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9.3.24

[ i Nuovi Italiani ] IL giorno in cui ho smesso di essere invisibile la storia di Danielle Madam





La solitudine, la rabbia, le giornate passate fuori dalla classe, seduta in corridoio. E poi un professore si ferma: «Vieni in palestra con me». Inizia così la carriera di lanciatrice del peso di Danielle Madam, ma soprattutto inizia così la sua nuova vita, quella in cui si vuole bene



                                                        di Mario Calabresi





Ci sono persone che ci restano nella testa e continuano a venirci in mente anche se le abbiamo incontrate una sola volta. A fare la differenza è una frase o un’immagine che si impiglia nei nostri pensieri. L’immagine che non ho dimenticato è quella di una ragazzina infelice e irrequieta che passa le sue giornate seduta nel corridoio della scuola, vicino al calorifero, a guardare dalla finestra. Gli insegnanti la mandano regolarmente fuori dalla classe perché non segue e disturba. Nessuno di quelli che passano si cura di lei, che si sente incompresa e invisibile. Finché un uomo non si ferma: è il professore di educazione fisica. Le propone di lasciare il corridoio e di seguirlo in palestra. Un gesto che cambierà per sempre la vita della ragazzina.


Danielle Madam durante la registrazione dell’ultima puntata del mio podcast Altre/Storie


Danielle è nata in Camerun ed è arrivata in Italia all'età di sette anni insieme a suo fratello gemello Ivan. La mamma, per sottrarli ad una faida familiare, li aveva affidati a uno zio che viveva a Miradolo Terme, vicino a Pavia. I due bambini cominciano una nuova vita e crescono in fretta, lo zio lavora sempre e arriva a casa solo la sera, così Danielle impara a fare la spesa, a cucinare, e a prendersi cura del fratello. Scoprono la neve e si sentono accolti dalla scuola e dal paese. Ma quando hanno nove anni lo zio muore all’improvviso e il loro equilibrio si spezza di nuovo: i servizi sociali li dividono e mandano lei dalle suore e lui dai preti. Si riescono a vedere solo mezz’ora la settimana. Tutto va in pezzi.
Danielle si riempie di dolore ed è sempre arrabbiata: la bambina che faceva da mamma a suo fratello diventa intrattabile. Comincia la scuola media e i voti non sono mai sopra il 4, le insegnanti chiamano continuamente le suore per lamentarsi: «Non volevo seguire nessuna regola, ero costantemente irrequieta. Le professoresse dicevano: “Se devi disturbare sei fuori”.
Nessuno si chiedeva che cosa stessi passando, nessuno si preoccupava della mia situazione, così io stavo seduta fuori dalla classe e quello era il modo in cui passavo le mie giornate».
Oggi Danielle, che ha 26 anni e di cognome si chiama Madam, racconta tutto con il sorriso, con grande calma e pace. Se ci riesce è grazie a quell’incontro con il professore di ginnastica, Giampiero Gandini.



Danielle insieme a suo fratello Ivan


«Mi disse: “Perché invece di stare lì seduta non vieni a provare a lanciare il peso? Ci sono le gare tra poco e ci manca proprio la pesista. Secondo me tu potresti fare bene, vieni con me, andiamo fuori a provare”. Siamo andati in giardino, ho iniziato a lanciare e ho visto lo stupore nella sua espressione». Da quel momento Danielle inizia ad allenarsi tutti i giorni: «Ero in seconda media e il professor Gandini veniva in classe e diceva: “Devo prendere Madam perché dobbiamo andare giù a lanciare”. Le professoresse erano senza parole. I compagni non capivano. Io avevo qualcosa da fare e non ero più seduta fuori».
Poche settimane dopo la iscrive alla prima gara, tra le scuole della provincia di Pavia: «L’ho vinta e ho adorato il senso della vittoria. I miei compagni, che fino a quel momento non mi avevano mai calcolata, cominciano a farmi i complimenti e a voler essere miei amici».
Da quel momento cambia tutto, fuori e dentro di lei: «Avevo un valore e lì è iniziato il mio viaggio. Ho capito che volevo continuare a vincere e che per riuscirci dovevo continuare ad allenarmi. Le cose mi venivano semplici. Era incredibile. Non c'erano più mille passaggi, non c'erano assistenti sociali, non c'era il tribunale, c'ero solo io che impegnandomi ottenevo dei risultati».


Danielle con in mano il peso prima di prepararsi al lancio


L’idea di non essere più invisibile e di avere un valore contamina ogni aspetto della sua vita: «Mi sono detta: perché non provo a trasferire questi valori che sto imparando, grazie allo sport, anche nella scuola? La mia situazione era disastrosa a dir poco, ma ho iniziato a studiare per vedere che cosa veniva fuori, per vedere se l'emozione che provavo nello sport potevo provarla anche con gli studi. E così è stato». Comincia con la matematica: «Per me era sempre stata come l’aramaico, e invece è diventata la mia materia preferita perché è molto metodica, come gli allenamenti: se tu fai gli esercizi con costanza i risultati arrivano». Le professoresse chiamano le suore che, preoccupate, si presentano a scuola: «Rimasero stupite di fronte alla domanda: “Cosa è successo? Come ha fatto a passare dal 4 all’8?”. La risposta a me era chiarissima: avevo bisogno che qualcuno credesse in me più di quanto lo facessi io».


Danielle premiata a un meeting nazionale di atletica leggera con una delle 25 medaglie ricevute nella sua giovane carriera


Il viaggio di Danielle la porta sempre più in alto, fino a vincere cinque campionati italiani nelle sue categorie di età e a raccogliere 25 medaglie. Poi si qualifica per i mondiali, per scoprire, però, che non può partecipare, perché non è italiana e la maglia azzurra non la può indossare. «Rappresentare l'Italia, il posto che mi ha accolta, era un po’ come ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato e permesso di essere la persona che sono. Ero incredula, non capivo perché non potessi, ma da quel momento diventare cittadina italiana è stato il mio più grande obiettivo».
Danielle capisce che si diventa italiani solamente se si nasce in Italia e che non basta nemmeno fare tutte le scuole e raggiungere la maggiore età «Io sono arrivata qui all'età di sette anni, per cui dovevo seguire l'iter degli adulti: dieci anni di residenza e tre anni di redditi. Ma io ero dalle suore e non avevo famiglia e nemmeno redditi».
Ma non molla, prende la maturità, si iscrive all’università e continua ad allenarsi, a gareggiare e a fare le file davanti alla questura all’alba. Diventata maggiorenne non può più stare dalle suore, loro le trovano un posto dove abitare ma deve mantenersi, così fa la babysitter e la sera le consegne delle pizze con la bicicletta.
Non si scoraggia e dopo 17 anni in Italia riesce a diventare cittadina e nello stesso momento a laurearsi in Scienze della Comunicazione. Oggi vive a Roma dove lavora e tiene seminari e workshop per le aziende: «Parlo dell’importanza della diversità e dell'inclusione. Cerco di trasmettere quello che ho imparato».
L’immagine del professore che si ferma e parla con la ragazzina seduta in corridoio, l’avevo sentita raccontare da Danielle alla presentazione del libro del demografo Francesco Billari sull’Italia del futuro. Quel gesto era stato capace di cambiare la direzione e il destino di una vita e volevo conoscere tutto il resto del racconto, così ci siamo incontrati a Roma e la voce di Danielle è diventata protagonista della nuova puntata del mio podcast Altre/Storie che potete ascoltare qui.

4.3.24

le nuove paure ed i rigurgiti degli antimoderni alla vanacci

 

Le nuove paure L’italia cambierà e (per fortuna) non lo impediremo

FOTO ANSA
L’antimoderno Roberto Vannacci

L’ITALIANITÀ, BELLA PAROLA. Il duce, nella prima fase del regime, la sostanziò con la grandezza militare e culturale romana risorta col fascismo, poi, più tardi, per accondiscendenza al nazismo, la trasformò in supremazia razziale. Era italiano chi somigliava a un italiano (ariano) e, intanto, spargeva gas sulle tribù del corno d'africa. Oggi, invece, che cosa c'è di così tanto veracemente italiano, se non un tale che ha capito che è il momento di darsi alla politica tipica della “politicanza” odierna sparando slogan al ventre molle dell'incultura e dell'ignoranza sociale? Una condizione nella quale siamo precipitati più che altro per la resa delle forze che, un tempo, erano il progresso: quello fatto non soltanto di parole e di rette circolari. L'italianità. quella vera delle delocalizzazioni, delle svendite totali ai fondi esteri e dei furbi al potere che si fanno le leggine in questa democrazia farlocca fotocopiata dai piani di Licio Gelli, è proprio una réclame, un abbraccio alla "grana" padana più che al noto formaggio.

GIANFRANCO PUGNI

TRA MENO DI 30 ANNI scompariranno 4 milioni di italiani e nuovi italiani prenderanno il loro posto. Italiani d'africa, italiani neri, italiani afgani, palestinesi, turchi, armeni. Con gli occhi dell'oriente oppure no. L'italianità, come l'abbiamo conosciuta, forse adorata, sicuramente vilipesa quando nella storia travagliata del Novecento si è trasformata nella tragica macchina da guerra durante gli anni del fascismo, è destinata a essere revisionata, come

succede alle parti dei motori che subiscono il peso degli anni. L'identità, la storia, la memoria, la lingua, la cultura sopravviveranno alle nostre fobie, ai processi mentali di chi teme la fantomatica sostituzione etnica, che è altro non è che la parola d'ordine, un messaggio in codice per provare a introdurre sistemi moderni di segnalazione razziale. Il clima (le ore di sole e quelle di pioggia), sta cambiando il mondo, e con il clima cambierà la natura, e la dimensione dei laghi, dei mari, delle foreste subiranno il peso del cambio. La demografia certificherà le altre dimensioni, quelle di coloro che abiteranno la Terra. È un processo da governare ma non da ostruire. Perciò tutti i richiami alla difesa dell’identità sono recessivi, anti-moderni, conservativi, destinati a soccombere di fronte alla realtà più forte di qualunque demagogia.

18.8.22

Don Franco Barbero, il prete che sposa i gay, ha una moglie e fa celebrare le donne. in quanto L'amore è sempre un dono

 non mi  sono pentito  d'aver intervistato    ( qui la mia  intervista  con annesso il  suo blog  ed i suoi contatti )   a Don Franco Barbero,


il prete che sposa i gay, ha una moglie e fa celebrare le donne. in quanto : << L'amore è sempre un dono>>. Infatti    Quello che  lui ha  subito     si   Formalmente si chiama «sospensione dal servizio».

frame del video   che trovate  sottto


 I più la chiamano scomunica. Per don Franco Barbero, il prete di Pinerolo che unirà in matrimonio Federica e Isabel, ex suore missionarie, è arrivata nel 2003, quando poteva già definirsi un anziano. È rimasto senza un tetto, senza cibo, senza soldi. Lo ha ospitato la comunità in cui oggi vive e a cui si rivolgono coppie omosessuali, ma non solo, da tutta Italia. Franco Barbero è un prete che, nonostante l’esclusione dalla Chiesa, continua a sposare coppie gay e lesbiche. Celebra l’eucarestia. Nel pinerolese è amato da tutti. Molti lo considerano un paladino dei diritti. Oggi ha quasi 80 anni. È stato lui a ospitare le due suore in comunità e ad aiutarle nella ricerca di una casa e di un lavoro. «Stiamo facendo un bel cammino insieme, sono due donne molto positive – racconta - ho un gruppo con cui facciamo un percorso. Ci sono anche loro. Amare la chiesa vuol dire aiutarsi a liberarsi. Dio vuole la felicità – dice don Barbero – e quando la chiesa crea leggi oppressive bisogna avere il coraggio di dire che invece Dio è bello e che ci vuole felici.
«Io ho quasi 80 anni – racconta  ad  un intervista  di qualche  tempo  fa  a l corriere  della sera    - e ho visto tanta gente soffrire in nome di Dio. Ma era colpa della Chiesa, non di Dio. Ho avuto una vita bellissima. In mezzo ai poveri, per la strada». La scomunica del 2003 non ha cambiato nulla. «In verità nella mia diocesi continuo a professare – spiega l’uomo espulso dalla gerarchia ecclesiastica – cioè è come se la scomunica non ci fosse stata. Prima c’è l’obbedienza a Dio, poi il diritto canonico». E così don Franco continua a dire messa – « celebro l’eucarestia nella comunità dove risiedo, e paghiamo l’affitto per starci» – e viene chiamato in molte parrocchie per farlo. «Ricevo molti inviti – ammette – effettivamente, nonostante la sospensione, mi chiamano davvero in tanti. Non ho fatto né soldi né carriera nella mia vita, vivo con le persone di strada. Ma sono molto amato. Da quando la chiesa mi ha sospeso mi aiuta la mia comunità, non mi serve niente. C’è solo da vivere. E la vita è bellissima ». Punto di riferimento Don Barbero è diventato un punto di riferimento per molti cattolici respinti dalla Chiesa. Per gli omosessuali, ma anche per coloro che hanno preso i voti e che scoprono di volere vivere la loro sessualità. Il suo blog – «non lo so usare, perché sono un analfabeta di internet» – è uno dei mezzi con cui dialoga con le persone. «Ricevo tantissime lettere al giorno», dice, e ricorda che Isabel e Federica lo hanno trovato cercandolo da lontano. «Dall’Africa mi hanno contattato. Ho sentito da subito una profonda sintonia e loro si sono affezionate a me. Io a loro. C’è tanto bisogno di ascolto. Io amo più le persone che mi fanno delle domande che quelle che dichiarano certezze».  Sia    questo  articolo    del corriere   sia     sia  quello  riportato  sotto     confermano  qiuello che  dicevo all'inizio    sono orgoglioso  di  averlo intervistato  


da repubblica

"Ratzinger licenzia il prete che sposa i gay" titolavano i giornali nel marzo 2003. Un provvedimento pontificio che non ha comunque impedito a Franco Berbero di continuare a celebrare nella sua comunità e di seguitare nel farsi chiamare "don", titolo che a Pinerolo nessuno sembra mettere in discussione.



 "In quasi 60 anni di ministero ho sposato 690 coppie omosessuali" racconta con orgoglio don Franco nello studio della casa in cui vive con la moglie. A 83 anni suonati snocciola con grande precisione i ricordi della sua memoria: racconta di quando, giovane prete, pensava che la Chiesa avesse in mano la verità e dei successivi anni pieni di dubbi, incontri e pregiudizi infranti. "Nel '63 un ragazzo omosessuale mi fece conoscere il suo compagno. Quell'incontro mi ha cambiato la vita. Nel '71 fondai un gruppo di incontro per i gay e 7 anni più tardi cominciai a sposarli" ricorda don Franco. Una pratica da subito condannata dai suoi superiori ma che esplose definitivamente solo nel 2000 quando, in occasione del giubileo, il prete di Pinerolo si spinse a dire che l'omosessualità è un dono. "Non volli mai ritrattare quella frase, sarebbe stato scorretto nei confronti di quello che avevo fatto e nei confronti della mia comunità". Nel 2003 viene dimesso dallo stato clericale, ma don Franco non ha mai rinunciato a portare avanti il suo ministero in disobbedienza ai diktat vaticani. Nelle sue comunità di Pinerolo, Torino e Piossasco continua a celebrare matrimoni tra gay, lesbiche e trans, ha una moglie e permette alle donne di amministrare l'eucarestia. "Con la sua chiusura, la Chiesa sta perdendo tantissime chiamate di Dio - racconta con le lacrime agli occhi -. Tante persone si stanno allontanando convinte che per far parte della Chiesa sia necessario avere un tesserino: o sei maschio eterosessuale o rimani fuori. Io dico che questo messaggio compromette il Vangelo".
 
di Davide Cavalleri

21.7.22

I carabinieri in alta uniforme salutano l’unione civile tra Claudia ed Elena, vicebrigadiere a Roma Elena e Claudia hanno detto il loro sì a Cefalù, provincia di Palermo


  colonna  sonora 
Hallelujah -  Jeff Buckley
L'AMORE MERITA- Simonetta Spiri, Greta, Verdiana e Roberta Pompa

 IL paese reale è ( anche se non completamente visto che ancora non c'è il matrimonio lgbt , e le unioni non valgono cioè i contraenti non hano gli stessi diritti di chi contrae matrimonio ) è più avanti della imbelle classe politica . Infatti : << .... Lo Stato maggiore della Difesa ha imposto già dal 2017 le linee guida sulle celebrazioni dei militari anche dello stesso sesso", spiega l'avvocato cagliaritano Giorgio Carta, "e l'Arma si è dimostrata più avanti di altre istituzioni: il matrimonio tra persone dello stesso sesso nn è un tabù ....  segue  su YouTG.NET - Picchetto d'onore (e colpo di sciabola) per il matrimonio della carabiniera con la sua sposa >>. E storie come quella riportata sotto presa da https://www.fanpage.it/ del 20\7\2022 sembrano dimostrarlo

Elena, vicebrigadiere del servizio radiomobile Cassia di Roma, si è unita civilmente all'imprenditrice Claudia. Il 18 luglio scorso hanno pronunciato il loro sì a Cefalù, provincia di Palermo. Per festeggiare
le due donne, i colleghi carabinieri di Elena hanno fatto un picchetto d'onore in alta uniforme. Al passaggio di Claudia ed Elena i carabinieri si sono messi sull'attenti e hanno fatto un colpo di sciabola. Tantissimi i commenti e le congratulazioni pubblicate sotto i video della cerimonia postati su Facebook. "Che belle che siete! Tanti auguri", ha scritto per esempio Anna. "Un'emozione unica e indescrivibile", ha detto Francesco. "Augurio di ogni bene futuro ‘piccola' Claudia nel cuore", le congratulazioni di Maurizio.





I carabinieri sull'attenti all'arrivo del vicebrigadiere Elena All'arrivo del vicebrigadiere, si vede nei video della cerimonia, i militari si sono messi sull'attenti sulle note del tema ‘Gabriel's Oboe' di Mission, composto da Ennio Morricone. Elena indossava l'alta uniforme dei carabinieri, mentre Claudia indossava il tradizionale abito bianco. Quest'ultima ha fatto il suo ingresso sulle note di ‘Hallelujah', il famoso
brano del cantautore Leonard Cohen.La prima unione civile gay nell'Arma La prima unione civile tra un carabiniere e il suo compagno è stata quella tra Paolo e Nunzio. La cerimonia è stata celebrata nel 2018 a San Rufo, un piccolo paesino del Vallo di Adriano. Il militare lavora nella compagnia di Castellammare di Stabia e, come Elena, anche lui ha indossato l'alta uniforma da carabiniere per pronunciare il sì insieme al suo compagno e attuale marito.


e da repubblica

Elena Mangialardo è vicebrigadiere del nucleo radiomobile della compagnia Cassia: si è unita con l'imprenditrice romana Claudia De Dilectis

Camminano sottobraccio sotto il ponte di sciabole deimilitari in alta uniforme. Lei, Elena Mangialardo, vicebrigadiere del nucleo radiomobile della compagnia Cassia, indossa l’alta uniforme dei carabinieri, la moglie Claudia
De Dilectis, imprenditrice romana che lavora al Pam, in abito bianco. Scene da un matrimonio. Le due donne si sono dette “si” il 18 luglio scorso a Cefalù, in Sicilia. IL momento
del “si” è stato accompagnato dalle note di Gabriel's Oboe di Ennio Morricone, dopo il passaggio sotto un ponte di sciabole dei carabinieri invitati al matrimonio che hanno atteso il loro passaggio mano nella mano. Una passione sbocciata a Cefalù, la città natale di Mangialardo: otto anni fa l’inizio della relazione, che il 18 luglio è stata ufficializzata con il matrimonio.

concludo  non solo augurando   ogni bene  alla  coppia  ma  anche    con  la stessa  domanda    che   si  pone  il  sito https://www.youtg.net/ (    trovate  il link  all'articolo nele riche  precedenti ) 




Non è mancato nemmeno un gesto che di recente è finito al centro delle polemiche: il colpetto di sciabola sul sedere della sposa, mentre si inchina a raccogliere il cappello dello sposo (in questo caso sempre sposa era) che un collega ha provveduto a far cadere poco prima. "Una pratica maschilista che va abolita", ha dichiarato l'avvocato Carmen Posillipo, matrimonialista del foro casertano di Santa Maria Capua Vetere, già nota per le sue battaglie in favore del rispetto delle donne.E proprio in risposta all'avvocato la pagina Facebook "Puntato, l'app degli operatori di polizia" ha pubblicato il video del matrimonio [lo  trovate  sopra  ] tutto al femminile tra la vicebrigadiera e l'imprenditrice: "Ma il gesto è maschilista anche se sono Due Donne a farlo? Arma dei Carabinieri al passo con i tempi, giustamente riconosce il diritto di amare", si legge nel testo a corredo, "Ma ora verrebbe da chiedere a quel famoso avvocato che contestava il colpo di sciabola come gesto maschilista, e se sono 2 donne a fare questo gesto?", è la domanda provocatoria. 


con  questo  è  tutto    alla  prossima   “Sperando  che tali matrimoni  ( in  realtà unioni  civili    )  sia solo un monito per tutti ad avere il coraggio di amare. e  che  diventi    normale  e  non  slo  un  fattom eccezionale .  M'auguro che tutto ciò possa servire a far vedere semplicemente la forza dell’amore nonostante tutto” questa la “chiamata al coraggio” delle due ragazze.

3.7.22

la dura vita degli italiani senza cittadinanza «Ho preso 100 alla Maturità ma non ho la cittadinanza»

  da  Avvenire  
Paolo Ferrario - Ieri 19:36

Quando è arrivata dal Pakistan, nove anni fa, non capiva una parola d’italiano. Oggi cita Dante a memoria, questa settimana si è diplomata con 100/100 al Liceo scientifico delle scienze applicate paritario “Malpighi” di Bologna e ora vuole iscriversi a Matematica. Per capire di che cosa parliamo quando parliamo di Ius scholae, sarebbe utile ascoltare storie come questa di Ayesha Amin, 19 anni, che in Italia ha fatto la quinta elementare, tutte le medie e le superiori, ma la cittadinanza non ce l’ha ancora. Un’assenza che pesa sulla vita di questa giovane donna, che non immagina nemmeno il proprio futuro lontano dal nostro Paese.


© Fornito da Avvenire«Ho preso 100 alla Maturità ma non ho la cittadinanza»


«Ho scoperto la mia identità come persona – scrive Ayesha in un tema – e le esperienze che hanno segnato la mia vita hanno avuto luogo in Italia, quindi in contatto con le persone italiane. Di conseguenza, riesco a raccontare solo in italiano le esperienze che ho più a cuore, mentre sento una grandissima incapacità di raccontare di me nella mia lingua madre, perché sento di non avere il vocabolario adatto».Di famiglia molto povera, Ayesha arriva in Italia a 10 anni, con la madre e i due fratelli maggiori, per ricongiungersi al padre che, con lo zio, da qualche tempo gestiva un ristorante a Bologna. La malattia prima e la morte dell’uomo poi, lasciano la famiglia senza una fonte di reddito e con il rischio concreto di essere rimpatriata. «Eravamo talmente poveri che vivevamo da alcuni parenti in case diverse, dove c’era posto», ricorda la giovane.
La svolta nella sua vita accade all’open day del Malpighi. «Ho visto questa scuola bellissima e mi sono informata per iscrivermi», ricorda Ayesha. Non sapeva che, in Italia, la libertà di scegliere una scuola paritaria è subordinata alla possibilità di permettersi la retta. Soldi che, ovviamente, la famiglia non aveva. Ma la passione con cui aveva espresso questo suo desiderio alla rettrice Elena Ugolini, è riuscita a superare anche questo ostacolo: una borsa di studio della Fondazione Campari arriva a coprire tutte le spese, non soltanto della retta, ma anche dei libri e del trasporto da casa a scuola. Una donazione sulla fiducia che la ragazza ha ripagato alla grande, attraverso un percorso scolastico che la propria docente di riferimento, Federica Mazzoni, non esita a definire «più che eccellente». Frutto di tanta fatica ma, soprattutto, fondato sulla convinzione che la giovane Ayesha si è messa in testa fin dai primi tempi in Italia: «Se volevo stare qua, se volevo studiare, dovevo imparare l’italiano». Lingua che in casa nessuno conosceva, a parte il padre e di cui ora, sempre a detta della prof, ha una padronanza migliore di tanti compagni nati in Italia.
«A scuola – racconta Ayesha – ho trovato dei maestri veri che mi hanno fatto appassionare allo studio. In quegli anni ho letto di tutto, da Dante a Primo Levi e ho imparato ad amare la lingua italiana, che ormai sento mia: è una parte essenziale della mia vita». «Negli anni del liceo – scrive ancora nel tema la studentessa – ho coltivato tante amicizie e ho scoperto che la lingua mette in relazione con le persone e permette di scoprire una parte di sé stessi».Ma conoscere i nostri grandi autori non le è bastato per vedersi riconoscere quella cittadinanza che la farebbe sentire italiana a tutti gli effetti, come lei del resto già si sente ed è percepita dai suoi amici. Con i quali, però, non ha potuto condividere l’ultima esperienza liceale: il viaggio di istruzione in Germania. Al momento di partire, ha scoperto che sulla sua carta d’identità c’è scritto «Non valida per l’espatrio». Per lei è stato un colpo al cuore. Un tradimento da parte del Paese in cui vive e nel quale si è più che integrata, risultando tra i migliori studenti della propria scuola. Ma, evidentemente, nemmeno un 100 alla Maturità è sufficiente per ottenere una cittadinanza che Ayesha e tanti come lei, aspettano ormai da troppo tempo.

Posso capire non si vuole 
Ius soli (in lingua latina «diritto del suolo») è un'espressione giuridica che indica l'acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori.[1][2][3][4] Si contrappone allo ius sanguinis (o «diritto del sangue»), che indica invece la trasmissione alla prole della cittadinanza del genitore, sulla base pertanto della discendenza e non del luogo di nascita.[1][3][4]Quasi tutti i paesi del continente americano applicano lo ius soli in modo automatico e senza condizioni. Tra questi gli Stati Uniti, il Canada e quasi tutta l'America latina.[5] Alcuni paesi europei (Francia, Germania, Irlanda e Regno Unito) concedono altresì la cittadinanza ius soli, sebbene con alcune condizioni.  segue Ius soli - Wikipedia

perchè non sai se quelle persone hano intenzione di rimanere fisse qui per poi andarsene altrove oppure ritornare nella loro terra d'origine come fece un parente di mia madre che ando in argentina per ptersi pagare la casa e poi raggiunta la cifra rientrò in paese   e non parti più   fino alla morte  . 
Ma lo Ius  scholae ( qui magiori informazioni mi sembra   sia   un buon compromesso  ifatti anche la Polverini  ( centro  destra  )    e la  chiesa  




si sono dette d'accordo

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...