ulteriore considerazione.È giusto che si ottenga la cittadinanza italiana solo per meriti sportivi? È giusto che tutti gli altri minori siano esclusi? È dignitoso che un Paese che si ritiene civile sia ancora qui a chiederselo?Secondo l’ISTAT: «La popolazione residente di cittadinanza straniera al 1° gennaio 2024 è di 5 milioni e 308mila unità, in aumento di 166mila individui (+3,2%) sull’anno precedente. L’incidenza sulla popolazione totale tocca il 9%. Il 58,6% degli stranieri, pari a 3 milioni 109mila unità, risiede al Nord, per un’incidenza dell’11,3%. Altrettanto attrattivo per gli stranieri è il Centro, dove risiedono un milione 301mila individui (24,5% del totale) con un’incidenza dell’11,1%. Più contenuta la presenza di residenti stranieri nel Mezzogiorno, 897mila unità (16,9%), che raggiunge un’incidenza appena del 4,5%. Le iscrizioni per trasferimento di residenza dall’estero nel 2023 sono pari a 416mila, in lieve aumento (+1,1%) rispetto al 2022, ma in decisa crescita rispetto alla media dell’ultimo decennio (circa 314mila l’anno)».E ci pare evidente, guardando per esempio alla Nazionale italiana di calcio, che oriundi a parte – una costante del nostro movimento sin dagli anni Trenta del secolo scorso –, le seconde generazioni siano sottorappresentate. Michael Folorunsho al momento è l’unico, quando considerando la percentuale degli stranieri in Italia dovrebbero essere almeno due o tre. Perché? Perché è difficile per loro ottenere la cittadinanza italiana E se questo ha i suoi risvolti sportivi, immaginatevi, a cascata, i risvolti sociali ed economici di questo gap, di questo impedimento all’accesso alla nazionalità italiana. Un tema che una parte politica affronta digrignando i denti e un’altra con troppa timidezza.Se, quindi, le medaglie multietniche dell’atletica leggera hanno un senso, al di là dello sport, è di farci riflettere su chi la cittadinanza non ce l’ha, in un Paese che ti strizza l’occhio con lo ius soli sportivo solo quando sei già un’eccellenza – e magari spinge per fartela avere comunque –, ma ti ‘impedisce’ di diventarlo da cittadino e cittadina italiana.





9.3.24

[ i Nuovi Italiani ] IL giorno in cui ho smesso di essere invisibile la storia di Danielle Madam





La solitudine, la rabbia, le giornate passate fuori dalla classe, seduta in corridoio. E poi un professore si ferma: «Vieni in palestra con me». Inizia così la carriera di lanciatrice del peso di Danielle Madam, ma soprattutto inizia così la sua nuova vita, quella in cui si vuole bene



                                                        di Mario Calabresi





Ci sono persone che ci restano nella testa e continuano a venirci in mente anche se le abbiamo incontrate una sola volta. A fare la differenza è una frase o un’immagine che si impiglia nei nostri pensieri. L’immagine che non ho dimenticato è quella di una ragazzina infelice e irrequieta che passa le sue giornate seduta nel corridoio della scuola, vicino al calorifero, a guardare dalla finestra. Gli insegnanti la mandano regolarmente fuori dalla classe perché non segue e disturba. Nessuno di quelli che passano si cura di lei, che si sente incompresa e invisibile. Finché un uomo non si ferma: è il professore di educazione fisica. Le propone di lasciare il corridoio e di seguirlo in palestra. Un gesto che cambierà per sempre la vita della ragazzina.


Danielle Madam durante la registrazione dell’ultima puntata del mio podcast Altre/Storie


Danielle è nata in Camerun ed è arrivata in Italia all'età di sette anni insieme a suo fratello gemello Ivan. La mamma, per sottrarli ad una faida familiare, li aveva affidati a uno zio che viveva a Miradolo Terme, vicino a Pavia. I due bambini cominciano una nuova vita e crescono in fretta, lo zio lavora sempre e arriva a casa solo la sera, così Danielle impara a fare la spesa, a cucinare, e a prendersi cura del fratello. Scoprono la neve e si sentono accolti dalla scuola e dal paese. Ma quando hanno nove anni lo zio muore all’improvviso e il loro equilibrio si spezza di nuovo: i servizi sociali li dividono e mandano lei dalle suore e lui dai preti. Si riescono a vedere solo mezz’ora la settimana. Tutto va in pezzi.
Danielle si riempie di dolore ed è sempre arrabbiata: la bambina che faceva da mamma a suo fratello diventa intrattabile. Comincia la scuola media e i voti non sono mai sopra il 4, le insegnanti chiamano continuamente le suore per lamentarsi: «Non volevo seguire nessuna regola, ero costantemente irrequieta. Le professoresse dicevano: “Se devi disturbare sei fuori”.
Nessuno si chiedeva che cosa stessi passando, nessuno si preoccupava della mia situazione, così io stavo seduta fuori dalla classe e quello era il modo in cui passavo le mie giornate».
Oggi Danielle, che ha 26 anni e di cognome si chiama Madam, racconta tutto con il sorriso, con grande calma e pace. Se ci riesce è grazie a quell’incontro con il professore di ginnastica, Giampiero Gandini.



Danielle insieme a suo fratello Ivan


«Mi disse: “Perché invece di stare lì seduta non vieni a provare a lanciare il peso? Ci sono le gare tra poco e ci manca proprio la pesista. Secondo me tu potresti fare bene, vieni con me, andiamo fuori a provare”. Siamo andati in giardino, ho iniziato a lanciare e ho visto lo stupore nella sua espressione». Da quel momento Danielle inizia ad allenarsi tutti i giorni: «Ero in seconda media e il professor Gandini veniva in classe e diceva: “Devo prendere Madam perché dobbiamo andare giù a lanciare”. Le professoresse erano senza parole. I compagni non capivano. Io avevo qualcosa da fare e non ero più seduta fuori».
Poche settimane dopo la iscrive alla prima gara, tra le scuole della provincia di Pavia: «L’ho vinta e ho adorato il senso della vittoria. I miei compagni, che fino a quel momento non mi avevano mai calcolata, cominciano a farmi i complimenti e a voler essere miei amici».
Da quel momento cambia tutto, fuori e dentro di lei: «Avevo un valore e lì è iniziato il mio viaggio. Ho capito che volevo continuare a vincere e che per riuscirci dovevo continuare ad allenarmi. Le cose mi venivano semplici. Era incredibile. Non c'erano più mille passaggi, non c'erano assistenti sociali, non c'era il tribunale, c'ero solo io che impegnandomi ottenevo dei risultati».


Danielle con in mano il peso prima di prepararsi al lancio


L’idea di non essere più invisibile e di avere un valore contamina ogni aspetto della sua vita: «Mi sono detta: perché non provo a trasferire questi valori che sto imparando, grazie allo sport, anche nella scuola? La mia situazione era disastrosa a dir poco, ma ho iniziato a studiare per vedere che cosa veniva fuori, per vedere se l'emozione che provavo nello sport potevo provarla anche con gli studi. E così è stato». Comincia con la matematica: «Per me era sempre stata come l’aramaico, e invece è diventata la mia materia preferita perché è molto metodica, come gli allenamenti: se tu fai gli esercizi con costanza i risultati arrivano». Le professoresse chiamano le suore che, preoccupate, si presentano a scuola: «Rimasero stupite di fronte alla domanda: “Cosa è successo? Come ha fatto a passare dal 4 all’8?”. La risposta a me era chiarissima: avevo bisogno che qualcuno credesse in me più di quanto lo facessi io».


Danielle premiata a un meeting nazionale di atletica leggera con una delle 25 medaglie ricevute nella sua giovane carriera


Il viaggio di Danielle la porta sempre più in alto, fino a vincere cinque campionati italiani nelle sue categorie di età e a raccogliere 25 medaglie. Poi si qualifica per i mondiali, per scoprire, però, che non può partecipare, perché non è italiana e la maglia azzurra non la può indossare. «Rappresentare l'Italia, il posto che mi ha accolta, era un po’ come ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato e permesso di essere la persona che sono. Ero incredula, non capivo perché non potessi, ma da quel momento diventare cittadina italiana è stato il mio più grande obiettivo».
Danielle capisce che si diventa italiani solamente se si nasce in Italia e che non basta nemmeno fare tutte le scuole e raggiungere la maggiore età «Io sono arrivata qui all'età di sette anni, per cui dovevo seguire l'iter degli adulti: dieci anni di residenza e tre anni di redditi. Ma io ero dalle suore e non avevo famiglia e nemmeno redditi».
Ma non molla, prende la maturità, si iscrive all’università e continua ad allenarsi, a gareggiare e a fare le file davanti alla questura all’alba. Diventata maggiorenne non può più stare dalle suore, loro le trovano un posto dove abitare ma deve mantenersi, così fa la babysitter e la sera le consegne delle pizze con la bicicletta.
Non si scoraggia e dopo 17 anni in Italia riesce a diventare cittadina e nello stesso momento a laurearsi in Scienze della Comunicazione. Oggi vive a Roma dove lavora e tiene seminari e workshop per le aziende: «Parlo dell’importanza della diversità e dell'inclusione. Cerco di trasmettere quello che ho imparato».
L’immagine del professore che si ferma e parla con la ragazzina seduta in corridoio, l’avevo sentita raccontare da Danielle alla presentazione del libro del demografo Francesco Billari sull’Italia del futuro. Quel gesto era stato capace di cambiare la direzione e il destino di una vita e volevo conoscere tutto il resto del racconto, così ci siamo incontrati a Roma e la voce di Danielle è diventata protagonista della nuova puntata del mio podcast Altre/Storie che potete ascoltare qui.

4.3.24

le nuove paure ed i rigurgiti degli antimoderni alla vanacci

 

Le nuove paure L’italia cambierà e (per fortuna) non lo impediremo

FOTO ANSA
L’antimoderno Roberto Vannacci

L’ITALIANITÀ, BELLA PAROLA. Il duce, nella prima fase del regime, la sostanziò con la grandezza militare e culturale romana risorta col fascismo, poi, più tardi, per accondiscendenza al nazismo, la trasformò in supremazia razziale. Era italiano chi somigliava a un italiano (ariano) e, intanto, spargeva gas sulle tribù del corno d'africa. Oggi, invece, che cosa c'è di così tanto veracemente italiano, se non un tale che ha capito che è il momento di darsi alla politica tipica della “politicanza” odierna sparando slogan al ventre molle dell'incultura e dell'ignoranza sociale? Una condizione nella quale siamo precipitati più che altro per la resa delle forze che, un tempo, erano il progresso: quello fatto non soltanto di parole e di rette circolari. L'italianità. quella vera delle delocalizzazioni, delle svendite totali ai fondi esteri e dei furbi al potere che si fanno le leggine in questa democrazia farlocca fotocopiata dai piani di Licio Gelli, è proprio una réclame, un abbraccio alla "grana" padana più che al noto formaggio.

GIANFRANCO PUGNI

TRA MENO DI 30 ANNI scompariranno 4 milioni di italiani e nuovi italiani prenderanno il loro posto. Italiani d'africa, italiani neri, italiani afgani, palestinesi, turchi, armeni. Con gli occhi dell'oriente oppure no. L'italianità, come l'abbiamo conosciuta, forse adorata, sicuramente vilipesa quando nella storia travagliata del Novecento si è trasformata nella tragica macchina da guerra durante gli anni del fascismo, è destinata a essere revisionata, come

succede alle parti dei motori che subiscono il peso degli anni. L'identità, la storia, la memoria, la lingua, la cultura sopravviveranno alle nostre fobie, ai processi mentali di chi teme la fantomatica sostituzione etnica, che è altro non è che la parola d'ordine, un messaggio in codice per provare a introdurre sistemi moderni di segnalazione razziale. Il clima (le ore di sole e quelle di pioggia), sta cambiando il mondo, e con il clima cambierà la natura, e la dimensione dei laghi, dei mari, delle foreste subiranno il peso del cambio. La demografia certificherà le altre dimensioni, quelle di coloro che abiteranno la Terra. È un processo da governare ma non da ostruire. Perciò tutti i richiami alla difesa dell’identità sono recessivi, anti-moderni, conservativi, destinati a soccombere di fronte alla realtà più forte di qualunque demagogia.

22.8.21

Stiv Gavrilovic salva la bimba di 11 mesi caduta nel porto canale a Rimini



Mi auguro che quel nome e quel suffisso , vedi post sotto , non siano troppo indigeribili per una certa ben nota propaganda sovranara ... ehm... sovranista o pseudo tale perchè :<< Se non dimentichi mai le tue radici, rispetti anche quelle dei paesi lontani >>

Un verso spettacolare di quando ancora gli anticorpi ora quasi affievvoliti al becero nazionalismo o identità chiusa erano apena all'inizi . Infatti chi è legato alla propria storia ed alla propria cultura non solo non disprezza gli altri ma li comprende meglio poiché riesce a capire quanto per loro contino le proprie tradizioni, solo dalla negazione di se stessi possono nascere razzismo e violenza per il diverso... Ohibò, un eroe italiano che non si chiama Rossi o Locatelli, reggeranno anche a questa  storia      che riporto qui  sotto    e  di cui  trovate    qui il  video 

 Stiv Gavrilovic, 42enne di origini serbe ma che lavora a Rimini come 2° capo scelto della Guardia costiera, ha salvato una bimba di 11 mesi caduta col passeggino nel porto canale di Rimini tuffandosi senza esitazioni . Una bimba di appena 11 mesi era caduta in acqua nel porto di Rimini dopo che passeggino su cui si trovava era scivolato accidentalmente. A salvarla dall’annegamento Stiv Gavrilovic, 47enne di origini serbe ma che abita in romagna da 25 anni, dove presta servizio come 2° capo scelto della Guardia costiera. È lui l’eroe che ha portato in salvo la piccola tuffandosi immediatamente in mare dopo aver capito cosa stesse accadendo.È stata questione di istanti. Le urla della madre, il volto della bimba che rapidamente si inabissa, i brividi lungo la schiena.Ma non ha avuto il tempo per riflettere. Senza pensarci un attimo, Gavrilovic si è tuffato nel canale, ha afferrato la bambina e l’ha portata sulla banchina, salvandola da morte certa.



“Quando ho visto il volto di quella bambina che spariva sott’acqua” ha detto, “mi sono subito venuti in mente i miei tre figli, e ho sentito un brivido. In momenti del genere però uno si sforza di non pensare a niente. Ho spento il cervello e mi sono tuffato". Il tutto davanti agli occhi terrorizzati della madre e di alcuni passanti che hanno assistito preoccupati alla scena. “Sono convinto che chiunque, a cominciare dai miei colleghi, avrebbe fatto lo stesso”, ha dichiarato Gavrilovic. Il militare ha ripercorso quegli istanti frenetici: “Quando ho visto il volto di quella bambina che spariva sott’acqua, mi sono subito venuti in mente i miei tre figli, e ho sentito un brivido freddo lungo la schiena. In momenti del genere però uno si sforza di non pensare a niente. Ho spento il cervello e mi sono tuffato”. Erano circa le 19.30 di ieri sera e Gavrilovic si trovata negli uffici della Capitaneria di porto di Rimini, a due passi dal luogo dell’incidente.




Ed aggiungo io , al post riportato sopra di Lorenzo Tosa  ed  da  https://www.nextquotidiano.it/stiv-gavrilovic-salvataggio-bimba-11-mesi-porto-rimini/    che    non avremo  e      forse   ci  saranno  meno   storie     come questa 




  visto   che  gli imbecilli    sono sempre  esistiti  anche  ad tempi miei  quando internet  non c'era   





18.4.21

Nell’anno della pandemia le piccole imprese guidate da cittadini stranieri in Italia sono cresciute nonostante la crisi e la burocrazia.

 

  da  repubblica  online 

FORSE  è perché «sono abituati a doversi arrangiare tra grandi difficoltà» come osserva Stefano Rovelli, cofondatore di Singa Italia, un network nato nel 2018 per sostenere le attività degli imprenditori stranieri. Fatto sta che persino nell’anno del Covid le imprese guidate in Italia da imprenditori stranieri sono aumentate del 2,3 per cento secondo la Fondazione Leone Moressa, mentre quelle guidate da italiani sono rimaste più o meno stabili (-0,02 per cento). Ormai le imprese guidate da stranieri sono diventate un decimo di quelle nazionali, grazie a un aumento del 29,3 per cento negli ultimi dieci anni contro un calo dell’8,6 per cento di quelle italiane. «Gli stranieri possono anche contare su una rete familiare che permette loro di abbattere i costi, rimanendo aperti con orari prolungati. Hanno inoltre la possibilità di utilizzare filiere diverse, a costi più bassi» osserva Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione Leone Moressa. La maggior parte delle imprese guidate da stranieri si trova in Lombardia, segue il Lazio. Le prime tre nazionalità: cinesi, romeni e marocchini. La presenza maggiore è nel commercio, seguito da servizi, costruzioni e ristorazione. Qui di seguito alcuni di loro hanno accettato di raccontarsi al Venerdì.

Amanda Menezes, Brasile.

Trentaquattro anni, è venuta in Italia per amore, e ha aperto la sua azienda nel pieno della tempesta Covid: «Ho conosciuto mio marito a Rio de Janeiro, ci siamo sposati e l’ho raggiunto in Italia». Con una laurea e un Mba internazionale, e un’ottima conoscenza dell’inglese, Amanda pensava che sarebbe stato facile trovare

Amanda Menezes, 34 anni, importa costumi brasiliani  

un lavoro. «E invece dopo mesi di ricerca, niente. Sapevo che se avessi fatto passare altro tempo avrebbe avuto un effetto negativo sul mio curriculum, e così ho deciso di mettermi in proprio». L’idea è stata quella di importare in Italia la moda mare brasiliana, ma con una particolare connotazione: «Scelgo solo tessuti sostenibili, importo i lavori artigianali delle donne indigene del Sudamerica, aiutandole anche così a preservare la loro cultura». La pandemia non l’ha scoraggiata: «Sto lavorando anche per ampliare la produzione attraverso accordi con artigiane del Sud Italia. E a breve lancerò la prima collezione, con modelli interamente creati da me».


Marco Wong, Cina

«Perché i cinesi sono tra le prime nazionalità tra gli imprenditori stranieri? Perché l’80 per cento dei cinesi che vivono in Italia vengono dallo ZheJiang, un’area dove da sempre si coltiva il sogno imprenditoriale». Marco, 57 anni, è diventato cittadino italiano a 18. È cresciuto a Firenze, è tornato in Cina, ha lavorato in Sudamerica e infine è rientrato a Roma, dove vive e ha tre aziende: una si occupa di importazione di alimenti etnici, la seconda gestisce gli immobili di supporto all’altra, e infine la terza si occupa di organizzazione di eventi digitali. «Per uno straniero molto spesso aprire un’impresa è l’unico modo per non essere rispedito al proprio Paese, e ciò vale anche nei momenti di crisi, come questo». E per superare gli ostacoli rappresentati dalla lingua e dalla normativa, spiega: «In Italia si creano delle strutture professionali legate a chi è arrivato prima che mettono a disposizione consulenti, mediatori e commercialisti».

Marco Wong, 57 anni, ha tre società  

Elena Musuc, Moldavia

Sono venuta in Italia nel 2009 dalla Moldavia, a 20 anni: ho studiato all’Accademia di Belle Arti e mi sono innamorata di Leonardo da Vinci, dell’architettura, delle opere dei Musei Vaticani. Ho cominciato a lavorare come baby sitter e domestica, ma il mio sogno era realizzare abiti di sartoria ispirati all’arte italiana. Anche adesso, quando creo le mie collezioni, vado nei musei per cercare ispirazione». Elena Musuc, 33 anni, ha un negozio nel centro di Roma, a Largo Argentina. Realizza abiti su misura e fa anche riparazioni di sartoria: «Con il lockdown le persone hanno ritrovato negli armadi abiti vecchi di 20 anni, di buona qualità ma che non riescono più a indossare. Io li trasformo in modo che possano metterli di nuovo». Prima di aprire il proprio negozio ha lavorato anche nelle boutique di grandi stilisti, da Armani a Gucci: «Mi hanno presa perché parlavo il russo», racconta. Ha avuto grandi difficoltà per il credito iniziale, ce l’ha fatta grazie a prestiti di amici e alla sua forza di volontà, e nei mesi più duri del Covid ha anche cominciato a cucire mascherine. Nel frattempo si è sposata e ha avuto due bambini, che ora hanno sei mesi e quattro anni.

Elena Musuc, 33 anni, stilista   

Kelly Chidi-Ogbonna, Nigeria

Laureata in statistica, Kelly Chidi-Ogbonna, 35 anni, ha un diploma post laurea in formazione e sviluppo e  un diploma in affari e imprenditorialità. Eppure quando, nel 2013, è venuta in Italia dalla Nigeria per raggiungere suo marito, che già era emigrato e viveva a Padova, non riusciva a trovare lavoro. «È stato tutto molto difficile, frequentare la scuola per imparare la lingua, conciliare tutto con la nascita dei miei tre figli». Piuttosto che continuare a cercare un impiego, nel 2015 ha avuto un’idea: esportare in Nigeria vino biologico italiano. «Le banche non mi hanno aiutato e quindi ho cominciato con piccole quantità. È stata ed è ancora una vera sfida». Ha anche un blog, che si chiama The finest italian wine. Nel 2017, con l’aiuto dell’incubatore di Singa, Kelly ha aperto la startup MySpotlyt, che mette in contatto persone di talento con aziende o imprenditori che possano farle lavorare, permettendo di realizzare i loro sogni. Un po’ come è successo a lei.

Kelly Chidi-Ogbonna, 35 anni, esporta vino in Nigeria 

Marco Soxo, Ecuador

Quarantuno anni, è arrivato in Italia malvolentieri: «Sono stato costretto nel 1999 dalla mia famiglia, che si era tutta trasferita qua, comprese sei delle mie otto sorelle. Quando sono arrivato smagnetizzavamo videocassette usate in modo che potessero essere usate per nuove registrazioni». A quel punto Marco si è messo a studiare italiano, ha fatto il cassiere, pulito le piscine, ha preso il patentino di istruttore di nuoto. «Nel 2006 ho aperto la mia prima impresa, con soci italiani: un ristorante di cucina messicana in franchising in un  Carrefour di Limbiate». Dalla ristorazione è passato alla disinfestazione delle cucine, aprendo una nuova azienda con una certificazione ad hoc per l’eliminazione di “insetti striscianti e roditori”. Il Covid gli ha un po’ ridotto il lavoro, ma non si scoraggia: «Gli italiani stanno cominciando a diventare più pigri, spesso le aziende muoiono perché i figli non sanno gestire quello che hanno avuto dai genitori, mentre uno straniero parte da zero e non ha niente da perdere. E poi agiamo con più “incoscienza” e quando ci rendiamo conto che ci sono problemi, ci rimbocchiamo le maniche e andiamo avanti».

Marco Soxo, 41 anni, disinfesta le cucine 
Ma gli italiani  salvo   pochi esempi    vedi post  precedente  che fanno  ? 

Il coraggio di Anna Giordano, una vita passata a proteggere gli uccelli selvatici dai bracconieri in Sicilia

  siti consultati  Tempostretto TV Messina https://www.ohga.it/ MESSINA. Negli anni ’80, Anna Giordano era poco più che una bambina, quando ...