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7.12.25

Luigi Natale Il poeta della difesa: «I miei versi per la sarda mater» Dopo aver calcato i campi di calcio, Sergio Atzeni e Mario Luzi gli hanno cambiato la vita: «Scrivo per capire»

da unione sarda 7\12\2025



Da Virdis e Zola a Mario Luzi il passo può essere molto breve: la poesia, che si scriva su un libro o la si manifesti in campo con il pallone tra i piedi, è sempre una forma d’arte che dà emozione. E chi è stato un difensore tenace ma anche molto elegante in campo, oggi sale sul palco di Guasila, dove è stato premiato durante il Festival dell’Altrove, oppure su quello di PordenoneLegge (la città friulana che lo ha accolto) per recitare con la stessa classe e raffinatezza versi che vengono dall’anima, dal suo io più intimo e che raccontano la provenienza, «il vissuto e la sarda mater».
Scrivere
Luigi Natale, classe 1957, ex calciatore professionista, originario di Orotelli, ha superato il timore che imponeva uno status altezzoso agli “dei di Eupalla", così Brera definiva i giocatori, per avere piena coscienza della sua arte, del suo voler scrivere appunto «per capire». I silenzi da vero barbaricino colpirono Mario Luzi, uno dei grandi del Novecento: «Gli piaceva molto questo passare anche ore senza una parola che contraddistingueva i nostri incontri, a Firenze», racconta oggi Natale. L’ardire di consegnare qualche testo scritto a Luzi ha regalato all’ex calciatore l’ingresso nella cerchia del poeta e anche il coraggio di rendere la poesia un modo di comunicare con il resto del
pianeta, dopo anni trascorsi prima a dare calci a un pallone e poi a osservare coloro che arrivavano al “football” con l’idea di costruire una carriera. «Per alcuni decenni sono stato lontano da quel mondo, non ho visto una partita, fino a riavvicinarmi quando il Pordenone è andato in B e grazie anche alla conoscenza e all’amicizia con Andrea Carnevale», racconta.
La carriera
Tornando indietro, si rivedono i campi polverosi di Orotelli e l’arrivo a Nuoro, non ancora maggiorenne, in una squadra che militava nell’allora Serie D semiprofessionistica, con un presidente, Fulvio Bonaccorsi, e molti calciatori che hanno fatto la storia della società verdazzurra. «Nel 1972 nelle giovanili trovai allenatori come Genesio Sogus, Zomeddu Mele, Ottorino Cusma, poi due anni più tardi la prima squadra con Mingioni, Chicco Piras, i fratelli Picconi, Solinas, Motti, Napoli, Di Bernardo, Virdis e Gentile», ricorda. Il Quadrivio si riempiva, «5-6000 persone ogni domenica», una festa. E quel giovane che era stato convocato in Nazionale Under 18 («non mi rendevo conto di cosa volesse dire, rientravo a Nuoro e andavo a giocare al torneo dei Bar a Ottana, finché non me lo disse anche Gigi Riva: “Sei stato in Nazionale”») approda poi al Cagliari nella squadra che vince il campionato di B, con Marchetti, Gigi Piras, Casagrande.
Il girovagare per l’Italia a quel punto diventa quasi normale: Mantova, Livorno, Torres, ancora Nuorese e poi Rende. Per poi stabilirsi a Pordenone dove l’amore incontrato un’estate in Sardegna diventa «la sposa» con cui condividere anche la passione per la letteratura, emersa peraltro già in tenera età: «La maestra Lia Zoppi, dopo aver letto un mio pensierino in prima elementare, rimase colpita e anni più tardi mi rivelò che aveva capito questa mia attitudine».
L’incontro
Poi però c’è stata un’altra spinta decisiva: «Chi mi ha convinto a scrivere e a farlo senza timore è stato un grande tifoso rossoblù che io ho incontrato proprio quando militavo nel Cagliari e a cui, quasi di nascosto, feci vedere i miei scritti: si chiamava Sergio Atzeni». Così la classe del libero che portava la palla fuori dall’area si è trasformata in versi che edizione dopo edizione (Ospite del tempo, 1998; Il telaio dell’ombra, 2001, con Prologo di Mario Luzi; Orizzonti sottili, 2005; L’orlo del mondo, 2012; Il mare che aspetta, 2018; La terra del miele, racconti di Sardegna ed altri mari, 2014 e Neve vento sassi, 2024, per citarne alcuni) parlano della sua terra, del suo vissuto e «dell’amore per la vita, alla ricerca della bellezza. La poesia sfida la banalità e il pensiero unico. L’arte è prossima e vicina alla natura umana», bisogna farla emergere. I grandi poeti della nostra epoca diventano esempi per chi vuole con la poesia «custodire ciò che ci rende umani», amare la vita e imparare a conoscerla attraverso la scrittura. Fino a raccontare la sua arte sul palco di PordenoneLegge o del Festival dell’Altrove di Guasila. Non alza più una coppa, ma declama un verso, elevando le parole al dio della poesia Apollo, prima che i ricordi del Quadrivio e del Sant’Elia prendano di nuovo il sopravvento.





16.6.25

eroi . ma per la maggior parte del paese sono estranei....


 o peggio .gente da sfruttare o deridere . infatti mentre avevo  finito  di   pubblicare  l'articolo :<<Aymane come Paolo >> inviatomi da Daniela Tuscano leggo tramite cronache della sardegna   che


[....]

Articolo pubblicato ieri dal Dott. Marco Zavagli, direttore di Estense.com

Oggi mi hanno segnalato un commento sulla pagina Facebook di #estensecom, il giornale che dirigo.
Un agente, un pubblico ufficiale (credo non importi sapere di quale corpo), vantandosi - giustamente - di aver salvato un cagnolino, definiva ironicamente “risorse” chi viene da paesi che non rientrano nell’Unione Europea. Mi sento di aggiungere che per “risorse” intendesse persone che arrivano in Italia da Africa, Asia, insomma quei posti dove la pigmentazione della pelle offre facili intuizioni di provenienza.
Dubito, insomma, si riferisse a statunitensi, svizzeri o altre nazionalità che per le stesse ragioni possono sentir definiti i propri cittadini come “extracomunitari”. A quel pubblico ufficiale vorrei dire che Aymane, dall’alto dei suoi 16 anni, ha fatto capire a persone privatamente piccole come lui cosa vuol dire quel concetto sorpassato che risponde al nome di umanità. Ai genitori di Aymane, invece, vorrei dire grazie per aver infuso nel loro figlio il valore della vita umana. A tal punto da sacrificare la propria per salvare quella di perfetti sconosciuti.
Aymane, lui sí, era una risorsa. Ma era una risorsa che purtroppo non abbiamo più.Qui la foto di Aymane, tratta dal suo permesso di soggiorno ottenuto per motivi familiari".

15.7.24

Nuova intimidazione alla sua azienda. Ma Patrizia Rodi Morabito resiste: non lascio la Calabria



la calabria non solo società sparente , emigrazione ed omertà come ( ne ho parlato precedentemente in un post ) nel caso di SAN LUCA, ASPROMONTE Terra di ’ndrangheta Il Comune calabro dove nessuno si è candidato è di nuovo commissariato Tra abbandono e omertà, qui il tempo torna indietro E il futuro non arriva mai, ma che di resistenza e di lotta come il caso Patrizia Rodi Morabito  (  foto a sinistra   tratta   dalla stessa  fonte  dellì'articolo ) , proprietaria di uun azienda agricola e imprenditrice di Rosarno, vicepresidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, che subisce minaccie ed attentati .
 Ma non si arrende .
E' notizia di questi giorni di


da www.avvenire.it

Secondo incendio in appena due settimane all’azienda agricola di Patrizia Rodi Morabito, imprenditrice di Rosarno, vicepresidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, dirigente di Coldiretti e membro del Servizio per la pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. È la quarta intimidazione in soli quattro mesi all’azienda di famiglia “Tenuta Badia-Rodi” che coltiva soprattutto ulivi, agrumi e kiwi in biologico.lo scorso 5 marzo le sono state tagliate e incendiate alcune piante secolari di ulivo. Il 16 marzo ignoti hanno abbandonato rifiuti di ogni genere davanti al cancello dell’azienda, mentre altri rifiuti sono stati lasciati all’interno del terreno. E nella stessa tenuta hanno divelto una sbarra di accesso. Uno sfregio commesso il giorno dopo la visita del prefetto di Reggio Calabria, Clara Vaccaro, e del presidente della Camera di commercio, Antonio Tramontana, un gesto di solidarietà e attenzione nei confronti dell’imprenditrice. Quindici giorni fa proprio dai rifiuti è partito l’incendio che ha danneggiato l’impianto irriguo e quattro ettari coltivati a kiwi. Ieri altre fiamme, questa volta partite non dalla strada ma all’interno dell’azienda, in un luogo simbolico, dove nel 2000 erano stati incendiati dei capannoni i cui scheletri anneriti sono ancora lì perché, dice l’imprenditrice, «si veda bene cosa fanno». Proprio da lì le fiamme hanno poi raggiunto l’uliveto, facilitate dall’erba alta che non viene tagliata perché si tratta di coltura biologica con norme molto severe. Poco prima delle 10 si è così alzato un denso fumo nero, ben visibile da lontano. Per fortuna sono arrivati rapidamente sia i carabinieri sia i Vigili del fuoco, limitando i danni .
Ma il messaggio è ben chiaro, come sottolinea anche il vescovo, monsignor Giuseppe Alberti, che ha chiamato l’imprenditrice. «Evidentemente vogliono che lei se ne vada, che abbandoni – ha dichiarato il presule –. Vogliono impossessarsi della sua azienda per i propri interessi. Per questo dobbiamo tutti sostenerla, esserle vicino, contribuire al suo impegno. Non è sola e non sarà sola». Profondamente credente, Patrizia Rodi Morabito ha accettato l’invito del vescovo a contribuire alla crescita della Diocesi, come membro del Servizio per la pastorale sociale e del lavoro. Così ha partecipato alla recente Settimana sociale dei cattolici, svoltasi a Trieste, portando la sua esperienza di imprenditrice calabrese. «Ho incontrato una Chiesa in cammino, attiva, piena di iniziative. Sono tornata sentendo la responsabilità di mettermi in gioco», riflette. E per questo, torna a ripetere, «io da qui non me ne vado, questa è la mia terra e qui devo restare. Per difendere il Creato e per dare lavoro vero e giusto ai giovani che purtroppo se ne devono andare». Ma anche, come già ha fatto, facendo della sua azienda un “laboratorio” sulla salvaguardia del Creato, la legalità, la giustizia sociale.
Il suo è un richiamo anche ad altri, al “noi”. «Il cuore della democrazia lo ritroveremo insieme laddove si è persa la via, lo cercheremo nei luoghi dove è in affanno, dove è stato coperto da detriti sociali, non più rimanendo un passo indietro agli eroi solitari, ma in una comunità che nel quotidiano, in un difficile passaggio dall’io al noi, riscopra i gesti semplici di ognuno, restituendo ad ogni momento, ad ogni persona, la sua dignità, la sua forza, riconosciute e sostenute dalle parole che esprimono i principi della nostra Costituzione». C’è molta attenzione degli inquirenti alla sua vicenda. Anche perché i terreni dell’azienda agricola sono in una posizione strategica che domina lo svincolo autostradale per Rosarno, a pochi chilometri sia dalla cittadina sia dal porto di Gioia Tauro. Un’area sicuramente interessante per gli affari della ‘ndrangheta.

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata LXII PER RICONOSCERE LA PAURA VA ALLENATO IL CORAGGIO

La prudenza è l’arma più efficace, sempre. Ma è importante anche allenare il coraggio, che – bene intesi – non significa diventare impavidi,...